ZINGARETTI BLOCCA LA TRATTATIVA: “IL PD NON FARA’ DA SECONDO FORNO”
IL PD NON VUOLE ESSERE USATO DAI GRILLINI PER FAR ALZARE IL PREZZO DELLA TRATTATIVA CON LA LEGA… SALVINI PREFERISCE PERDERE LA FACCIA CHE RIMANERE ANNI ALL’OPPOSIZIONE, I SUOI GRANDI ELETTORI VOGLIONO POLTRONE E NON GLIELA PERDONEREBBERO
Anche le persone “miti”, a volte, si incazzano. E, perdonate la gergalità , ma questo è davvero l’unico modo per descrivere lo stato d’animo di Nicola Zingaretti: “Questo spettacolo è surreale, da matti”, ha ripetuto in queste ore a chi ha parlato con lui.
Ed è evidente con chi ce l’ha. Perchè mai si era visto che, a crisi non ancora conclamata, venisse aperto il dibattito su un altro governo, la grande “accozzaglia” per fermare Salvini, che ha prodotto un vero “capolavoro” a rovescio.
Già , perchè l’effetto della mossa di Renzi, il loro Arcinemico, è stato quello di risuscitare i Cinque Stelle, ridando a Di Maio, che era nell’angolo, un grande spazio di manovra. Anzi, proprio il pallino del gioco.
E menomale, per le sue coronarie, che il segretario del Pd non ha ascoltato il commento di Stefano Buffagni, uno dei più lucidi del suo partito. Quando sul telefonino ha letto dell’idea di Salvini, o di qualcuno per lui, di un governo con Di Maio a Palazzo Chigi e ministri di peso della Lega, ha riacquistato il sorriso, che negli ultimi tempi aveva perso: “Questo significa che siamo noi al centro del gioco, bene, molto bene”.
E la sua amata creatura, al mare con lui, ha imparato un’espressione nuova, che andava di moda quando papà aveva la sua età . E la diceva Giulio Andreotti: il “doppio forno”, che gli abili democristiani sapevano tenere sempre aperto, perchè il pane, in un modo o nell’altro, va sempre cucinato.
Ecco, diversi lustri dopo, Di Maio si trova nelle condizioni di chi il governo, nel forno democratico o in quello leghista, comunque è nelle condizioni di cucinarlo. E non è poco, per il leader di un partito che, dopo le Europee, aveva finito la farina.
Ricordate le puntate di qualche tempo fa: la crisi di consenso, la marginalità politica, il terrore del voto, la sua leadership messa in discussione all’interno. Era questo il film, fino al ruggito di Salvini al Papeete. Prima cioè che arrivasse il soccorso dell’ex rottamatore che, allora, diceva che “l’accordo con i Cinque Stelle serve solo a trovare una cura a qualche politico dem in crisi di astinenza”. Aggiungendo: “Io non ci sarò”.
E invece “l’accozzaglia”, in nome della paura del voto, ha prodotto una frenata sulla crisi. In questi giorni questo sta accadendo.
C’è un motivo se Salvini ha cambiato tono, proposta, schema, al punto da apparire confuso e incerto, come la sua mano tremante che reggeva in Aula i foglietti durante il suo intervento. Qualche amico, che ne ha raccolto pensieri e confidenze, racconta: “Preferisce perdere la faccia piuttosto che stare all’opposizione del governo Pd-Cinque stelle”. Anzi, il testuale è: “Il governo di comunisti e grillini”.
È vero, sarebbe un’ammucchiata perfetta per i comizi: Renzi e Di Maio, la Boschi e Paragone, garantismo e cappi, diavolo e acqua santa, quelli del “partito di Bibbiano” e quelli del “non in mio nome”.
