Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
RIPORTATA UNA FRASE DEL FIDANZATO DI MICHELLE CONCEICAO: “L’EX PREMIER AVEVA LA TESTA SUL VENTRE DI RUBY”
Ha parlato di foto in cui Silvio Berlusconi e Ruby sono in atteggiamenti compromettenti “di natura
sessuale” Imane Fadil, una delle pentite del bunga-bunga sentita come testimone al processo in corso a Milano a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti.
La giovane marocchina ha raccontato in aula di una cena di circa un mese fa a cui era andata con la sorella.
“Al dolce arriva un amico di un amico – ha spiegato – un tale Gigi, che si presentò come il fidanzato di Michelle Conceicao”.
Imane ha proseguito dicendo che l’uomo le avrebbe riferito che la brasiliana aveva delle foto di Ruby “e che lui le aveva viste. Ricordo che mi disse – ha continuato la teste – erano di natura sessuale e che alcune ritraevano Berlusconi con la testa appoggiata sul ventre di Ruby”.
La testimone, durante l’esame e il controesame, è tornata a parlare delle serate ad Arcore, fornendo dettagli su quel che accadeva (Iris Berardi che si strusciava e si era travestita da Ronaldinho), delle avances che avrebbe ricevuto da Fede e che, per averlo respinto, non riuscì a firmare il contratto con Mediaset che le sarebbe stato promesso.
Inoltre ha parlato dei suoi rapporti con l’uomo siriano che, come ha più volte spiegato, l’avrebbe contattata nella primavera del 2011 proponendole un incontro ad Arcore “per avere dei soldi”.
Al termine del controesame da parte delle difese, il pm Antonio Sangermano ha fatto ancora alcune domande alla Fadil su “quelle foto di cui lei oggi ha parlato per la prima volta”.
La ragazza ha spiegato che quello che le disse “Gigi, ex fidanzato della Conceicao” era “l’ulteriore conferma di quel che mi aveva già raccontato su quelle foto la Faggioli (Barbara, una delle ragazze presenti alle feste ad Arcore)”.
Gigi, ha aggiunto la modella marocchina, “mi descrisse tre foto e io ne ricordo una in particolare quella che, a detta di Gigi, ritraeva Berlusconi con la testa appoggiata sul ventre di Ruby”.
Il pm: “Dove teneva le foto la Conceicao?”. Lei: “Sul cellulare, penso”. Sangermano: “E perchè Conceicao aveva quelle foto?”. Fadil: “Gigi disse che Conceicao prese quelle foto di nascosto quando Ruby uscì di casa, lei si prese le foto e andò via e ci fu anche un litigio tra loro per quelle foto”.
Fadil, rispondendo sempre al pm, ha chiarito anche il contenuto di diverse telefonate che ebbe con Emilio Fede, dopo che aveva partecipato ad alcune serate ad Arcore. “Quando Fede le diceva al telefono ‘avete fatto?’ che cosa intendeva?”, ha chiesto il magistrato.
E lei ha risposto: “Si riferiva ai soldi, intendeva ‘hai avuto i soldi da Berlusconi?’, perchè lui aveva parlato con l’ex premier dei miei problemi e sapeva che io andavo spesso alle feste”.
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO AMERICANO BOCCIA IL DECRETO SVILUPPO: “LE NORME SUL LAVORO FRENANO TUTTO IL PAESE”
Il giornale riferisce che il premier italiano Mario Monti ha varato un nuovo decreto sulla crescita per far risollevare «l’economia moribonda dell’Italia».
Incentivi alla ricerca, crediti di imposta per l’assunzione di alte professionalità , fino alla vendita di alcuni asset.
«Potranno queste misure risolvere i problemi dell’economia italiana?» si chiede Wsj. E si dà anche una risposta: «Solo nel senso che teoricamente è possibile svuotare il lago di Como con mestolo e cannuccia».
Di seguito il quotidiano illustra tutte le leggi e i costi che un imprenditore deve affrontare nella gestione del personale.
