UN PONTE PIENO DI RATTOPPI, UNA TIPICA STORIA ITALIANA
NEL TEMPO SOLO PICCOLI LAVORI, IN MANO A SOCIETA’ AUTOSTRADE
Una storia tipicamente italiana, fatta di rattoppi.
La soluzione strutturale, quella cioè necessaria e più affidabile, invece costantemente rinviata. Ingarbugliata tra decisioni e bandi di gara tardivi. Dietro il crollo del ponte Morandi sulla A10 a Genova c’è anche, o forse soprattutto, questo.
E un interrogativo che torna prepotentemente solo a tragedia avvenuta: di chi è la colpa?
Ferme le parole del Capo dello Stato, che ha parlato di situazione assurda, di cui, però, devono emergere le responsabilità .
In mezzo ci sono 51 anni di interventi di manutenzione diventati attività ordinaria, allarmi inascoltati di esperti sulla tenuta dell’opera, denunce di cittadini, interrogazioni parlamentari, foto di dissesto che non lasciano spazio a dubbi sulla precarietà del ponte.
Dal 1965 – data del completamento del ponte – a oggi, quello che era stato celebrato come il ponte di Brooklyn per il suo design moderno, è diventato invece il simbolo di una prassi precaria, poco lungimirante, incapace di rispondere al requisito base di un’infrastruttura: la sicurezza.
Le pezze sono state tante.
Negli anni ’80 e ’90 arrivano i cosiddetti stralli, imponenti cavi metallici collocati sul ponte per evitare il rischio di cedimento.
Negli anni 2000 quella che doveva essere una manutenzione ordinaria si trasforma in una sorta di rifacimento a pezzi dell’opera: interventi continui e due anni fa addirittura la sostituzione delle barriere bordo ponte e il rifacimento di tutte le strutture in calcestruzzo.
Lavori di rattoppo ancora in corso, come si apprende da Autostrade, che oggi ha reso noto la natura delle operazioni: “Sulla struttura erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto e che, come da progetto, era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione”.
L’intervento portante, cioè il bando per il consolidamento del ponte, è invece ancora aperto.
Ci sono le risorse, 20 milioni di euro, ma la gara per l’assegnazione dell’appalto non si è ancora conclusa. Ha una scadenza, che è il 30 settembre, e un percorso fatto di autorizzazioni e procedure che è risultato intempestivo.
L’iter: Autostrade per l’Italia, che è il concessionario del tratto della A10 tra Genova e Savona, prevede il consolidamento del ponte e trasmette il progetto esecutivo alla Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture.
Questo avviene – come riferito da Autostrade – a aprile-maggio di quest’anno. La pratica passa al Comitato tecnico del Provveditorato della Lombardia-Liguria, che deve esprimere un parere. Disco verde. Si arriva a giugno e la Direzione dà il via libera. La fase della pre-gara si conclude e si apre la fase finale, quella che si concluderà appunto a fine settembre.
La genesi del progetto di Autostrade per un intervento strutturale, quindi, risale solo a quattro mesi fa.
Prima, molto prima, però, i dubbi sull’affidabilità del ponte e le richieste di una ristrutturazione complessiva erano state molteplici.
Dicembre 2012: l’allora presidente di Confindustria Genova, Giovanni Calvini, avvertì sulla tenuta dell’opera (“Tra dieci anni il ponte crollerà “) e sulla necessità di procedere con la realizzazione della Gronda di Ponente, infrastruttura alternativa in grado di agevolare il traffico. Gronda che però fu osteggiata da politici e amministratori e che ad oggi ha le sembianze di disegni e simulazioni al computer. Ancora ferma, quindi, alla fase della progettazione.
Ancora. 29 luglio 2016, due anni fa. L’ingegnere Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova, scriveva in un articolo pubblicato da Ingegneri.info: “Il Viadotto Morandi ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati”. Nella sua analisi, Brencich mette in luce tutte le criticità del ponte Morandi, a iniziare da “un’erronea valutazione degli effetti differiti (viscosità ) del calcestruzzo che ha prodotto un piano viario non orizzontale”. Già nei primi anni ’80 – sottolinea l’ingegnere – “chi percorreva il viadotto era costretto a fastidiosi alti e bassi dovuti a spostamenti differiti delle strutture dell’impalcato diversi da quelli previsti in fase progettuale. Solo ripetute correzione di livelletta hanno condotto il piano viario nelle attuali accettabili condizioni di semi-orizzontalità “.
Nella storia tipicamente italiana si cerca ora il responsabile. La bagarre politica divampa a poche ore dal crollo. E la storia tipicamente italiana si ripete. Sempre con lo stesso finale.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply