LE GRANDI MANOVRE PER I MINISTERI: SPUNTANO AMATO E SACCOMANNI
ANCHE FORMIGONI TRA I PRETENDENTI, BERLUSCONI VUOLE LETTA E PALMA… IL PD VUOLE COINVOLGERE ANCHE IDV E SEL
Le riunioni dei vertici di Pdl, Lega, Terzo polo e Pd, con Berlusconi ancora in carica, si trasformano in un vorticoso totoministri.
I democratici parlano a lungo, durante il loro vertice, dei possibili ministri che il Pdl intende salvare e quelli che al contrario pensa di sacrificare.
Nomi e cognomi. Con un criterio che già si affaccia nei contatti informali.
Tra gli schieramenti si stabilisce il principio di “veto reciproco”, la possibilità di esprimere dei no davanti a certe candidature, quindi l’apertura a “rose” per arrivare alla condivisione finale.
Silvio Berlusconi chiede di tenere al loro posto Frattini (Esteri), Nitto Palma (Giustizia), Fitto (Affari regionali) e soprattutto Gianni Letta nel cuore di Palazzo Chigi.
Per un curioso caso del destino nello stesso governo potrebbero trovarsi zio e nipote. Enrico Letta infatti è il primo dei candidati democratici per un ministero o per la carica di vicepremier.
Il Pd chiederà sicuramente il dicastero del Lavoro.
Appoggerebbe poi la nomina di Giuliano Amato all’Interno.
Sul nome dell’ex premier si sono diffuse le voci più frenetiche. Berlusconi lo avrebbe voluto come premier tecnico, contando sul sostegno del capo dello Stato.
Poi Monti ha ripreso quota, ma secondo i democratici Amato avrebbe adesso chance concrete per il ministero della Giustizia o per la funzione di vicepremier.
La linea del Pd è un mix di tecnici e politici.
«O lo subiamo o per non subirlo dobbiamo starci dentro». Nelle parole di Massimo D’Alema, al coordinamento del Pd, c’è la conspevolezza di una scelta delicatissima, ma anche la volontà , condivisa da Bersani e Enrico Letta, di affiancare a Mario Monti nel governo che verrà i dirigenti del Partito democratico.
Mettere cioè un po’ di politica nel nuovo esecutivo. E quindi i politici.
Di questo si discute nel Pd, del profilo dei ministri.
Visti i tempi strettissimi escono anche i nomi. Molto anticipato, ma il toto- governo è già una realtà .
Il presidente del Copasir, come il segretario e il vice, pensa infatti che la seconda opzione sia quella giusta, che il Pd debba essere visibile nell’esecutivo del neosenatore a vita.
«Le due strade – avverte D’Alema – hanno entrambi rischi alti. L’importante è scegliere ».
E i democratici hanno già scelto: cercare un mix di personalità tecniche e di uomini (e donne) di partito. Sono le premesse per la nascita di un vero governo di grande coalizione.
Per i ruoli tecnici i nomi sono Fabrizio Saccomanni o Lorenzo Bini Smaghi al ministero dell’Economia.
La casella di Via XX settembre andrà sicuramente a un espero fuori dalla politica.
Pier Ferdinando Casini, grande sponsor di un’intesa politica tra Pd e Pdl, cioè di larghe intese vere, non potrà sottrarsi dall’esprimere dei candidati del Terzo polo.
Il nome, a metà strada, è per il momento quello di Piero Gnudi, ex presidente dell’Enel. Non solo tecnico, ma anche un po’ politico.
Ma le spine sono fuori da questo perimetro. D’Alema ancora una volta dà voce a una fetta consistente del suo partito che parla apertamente di «suicidio».
Per tenerla sotto controllo, per favorire davvero una scelta condivisa e consapevole. «Dobbiamo tenere dentro tutte le opposizioni». A cominciare da Antonio Di Pietro, che sta in Parlamento. E per schivare il cannoneggiamento di Vendola, che naturalmente avverrebbe a danno del Partito democratico. È bene saperlo: il governo Monti farà saltare il Nuovo Ulivo. Per questo è necessario metterci dentro «segnali di cambiamento rispetto alla politica sbagliata di questi anni, idee, contenuti diversi». Non appiattirsi sulla lettera della Bce in maniera acritica, sviluppare programmi nuovi.
È l’antico rovello di un’abdicazione della politica da scongiurare a ogni costo. Altrimenti nel Pd crescerà la tentazione, attribuita anche al segretario, di far durare l’esecutivo il tempo necessario ad affrontare l’emergenza per andare comunque a votare prima del 2013.
Dall’altra parte si lavora sulla trincea della Lega.
Un ministero a Roberto Formigoni può ammorbidire i toni: lascerebbe infatti libera la poltrona di governatore di Lombardia.
Va risolto il problema degli ex An. Lo strappo di Altero Matteoli può essere recuperato magari proponendo proprio a lui una conferma.
Ma non siamo nemmeno all’inizio.
Però i mercati non si fermano.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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