L’ITALIA È IL PAESE “PIÙ AIUTATO” DEL MONDO. LO RESTERÀ ANCHE CON LA TRIMURTI SOVRANISTA MELONI-SALVINI-BERLUSCONI?
L’UFFICIO STUDI DELLA BANK OF AMERICA CERTIFICA CHE IL NOSTRO PAESE È QUELLO CHE HA RICEVUTO PIÙ AIUTI PER RILANCIARE L’ECONOMIA (1.379 MILIARDI IN DUE ANNI). MA ORA, SENZA DRAGHI, L’ACCESSO AI FONDI EUROPEI RISCHIA DI VENIRE MENO
Suona stridente e un po’ frustrante che proprio nel momento in cui l’Italia rinuncia al suo leader più prestigioso, Mario Draghi, e che la Bce rialzando i tassi rilancia le paure per la solvibilità del Paese, l’ufficio studi della Bank of America renda noto un dato: negli ultimi due anni e mezzo, l’era del Covid, il nostro è il Paese che ha ricevuto più aiuti (in percentuale sul Pil) per sostenere e rilanciare l’economia.
Fra ristori del governo, impegni internazionali, Pnrr, stanziamenti della Bce, sul nostro Paese sono piovuti 1.379,3 miliardi, pari al 68,9% del Pil 2021, ripartiti fra 972,6 miliardi di stimoli statali ed europei, e 406,7 di stimoli monetari, cioè quantitative easing, Pepp (il rafforzamento del Qe varato nel 2020) e Tltro per le banche.
La Germania, che in numeri assoluti supera i 2.500 miliardi, è stata aiutata per il 65,9%, la Francia per il 48,5, gli Stati Uniti – dove Biden è accusato di aver riempito di soldi i cittadini che sono corsi a spenderli causando l’inflazione – per il 52,1%: 11mila miliardi su 20mila di Pil (5mila miliardi solo di “helicopter money”).
I calcoli su 180 Paesi la Bofa li ha pubblicati sotto un titolo provocatorio: “Time for lemonade”. Come dire, è arrivata l’estate ma attenti a rinfrescarvi con una bevanda amara: la maggior parte dei fondi andranno restituiti pur con scadenze e condizioni a volte (non sempre) agevolate per l’emergenza.
Un memento che fa tremare le vene ai polsi all’Italia da giovedì scorso senza governo e con lo spread a livelli di guardia.
Tanto che serpeggia la paura, ma è solo un’ipotesi, che se la crisi di governo comporterà ritardi negli adempimenti, i fondi del Pnrr potrebbero essere meno dei 200 miliardi previsti fino al 2025 e già contabilizzati per intero da Bofa.
Il totale mondiale degli interventi, calcola la banca Usa, è stato di 23mila miliardi nel 2020, 9mila nel 2021 e 2mila finora nel 2022.
Come sempre, gli aiuti sono stati irrimediabilmente scarsi nei Paesi più poveri ma non meno penalizzati dalla pandemia: l’India ha avuto il 16%, il Brasile il 12, il Mozambico il 5, il Guatemala l’1,8, la stessa Russia il 9%, l’Ucraina zero fino al conflitto (ora è stato approvato da G7 e Ue un primo pacchetto di aiuti da 12,7 miliardi più la ristrutturazione del debito, e inoltre c’è l’accordo dei creditori per una moratoria generale sino a fine 2023).
Insomma, l’Italia ha avuto più di tutti: basterà per il salto di qualità o visto il riaprirsi del travaglio politico ricominceremo con la famigerata crescita di “zero virgola”?
L’Ue prevede per il 2022 un +2,9% ma l’anno prossimo già si scende allo 0,9. «Nel 2023 – spiega Lorenzo Codogno della London School of Economics – dispiegheranno i loro effetti le crisi energetica, alimentare e delle materie prime che si stanno aggravando per la guerra».
Oltre all’incertezza politica, «le famiglie faranno i conti con il crollato potere d’acquisto, le imprese con il calo della domanda (gli ultimi indici Pmi europei sulla fiducia degli addetti agli acquisti non sono buoni, ndr) e il boom del turismo non ce la farà a sostenere l’economia».
Sui singoli settori che vanno bene ma non bastano insiste Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici: «Prendiamo l’edilizia: vive un momento magico grazie al superbonus del 110%, che è costato più di 30 miliardi (inseriti nei conteggi di Bofa, ndr) ma non vedo come possa garantire una crescita convincente né contribuire ad aumentare la capacità produttiva ».
È stato saggio, dice Cottarelli, utilizzare ingenti fondi per colmare la caduta, «una grande manovra difensiva», ma l’impegno finanziario «doveva essere riassorbito dalle entrate fiscali derivanti dalla crescita: se questa è asfittica la scommessa è persa». L’incognita è la recessione: «Non sappiamo se e quando colpirà», dice Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board Bce.
«Se la crisi sarà dura, una parte delle ingenti garanzie pubbliche concesse (fra Cdp, Sace e Mef si superano i 450 miliardi nelle stime Bofa, ndr) si trasformeranno non in Npl bancari come in passato bensì in perdite dello Stato, con dimensioni tali da far tremare i conti».
Eppure il sistema degli aiuti analizzato dalla Bofa stava funzionando. Cita un esempio l’economista Innocenzo Cipolletta: «La cassa integrazione ha pesato sulle casse statali ma ha salvato le compagnie aeroportuali dal finire come le consorelle europee, che avevano scelto i licenziamenti e ora devono riassumere i dipendenti mancanti, operazione non semplice: così gli aeroporti italiani sono esenti dal caos europeo».
La sfida, ora che senza più Draghi bisogna cominciare a fare sul serio con le riforme (finora la Commissione si è fidata ma ha incassato solo titoli, linee guida e leggi delega), è mantenere i tempi del Pnrr. «Solo con le riforme può esserci una svolta nella crescita», dice Gianmarco Ottaviano, economista della Bocconi.
«Sugli investimenti pesano la cronica incapacità progettuale, dai Comuni alle operazioni di respiro come il miglioramento di scuola e sanità, due priorità del Pnrr che necessitano di una visione ampia e una programmazione per la quale serve un governo stabile ». C’è da sperare che la Bofa non debba rifare i calcoli.
(da Affari & Finanza)
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