QUATTRO IN CORSA PER IL VICE DI KAMALA HARRIS: DALL’EX ASTRONAUTA A CHI RIVENDICA L’ORGOGLIO DEGLI APPALACHI
LA PROSSIMA SETTIMANA KAMALA ANNUNCERA’ LA SCELTA
La campagna presidenziale di Kamala Harris è già cominciata, sarà la più breve ma intensa della storia recente: alle elezioni mancano 106 giorni, senza considerare il voto anticipato.
Per questo la vicepresidente di sta muovendo con grande rapidità e in 32 ore si è assicurata il sostegno della maggioranza dei delegati, ipotecando di fatto la nomination del partito. Pare ormai certo che la «roll call», il voto che la renderà ufficiale, avverrà in modo virtuale a inizio agosto, per evitare il rischio di una convention aperta: lo deciderà oggi il comitato regolatore del partito.
Già la settimana prossima, quindi, la candidata democratica in pectore potrebbe annunciare il suo vice: a condurre il «vetting» — la verifica di ogni aspetto sensibile della loro vita pubblica e privata — sarà Eric Holder, il primo ministro di Giustizia afroamericano nominato da Obama nel 2009, con il suo studio legale Convinton & Burling.
Il senatore Kelly: l’«eroe americano»
Nelle ultime ore è emersa la figura del senatore dell’Arizona Mark Kelly, che siede nel seggio che fu di John McCain ed è considerato «un eroe americano»: 39 missioni aeree durante la guerra del Golfo, ex astronauta come il gemello Scott, è il marito dell’ex deputata Gabby Giffords, che fu quasi uccisa in una sparatoria di massa a Tucson l’8 gennaio 2011. Eletto nel 2020 in uno dei principali Stati in bilico, moderato, la sua scelta frenerebbe anche la narrativa di Trump sul proprio attentato.
L’eroe, nella storia di questa elezione, diventerebbe un altro: l’ex deputata a cui un ventenne sparò alla testa, che era stata data per morta e invece è sopravvissuta, che lotta ogni giorno per avere una vita normale e che da allora è diventata un’attivista per la regolamentazione delle armi.
A lanciare Kelly c’è la sua biografia atipica — sarebbe il primo vicepresidente a essere stato nello Spazio — a frenarlo la scarsa esperienza, il fatto che è un senatore come lo era Harris — in genere si cercano figure con esperienze diverse — e il rischio che il suo seggio torni poi in mano ai repubblicani. Anche per questo hanno preso forma le candidature di tre governatori, tre uomini bianchi che sarebbero nella short list di Harris e che servirebbero a «bilanciare» il ticket: Josh Shapiro della Pennsylvania, Roy Cooper della North Carolina e Andy Beshear del Kentucky.
Il solido Shapiro
Shapiro è forse il candidato più solido, anche perché senza la Pennsylvania i democratici difficilmente resteranno alla Casa Bianca. Eletto nel 2022, è stato come Harris procuratore generale del suo Stato per sei anni. Da governatore si è speso per proteggere il diritto all’aborto ed è stato apprezzato per la gestione delle emergenze: dal collasso della Interstate 95, devastata a giugno 2023 da un incendio, che poteva diventare un problema nazionale e invece ha fatto riaprire in 12 giorni, fino all’attentato a Trump. A 51 anni, ha legittime ambizioni: sarebbe il primo vicepresidente ebreo, ma il sostegno a Israele potrebbe danneggiarlo con l’ala sinistra del partito.
Il «preferito» Cooper
Il preferito di Harris sarebbe però Roy Cooper della North Carolina, 67 anni, anche lui ex procuratore generale, che ha lavorato a stretto contatto con la vicepresidente e ha assistito la campagna elettorale del vecchio ticket democratico. È una scelta di esperienza, un po’ come lo fu Biden per Obama: è stato deputato statale per quattro anni, senatore statale per dieci, procuratore per sedici e ora è governatore dal 2017. Non è detto che riesca a portarsi in dote il suo Stato che, negli ultimi 44 anni, soltanto Obama nel 2008 è riuscito a vincere per i dem.
Il giovane Beshear
Infine c’è Beshear, il più giovane del mazzo: ha 46 anni, è stato procuratore generale del Kentucky per quattro anni e ora ne è governatore da cinque, come suo padre Steve prima di lui. È stato eletto in uno Stato conservatore — l’ultimo presidente democratico a vincerlo fu Bill Clinton — e questo potrebbe limitarne le possibilità.
È però il più agguerrito e sarebbe una risposta alla mossa trumpiana su J.D. Vance, i cui nonni venivano dal Kentucky e che rivendica l’orgoglio degli Appalachi. «Voglio che gli americani sappiano come sono davvero le persone originarie del Kentucky», ha detto lunedì in tv nello show Morning Joe. «E lasciate che ve lo dica: J. D. Vance non è di queste parti».
(da Il Corriere della Sera)
Leave a Reply