QUANDO I SOVRANISTI GOVERNANO: IN BIELORUSSIA LE TESTE DI CUOIO ARRESTANO E FANNO SPARIRE GLI OPPOSITORI
LA KOLESNIKOVA IN UNA CELLA A MINSK, ARRESTATO ANCHE ZNAK, LA NOBEL ALEKSIEVIC DENUNCIA UNA INTRUSIONE IN CASA: SONO I METODI DEGLI AMICI DI PUTIN
Come alfieri sulla scacchiera, si muovono da una parte all’altra della mappa dell’Europa che confina con Minsk, le oppositrici del presidente.
Varsavia fa da ombrello per quanti vengono perseguitati dal suo Kgb e nella capitale polacca si sono riunite oggi la leader in esilio Svetlana Tikhanovskaya, la sua alleata Veronica Tsepkalo, la dissidente la Olga Kovalkova.
Sono la nuova troika in esilio, mentre a Minsk c’è l’ultima, nuova icona delle proteste nel silenzio di un’altra cella piena: Maria Kolesnikova.
Le teste di cuoio che continuano ad arrestare i dissidenti non hanno volto nè mostrine. Sono “maschere”: questa è stata l’unica parola che Maksim Znak è riuscito a scrivere prima essere arrestato, come riporta il canale Tyt.by.
L’avvocato 39enne è stato portato via dagli uomini in passamontagna mentre stava salendo le scale per tenere una conferenza online a cui non è mai arrivato in tempo nel 32esimo giorno di proteste consecutive nel Paese.
Su di lui pende la stessa accusa che porta ora sulle spalle Maria, l’oppositrice che si è coraggiosamente rifiutata di lasciare il Paese quando gli uomini del Kgb hanno tentato di espellerla al confine ucraino: entrambi sono accusati di “tentativo di colpo di Stato”, rischiano fino a 5 anni di prigione secondo l’articolo 361-3 della Costituzione bielorussa.
“Ridateci Masha!”: l’urlo delle donne di Minsk scese per strada in solidarietà della dissidente che chiamano con il diminutivo è stato subito spento dagli Omon, polizia anti-sommossa.
Il Comitato di Coordinamento bielorusso per la transizione dei poteri ora è quasi kaput: in libertà rimane solo la scrittrice Svetlana Alekseevic.
Lukashenko ha dichiarato che non parlerà con chi è per strada, ma “c’è il popolo per strada” ha detto la scrittrice sulla soglia di casa sua, circondata da un cordone di sicurezza insolito ma potente: quello dei diplomatici svedesi.
È l’ultima del gruppo di sette a non essere all’estero o in prigione. Mentre Stoccolma veglia sul premio Nobel, la scrittrice ribadisce che lo scopo del Comitato di Coordinamento era “aprire un dialogo nella società , non dividere la nazione. Oggi hanno preso l’ultimo membro, Maksim Znak. I migliori di noi vengono rapiti” ha detto alla tv svedese.
A differenza degli altri avversari del presidente, la Alekseevic ha fatto appello non ad ovest, ma ad est, rivolgendosi all’intellighenzia russa e chiedendo che si faccia avanti contro l’ingiustizia commessa a Minsk.
Non si sa se il presidente Lukashenko rispetterà i suoi impegni del prossimo 14 settembre, quando è programmata la sua prossima visita a Mosca.
“Ho parlato con il mio vecchio amico, il mio fratello maggiore, come lo chiamo io: Vladimir Putin – aveva detto ieri Aleksandr Lukashenko – Gli ho detto: state in allerta, anche da voi succederà presto. Se la Bielorussia oggi cade, domani lo farà la Russia”. Seduto tra due bandiere nazionali verdi e rosse, mentre fuori dal suo palazzo sventolano quelle bianche dell’opposizione, il presidente ha parlato a lungo con i giornalisti di Rt, Russia Today, la tv megafono al Cremlino.
Prima pacato, poi nervoso, infine minaccioso: non ha nominato i suoi avversari, ma ha menzionato i suoi due ultimi nemici. Prima un social network vietato alla Federazione russa e poi un Paese che non gli è certo alleato, diventato la piattaforma di incontro di tutta l’opposizione che lo vuole allontanare dalla poltrona che occupa dal 1994: la Polonia.
“Ho chiesto a Putin: come ci si oppone a Telegram? Non si può. Non possono farlo nemmeno gli americani, che l’hanno inventato. Anche se stacchi Internet, i canali Telegram continuano a lavorare dalla Polonia. Quello che accade è molto tragico, ma io non mollerò” ha detto il presidente che forse non sa che Telegram è stato inventato dai fratelli russi Durov, già creatori del social più usato dagli slavi, Vkontakte, fuggiti poi dalla patria quando Mosca ha chiesto loro di cedere i dati delle conversazioni criptate.
(da “Huffingtonpost”)
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