ZAIA SI SMARCA DALLA PALUDE SALVINIANA: NON RICANDIDERA’ I TRE CONSIGLIERI VENETI DEL BONUS 600 EURO
LA LEGA E’ UN AVANSPETTACOLO: SALVINI CONTINUA A PARLARE DI FORMAGGI E MOLINARI PARLA AL MASSIMO DI “SOSPENSIONE” PER I DEPUTATI LEGHISTI CHE HANNO RICHIESTO IL BONUS
Pare che la goccia ad aver fatto traboccare il vaso dell’ira di Matteo Salvini sia stata la dichiarazione di Ubaldo Bocci, consigliere comunale fiorentino in quota Lega, ma soprattutto ex manager con un reddito dichiarato nel 2018 di 250mila euro, secondo cui il bonus da 600 euro l’avrebbe richiesto il suo commercialista e lui l’avrebbe preso “come provocazione” per provare che la legge — troppo generosa — era sbagliata, liberandosi poi del malloppo a favore di tossicodipendenti, poveri e orfani dell’India.
L’indimenticato Ricucci avrebbe detto, a parole sue, che Bocci fa beneficenza con i soldi degli altri. Con una differenza: mentre Salvini ha imposto al partito la consegna del silenzio per evitare dichiarazioni boomerang, Luca Zaia ha giocato d’anticipo e scaricato i suoi furbetti per limitare gli effetti negativi in campagna elettorale.
Fatto sta che proprio dalle spericolate giustificazioni di Boccia, nella delicatissima (e per la prima volta contendibile) Toscana, è partito l’ordine di tacere imposto dal leader a tutti i leghisti sul “bonus-gate”.
I cellulari dei due principali indiziati — l’imprenditore mantovano Andrea Dara e l’insegnante piacentina Elena Murelli, entrambi alla prima legislatura, salviniano di ferro il primo, allineata anche la seconda – hanno squillato a lungo a vuoto.
Rimaste senza risposta anche le richieste di conferma o smentita inviate per messaggino.
Intanto, il capogruppo della Lega a Montecitorio Riccardo Molinari ribadiva: “Come promesso, se qualcuno ha preso un bonus verrà sospeso, anche se quei soldi sono stati dati in beneficenza”.
Mentre il Carroccio della Toscana in piena campagna elettorale per le Regionali si premurava di far sapere che Bocci, già sfidante sconfitto di Dario Nardella, non è mai stato un loro tesserato. Sugli altri nomi, però, silenzio totale.
Tutto il contrario dell’altrettanto arrabbiato Luca Zaia. Dopo aver lanciato il “Me Too al contrario”, il governatore del Veneto super-favorito al voto regionale di settembre, si è ritrovato che tra i pochi nomi leghisti usciti allo scoperto ci sono ben tre suoi consiglieri: Alessandro Montagnoli, Riccardo Barbisan e addirittura il vicepresidente veneto Gianluca Forcolin, peraltro tributarista di professione che però adduce la responsabilità della propria socia di studio.
La richiesta di quest’ultimo sarebbe stata respinta dall’Inps, mentre i primi due avrebbero anche loro dato seguito all’impulso di fare beneficenza con i soldi pubblici.
Il “Doge” delega a parlare sull’argomento il segretario regionale leghista Lorenzo Fontana, che a fine pomeriggio pronuncia la sentenza: “Hanno fatto una grandissima sciocchezza”. Quindi, non saranno nelle prossime liste.
Un gesto netto, ma anche un modo per smarcarsi dalla “palude del silenzio” in cui Salvini ha rinchiuso il partito.
Provocando lo scontento, raccontano, di molti parlamentari e degli stessi “furbetti” che vorrebbero raccontare la propria versione e difendersi dalle accuse che il mondo politico e l’opinione pubblica gli rivolgono da quarantott’ore senza tregua.
Tra gli altri reprobi usciti allo scoperto ci sono tre consiglieri regionali del Piemonte — i leghisti Claudio Leone e Matteo Gagliasso e il Dem Diego Sarno, tre del Friuli Venezia Giulia, il forzista Franco Mattiussi, l’ex governatore di centrodestra Renzo Tondo, il civico Tiziano Centis.
I parlamentari, invece, continuano a tacere. Nonostante il Garante della Privacy abbia tolto di mezzo l’alibi di presunte violazioni della riservatezza. Nonostante il pressing dei Cinquestelle che, su input di Vito Crimi e tra qualche mugugno, dichiarano di voler chiedere all’Inps la pubblicazione dei propri dati.
(da “Huffingtonpost”)
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