«Immagina di essere un ambizioso imprenditore italiano che cerca di avviare un nuovo business», scrive il Wsj, portando una serie di esempi e concludendo che non solo tutte queste protezioni e assicurazioni «sottraggono il 47,6% dalla media delle paghe italiane, secondo l’Ocse» ma anche che «tu, al posto dell’imprenditore, sei consapevole di ciò e allora si può spiegare la tentazione di restare “piccoli” e tenere quanto possibile del tuo business fuori dai bilanci.
“E questo mercato grigio e nero misura per più di un quarto dell’economia italiana». Poi la conclusione ironica: «Con un pò di fortuna comunque puoi scoprire – dice Wsj rivolgendosi all’ipotetico nuovo imprenditore italiano – una scappatoia nel nuovo decreto Sviluppo di Monti che ti consente di assumere un pò più di persone senza incorrere in troppi costi, a condizione che tutti i nuovi assunti siano disabili, provenienti dalla Sardegna, con gli occhi blu e tra i 46 e 53 anni».
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
C’ERA UN FALLIMENTO DIETRO IL NUOVO ASSESSORE ALL’URBANISTICA: GIA’ COSTRETTO A DIMETTERSI… LA FARSA DEL CURRICULUM NON HA FUNZIONATO
Incassa uno sganassone politico imbarazzante la giunta parmigiana guidata da Federico Pizzarotti,
primo esponente della lista di Beppe Grillo ad aver conquistato un grosso centro del nord.
Un assessore chiave della nuova amministrazione, il titolare di urbanistica, lavori pubblici e patrimonio Roberto Bruni, architetto 53enne, ha una macchia nel suo passato da imprenditore di quelle che, in un movimento che ha sempre fatto della moralità e dell’intransigenza le chiavi principali del suo successo: la sua azienda, la Thauma Sas di Collecchio, è fallita, la procedura si è chiusa l’anno scorso davanti al tribunale di Parma.
Oggi era in programma la conferenza stampa per presentare proprio l’assessore Bruni, oltre al suo collega alla cultura Ferraris, ma Bruni, per placare le polemiche, ha anticipato i tempi rinunciando all’incarico «per garantire la serena prosecuzione dell’attività politico amministrativa dell’Amministrazione comunale».
Esiste un precedente specifico legato a un assessore provinciale, Michele Pagani, che nel luglio 2004 era stato nominato titolare delle politiche per lo sviluppo economico e l’innovazione dall’allora presidente della provincia, il Pd Vincenzo Bernazzoli, e presentò le dimissioni non appena si seppe che nei suoi confronti gravava una richiesta di ammissione al concordato preventivo.
Ieri un sito di informazione locale aveva anche riportato il commento del neo amministratore della giunta grillina Bruni, che oltre ad ammettere che il nuovo sindaco sarebbe stato a conoscenza della vicenda, rinviava le spiegazioni a oggi, pur parlando di «gioco al massacro» nei suoi confronti: «È tutto vero per carità , la mia famiglia ne era già a conoscenza, ma mia madre insomma…, passa dal ricevere una notizia di un certo tipo ad una notizia d’altro genere».
Nella serata di ieri poi, l’incontro con il sindaco Federico Pizzarotti e alla fine uno scarno comunicato in cui si comunicava che «di comune accordo con il sindaco», «a fronte delle polemiche sollevate circa la figura dell’architetto Bruni» il neo assessore rinunciava all’incarico prima ancora di assumerlo.
Il can-can parmigiano sulle magagne fallimentari di Bruni è stato sollevato da una mail spedita all’edizione online della Gazzetta di Parma: «Ma il Sindaco ha letto bene il curriculum del nuovo assessore all’Urbanistica Bruni? — si chiede una lettrice con ironico riferimento alle intenzioni sbandierate da Pizzarotti già in campagna elettorale “E lui ha fatto presente nel curriculum che ha alle spalle il fallimento della sua Thauma Sas, a causa del quale tante famiglie ancora oggi piangono per aver perduto quanto avevano investito con immensi sacrifici? È questo il concetto di meritocrazia?».
