L’ESPERTO DI PENSIONI: “IL FLOP DI QUOTA 100 ERA AMPIAMENTO PREVISTO”
“UN TIPICO CASO DI ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA”… “IL 54% DI CHI HA INIZIATO A LAVORARE DOPO IL 1995 AVRA’ UN PENSIONE INFERIORE ALLA SOGLIA DI POVERTA’ (780 EURO)”
“La fuga da Quota 100 non sorprende, anzi un calo di questa portata era stato ampiamente previsto. Di fronte a una crisi economica è scontato che il contribuente tenda a proteggere il suo reddito”.
Secondo Felice Roberto Pizzuti, docente di Politica Economica e di Economia e Politica del Welfare State presso l’Università “Sapienza” di Roma, il drastico calo di domande per l’uscita anticipata dal lavoro era largamente prevedibile.
Un dato su tutti, riportato oggi dal Sole 24 Ore, fotografa il flop della misura approvata dal Governo Conte I: nei primi sei mesi dell’anno le domande presentate sono meno di un terzo di quelle accolte nell’intero 2019.
Professore, come si spiega?
Tutti sanno che quando si va in pensione si subisce una diminuzione, maggiore o minore a seconda dei casi, del proprio reddito. Ma se si va via anticipatamente il calo è superiore. Perciò se un cittadino, per fare un esempio, anticipa di cinque anni la sua uscita dal lavoro, vorrà dire che per cinque anni in più dovrà fare affidamento sul suo reddito da pensione, quindi inferiore. Di fronte a una crisi economica e all’incertezza che ne deriva è abbastanza ovvio che le persone preferiscano avere un reddito maggiore anche a costo di dover lavorare di più.
Non è possibile che, trattandosi di una misura a tempo e in scadenza nel 2021, le persone aspettino l’ultimo momento utile per fare richiesta?
Può darsi, c’è tutto il 2021, ma vale anche il ragionamento opposto. Visto che spesso si parla dell’intenzione di eliminare anticipatamente Quota 100, le persone possono anche essere spinte a ricorrervi prima. Il comportamento di fondo comunque è molto simile a quello visto con gli 80 euro del Governo Renzi.
In che senso?
I dati mostrano come in molti casi, in una situazione di precarietà di reddito, chi ha goduto del bonus fiscale invece di consumarlo lo abbia risparmiato. E questa tendenza è stata riscontrata nei redditi medio e medio-bassi. Per lo stesso motivo molte persone preferiscono non andare in pensione con un tasso di sostituzione del reddito penalizzante, un calo fino al 15% rispetto allo stipendio per quel che riguarda Quota 100.
Insomma, troppo clamore politico su questa misura.
Si tratta di una misura largamente sopravvalutata sia in termini di costo che sotto il profilo degli effetti positivi sulle assunzioni. Ripeto, era tutto ampiamente previsto. Di più, Quota 100 è stata soltanto un’arma di distrazione di massa da quella che è la vera bomba sociale che esploderà nel prossimo futuro.
Quale?
Oggi sappiamo che il 54% delle persone che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 avrà una pensione inferiore alla soglia di povertà (780 euro).
Queste sono stime?
No, sono certezze. Se l’attuale assetto pensionistico non subisce modifiche, questo è ciò a cui vanno incontro milioni di persone. Inutile pensare che non sia vero, non si tratta di ipotesi o di stime. Perciò le dico che Quota 100 è soltanto un diversivo, e il fatto che ci sia questa frenata delle domande ne è solo l’ennesima riprova.
Un quadro sconfortante.
Altro che Quota 100, qui dobbiamo iniziare a occuparci seriamente delle pensioni di chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. Sono più della metà e si tratta di persone che hanno già pagato una volta perchè lavoratori o lavoratrici con contratti spesso precari. Si rischia di accanirsi due volte sulla stessa generazione e i numeri confermano che non si è ancora colto il problema. Il fatto che il premier olandese Rutte per sbloccare la trattativa del Recovery Fund chieda tagli al nostro sistema pensionistico dimostra ancora una volta come il dibattito politico abbia preso una strada sbagliata e ben lontana dai reali problemi.
Quale soluzione suggerisce?
La nostra proposta, che portiamo avanti da anni nel Rapporto sullo Stato Sociale della Sapienza di cui sono curatore, è di versare contributi sia ai lavoratori presenti sul mercato del lavoro sia agli assenti. Sia a chi lavora, sia ai disoccupati.
È un sistema sostenibile?
Certo. Perchè non comporta alcuna spesa immediata per lo Stato. Al disoccupato si versa un contributo figurativo, come se fosse un pezzo di carta. Il contribuente non paga nulla, nè ci sono uscite dal bilancio pubblico. In questo modo, inoltre, si dice alla persona senza lavoro di non preoccuparsi per la sua pensione. Mario Rossi, per dire, non penserà a risparmiare o quantomeno risparmierà di meno, perchè l’incertezza per il futuro è minore. È anche un espediente per sostenere la domanda interna, e in questi giorni di crisi Covid ci si sta rendendo conto di quanto sia importante la vitalità della domanda interna, soprattutto in presenza di una crisi economica. Basta vedere le enormi spese in deficit che i Governi europei stanno autorizzando.
(da agenzie)
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