NON CAMBIA LA MUSICA: RENZI TRA VALZER DI POLTRONE E “PIZZINI” DI BERLUSCONI
IL NEOPREMIER DEVE ACCONTENTARE I PICCOLI PARTITI CON LA SPARTIZIONE DI VICE MINISTRI E SOTTOSEGRETARI…. IL LEADER DI FORZA ITALIA AVVERTE SULL’ITALICUM: “I PATTI SI RISPETTANO”
Adesso tocca a sottosegretari e viceministri.
La partita degli equilibri si sposta sulla seconda fascia, quella che di solito conta il doppio, soprattutto quando il titolare di un dicastero non è un esperto della materia e ci vuole uno che sa muovere la macchina per davvero.
Per il governo Renzi, questo gioco di scacchi per il completamento della squadra si preannuncia forse anche più tosto della composizione della prima fila.
Si dice che sarà tutto pronto entro giovedì prossimo.
Ci sono da accontentare i Popolari per l’Italia, che hanno perso il ministro fondatore Mario Mauro e già minacciano di non votare la fiducia.
La compagine centrista è anche più arrabbiata dopo che il casiniano di ferro Gian Luca Galletti ha conquistato l’Ambiente, appena una settimana dopo l’annunciato ritorno dell’Udc nel centrodestra.
E poi c’è anche da accontentare Scelta Civica, che ha conquistato l’Istruzione, ma è ancora avida di poltrone.
Ecco i primi nomi che circolano: i tre montiani Andrea Romano, Irene Tinagli e Carlo Calenda; l’alfaniano Giuseppe Esposito per la Difesa, il leader dei Socialisti Riccardo Nencini alla Cultura, la senatrice del Pd Valeria Fedeli per le Pari Opportunità e Vincenzo D’Anna, campano, cosentiniano del Gal, forse all’Interno.
Il che la dice lunga su come quel gruppo al Senato sarà blindato per far da puntello a Renzi nel caso Alfano si mettesse a fare le bizze. Soprattutto sulla riforma elettorale. Perchè sul quel fronte tira aria tesa.
Berlusconi ha capito che il suo ex delfino ha incassato da Renzi l’entrata in vigore dell’Italicum solo dopo l’approvazione della “riforma” del Senato (il famoso emendamento Lauricella) e questo l’ha preoccupato al punto da far decollare immediatamente le contraeree d’assalto sul tema. Gasparri: “Il cosiddetto emendamento ‘Lauricella-campa cavallo’ non esiste — ha detto il proconsole forzista — noi vogliamo sia la legge elettorale che la riforma costituzionale. Ma la prima è una legge ordinaria, già definita e concordata, che si può e si deve varare subito. Il resto richiede, per legge, procedure più lunghe”.
E il Cavaliere stesso, parlando alle sue truppe (in questo caso della Garbatella, a Roma), ha messo in guardia sul fatto che “non si sa quando andremo a votare, ma bisogna stare pronti; questa è una situazione che ha poco a che fare con la democrazia, se il governo non è eletto dai cittadini non è più democrazia, dobbiamo puntare a spazzare via Grillo e ad avere un solo partito che abbia la maggioranza assoluta, il 51per cento, solo così si potranno fare le riforme”.
E in ultimo, lanciando un “pizzino” a Renzi: “Pacta sunt servanda, i patti si rispettano”.
Ecco, appunto, i patti.
Secondo Rino Formica, ex socialista ed ex storico ministro delle Finanze della Prima Repubblica, molto legato al Cavaliere e molto ascoltato nei Palazzi, tra Renzi e Berlusconi il vero patto di ferro sarebbe più profondo rispetto alle semplici riforme. Sarebbe, insomma, composto sostanzialmente da tre punti: intesa per l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica a breve, elezioni politiche tra massimo un anno e una legge elettorale che tuteli Pd e Forza Italia.
In sostanza, si punterebbe all’eliminazione scientifica dei piccoli partiti, all’emarginazione di Grillo (e l’Italicum va in questo senso) per raggiungere, poi, quella larga intesa parlamentare capace di modificare la forma dello Stato in senso presidenzialista.
“È il disegno di Gelli — dice l’ex ministro — con Draghi al Colle”. Gli elementi a suffragio di questa tesi sono effettivamente molti.
Compreso il fatto che sul governo l’impronta del Cavaliere è evidente. Federica Guidi, neo ministro dello Sviluppo Economico, lunedì scorso era a cena ad Arcore con il padre (la sua nomina è considerata una “genialata” di Verdini).
Si parlava di televisioni, non a caso sarà lei a doversi occupare del settore. E grande è stata la soddisfazione del Cavaliere per la bocciatura quirinalizia del nome di Nicola Gratteri alla Giustizia.
Berlusconi aveva chiesto un ministro “non ostile” e si sente tutelato da Orlando, un garantista, lontano dal “partito dei giudici” della Procura di Milano, uno che voleva eliminare l’ergastolo e limitare il 41 bis ai casi davvero esagerati.
Insomma, l’uomo giusto per Silvio, che continua a volere la riforma della giustizia proprio con quel segno garantista che senz’altro un giudice armato contro la criminalità organizzata come Gratteri mai avrebbe concesso.
E, invece, adesso, chissà .
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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