TREMONTI HA CHIESTO LA TESSERA DELLA LEGA, MA NEL CARROCCIO NON C’E’ NEANCHE RICONOSCENZA: I COLONNELLI HANNO PAURA E VOGLIONO CHE PRIMA ATTACCHI I MANIFESTI
BOSSI AL DIRETTIVO; “MI HA CHIESTO DI ENTRARE, CHE NE PENSATE?… DI FRONTE ALL’IPOTESI CHE POSSA ADERIRE UNA PERSONA NORMALE TRA I CAPETTI DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA SCENDE IL GELO
Era il pidiellino più amato dai leghisti, e un po’ anche anche a questo si deve la cordiale antipatia coltivata nel partitone azzurro nei confronti di Giulio Tremonti.
Ma adesso che è crollato tutto lo molla anche il Carroccio.
E a ben vedere, non è neppure una sorpresa.
Fa testo quel che è successo ieri in via Bellerio: dopo aver disertato l’incontro con Mario Monti e aver ribadito la linea dell’opposizione, Umberto Bossi guarda un faccia i suoi colonnelli, uno a no: «Tremonti mi ha chiesto di entrare nella Lega, che cosa ne pensate?».
Ne pensano malissimo, a rendere l’idea bastano gli occhi sgranati di tutti quanti, da Maroni a Reguzzoni (che non sono proprio amici), da Calderoli a Cota.
Le battute si sprecano, qualcuna è irriferibile, il leit motiv uno solo: «Non se ne parla nemmeno».
E ci si mette pure Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega Lombarda, a distillare altro veleno: «Vuole venire da noi? Bene, presenti domanda per diventare socio ordinario alla sezione della Lega più vicina a casa sua».
Socio ordinario: presentarsi con il modulo, please.
Così trattano adesso l’«amico Giulio», la sponda inossidabile di Bossi dentro il partito di Berlusconi.
Una presa di distanza che certifica le difficoltà crescenti del superministro, in questi anni protagonista di memorabili scontri con i suoi colleghi, specialmente quelli pidiellini, titolari di dicasteri con portafogli.
Che si sono visti sistematicamente rifiutare ogni richiesta di riduzione dei tagli voluti dal Tremonti custode del rigore. Come la Mariastella Gelmini, sempre costretta a mordere il freno e a fare in pubblico buon viso a cattivo gioco di fronte all’irremovibilità del successore di Quintino Sella.
E a beccarsi gli insulti di studenti e genitori in piazza.
Questa la sostanza, ma c’è anche la forma: quella di Tremonti a volte risulta sgradevole, come quando, nell’altro esecutivo Berlusconi, rispose così alla Moratti che si lamentava per i tagli: «Letizia, il governo non è tuo marito».
Al pari della Moratti e la Gelmini, troppi altri hanno patito.
Per non parlare di Berlusconi, entrato in un’irrimediabile rotta di collisione negli ultimi mesi, con la crisi prima negata (da entrambi) e poi arrivata a un punto di non ritorno che tuttavia non è bastato a rendere meno acute le divergenze sulla medicina da proporre al Paese.
E a diradare i dubbi di intelligenza con il nemico, se si pensa a come, anche dalle parti dell’opposizione, si è guardato a Tremonti come alternativa possibile al Cavaliere Leggendari, e non da adesso, gli scontri con il governatore lombardo Formigoni, e le liti con Brunetta così omaggiato in un ormai famoso fuorionda: «È un cretino».
Agli annali rimane anche il lamento feroce di Mario Mantovani, coordinatore del Pdl in Lombardia, che a inizio ottobre così parlava all’assemblea regionale del suo partito, disertata dal titolare dell’Economia: «Tremonti va solo alle feste della Lega, vorremmo che qualche volta venisse anche alle nostre iniziative, l’abbiamo sempre invitato ».
Già , anche in piena tempesta finanziarie, un paio di settimane fa, Tremonti non ha rinunciato alla tradizionale festa della zucca di Pecorara, nel Piacentino.
Presentandosi insieme a Bossi e agli stati maggiori della Lega.
Ma adesso lo mollano anche loro, i padani.
E le ragioni sono più o meno le stesse, come sa benissimo Maroni, l’uomo del Viminale che più volte si è lamentato per i tagli al suo ministero.
Fosse solo lui, si capirebbe, ma di recente, e per motivi più politici, è sceso il gelo anche con Calderoli, considerato fino all’altro ieri il più tremontiano dei leghisti.
Ma nonostante la terra bruciata che gli stanno facendo tutto intorno, il ministro dell’Economia non ha alcuna intenzione di abbandonare la politica.
Anche se non sa bene il “come”, e soprattutto il “dove”, non ci sta a farsi cancellare tutto d’un botto.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
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