LEGA, RITORNO AL PASSATO
AL NORD SI RIPARLA DI AUTONOMIA
I leghisti che la sanno lunga raccontano questo di fronte all’iniziativa di Giorgetti degli Stati Generali del Carroccio in Lombardia – «Non un’iniziativa personale ma di partito», precisano i suoi – a pochi giorni dal voto amministrativo: «Nessuna rivalità con Salvini e non esiste che Giancarlo voglia prendere il suo posto. Ma il Nord è il Nord, e al Nord abbiamo il cuore del nostro movimento, il nostro passato e il nostro futuro». Detta così, è una cosa che suona in questo modo: basta baloccarsi troppo con l’idea della Lega nazionale.
Anche perché laggiù al Sud, per qualche renziano (Scoma, a cui sarebbe stata promessa la candidatura a sindaco di Palermo) che sale sul Carroccio ci sono esponenti locali leghisti che trasmigrano in Fratelli d’Italia.
Torna il Nord über alles nella strategia del partito salvinista ma più che Salvini sono gli altri – anche se «non esiste il partito di Giorgetti» come dice Giorgetti magari dissimulando – a battere su questo tasto.
Che è lo stesso per cui la rivendicazione dell’autonomia differenziata, che negli ultimi tempi era sparita e che molti attribuiscono al capo leghista la ragione della sparizione, sta tornando prepotentemente nelle priorità del Carroccio, anche o soprattutto quello a trazione veneta ossia a guida Zaia.
Di fatto, si sono tenuti ieri alle Ville Ponti di Varese, terra giorgettiana, gli Stati Generali della Lega in Lombardia, proprio per approfondire i temi dell’agenda amministrativa, con la presenza degli esponenti di tutti i livelli di governo, da quello nazionale a quello regionale, fino alle amministrazioni locali. Circa duecento i sindaci lombardi presenti e non pochi pur ribadendo la stima per Salvini riferiscono che da quando c’è Draghi è cambiato tutto.
Già il fatto che non ci sia più Morisi alla guida delle Bestia un segnale di cambiamento lo è. Anche al di là dei gossip che vorrebbero raccontare la fuoriuscita del capo della comunicazione salvinista sui social come una vittoria dell’ala governista e giorgettiana su quella pop e populista rappresentata con successo in questi anni dai maghi dei social media amici di Matteo.
Il realismo di Giorgetti, che gioca in casa in quel di Varese, è così formulato: «Avremo vinto nelle urne del prossimo weekend, se avremo aumentato il numero dei sindaci. E perso, se li avremo diminuiti. In politica è così. Dopo di che c’è la grande incognita dell’affluenza, non so dopo il Covid quante persone andranno a votare».
Ecco, Giorgetti vede una Lega spaesata, consapevole dell’Opa ostile della Meloni, alle prese con la novità sconvolgente del governo Draghi, non più arciconvinta dell’infallibilità del capo (cioè Salvini), e cerca da antico uomo di partito di rianimarla.
Mentre Giorgetti fa il Giorgetti ed è in Padania, Salvini fa Salvini ed è a Tor Bella Monaca a Roma. «Fanno il gioco della parti», dicono in molti nella Lega. Ma altri: «Hanno in mente due Leghe diverse, anche se Giancarlo non accoltellerà mai Matteo neppure se glielo ordina Draghi».
Ma chissà. Giorgetti dixit ieri: «Nessuno ci perdona niente, anzi l’attività preferita è cercare di dividerci. Il copione è sempre lo stesso, ma se ci chiamiamo Lega, e in qualche modo ci rifacciamo alla Lega Lombarda, sappiamo che noi abbiamo un’altra missione, un altro modo di interpretare quello che siamo». Il che significa, appunto, che Salvini non si tocca (per ora, ma se il partito arriva sotto il 20 per cento domenica e lunedì prossimo qualche conseguenza ci sarà) e che però, allo stesso tempo, l’inquietudine in politica nella vita delle organizzazioni di partito non resta mai fine a se stessa.
(da il Messaggero)
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