MORIRE IN BURKINA FASO A 9 ANNI: STORIA DI MISHA, BIMBO ITALIANO
LA FAMIGLIA SANTOMENNA GESTIVA DAL 2012 IL CAFFE’ CAPPUCCINO, ASSALTATO DA AL QAEDA…IL PADRE ERA IN NIGER PER LAVORO
La fine di un bel sogno. Questo sono stati, per Gaetano Santomenna, i duplici attacchi terroristici di Ouagadougou, lo scorso venerdì.
Santomenna, italo-libanese proprietario del caffè Cappuccino, quella tragica sera non si trovava nemmeno in città . «Era in Niger per lavoro», dice Nabil Attieh, suo conoscente libanese, anche lui proprietario di un ristorante a Ouagadougou.
«Adesso rientra e non ha più nessuno. La moglie, il figlio, la cognata. Tutti morti. Una vita distrutta, non ci sono parole».
Victoria Yankovska, moglie di Santomenna, il loro figlio Misha di nove anni e la sorella di lei, Jana, sono tutti caduti sotto i colpi del commando armato che ha fatto irruzione nel locale. Secondo testimoni oculari, Victoria e sua sorella sarebbero entrambe morte sul colpo.
Il Cappuccino era il «sogno» di Ouagadougou. Un ristorante «all’europea», con tanto di panetteria annessa. L’ho frequentato spesso, soprattutto durante i miei primi soggiorni in Burkina Faso. Cercavo qualcosa che mi facesse sentire a casa – e già il nome del locale, che il proprietario aveva scelto in omaggio alle proprie origini del sud Italia, sembrava essere una buona premessa.
In effetti, seduti a uno qualsiasi dei suoi tavolini, ci si sentiva in una qualsiasi città europea. A Roma come a Parigi.
Poi si guardava fuori e ci si ricordava di essere nel cuore dell’Africa occidentale. Santomenna lo aveva aperto nel 2012 – prima di allora aveva lavorato come rappresentante di materiali per la panificazione.
Il Cappuccino era stato la realizzazione di un’idea che il signor Gaetano accarezzava da molto tempo: aprire la prima vera boulangerie di Ouagadougou.
La moglie Victoria, di nazionalità franco-ucraina, era lo splendido volto del locale.
La trovavi dietro alla cassa, solare e sorridente, sempre pronta a scambiare due parole con i suoi clienti. Viveva in Burkina Faso da dieci anni. Secondo fonti vicine alla famiglia, Jana era venuta a visitare sorella e nipote da Kharkov, la seconda città più grande dell’Ucraina.
Proprio durante una delle mie prime visite al Cappuccino ho incontrato il signor Gaetano, alcuni mesi fa. Conosceva il mio compagno e abbiamo scambiato quattro chiacchiere davanti a un caffè. Una persona amabile, cortese.
Era in piena forma, dopo una dieta che gli aveva fatto perdere sessanta chili. Si stentava a riconoscerlo. Ci aveva raccontato che era stata proprio sua moglie a spingerlo a migliorare le sue abitudini alimentari e a prendersi più cura della propria salute.
Abbiamo parlato principalmente in francese, con qualche breve frase in italiano – l’italiano limitato di chi è immigrato da sempre o di quelli che in Italia non hanno mai messo piede, pur conservando sempre un enorme amore per il proprio Paese di origine. «Una persona molto discreta, schiva» ricorda Giuliana Dacasto, che a Ouagadougou è proprietaria di un piccolo hotel e che è considerata l’anima della comunità italiana in Burkina Faso.
L’identità delle vittime è resa nota a poco a poco. Nel tardo pomeriggio di ieri, le autorità hanno pubblicato una prima lista che, oltre alla famiglia di Santomenna, comprende due cittadini francesi, quattro canadesi, sette burkinabè, due svizzeri, un americano, un olandese, un libico e un portoghese.
Rimangono ancora da identificare sette persone, fra cui almeno altri tre occidentali.
Il bilancio delle vittime è probabilmente destinato a salire. Lisa Toure, una delle sopravvissute del Cappuccino, dubita che i numeri siano così bassi: «Mi sembra poco. Eravamo in molti lì dentro e a un certo punto i terroristi hanno iniziato a giustiziare le persone una per una», ha detto questo pomeriggio via Twitter.
Marina Spironetti
(da “il Corriere della Sera”)
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