L’ALLARME DI GIURISTI E AVVOCATI: “IL DECRETO ANTI-RAVE? BEN OLTRE LA COSTITUZIONE, UNA DELEGA IN BIANCO ALLA POLIZIA”
“ALTRO CHE DEPENALIZZAZIONE COME GARANTIVA NORDIO”… “UN DELIRIO: ORA I PREFETTI SI METTONO A SCRIVERE LE LEGGI”
Il decreto anti rave? «Ben oltre la Costituzione ». E «ben oltre il codice Rocco». «Una delega in bianco alla polizia». «Altro che depenalizzazione, come garantiva Nordio». «Ma proprio lui non voleva ridurre, o addirittura eliminare le intercettazioni? ». «Un delirio: se pure i prefetti cominciano a scrivere le leggi siamo fritti». «Per punire un possibile pericolo il governo incrimina comportamenti che sono minimamente pericolosi ». «Ve la immaginate un’udienza preliminare con i 3mila indagati che erano scesi in piazza?».
La sorpresa, lo sconcerto, la disapprovazione, in una parola la piena bocciatura di costitituzionalisti e giuristi che scorrono le nuove norme anti rave, è totale. Con una calda raccomandazione: «Non chiamatele così, non ne riducete la portata, perché quell’articolo, se sopravviverà alla scure della Consulta, cambierà la storia di ogni manifestazione pubblica in Italia. Politica o sindacale che sia».
Per dirla con l’allarme delle toghe di Magistratura democratica, «se questo è il biglietto da visita del nuovo esecutivo in materia penale, ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale».
Da Giovanni Maria Flick a Gaetano Azzariti, da Vittorio Manes a Emilio Dolcini, da Gian Domenico Caiazza a Michele Laforgia. Costituzionalisti, giuristi, avvocati. Da tutti una «condanna» senza appello per una norma «goffa» e che mette in pericolo la nostra libertà costituzionale.
Che entra in pieno conflitto con l’articolo 17 della Carta che garantisce il pieno diritto di manifestare, sopprimibile «soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica ». Di per sé pure una sfida alla Consulta – la seconda dopo quella sull’ergastolo ostativo – che già nel 1958 aveva bocciato una norma del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che risaliva al 1926, e che limitava il diritto di manifestare. Un precedente destinato a pesare.
Non ha dubbi l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick sulla debolezza costituzionale della norma Meloni-Piantedosi. «A quanto ricordo – dice l’ex Guardasigilli – la Costituzione parla di limitazioni “soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” mentre non fa cenno a pericoli per l’ordine o per la salute pubblica. Andrebbe subito verificata la costituzionalità di questa estensione dei limiti ».
Flick boccia sia il nuovo reato, perché «erano sufficienti quelli che già ci sono», sia le intercettazioni. E ironizza: «Ma Nordio non voleva limitarle? ».
E critica l’approccio verso i giovani: «Mi sembra pericolosa l’idea di combattere il loro disagio con strumenti di carattere penale e con sanzioni che appaiono molto pesanti e con un nuovo reato, quando sono più che sufficienti quelli che già esistono». Le intercettazioni sono un altro vulnus giuridico.
E vengono lette dai giuristi come la voglia di spiare tutto e tutti. Lo denuncia Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza: «C’è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori. A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato. Senza neppure poter escludere quelli di politici o sindacalisti che organizzano raduni ritenuti pericolosi».
Un decreto che lede la libertà degli italiani di manifestare liberamente.
«Un delirio» per Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere penali. Perché «questo è un reato su qualunque adunanza di più di 50 persone su terreni privati o pubblici, e quindi se andiamo in 70 a Villa Pamphili possiamo essere tutti quanti incriminati». E Michele Laforgia, l’avvocato barese presidente di Giusta causa, torna al codice Rocco: «Al momento del raduno, il potere e il dovere di intervenire e arrestare i presenti sarà delle forze dell’ordine, con facoltà molto più ampie di quelle già previste dal codice fascista. Un po’ troppo, se l’obiettivo erano solo le feste in campagna».
Il pericolo è la vaghezza della norma, come dice Vittorio Manes, docente di diritto penale a Bologna, che parla di «reato simbolico, vago e sproporzionato rispetto agli altri del codice», un reato «utopistico se si pensa che possa disincentivare il fenomeno che si vorrebbe colpire perché qualsiasi raduno può diventare un pericolo per l’ordine pubblico, o la stessa incolumità pubblica».
E che vuole «punire chi semplicemente partecipa e non organizza o promuove l’assembramento». Insomma «un esempio dell’utilizzo simbolico del diritto penale, una sorta di norma manifesto carica però di effetti punitivi molto severi e con profili di dubbia costituzionalità».
Una norma inutile? Emilio Dolcini, professore emerito di diritto penale a Milano, la pensa così: «Questa volta il legislatore ha veramente esagerato perché per punire un possibile pericolo ha incriminato comportamenti minimamente pericolosi rispetto al bene giuridico da tutelare.
Il che solleva dubbi di legittimità costituzionale ». E qui sta il baco che potrebbe precipitare il neo reato davanti alla Consulta.
(da agenzie)
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