UN EX PASSEUR RACCONTA I TRUCCHI PER ARRIVARE IN SVIZZERA: “PASSIAMO DA UN BUCO NELLA RETE”
IL PIANO B SE IL CONFINE E’ SORVEGLIATO
«Io non li carico più, però nei nostri Paesi si trova sempre gente disponibile. In queste settimane è sicuramente più difficile, ma anche oggi chi vive da queste parti saprebbe come farli passare».
L’uomo che conosce ogni angolo del confine fra la provincia di Como e il Canton Ticino, una condanna alle spalle per traffico di esseri umani e un processo in corso per vicende analoghe, accetta di spiegarci – sotto la garanzia dell’anonimato – come i migranti riescono a entrare in Svizzera.
Il «passeur» è una persona che non dà nell’occhio: un operaio disoccupato, un pensionato che fa sempre avanti e indietro per fare benzina o per fare un giro con la famiglia negli outlet di Mendrisio.
«Il metodo è sempre quello. E la prima regola è passare inosservati – racconta l’ex passatore -. In questi giorni di emergenza con poliziotti e telecamere di mezzo, c’è solo bisogno di fare più attenzione».
La rotta è quella fra Milano e Chiasso, il sogno proibito dei 500 che in queste settimane sostano davanti alla stazione ferroviaria di Como o degli oltre tremila che affollano i centri d’accoglienza del capoluogo lombardo.
«Quindici minuti di paura e di tensione, ma si guadagnavano un sacco di soldi: fino a 250 euro a persona, un migliaio di euro a viaggio» spiega.
Sono briciole rispetto alle migliaia di euro che un ragazzino eritreo paga da quando lascia il suo villaggio fino a quando riesce a riabbracciare suo fratello in Germania o in Norvegia.
«Può sembrare immorale chiedere soldi a quei disperati, ma per loro è l’unico modo per raggiungere le loro famiglie» sottolinea senza quasi rendersi conto della gravità di questi reati. Tanti in queste zone hanno approfittato della vicinanza con il confine per fare guadagni facili.
Con i migranti il business è cominciato negli Anni Novanta: prima i bosniaci in fuga dalla ex Jugoslavia, poi gli albanesi e i kosovari.
Ma qui la tradizione degli «spalloni» è vecchia come il lago: una volta si contrabbandavano sigarette e medicinali passando con le gerle di vimini sui sentieri di montagna, poi ci sono state la stagione dei contanti nascosti nei doppifondi delle auto truccate e quella della cannabis acquistata nei coffe shop (legali in Ticino fino ai primi anni 2000) e smerciata nelle piazze del Nord Italia.
Oggi la merce più pregiata sono gli esseri umani. Infatti dal settembre 2015 le autorità elvetiche, insieme a quelle italiane e tedesche, hanno creato una forza speciale ad hoc: il Gruppo Interforze per la repressione dei passatori.
Nel solo Canton Ticino sono stati individuati sei diversi gruppi criminali con due diverse filiere: africana e siriana.
Gli italiani servono solo per gli ultimi metri, dove chi non è «del posto», non sa come muoversi. E soprattutto non sarebbe in grado di gestire gli imprevisti.
«Si comincia per caso – prosegue il passeur comasco -. Può capitare di essere avvicinati in un bar, di fare due chiacchiere. Quando capiscono che sei la persona giusta arriva l’offerta. Il compito è semplice: parcheggiare davanti alla stazione e aspettare. I migranti arrivavano in treno da Milano insieme a un intermediario, spesso di origini centrafricane. Il mediatore consegna i soldi e sparisce. L’autista parte verso la frontiera, quasi sempre con una macchina civetta che lo precede. Si scelgono i valichi minori, Ronago o Drezzo, che da sempre sono anche quelli meno controllati. Chi va in avanscoperta avverte di eventuali posti di blocco. Se arriva il via libera l’autista procede fino a Mendrisio o Lugano, dove li scarica in stazione».
Da qui i migranti possono proseguire verso Nord.
Se quel giorno la dogana è presidiata invece scatta il piano B.
L’auto devia dal percorso stabilito e viene parcheggiata in una strada laterale. Il gruppo raggiunge un punto in cui la rete è tagliata e sbuca in Svizzera a piedi.
Dopo pochi minuti l’auto civetta, che nel frattempo è entrata in Svizzera senza problemi, li carica e li porta a destinazione.
Se tutto è filato liscio e ci sono altre richieste si può provare a fare un altro viaggio. «Ho sentito di gente che è riuscita a portare di là anche 30 persone in un giorno, guadagnando migliaia di euro – conclude il passatore pentito -. Io ho ceduto alla tentazione ma quando al processo mi hanno definito “trafficante di carne umana” mi sono reso conto di essere stato la pedina di un gioco terrificante».
(da “La Stampa”)
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