L’ITALIA NON PUO’ PERMETTERSI DI ESSERE “NO MES”, SI RISCHIA IL DEFAULT
UN DINIEGO MARCHIEREBBE IL PAESE COME “INAFFIDABILE” AGLI OCCHI DEI MERCATI
Il dibattito “Mes si, Mes no” è una questione economica travestita da battibecco politico. E se su questo nodo il governo si salverà o traballerà , non sarà per le fibrillazioni della sua maggioranza ma per le conseguenze economiche della scelta che Giuseppe Conte farà al Consiglio europeo del 23 aprile prossimo.
Il Consiglio, chiamato a ratificare il faticoso compromesso raggiunto dai ministri finanziari dell’Eurogruppo sul Meccanismo europeo di Stabilità , oltre che sul complesso degli aiuti per l’emergenza sanitaria, ha carattere informale ma nella realtà è destinato a segnare uno spartiacque nello scenario economico finanziario.
Nei mercati circola la voce che i grandi fondi di investimento internazionali, a cominciare da Blackrock, in Italia da sempre molto presente, abbiano rallentato negli ultimi giorni gli acquisti di Btp proprio in attesa che si sciolga a Roma il nodo della posizione da tenere sulla questione del Mes.
Le conseguenze si sono viste nell’andamento dello spread che nella giornata di ieri è arrivato a superare quota 240 punti, nonostante i massicci interventi in acquisto della Bce. Nell’ultima settimana il divario di rendimento tra Btp e Bund tedeschi si è allargato pericolosamente di oltre 60 punti facendo squillare l’allarme.
Finora il governo si è ispirato allo slogan “No Mes, si Eurobond”. Ma dal punto di vista degli investitori il via libera (magari con qualche ritocco, non è questo il punto) dell’Italia dell’accordo raggiunto in sede Eurogruppo è cruciale perchè significherebbe che Roma resta dentro il perimetro delle logiche negoziali europee, depone la spada che nelle condizioni in cui si trova non può permettersi di sfoderare e si riserva di attingere ai fondi del Mes per quanto le spetta, ovvero 36 miliardi.
L’ok italiano all’accordo in altre parole è come una patente di buona condotta che riaprirebbe il rubinetto degli acquisti da parte degli investitori internazionali.
E non a caso la maggior parte degli osservatori, ultima in ordine di tempo Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera di oggi, suggerisce al premier di cercare di spuntare condizioni migliori di accesso ai prestiti del Mes, in particolare la linea di credito speciale approntata per finanziare la spesa sanitaria, senza sprecare l’occasione di aggiungere altri miliardi ai capitali necessari per affrontare questa crisi epocale.
Viceversa un no dell’Italia al compromesso raggiunto dall’Eurogruppo, con il contributo tra l’altro del ministro Gualtieri, marchierebbe il Paese con lo stigma dell’inaffidabilità , lo dipingerebbe come succube delle forze nazionali e populiste e rafforzerebbe in seno all’Eurozona il partito dei falchi attivo soprattutto nei paesi nordici.
Secondo gli economisti sarebbe il primo anello di una catena di conseguenze pericolose.
Innanzitutto le agenzie di rating potrebbero rompere il clemente silenzio degli ultimi mesi per fare assaggiare ai gestori del terzo debito più alto al mondo l’amaro sapore della sfiducia internazionale.
Fino a quando e fino a che punto poi la Bce sarebbe disposta a tappare i buchi aperti dai mancati acquisti degli investitori internazionali?
Quest’anno da Francoforte pioveranno sul mercato dei titoli di Stato italiani 240 miliardi di euro.
Si tratta di una specie di anestetico che copre le scelte del governo anche quelle sbagliate.
Ma a fine dicembre il Consiglio della Eurobanca dovrà decidere se rinnovare, chiudere o ridurre il programma di acquisti lanciato per comprimere gli spread.
Che atteggiamento avranno la Bundesbank, la Banca centrale olandese, quella austriaca e quella finlandese?
Domanda non banale, perchè un loro irrigidimento potrebbe proiettare sul Paese l’ombra del default.
(da “Huffingtonpost”)
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