L’ITALIA NON RIUSCIRÀ MAI A PORTARE A TERMINE IL PNRR: AL 31 DICEMBRE SCORSO RISULTAVANO SPESI PER I PROGETTI DI OPERE PUBBLICHE SOLO POCO PIÙ DI 7 MILIARDI, CIOÈ L’8%
SARÀ IMPOSSIBILE RISPETTARE LA ROADMAP, CHE PREVEDE DI SPENDERNE 84 NEI PROSSIMI TRE ANNI… GLI ENTI LOCALI NON HANNO RISORSE E PERSONALE ADEGUATO AI BANDI EUROPEI, E L’ESECUTIVO HA PERSO TEMPO NELLO SPOSTAMENTO DELLA CABINA DI REGIA, DAL MEF A PALAZZO CHIGI. UN DISASTRO
Nelle 163 pagine della relazione del governo al Parlamento sul Pnrr la parola «difficoltà» ricorre 67 volte, quella «ritardi» 16. Dall’analisi dello stato di attuazione si ricava che il Piano nazionale di ripresa e resilienza o viene riscritto oppure non verrà rispettato.
Il governo afferma che non vuole rinunciare nemmeno a un euro dei 191,5 miliardi messi a disposizione dall’Unione europea entro il 2026. Ma per riuscirci […] sarà necessario rimodulare molti progetti e rivedere in parte l’impostazione del Piano altrimenti già la prossima rata, quella da 16 miliardi, che verrà erogata solo dopo che Bruxelles avrà verificato il rispetto dei 27 obiettivi assegnati per il primo semestre del 2023, sarà a rischio.
La relazione segnala ritardi e difficoltà su almeno 6 progetti: le previste 40 stazioni di rifornimento di idrogeno; l’acquisto di treni Intercity per il Sud; la realizzazione di 2.500 colonnine elettriche per auto sulla rete autostradale e 4mila nelle zone urbane; l’aggiudicazione di tutte le gare di appalto per offrire almeno 264.480 nuovi posti in asili nido e scuole per l’infanzia; gli investimenti su 9 studi cinematografici a Cinecittà; il braccio di ferro con la Ue sull’utilizzo dei fondi del Pnrr per sostituire caldaie a gas con altre caldaie a gas mentre secondo Bruxelles si sarebbero potuti usare solo per cambiare le vecchie caldaie a gasolio.
Per la verità l’attuazione del Pnrr ha cominciato ad entrare in crisi «a partire dai primi mesi del 2022», dice il governo nella relazione, soprattutto per le «strozzature dal lato dell’offerta e la forte accelerazione della dinamica dei prezzi». Ma a questi fattori esterni si sommano problemi interni.
«Carenza di risorse umane e disallineamento di competenze», con la conseguenza che «l’accentuarsi dei fenomeni di mismatch rischia di pregiudicare l’attuazione del Piano per la mancanza del personale necessario», soprattutto nelle costruzioni e nei settori «connessi alla transizione digitale e green, provocando una dilatazione dei tempi di attuazione o persino compromettendone la piena realizzazione».
Il documento ricorda due numeri: con il Pnrr si stima un fabbisogno aggiuntivo di personale di 375mila lavoratori mentre da ora al 2026 la popolazione attiva scenderà «di circa 630 mila unità». Inoltre, il settore delle costruzioni è inadeguato: le imprese, nel 96% dei casi, hanno meno di 10 lavoratori, spesso con «un basso livello medio di istruzione» e sono poco produttive. Non desta sorpresa, quindi, che «per alcuni progetti, il ritardo o il mancato raggiungimento dell’obiettivo è dovuto alla necessità di pubblicare nuovamente il bando di gara», poiché il precedente «è andato deserto».
Un altro dato: il Pnrr su 191,5 miliardi ne assegna quasi la metà, 91, per la realizzazione di opere pubbliche: al 31 dicembre scorso risultavano spesi per questa voce solo poco più di 7 miliardi, cioè l’8%. Non un bel segnale, considerando che nei prossimi tre anni bisognerebbe spenderne 84.
«La quasi totalità degli enti comunali sono coinvolti nelle iniziative del Piano», ma «non è stata opportunamente valutata la capacità effettiva dei singoli soggetti attuatori di realizzare gli interventi», si legge. Prendendo come base la spesa storica dei comuni per investimenti fissi lordi, emerge che per attuare il Pnrr questi enti dovrebbero spendere ogni anno fino al 2026 oltre il 66% in più, passando da una spesa media annua di 9 miliardi nel periodo 2017-20 a una di 15 miliardi.
Ma la capacità di spesa delle amministrazioni comunali incontra «ostacoli difficilmente superabili nel breve periodo a causa della mancanza di risorse umane e della carenza di competenze gestionali e tecniche». Ciliegina sulla torta: «Gli investimenti sono frazionati nella competenza di moltissimi soggetti attuatori, estremamente variegati per dimensione, capacità amministrativa e solidità finanziaria (Comuni, Province, Regioni, Città Metropolitane, Società concessionarie, Università ed Enti di ricerca, Provveditorati)».
Tirate le somme, sono «120 le misure rispetto alle quali sono stati rilevati elementi di difficoltà nella loro realizzazione», dice la relazione. Di queste quelle messe peggio (3 o 4 fattori critici) sono 11. Vista la situazione, conclude il governo, «risulta ineludibile affrontare un ampio processo di riprogrammazione delle misure, in accordo con le istituzioni europee». Gli interventi che non potranno essere realizzati nei tempi previsti dal Pnrr verranno spostati su «altre fonti di finanziamento» a partire dal Piano nazionale complementare. Altri verranno posti «a carico della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e coesione 2021-2027». Il tutto, assicura il governo, per «assicurare la piena realizzazione del Piano e soprattutto il raggiungimento di tutti gli obiettivi qualitativi e quantitativi previsti». Cosa che oggi sembra un’impresa.
(da Corriere della Sera)
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