Il primo atto del tribunale di Parma riguardante il fallimento della società in accomandita semplice di Bruni, azienda edile che aveva sede a Collecchio, in provincia di Parma, poi la vicenda concorsuale si è chiusa poco meno di un anno fa.
Franco Giubilei
(da “La Stampa”)
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL COMUNE DI MILANO SI RIMANGIA TUTTO, DOPO LE PRESSIONI ECONOMICHE DI PECHINO… IL TIMORE DI RITORSIONI CINESI IN VISTA DELL’EXPO TRAMUTANO PISAPIA IN DON ABBONDIO
E’ stato dietrofront: niente cittadinanza onoraria di Milano al Dalai Lama. Le pressioni cinesi hanno prevalso e il consiglio comunale ha preferito desistere.
Ma non sarà una replica dell’ultima visita del leader spirituale buddista al capoluogo lombardo. Allora, era il 2007, anche l’incontro con il sindaco Letizia Moratti avvenne fuori dai crismi dell’ufficialità .
Questa volta invece Giuliano Pisapia ha annunciato che riceverà sua santità Tenzin Gyatso a Palazzo Marino, sede del Comune.
Il massimo del coraggio che si può pretendere dai rivoluzionari borghesi nostrani.
Che la vicenda della delibera per concedere al leader spirituale tibetano le chiavi della città si sarebbe potuta trasformare in un caso diplomatico era nell’aria da tempo.
Tanto che l’iter del suo approdo in aula ha subito rallentamenti e le voci di pressioni si erano susseguite.
Ma la decisione di mettere la proposta firmata da tutti i capigruppo all’ordine del giorno della seduta di oggi era sembrata un segnale di apertura. Niente di più sbagliato.
Così, a cominciare da mercoledì sera, è stato un susseguirsi di incontri urgenti e trattative, fino al voto che ha di fatto cancellato il riconoscimento.
Sedici i voti a favore, 12 i contrari (con l’opposizione anche il radicale Marco Cappato e il pd David Gentili) e tre astenuti, fra cui il sindaco.
L’irritazione cinese si è da giorni scaraventata sull’amministrazione e sul consiglio comunale. Incontri, telefonate e lettere.
Dall’ambasciatore e dal console. Ma non solo: suggerimenti a lasciar perdere sarebbero arrivati anche dagli investitori cinesi.
Sullo sfondo, i timori per possibili ripercussioni su Expo, sull’ ingente investimento cinese per il suo padiglione e sul milione di visitatori attesi per il 2015.
Perciò, dopo una lunga e tesa riunione dei capigruppo, il consiglio si è aperto con la proposta del presidente Basilio Rizzo di “non discutere oggi la delibera, ma di lavorare per trovare una soluzione migliore”, un “omaggio al livello più alto possibile”.
L’idea, su cui ci sarebbe l’ok dei rappresentanti della potenza asiatica ma mancherebbe ancora la risposta del Dalai Lama, è di accogliere il premio Nobel nell’aula di Palazzo Marino per una seduta straordinaria a lui dedicata e durante la quale potrà rivolgersi alla città .
Proteste sono piovute dalle opposizioni.
Il pidiellino Pietro Tatarella ha rifiutato “accordi al ribasso. Mi vergogno oggi – ha attaccato – di essere rappresentante di questo consiglio e di questo Comune che ha paura”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il grillino Mattia Calise, secondo il quale significherebbe “cedere al ricatto della Cina: non lo accetto”.
“Figuraccia mondiale” per il leghista Alessandro Morelli, mentre dalla capogruppo pd Carmela Rozza si è alzato un “no alle strumentalizzazioni” della vicenda.
L’assessore comunale alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, esprime il proprio parere in un post sulla sua bacheca di Facebook: “Non ho ben capito cosa è accaduto in consiglio comunale, dove i consiglieri di maggioranza stanno facendo un lavoro straordinario su tanti fronti, ma la cittadinanza onoraria io la darei. Spero in una soluzione nei prossimi giorni”.
