STOP AI FURBETTI SUI PORTABORSE: “RISPETTATE IL JOBS ACT”
I CONTRATTI DI COLLABORAZIONE VANNO STIPULATI SECONDO LE NUOVE REGOLE, MA FINORA BEN POCHI PARLAMENTARI HANNO PROVVEDUTO
Quando, esattamente un anno fa, la Camera dei deputati approvò il Jobs act (in un’Aula semivuota per l’assenza critica di opposizioni e sinistra Pd), dalla maggioranza e dal governo si levarono grida di giubilo sulla “storica riforma”.
Dodici mesi dopo, in pochi a Montecitorio sembrano ricordarsi di quel provvedimento che avrebbe dovuto cambiare la vita di milioni di lavoratori.
Almeno a giudicare dalla lettera che nei giorni scorsi il collegio dei Questori ha inviato a tutti i deputati. Proprio per ricordare loro di rispettare la nuova normativa coi portaborse.
Il secondo decreto attuativo della riforma, varato sei mesi fa, ha infatti cancellato collaborazioni occasionali e cocopro, che dal 25 giugno non possono più essere stipulati.
Circostanza che dal 1° gennaio 2016 si estenderà anche a tutti i contratti firmati prima di tale data, che dovranno essere rescissi per essere riscritti con le nuove regole, più favorevoli al collaboratore, che avrà maggiore libertà di determinare tempo e luogo della prestazione. In alternativa, gli onorevoli potranno ricorrere ai contratti di lavoro subordinato a tutti gli effetti. Oppure, se proprio vorranno dimostrare la loro magnanimità , stipulare fino a fine legislatura il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti introdotto proprio dal Jobs act.
Più impegnativo economicamente ma anche con più garanzie rispetto alle altre tipologie.
È la strada seguita, ad esempio, dal gruppo del M5S alla Camera, che ha “stabilizzato” 25 collaboratori.
Una decisione che ha suscitato l’ironia del Partito democratico, alla luce del giudizio pessimo sul provvedimento e delle barricate alzate in Parlamento dai Cinque stelle. Ai quali, coerenza o no, va riconosciuto di aver rispettato la legge.
Al contrario di molti altri, almeno per ora: a quanto risulta all’Espresso, allo stato attuale solo una minima parte ha provveduto a trasformare i contratti.
Per questo il collegio dei Questori (formato dal democratico Paolo Fontanelli, il forzista Gregorio Fontana e il montiano Stefano Dambruoso) è intervenuto con una lettera ufficiale che – spiega una fonte qualificata – “è anche una sollecitazione a osservare il dettato normativo”. Anche se con un certo ritardo, visto che il Senato ha inviato una analoga comunicazione a inizio settembre.
Di certo, nessuno potrà dire di non essere stato messo in condizione: per districarsi nella giungla normativa e venire incontro ai parlamentari, sia Montecitorio che Palazzo Madama hanno predisposto un apposito servizio di assistenza con consulenti del lavoro per informazioni e chiarimenti, disponibile su appuntamento due giorni a settimana.
Resta solo da vedere quanti parlamentari si atterranno effettivamente a una legge che loro stessi hanno votato. E soprattutto, se questo consentirà di sradicare casi-limite come quello del nero, dei portaborse costretti a pagare le bollette o inquadrati come colf per versare meno contributi.
L’Associazione che riunisce i collaboratori parlamentari (Aicp), sorta per rivendicare i propri diritti, ha già annunciato l’intenzione di vigilare sull’effettiva applicazione delle nuove norme.
Un proposito che però rischia di restare una pia illusione se finirà come l’“auto-censimento”, pensato per avere un’idea del lavoro nero a Palazzo: quando ha chiesto ufficialmente di sapere quanti badge fossero stati rilasciati agli assistenti degli onorevoli, sulla base dei contratti di lavoro registrati e depositati, gli uffici di Questura non hanno mai fornito un numero preciso.
Tutela della privacy, l’immancabile risposta.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso”)
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