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QUELLO RACCONTATO DA GIORGIA MELONI E’ UN MONDO DELLE FAVOLE CHE NON HA ALCUNA ATTINENZA CON LA REALTA’, IL FACT CHECKING

DAI DATI SULLA FIDUCIA NEI SUOI CONFRONTI AL MERCATO DEL LAVORO FINO ALLE RETRIBUZIONI CONTRATTUALI REALI DI MARZO 2025 (ANCORA INFERIORI DI CIRCA L’8% RISPETTO A QUELLE DEL GENNAIO 2021), LE AFFERMAZIONI DELLA DUCETTA NON REGGONO

Fare il fact checking alle dichiarazioni dei politici di solito è un’esperienza frustrante, sia perché di rado dicono cose abbastanza nette da essere classificabili come vere o false, ma anche perché sembrano imperturbabili di fronte alle contestazioni.
Ma poiché la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si espone così poco alle domande, le rare interviste vanno prese sul serio e analizzate. Ne ha data una al Corriere della Sera il 29 aprile, ma era così priva di contenuti che non saprei come commentarla.
Forse tutto sta nella sintesi pubblicata dal quotidiano: “La premier: tra Europa e Usa ci vuole un accordo vero, che sia a Roma o altrove io avrò comunque dei meriti”. Il senso era che la sedia vuota all’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky al funerale di Papa Francesco era per l’interprete, ma era come se in spirito fosse presente anche Meloni a officiare la riconciliazione. Non è ben chiaro perché o come mai dovremmo trovare la cosa rilevante.
L’intervista al direttore dell’agenzia AdnKronos Davide Desario, del 2 maggio, è invece più interessante perché Meloni dice anche delle cose concrete, per lo più false, ma concrete. E’ una specie di intervista-bilancio dell’azione di governo ora che si è chiusa la prima metà della legislatura.
Un dato corretto che Meloni cita è quello relativo alla stabilità del governo: “Il governo che presiedo è già oggi il quinto più longevo della storia repubblicana”.
La prima falsità
Poi Desario chiede: “Qual è la cosa più importante che pensa di aver fatto per gli italiani finora?” La risposta di Meloni è la seguente: “Potrei citare decine di provvedimenti di cui vado orgogliosa ma la cosa per me più importante è sentir dire a molti italiani che hanno ritrovato un po’ di fiducia e di orgoglio. Siamo una nazione e un popolo straordinari, dobbiamo ricordarcelo sempre, diventare i migliori ambasciatori di noi stessi in un mondo in cui c’è una fame e una voglia di Italia che io tocco con mano ogni giorno e che spesso non riusciamo nemmeno a immaginare”.
Questa affermazione è così vaga che non meriterebbe alcun commento, visto che l’orgoglio nazionale è difficilmente misurabile. Indica più una percezione della premier, che una realtà. C’è però almeno una cosa che si può misurare,
che viene misurata: la fiducia di consumatori e imprese: l’Istat la monitora su base mensile
A settembre 2022, quando ci sono state le elezioni politiche, l’indice che misura il clima di fiducia dei consumatori era 94,8 e quello delle imprese 105,2. Ad aprile 2025 il clima di fiducia dei consumatori è 92.7 e quello delle imprese 91,5. Sono entrambi in deciso calo Quindi sono entrambi diminuiti, per la parte misurabile l’affermazione di Giorgia Meloni è quindi nettamente falsa.
Se guardiamo i grafici dell’andamento della fiducia in questi tre anni, vediamo che non c’è stato alcun effetto taumaturgico del governo di centrodestra. La fiducia dei consumatori è cresciuta nel 2022, e poi si è assestata.
Tra le imprese, c’è stato un po’ di entusiasmo comprensibile nel settore delle costruzioni che ha beneficiato del grande spreco del Superbonus, e poi è sopraggiunto il pessimismo. Commercio e servizi sono rimasti abbastanza stabili, la manifattura dimostra un graduale pessimismo. Ricordiamo poi che il 2022 è stato l’anno della ripresa post-Covid e dell’arrivo del Pnrr, nessuna di queste due cose è merito di Meloni ma entrambe hanno sicuramente dato un contributo positivo all’economia che però non può essere attribuito all’azione di governo.
Desario chiede qual è invece la cosa che ancora il governo fatica a realizzare. Risponde Meloni: “Vorrei poter ottenere sulla natalità gli stessi straordinari risultati che abbiamo ottenuto sul fronte dell’occupazione e su quello del contrasto all’immigrazione irregolare. Il sostegno alla natalità rimane una priorità a cui abbiamo dedicato misure importanti e risorse significative, ma non basta. I risultati sono ancora insufficienti”.