E sempre su Facebook, dove cresce la protesta del popolo arancione di Pisapia, interviene anche il consigliere pd Carlo Monguzzi: “Sono uscito dall’aula e non ho partecipato al voto che chiedeva di rinviare il conferimento della cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Sono convinto che sia giusto, doveroso e bello dare le chiavi della città al vento di libertà che il Dalai Lama ci porta”.
A riportare alla calma, prima del voto, è stato l’intervento di Pisapia il quale ha detto di aver parlato con la console cinese, che “mi ha comunicato che la cittadinanza onoraria sarebbe stata interpretata come un segnale di inimicizia”, e a cui ha risposto comunicandole che “come sindaco di Milano avrei ricevuto il Dalai Lama” a Palazzo Marino, “un impegno che voglio mantenere” e che “credo sia un segnale importante”.
Al contempo però Pisapia ha dato il suo via libera alla sospensiva della delibera e all’invito al Dalai Lama in aula, “una soluzione convincente e ragionevole, un punto di equilibrio”.
Una tipica farsa all’italiana.
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
PREVISTO SABATO L’INCONTRO CON IL GIP: IL SENATORE SI STA LEGGENDO LE CARTE IN CARCERE
Ha trascorso la notte dormendo poco, ma di umore appare sereno e tranquillo. 
Un’unica preoccupazione: i suoi quattro figli. Soprattutto per la più piccola, una bambina.
Ma, «riesce a controllare le sue emozioni», spiega chi lo ha potuto incontrare nel carcere di Rebibbia.
La prima giornata da detenuto per Luigi Lusi, ex tesoriere delle Margherita, è trascorsa in isolamento a Rebibbia tra libri e soprattutto le tante carte del processo che si è voluto portare in cella per prepararsi all’interrogatorio di garanzia previsto per sabato.
«Dirò tutto e darò le prove», promette.
Per questo studia le carte.
Piccole parentesi nella prima giornata da detenuto sono state un colloquio con Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, un confronto spirituale con il cappellano del carcere al quale ha confidato di essere stato trattato bene in queste prime ore di detenzione in isolamento.
Poi ancora il tempo per rileggere le carte dell’inchiesta che lo accusano di associazione per delinquere finalizzate all’appropriazione indebita.
Prima dell’interrogatorio di garanzia, fissato per le 14 di sabato sempre a Rebibbia, il senatore ripasserà in rassegna i vari provvedimenti che hanno scandito le fasi dell’indagine: dalle prime segnalazioni di flussi anomali sui conti della Margherita fatte nel dicembre scorso dalla Banca d’Italia alla richiesta di arresto arrivata il 3 maggio scorso con ordinanza del gip Simonetta D’Alessandro.
Ed è proprio con il giudice per le indagini preliminari che l’ex tesoriere, accusato di aver depredato le casse per oltre 25 milioni di euro, sabato si confronterà alla presenza dei suoi avvocati, Luca Petrucci e Renato Archidiacono, e del pm Stefano Pesci, titolare dell’inchiesta. Secondo quanto si è appreso da fonti qualificate il parlamentare ha intenzione di sottoporsi all’interrogatorio, di non fornire memoriali bensì di dare «un’accurata e dettagliata, nonchè definitiva versione della vicenda finanziaria del partito dicendo tutto ciò che sa e suffragando i fatti che riferirà con prove e carte».
Lasciando palazzo Madama, dopo il voto dell’Aula che ha dato il via libera all’arresto, l’ex tesoriere del resto aveva annunciato di avere «ancora una marea di cose da raccontare agli inquirenti».
Una frase commentata oggi anche da Beppe Grillo. In un post pubblicato nel suo blog il comico genovese si è auspicato che Lusi parli con i pm e «lo faccia al più presto senza tralasciare alcun dettaglio».
Poi, un’ironia amarissima: «Pisciotta e Sindona, e forse anche Don Verzè, insegnano che un caffè corretto in carcere non manca mai».
