TURNI MASSACRANTI E COMPENSI DA FAME: PROSCIUTTO AMARO PER 5.000 LAVORATORI
FALSE COOP DEI MATTATOI NEL MIRINO DEGLI INQUIRENTI: 15 ORE DI LAVORO SENZA CONTRIBUTI ED EVADENDO IL FISCO
Cesare ha 55 anni e le mani grandi. Gli occhi chiari e la voce profonda come le sue rughe. Lavora nei mattatoi da quando era ragazzino, macella i maiali che diventeranno prosciutti, che verranno firmati da aziende dai nomi importanti e con fatturati da milioni di euro.
Cesare, dopo 38 anni di lavoro, fa turni massacranti. E viene pagato 4,50 euro l’ora.
Prima della crisi era un operaio specializzato, oggi si deve accontentare per disperazione. Francesco, invece, ha 42 anni e ormai non riesce neanche più a tenere in mano un coltello. Ha i muscoli e i tendini usurati. Fa sempre lo stesso movimento, a ripetizione, senza sosta: lo stesso taglio ogni 3 o 4 secondi. Disossa polli per 12, spesso 15 ore al giorno. E gliene pagano meno della metà .
Ma ha una moglie e un figlio. E nessuna alternativa.
Sfruttamento per 5mila.
Succede nella provincia di Modena dove – dicono i dati che verranno pubblicati nel prossimo rapporto della Flai Cgil e che Repubblica è in grado di anticipare – 5mila operai sono gravemente sfruttati. Schiavi. Esistono irregolarità di ogni tipo, in Emilia Romagna. Abusi che, secondo l’Inea, l’Istituto Nazionale di Economia Agraria, si inquadrano soprattutto nella “sottodichiarazione delle ore e o dei giorni di lavoro o nella dichiarazione di mansioni inferiori a quelle svolte”.
Secondo i dati elaborati dal gruppo di studio della facoltà di Sociologia della Sapienza di Roma guidato dal professor Francesco Carchedi sulla base delle informazioni raccolte tra i lavoratori, in questa zona sono almeno 3.700 gli operai gravemente sfruttati nella zootecnia.
Ma secondo le stime ci sono almeno altre mille persone che lavorano in condizioni anche peggiori, perchè non hanno alcun contratto nè tutela. Vengono pagate anche in nero per turni dagli orari estenuanti.
Fatica bestiale.
Francesco e Cesare (i nomi sono di fantasia) si sono rovinati i polsi, i gomiti, le spalle. Prima del 2000 si occupavano dell’intero processo di lavorazione della carne: squartare, eviscerare, macellare, rifilare.
Le loro mani e le loro braccia erano sottoposte a diversi tipi di sollecitazioni. Adesso il lavoro si è ridotto ad una sola mansione. Perchè alle aziende conviene pagare poco un operaio non specializzato e fargli fare un’unica operazione, piuttosto che pagarne uno specializzato con compiti diversi.
La meccanizzazione, poi, ha fatto il resto. E dunque Cesare rifila il maiale, Francesco disossa il pollo. “Ma un conto è stressare i muscoli e i tendini per otto ore al giorno – spiega Giacomo (ancora un nome inventato), operaio anziano e molto esperto – un altro è farlo per 15. Spesso capita che lavori dalle 4 di mattina alle 7 di sera. E poi, con un sms, vieni convocato dal capo della cooperativa per le 23 del giorno stesso. Come si chiama tutto questo? Io lo chiamo schiavismo. Non solo. Se la carne da lavorare tarda ad arrivare, gli operai vengono costretti a rimanere in azienda ad aspettare per ore e ore. Senza essere pagati. E senza sapere quando torneranno a casa. A completa disposizione della ditta. Ormai non c’è differenza con il fenomeno dei braccianti agricoli assoggettati dai caporali nel sud Italia”.
Lo scandalo delle false coop.
La dimensione esatta dello sfruttamento è impossibile da determinare perchè a ingaggiare questi lavoratori non sono direttamente le grandi aziende, ma società appaltatrici, quasi sempre false cooperative, che cambiano spesso nome, che truccano i conti, i bilanci e le buste paga. Che non applicano il contratto nazionale, che non versano i contributi previdenziali, che evadono il fisco.
E che occupano soprattutto stranieri, quasi sempre romeni, marocchini, cinesi. Persone che spesso non conoscono la lingua e che non hanno mai votato un bilancio sociale, come invece spetterebbe ai soci lavoratori.
Ma su 100 operai sfruttati, 10 sono italiani. “Sono sempre di più – denuncia il segretario regionale della Flai Cgil, Umberto Franciosi – si tratta di uomini strozzati dalla crisi che per disperazione accettano di sottostare a queste condizioni”.
Poi ci sono i giovani, ragazzi senza alcuna esperienza, che vengono sfruttati più degli altri e che rischiano non solo malattie professionali, ma anche gravi infortuni sul lavoro.
“Non sanno usare il coltello – ragiona Giacomo – un tempo era previsto un periodo di apprendistato, oggi non si fa più. Costa troppo. Così questi ragazzi usano troppa forza, perchè non hanno tecnica. E succede che scappi la lama. Non è raro che se si diano una coltellata in pancia. Ma in ospedale raccontano che si è trattato di un incidente domestico. Perchè chi parla rischia il lavoro. Quando va bene ti tengono a casa per qualche settimana, ma capita che non vieni più chiamato. Così nessuno denuncia”.
Accuse pesanti confermate nella sostanza dall’intervista al direttore del Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro della Ausl di Modena Renato Di Rico .
Valeria Teodonio
(da “La Repubblica”)
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