Però questo Frankestein di Potere ha incrinato le certezze della rivoluzione sovranista: “Matteo — prosegue il suo amico — sa che una roba del genere dura finchè non si sgonfia il suo consenso, un anno o tre, ormai i cicli politici si consumano rapidamente e i primi a crocefiggerlo saranno i suoi. Un conto è lasciare i ministeri per averne di più dopo il voto, un conto è fare opposizione non si sa per quanto tempo”
Nasce da qui l’idea di una ricucitura su basi nuove con i Cinque Stelle, proponendo un nuovo contratto, magari con Di Maio a palazzo Chigi: “L’ipotesi — ha sussurrato Centinaio a qualche senatore — è sul tavolo”.
L’ipotesi è una diavoleria cucinata al PaStation, il ristorante del figlio di Verdini, diventato una specie ufficio di consulenza politica per neofiti del potere. Martedì sera, come ha rivelato l’ HuffPost, attovagliato ad ascoltare consigli del “suocero” c’era tutto lo stato maggiore della Lega. Il piatto forte però l’ex plenipotenziario del Cavaliere lo ha servito quando è arrivato Salvini: “Quelli i numeri ce li hanno, fregatene delle parole, sapessi quante volte Bossi ci ha tradito. L’è normale. Torna indietro e proponi Di Maio a palazzo Chigi, prendendoti i ministeri chiave”.
È un fatto che la pensata, qualche giorno dopo, è diventata la base di una nuova offerta che fonti ufficiali smentiscono ma che invece c’è e rappresenta una possibile base negoziale.
Ecco, il forno leghista comunque si è riaperto. E Luigi Di Maio, in questo nuovo contesto, non ha più l’assillo della fretta. E, infatti, fa trapelare che la proposta è rispedita al mittente: “Vediamo come si comportano martedì in Aula e decidiamo” ha detto ai suoi con calma olimpica.
Se cioè i leghisti presentano una risoluzione per spingere Conte alle dimissioni, o meno. È questo lo snodo fondamentale, la possibile via d’uscita per Conte, perchè, anche volendo, non è semplice nemmeno ipotizzare per lui la via d’uscita di commissario europeo, nome che dovrà essere indicato entro il 26 agosto: se resta in carica non può indicare se stesso, se cade è difficile avere entro quella data un governo che lo indichi.
Sia come sia, è altrettanto evidente che, sia in un forno sia nell’altro, possa rimanere a palazzo Chigi perchè un eventuale accordo col Pd passa da una “profonda discontinuità ” con l’assetto esistente.
Voi capite che tutto racconta di una crisi che non ha una trama prevalente, ma un intreccio di trame, per il motivo che ancora non è stata formalizzata fino in fondo.
Ed è ancora in carica un governo, sia pur avvolto da una densa nube di tensione. Il perchè della mossa di Renzi è chiaro: “Vuole far nascere un governo che farà cadere quando vuole lui, con l’obiettivo di ammazzare il Pd e Zingaretti” ragionano al Nazareno.
Però la partita dentro il Pd è tutt’altro che chiusa, anche se la prospettiva di un ritorno nelle stanze dei bottoni per un partito ammalato di governismo sta accendendo le fantasie più spinte, addirittura il capogruppo alla Camera parla di “contratto alla tedesca con i Cinque Stelle”.
E se è vero che Di Maio è tornato centrale, è anche vero che deve essere bravo assai in questo gioco, tra Lega e Pd. È ovvio che con la Lega resterebbe al governo, ma questo è assai meno scontato col Pd.
Va bene tutto, ma è ipotizzabile che il segretario del Pd, la cui best option è il ritorno al voto, non metta delle condizioni per andare al confronto con il Movimento che non siano una resa?
Può rinunciare a chiedere una agenda di “profonda discontinuità ”, nei contenuti e negli uomini, che significhi, ad esempio, cancellare il decreto sicurezza e porre un veto sulla presenza nel governo di chi c’è stato finora, a partire da Di Maio? La risposta è no. Perchè anche le persone miti, a volte si incazzano, quando si arriva al dunque.
Ed è in ballo il futuro di un partito che, in questo tornante della storia, si gioca la sua sopravvivenza.
(da “Huffingtonpost”)
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