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
COSI’ PARTI’ LA TRATTATIVA: DAI CONTATTI DEL ROS ALLA REVOCA DEL 41 BIS AI CAPIMAFIA…E’ IL DELITTO LIMA CHE ROMPE L’EQUILIBRIO, TANTI BIG SI SENTONO IN PERICOLO… CONSO DICE DI AVER DECISO DA SOLO LO STOP AL CARCERE DURO, MA IL SOSPETTO E’ CHE ABBIA PESATO LA RAGION DI STATO
Che cos’è l’inchiesta sulla trattativa dei magistrati di Palermo? È lo Stato che processa se stesso. È lo Stato che si guarda dentro, che si autoaccusa di colpe gravi, che si riconosce traditore per avere patteggiato con il nemico.
È tutto così semplice e tutto così complicato che vent’anni dopo c’è ancora un’Italia che ha paura
Non è solo un affare di mafia. È soprattutto un affare di Stato.
Dove i protagonisti non sono quei boss delle borgate ma ministri dell’Interno e ministri della Giustizia, capi di governo, funzionari di alto rango, forse anche ex Presidenti della Repubblica che hanno subito ricatti per proteggere la Nazione.
L’alta tensione di questi giorni – con il Quirinale trascinato nel gorgo di polemiche incandescenti – è la dimostrazione che non siamo ancora in grado di sopportare certe verità .
Ricominciamo daccapo. Ricordiamo i fatti. Raccontiamo i personaggi.
Spieghiamo cosa è avvenuto fra il 1992 e il 1993.
I delitti, le stragi e le paure dei politici
Il 12 marzo del ’92 uccidono Salvo Lima, il potentissimo proconsole di Giulio Andreotti in Sicilia.
Muore perchè non “ha garantito il buon esito del maxi processo”, l’ammazzano perchè in Cassazione tutti i mafiosi incastrati dal giudice Giovanni Falcone vengono condannati all’ergastolo.
È la rottura di un patto che resiste da almeno quattro decenni. Cosa Nostra si ritrova improvvisamente senza “coperture” politiche. “D’ora in poi può accadere di tutto”, dice Falcone davanti al cadavere di Lima. E di tutto, in effetti accade.
Il rapporto mafia-politica si spezza con quell’omicidio. Salvo Lima è il punto di equilibrio fra lo Stato e la mafia, morto lui tutti gli altri ras della politica si spaventano.
Il più preoccupato – e questa è la tesi dei procuratori di Palermo – è il ministro siciliano per gli Interventi straordinari per il Mezzogiorno Calogero Mannino.
Si sente in pericolo, c’è una lista di uomini che i boss intendono colpire. Il primo è Mannino. Poi c’è Carlo Vizzini, ministro delle Poste. C’è il ministro della Giustizia Claudio Martelli. C’è anche il ministro della Difesa Salvo Andò. E Giulio Andreotti.
Secondo la ricostruzione dei pm, per salvarsi la pelle Mannino incontra il capo dei reparti speciali dei carabinieri Antonino Subranni e il capo della polizia Vincenzo Parisi per “aprire” un contatto con i boss e arrivare a un patto.
Ma la mafia siciliana ha già deciso – con qualcun altro – di non fare patti.
Il 23 maggio del 1992 fa saltare in aria Falcone a Capaci. Giulio Andreotti, il candidato più accreditato nella corsa al Quirinale, è fuori dai giochi per sempre.
Comincia la prima trattativa
Falcone è morto da 15 giorni e i carabinieri del Ros – il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno – contattano l’ex sindaco Vito Ciancimino per cercare di arrivare a Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra. E fermare le stragi.
Trattano con lui. Per conto di chi? Dicono loro: “Di nostra iniziativa”. Nessuno ci crede.
Ne sono al corrente almeno tre persone: il ministro della Giustizia Claudio Martelli, il direttore degli Affari Penali di via Arenula Liliana Ferraro (quella che ha sostituito Falcone) e il presidente della Commissione parlamentare antimafia Luciano Violante.
Tutti e tre – Martelli, la Ferraro e Violante – per 17 anni non dicono nulla di tutto ciò. Stanno zitti.
