L’ACCORDO CON L’ALBANIA È UNA PATACCA SENZA PRECEDENTI: COSTERÀ UN SACCO DI SOLDI E NON SERVIRÀ A NIENTE
IL GOVERNO METTE NERO SU BIANCO UN DOCUMENTO DI QUATTRO PAGINE: NEI DUE CENTRI IN TERRITORIO ALBANESE PORTANNO ESSERE PORTATI SOLTANTO I NON VULNERABILI. QUINDI, DI FATTO, NESSUN PROFUGO IN ARRIVO DALLA LIBIA … I MIGRANTI DESTINATI IN ALBANIA SARANNO MOLTI MENO DEI 36MILA DI CUI PARLA IL PROTOCOLLO. IL RISULTATO? UN VIA-VAI CONTINUO DI NAVI NELL’ADRIATICO
Se il governo rispetterà la legge (e ovviamente non potrà che essere così), di fatto nessun migrante proveniente dalla Libia potrà essere portato nei centri in Albania. Perché «i migranti che saranno indirizzati nelle aree concesse in uso allo Stato italiano sono i richiedenti asilo sottoposti alle procedure accelerate di frontiera e quelli destinati al rimpatrio». Dunque, per legge, i non vulnerabili, categoria in cui la normativa italiana include «minori, donne, disabili, anziani, genitori single con figli minori, persone malate, vittime di tratta, vittime di stupri, violenza psicologica, fisica, sessuale, vittime di mutilazioni genitali». Cioè praticamente tutti i migranti che arrivano dai lager libici.
A metterlo nero su bianco, con un documento che di fatto ridimensiona in maniera consistente la reale portata dell’operazione Albania, è un documento di quattro pagine depositato dal governo alle Commissioni Affari istituzionali e Affari esteri della Camera che, la notte scorsa, con la protesta delle opposizioni (il Pd ha abbandonato i lavori) hanno dato il via libera al disegno di legge di ratifica del protocollo Italia-Albania ora atteso in aula lunedì.
Il governo definisce con chiarezza, per la prima volta, la tipologia di migranti che — soccorsi in mare in acque extraeuropee da navi militari italiane — potrà essere direttamente portata in Albania e, dopo il passaggio in hotspot, essere detenuta per 28 giorni in attesa dell’esito delle procedure accelerate di frontiera o, più a lungo, per chi è già destinatario di un ordine di espulsione e di rimpatrio in uno dei pochissimi Paesi con i quali l’Italia ha accordi.§
I dettagli, dunque: lo screening di chi potrà finire in Albania avverrà direttamente sulle navi militari italiane che avranno dunque una doppia destinazione: il porto di Shengjin per chi (solo uomini maggiorenni, non vulnerabili e provenienti da Paesi sicuri) potrà essere sottoposto a procedure accelerate di frontiera e poi un porto italiano dove far scendere tutti gli altri. Con (ancora non sciolto) il punto di eventuali nuclei familiari che di certo non potranno essere divisi.
Ma una nave militare italiana sarà sempre presente nel porto albanese pronta a fare la spola con l’Italia per portare subito al di qua dell’Adriatico i migranti che, ad un secondo screening , dovessero risultare vulnerabili. Perché una cosa è chiara; tra le condizioni del premier albanese Edy Rama c’è che nessuno dei migranti soccorsi dalle navi italiane potrà mai mettere piede su suolo albanese.
Dalle navi andranno direttamente nei due centri (uno equiparato ad hotspot e l’altro a centro per i rimpatri) e poi o saranno rispediti nei Paesi d’origine o subito in Italia. Dove verranno successivamente portati anche non solo i richiedenti asilo che, al termine della procedura accelerata di frontiera, dovessero vedersi riconosciuta la protezione internazionale ma anche quelli che (avuto il diniego) decidessero di fare ricorso all’autorità giudiziaria. A quel punto — si legge nel documento — attenderanno l’esito dell’appello nei centri di accoglienza. Insomma, un continuo e costosissimo va e vieni di navi da una sponda all’altra dell’Adriatico.
Fatta così la tara ai proclami del governo, i migranti effettivamente destinati all’Albania saranno sicuramente molti meno dei 36.000 di cui parla il protocollo. E, sostanzialmente, si tratterà quasi esclusivamente di uomini tunisini e marocchini, gli unici che l’Italia riesce a rimpatriare avendo accordi con i Paesi d’origine. Gli altri finiranno comunque in Italia. Sempre che la Corte costituzionale di Tirana dia il via libera all’approvazione dell’accordo da parte del parlamento.
(da La Repubblica)
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