Si è già discusso molto a cavallo del Primo maggio della qualità dell’occupazione in Italia e dei risultati veri o presunti dell’attività del governo che sottolinea il numero di occupati record, mentre l’opposizione e il Quirinale segnalano il problema della stagnazione dei salari. Poiché un grafico vale più di mille parole, se guardiamo sempre dal sito dell’Istat l’andamento di occupati e disoccupati in Italia si vede che negli anni del governo Meloni si è semplicemente confermata la tendenza nel post-pandemia.
Nel 2021 il mercato del lavoro ha iniziato a ricomporsi dopo gli shock del Covid, i lockdown, le grandi dimissioni, lo smart working. E non si vede nella
linea di tendenza alcuna discontinuità con l’azione del governo. D’altra parte, non si capisce perché dovrebbe esserci: il governo Meloni non ha fatto alcuna riforma significativa del mercato del lavoro, il suo principale intervento è stata la riduzione del cuneo fiscale che va a beneficio del lavoratore, nel senso che a parità di costo aziendale guadagna di più, ma questo di per sé non spinge l’occupazione.
Giorgia Meloni dice poi che sì, certo, come dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella i salari sono bassi, ma le cose stanno migliorando: “Il Presidente della Repubblica ha giustamente ricordato che l’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo, anche se dal 2024 si assiste ad una ripresa. Abbiamo molto terreno da recuperare, ma sono particolarmente fiera del fatto cheCome spiegato in un fact checking dettagliato di Pagella Politica, Meloni ha già ripetuto questa bugia nel video del primo maggio, ma si sbaglia. Le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’8 per cento rispetto a quelle del gennaio 2021. Significa che anche gli aumenti garantiti dai contratti nazionali rinnovati sotto il governo Meloni, dei quali la premier si intesta il merito, non sono stati neppure sufficienti a compensare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione degli ultimi anni.
Neppure il taglio del cuneo fiscale è stato sufficiente. Quindi sostenere che grazie all’azione del governo Meloni i lavoratori stanno meglio che nel 2022 è dire una bugia. Certo, si può sempre sostenere che le cose sarebbero potute andare peggio, che senza aumenti contrattuali e senza taglio al cuneo fiscale quei lavoratori sarebbero ancora più poveri. Ma al massimo Meloni può rivendicare di aver fatto qualcosa per attenuare l’impoverimento. Non può dire di aver invertito la tendenza. I dati completi sulle retribuzioni 2024 ancora non sono disponibili, ma è difficile che cambino il quadro.
E i migranti? Quanto ai risultati straordinari sul fronte del contrasto all’immigrazione irregolare, beh, anche lì è questione di prospettiva. Se consideriamo soltanto gli sbarchi, che sono una parte dei potenziali migranti irregolari e includono anche richiedenti asilo cui verrà concessa protezione, nell’ultimo anno senza Fratelli d’Italia al governo, il 2021, ci sono stati 67.000 sbarchi.
L’anno successivo, il 2022, ha registrato 105.000 sbarchi, con un deciso aumento, ma soltanto negli ultimi due mesi c’era la coalizione di centrodestra al potere. Il primo anno pieno sotto la responsabilità di Meloni, è stato il 2023: gli sbarchi sono stati 157.651, quasi il 50 per cento in più dell’anno precedente. Nel 2024 sono scesi a 66.617 e nel 2025 per ora siamo a 16.565, ma siamo soltanto all’inizio della stagione estiva che è quella durante la quale ci sono il grosso delle partenze.
Quindi possiamo dire che c’è stata molta variabilità nel numero degli sbarchi, ma non una linea di tendenza chiara che indichi risultati diversi da parte della destra rispetto ai governi precedenti.
A proposito del tanto celebrato incontro nello Studio Ovale con Donald Trump il 18 aprile, Meloni vanta un successo marginale, che i giornali italiani non avevano quasi notato, troppo intenti a magnificare le doti di pontiere e negoziatrice sui dazi che Meloni avrebbe, ma che non hanno prodotto nulla.
Meloni spiega di aver convinto Trump a ripristinare la festa in onore di Cristoforo Colombo: “L’ultimo frutto di queste buone relazioni è ad esempio l’annuncio di Trump di voler ripristinare il Columbus Day, una festa tanto cara alla comunità italoamericana, che negli ultimi anni ha subito un vergognoso attacco ideologico nel nome della cancel culture. A nome degli italiani ringrazio il Presidente degli Stati Uniti per questa scelta”.