Quando il figlio di Vito Ciacimino, Massimo, racconta nel 2010 ai magistrati di Palermo di quegli incontri fra suo padre e i carabinieri, Martelli, la Ferraro e Violante ritrovano i ricordi e ammettono tutto.
Smemorati di Stato. Hanno parlato solo perchè costretti.
Cosa sapevano? Perchè non hanno detto prima di quei contatti fra Stato e mafia? Quali segreti custodivano o ancora custodiscono?
Mentre loro nel 1992 nascondono verità , muore anche Paolo Borsellino.
Il 19 luglio del 1992, cinquantasette giorni dopo Capaci, l’autobomba di via Mariano D’Amelio. Totò Riina scrive il suo “papello”, le richieste di Cosa Nostra per far cessare la strategia stragista in cambio di benefici di legge, nuove norme sul pentitismo, la revisione del maxi processo.
C’è un nuovo governo, il premier è Giuliano Amato. Il vecchio ministro degli Interni Vincenzo Scotti, considerato un “duro”, salta.
E al suo posto viene improvvisamente nominato Nicola Mancino.
La misteriosa cattura di Riina e la seconda trattativa
Il 15 gennaio del ’93 i carabinieri – quegli stessi che stavano trattando con Ciancimino – arrestano dopo 24 anni e 7 mesi di latitanza Totò Riina.
E’ una cattura “strana”. Non perquisiscono il suo covo, non inseguono i suoi complici. Il ministro Mancino annuncia – a sorpresa – l’arresto di Riina qualche giorno prima.
Il sospetto è che Riina sia stato “venduto” da Bernardo Provenzano, l’altro capo mafia di Corleone già in contatto con il senatore Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Berlusconi che con l’aristocrazia mafiosa di Palermo ha rapporti da più di un quarto di secolo.
Si tratta ancora fra Stato e mafia. Provenzano è libero e – secondo le indagini dei pm di Palermo – protetto dai carabinieri che avevano incontrato Vito Ciancimino.
Si tratta ma la mafia alza ancora il tiro. Chiede tanto.
Dopo il ministro dell’Interno salta anche il ministro della Giustizia. Al posto di Martelli arriva Giovanni Conso. E’ il febbraio del 1993.
Dopo l’attentato al giornalista Maurizio Costanzo in via Fauro, c’è la bomba di via dei Georgofili a Firenze: 5 morti e 48 feriti.
È la mafia che diventa terrorismo. Poi gli attentati di Milano e Roma. Cosa sta accadendo in Italia nella primavera-estate del 1993? Chi mette bombe e semina terrore?
Il Presidente della Repubblica è Oscar Luigi Scalfaro, che è stato ministro dell’Interno e che ha come capo della polizia Vincenzo Parisi. In quel momento comincia probabilmente la terza trattativa.
Revocato il carcere duro ai mafiosi
Sotto la regia di Scalfaro vengono improvvisamente sostituiti tutti i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il Presidente della Repubblica in quelle settimane riceve una lettera di minacce dai familiari dei boss in carcere.
Lo Stato in pubblico mostra i muscoli, in realtà cala le braghe.
Nel 1993, dopo le bombe, 441 mafiosi rinchiusi al 41 bis vengono trasferiti in regime di “normalità ” carceraria. Il ministro della Giustizia Giovanni Conso dice che ha deciso tutto “in solitudine”, il sospetto è che abbia ubbidito a una “ragion di Stato”.
E’ in quei mesi del 1993 che gli apparati di sicurezza non riescono a trattare con la mafia in una posizione di forza.
Dopo le stragi siciliane e quelle in Continente, i Corleonesi progettano di abbattere la Torre di Pisa e disseminare le spiagge di Rimini con siringhe infettate dal virus dell’Hiv.
Poi preparano l’attentato allo stadio Olimpico nel gennaio del 1994 per uccidere “almeno 100 carabinieri”.
Il massacro è evitato perchè – altro mistero mai chiarito – il congegno non funziona.
E’ la svolta. La pace fra Stato e mafia è raggiunta. La mafia si placa.
