SALVINI ACCERCHIATO: I LEGHISTI DEL NORD COMPATTI CON GIORGETTI E ZAIA SU DRAGHI
MILANO E VARESE ORMAI DATE PER PERSE, COMINCIA IL CONTO ALLA ROVESCIA CONGRESSUALE PER UN SALVINI SEMPRE PIU’ NERVOSO E SOLO
L’accerchiamento di Matteo Salvini si sta compiendo giorno dopo giorno.
Quando gli si parla del Nord che ribolle a causa della sua politica ambigua sui vaccini e sul Green pass, e gli si fa notare un eccesso di conflittualità nelle sue dichiarazioni che destabilizzano il governo, Salvini si indispone.
È sempre più nervoso, gli amici o ex amici dicono di lui: “Matteo ormai è assediato”. O meglio, sta dentro una morsa spinta da una parte da Giorgia Meloni e dall’altra internamente mossa dal trio formato Zaia-Giorgetti-Fedriga.
La messa in discussione del Capitano ormai è evidente e il probabile bottino magro che la Lega raccoglierà nelle elezioni amministrative – i candidati scelti anche nel bacino del civismo non sembrano funzionare granché, fatta eccezione per il torinese Paolo Damilano – si annuncia come l’inizio di una fase congressuale non ufficialmente stabilita, ma già di fatto in corso.
I governatori del Nord sono convinti che la linea di ammiccamento ai no-vax e ai no-mask non premierà nelle urne. Quindi il leader della Lega ora deve fare i conti con un partito in rivolta.
Il presidente del Veneto Luca Zaia, in un’intervista al Corriere della Sera, attacca il leader come mai forse era stato fatto finora: “La linea che vince è quella della responsabilità messa nero su bianco dai governatori”. E Salvini? “Se resta qualche nostalgico del no green pass o del no mask, ne prenderemo atto. Io penso che non ci siano alternative alle scelte che abbiamo fatto”. Il riferimento è anche all’ultima battaglia parlamentare contro il Green pass che il leader ha tenuto nell’ultima settimana, mentre si prepara a intraprenderne un’altra. Quella contro l’estensione dell’obbligo del certificato verde, a partire dai dipendenti pubblici, e contro la legge sulla concorrenza, con la messa a gara anche delle concessioni di balneari e ambulanti.
Per questo Zaia oggi ha voluto lanciare un fendente che si aggiunge a quelli quotidianamente, anche se dietro le quinte, lancia Giancarlo Giorgetti, il più governista di una Lega ormai draghiana quasi nel dna.
L’insopportabilità che il numero due di Salvini prova per Claudio Borghi e per tutti quelli che flirtano con le piazze no-vax è ormai a livello proverbiale.
E una frase che viene attribuita a Giorgetti è quella che spiega meglio il momento attuale di questo partito: “Draghi deve essere per noi quello che Dini è stato per la sinistra”. Ovvero il traghettatore della Lega nel mondo dell’affidabilità moderata e dei circuiti internazionali.
Si rimprovera insomma a Salvini di voler restare nella ridotta della protesta, in questa campagna elettorale fatta di tanti, tantissimi tweet, senza sapere interpretare il bisogno che ormai il suo partito ha di farsi establishment nel senso prudente del concetto.
In questo contesto c’è la Liga veneta che rumoreggia. “Nessuna ambiguità. Siamo con Draghi”, dice per esempio il ministro Erika Stefani che parla appunto la lingua del Nord-Est e un problema di non poco conto sta agitando la Lega proprio in questo contesto.
Riguarda la successione di Durigon – poco amato da Giorgetti – come sottosegretario al Mef. In ballo ci sono il ligure Edoardo Rixi e il veneto Massimo Bitonci, che già nel Conte I ha svolto quell’incarico. Se la scelta dovesse cadere sul primo dei due, contro Salvini la fronda del Nord-Est minaccia di prendere altro vigore. Con Zaia sempre più preoccupato per la condotta di Salvini.
I congressi all’orizzonte ancora non ci sono ma la base li chiede.
C’è anche il caso lombardo e riguarda le comunali del mese prossimo. Milano, dove Salvini ha scelto il medico Bernardo come candidato sindaco, è già data abbondantemente per persa.
In più, come fatto simbolico ma anche sintomatico c’è che anche Varese, la roccaforte leghista che ha dato i natali a Bossi, Maroni e Giorgetti, non vedrà issare sul suo comune la bandiera leghista.
Il sindaco uscente, Davide Galimberti, va verso la riconferma con il sostegno di Pd e M5s mentre il candidato lumbard Matteo Bianchi è dato per pesantemente sconfitto. Per i leghisti del Nord la responsabilità è di una bussola, in mano al leader, sempre più impazzita che sta perdendo il consenso degli imprenditori, che riconoscono in Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti una cultura pragmatica di governo fatta di contenuti e non di tweet.
(da Huffingtonpost)
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