Il New York Times ha appena pubblicato un suo fact checking sulla vicenda: il Columbus Day non è mai stato abolito e si continua a celebrare il secondo lunedì di ottobre, semplicemente nel 2021 l’allora presidente Joe Biden ha proposto che venga celebrato anche come giorno delle popolazioni indigene, quelle che la colonizzazione europea iniziata da Colombo nel 1492 ha sterminato.
Secondo uno studio, tra 1492 e 1600 Colombo e gli altri coloni europei si sono resi responsabili dello sterminio di 56 milioni di nativi americani, oltre che di aver introdotto nel continente la schiavitù, con la deportazione di forza lavoro dall’Africa.
Dopo la morte dell’afroamericano George Floyd, ucciso senza ragione dalla polizia di Minneapolis nel 2019, il movimento Black Lives Matter e l’ondata di indignazione per le discriminazioni razziali ha colpito anche le statue di
Cristoforo Colombo, abbattute in varie parti degli Stati Uniti. Ma il Columbus Day non è mai stato abolito, dunque l’affermazione di Trump di averlo ripristinato è falsa e di riflesso quella di Giorgia Meloni che se ne prende il merito.
Il vittimismo
Nell’intervista di Giorgia Meloni all’AdnKronos non poteva mancare poi la consueta dose di vittimismo che caratterizza la comunicazione della destra e in particolare della premier: “Quello che mi è dispiaciuto in questi anni è stato vedere che, pur di colpire me e questo governo, alcune persone senza scrupoli non abbiano avuto alcuna remora a mettere in mezzo la mia famiglia, mia sorella, il padre di mia figlia, addirittura mia figlia. Quasi sempre senza ragione, in una strategia di banale character assassination”.
Non fa nomi, Giorgia Meloni, ma almeno per un caso la responsabilità è acclarata: la character assassination dell’allora compagno di Giorgia Meloni, Andrea Giambruno, è stata compiuta dall’azienda per cui Giambruno lavorava, cioè Mediaset, che era ed è controllata dalla famiglia Berlusconi, dunque una faccenda tutta interna al centrodestra.
Poi Meloni lamenta “attacchi sessisti vergognosi, nel silenzio e nell’indifferenza di quelli che si riempiono la bocca dei diritti delle donne”, ma qui è più difficile capire con chi ce l’abbia. Anche se i ministri del suo governo hanno querelato molti giornalisti, in particolare il ministro della Difesa Guido Crosetto, Meloni celebra i “bravi e agguerriti giornalisti” che sanno “fare benissimo il proprio lavoro”.
E specifica che anche in Rai non mancano voci critiche, e almeno su questo non posso certo darle torto, visto che penso di essere una di quelle voci, con Revolution su Radio3. La cosa più singolare è che Meloni rivendichi di non aver mai provato a imporre alcun tipo di egemonia culturale alternativa a quella del centrosinistra, perché invece molti avevano avuto proprio quell’impressione, l’attuale ministro della Cultura Alessandro Giuli aveva perfino pubblicato un libro su Antonio Gramsci con il sottotitolo “sillabario per una egemonia contemporanea”.
C’è poi un passaggio che indica un pieno sostegno alla filosofia digitale di Elon Musk che, con il suo X, rivendica il diritto di esprimersi per razzisti,
propagandisti di odio e disinformatori di ogni genere in nome della libertà di espressione.
Meloni dice che “è importante che la sacrosanta lotta alla disinformazione e alle interferenze straniere nelle nostre democrazie non si trasformi in un indottrinamento a senso unico e in una censura delle opinioni non allineate. Apprezzo molto il nuovo impegno delle principali piattaforme a rivedere algoritmi e modalità di verifica dei contenuti, la libertà di espressione deve essere garantita”.
Ora, qui c’è un piccolo problema: la Commissione europea sta indagando su X di Elon Musk proprio con l’accusa di favorire la disinformazione con la vendita della “spunta” blu che certifica autorevolezza. La Commissione, da mesi, chiede documenti e informazioni a X che è sospettata di violare il Digital Services Act che impone trasparenza sulle pratiche algoritmiche e vigilanza contro la disinformazione. Meloni, tra Musk e la Commissione europea, sceglie di schierarsi con Musk contro Bruxelles per ragioni di affinità ideologica. Almeno questa affermazione è vera.
Stefano Feltri
(da Appunti)

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