“NÉ CON TE, NÉ CONTRO DI TE”: L’ULTIMA CENA TRA BERLUSCONI E ALFANO
SILVIO AZZERA TUTTI, MA ALFANO NON MOLLA, DIFFICILE CENA TRA I DUE CHE NON VOGLIONO ROMPERE MA NON POSSONO RIAPPACIFICARSI
Evitare la scissione rilanciando Forza Italia con pieni poteri al Capo e incarichi azzerati attorno. E lasciare il governo in una zona d’ombra. Senza forzare su legge di stabilità e decadenza.
È questa l’ipotesi di accordo che Silvio Berlusconi offre a un partito che pare un Vietnam.
E che, al momento, non convince nessuno.
Perchè i lealisti di Fitto, in questo modo, non ottengono che i rapporti di forza si traducano in organigrammi e linea politica.
Forti di oltre seicento firme si ritroverebbero a cantare Menomale che Silvio c’è insieme agli altri che di firme ne hanno meno, senza avere garanzie sul ritorno all’opposizione.
Ma è un accordo che turba soprattutto i nervi di Alfano.
Perchè Angelino uscirebbe azzerato, e senza quelle garanzie sul governo in nome delle quali ha lanciato il guanto di sfida al Cav.
Ecco perchè prima della riunione della sua corrente i più determinati tra i suoi lasciano intendere che senza un “accordo chiaro” l’ipotesi di disertare il consiglio nazionale è ancora in campo.
È nel corso di un pranzo con Fitto, Romani e Daniela Santanchè che il Cavaliere spiega però che il suo primo obiettivo è ricondurre a unità il partito, per portarlo unito al voto sulla decadenza, quando sarà : “Una scissione non porterebbe da nessuna parte — ha ripetuto — e non voglio trasformare il rilancio di Forza Italia in un bagno di sangue”.
Una soluzione dolce che consente di siglare una tregua interna e di valutare le mosse in attesa del voto sulla decadenza.
È la cacciata dal Senato a scandire tempi e mosse del Cavaliere, prima ancora di quella legge di stabilità che considera una “schifezza”.
Convinto che possa slittare a dicembre o anche dopo l’ex premier considera sbagliato scegliere adesso e appiccarsi a una linea.
Ecco perchè mentre cena con i giovani falchi pronuncia parole incendiarie sul governo: “Non possiamo collaborare coi nostri carnefici dopo che compiono il mio omicidio politico”.
Ma poi, quando all’una di notte si chiude nella sua lussuosa stanza a San Lorenzo in Lucina con Verdini e Daniela Santanchè si abbandona a una confidenza che lascia impietriti i due falchi: “Io di far cadere questo governo non ho voglia”.
LA MEDIAZIONE
La mediazione che propone Berlusconi sul partito è in fondo quella che più si adatta a un’indole divisa tra l’istinto del “falco” e quello della “colomba” a seconda del tipo di volo più conveniente al momento: il partito ai comandi di un uomo solo che decide quello che è più opportuno di fronte all’appuntamento decisivo.
Più situazionista che stratega, il Cavaliere pensa di essere l’unico elemento unificante e pacificatore del grande zoo pidiellino.
E di riuscire, ancora una volta, a rappresentare l’elemento di garanzia di tutti, da Fitto ad Alfano.
È davvero il grande ritorno a quella che Giulio Tremonti chiamava “una monarchia temperata da un altissimo grado di anarchia”.
È chiaro che quello che ha più da perdere in uno schema del genere è Alfano, che non si troverebbe più nelle condizioni di dare garanzie a Letta sul governo.
Dipende da lui la tregua interna.
Se questa sera, dopo la riunione della sua corrente, si presenterà a palazzo Grazioli alzando l’asticella e mettendo in discussione la proposta del Cavaliere, a quel punto sarà Berlusconi a cacciare dal cassetto il discorso della rottura col governo.
È un accordo politico alla luce del sole quello che Angelino Alfano chiede per accettare di partecipare al Consiglio nazionale del Pdl. Un patto chiaro sul governo e sul partito: “Io sono sempre stato per l’unità e la voglio davvero. Ma il governo Letta deve andare avanti per il bene del paese anche in caso di voto sulla decadenza”.
Quando il vicepremier nel tardo pomeriggio riunisce la corrente dei filo governativi nelle sale riunioni della Camera in via della Mercede riceve un mandato preciso.
Col quale andare a trattare nel “faccia a faccia” con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli previsto per la sera.
Il mandato è destinato a entrare in rotta di collisione con la proposta del Cavaliere, tesa a celebrare l’unità del partito attorno a sè glissando sulla questione del governo.
E il mandato di Alfano consiste nel fatto che dal consiglio nazionale di sabato deve uscire un messaggio rassicurante per l’esecutivo delle larghe intese.
I modi per veicolare il messaggio possono essere affidati alla fantasia della politica: un documento che impegni la rinata Forza Italia a sostenere il governo; un voto a un discorso che contenga questo impegno. O altre diavolerie del caso.
Ma la “sostanza” politica non è in discussione.
Nel corso della riunione in molti chiedono un rinvio del Consiglio nazionale. Altri sono per la conta. Alfano non vorrebbe rompere.
E non è un caso che nel corso della riunione eviti di forzare nei toni. E suoni lo spartito della vittima: “Ho ricevuto il solito fuoco di dichiarazioni offensive e già questo dà la misura di un problema e ciò accade ogni volta che il presidente Berlusconi butta il ponte levatoio nel tentativo di costruire una nuova unità ”.
Anche quando lascia intendere che potrebbe non presentarsi al consiglio nazionale lo fa con la deferenza di chi chiede permesso: “Quando ho spiegato che non vogliamo rovinare la festa di sabato, volevo dire che sabato deve essere una festa perchè Berlusconi la merita”.
E non è un caso nemmeno che nel corso della riunione non venga presentato alcun documento ufficiale dei “filo-governativi”.
Segno che Alfano vuole provare a trattare usando toni dolci più che la pistola sul tavolo.
Anche se il punto politico è chiaro: senza “garanzie” per sè e per il suoi Alfano non si metterà a cantare Menomale che Silvio c’è.
Anche perchè è sicuro che a livello parlamentare i suoi consensi stanno crescendo tra i senatori che hanno paura di perdere il seggio a causa delle crisi di governo e che interpretano le iniziative del Cavaliere con i giovani come un anticipo di rottamazione.
(da “Huffington post“)
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