Ha trovato nuovi “referenti”. Sarà una coincidenza – sicuramente una coincidenza – ma per vent’anni la mafia non spara più un colpo. E’ l’Italia di Berlusconi.
Governo dopo governo, è sempre trattativa.
Attlio Bolzoni
(da “La Repubblica“)
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
SOLO IN 84 HANNO DATO LA LORO QUOTA A BACCINI, IN 52 AD ALEMANNO, IN 253 A D’ALEMA…. SU 30 MILIONI DI CONTRIBUENTI
Di destinare il proprio 5 per mille ai politici, gli italiani non ne vogliono proprio sapere. 
Le fondazioni che rispondono ai diversi onorevoli, spesso delle correnti di partito mascherate, hanno incassato quest’anno l’ennesima sonora bocciatura dei cittadini al momento della riscossione dei fondi dell’Irpef, segnando risultati peggiori rispetto ai già magri raccolti delle stagioni passate.
Poche centinaia di firme e qualche migliaio di euro nella migliore delle ipotesi, con somme inferiori allo stipendio mensile di un onorevole.
L’elenco diffuso dall’Agenzia delle Entrate, riguardante il gettito del 2010 distribuito in questi giorni, rappresenta una vera e propria figuraccia per molti esponenti di primo piano dei partiti.
La fondazione Italiani-Europei presieduta da Massimo D’Alema è riuscita a convincere 253 persone (su circa 30 milioni di contribuenti) a destinarle il 5 per mille, per un totale di poco superiore ai 10 mila euro.
Un crollo che sfiora il 50 per cento rispetto al 2009, quando erano stati raccolti quasi 15 mila euro complessivi.
Segno meno anche per la fondazione Nuova Italia del sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha raccolto 52 firme e poco più di seimila euro, perdendo settecento euro dal 2009 e dimezzando i donatori complessivi.
Anno da dimenticare pure per l’esponente del Pdl Mario Baccini, che con la sua Foedus ha raccolto 11 mila euro, quasi tremila in meno del 2009, per solo 84 donatori complessivi.
La fondazione Craxi di Stefania Craxi del Pdl ha invece raccolto oltre 3.500 euro, l’ex ministro Franco Frattini con la sua “Alcide De Gasperi” ha eguagliato gli oltre novemila euro del 2009 (perdendo però per strada 16 donatori) e la fondazione La Malfa dell’onorevole Giorgio La Malfa festeggia addirittura il superamento dei 15 mila euro.
Curiosità da non sottovalutare è l’entità delle donazioni.
Se il 5 per mille degli italiani vale in media 27-28 euro (tanto ricava ad esempio Emergency da ognuno dei suoi oltre 300 mila sostenitori), le persone che finanziano le fondazioni dei politici guadagnano molto di più.
Il donatore tipo della Nuova Italia di Alemanno versa 126 euro, cinque volte la media nazionale, e i gruppi di Baccini e Frattini raccolgono oltre 130 euro pro capite.
Facile intuire che tra i pochi sostenitori ci siano proprio i vari politici che con questa partita di giro finanziano le attività dei loro gruppi.
La vittoria morale di questa annata di 5 per mille va però alla fondazione Amintore Fanfani, che tra i suoi consiglieri annovera il senatore del Pdl Cesare Cursi e il sottosegretario del Governo Monti Antonio Malaschini.
L’anno scorso era riuscita nell’impresa di raccogliere solo una firma e 5 euro di fondi, mentre quest’anno può festeggiare dall’alto dei suoi cinque donatori e 736 euro raccolti.
Non proprio uno spot positivo per un’associazione che conta una trentina tra revisori e consiglieri tra cui cardinali, banchieri e politici: se neppure loro finanziano la fondazione, perchè dovrebbe farlo qualcun altro?
Mauro Munafò
(da “L’ Espresso“)
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DI “A BUON DIRITTO” DENUNCIA LA DISUMANITA’ DI UNA LEGGE CHE PREVEDE FINO A 18 MESI DI PERMANENZA NELLE STRUTTURE, CON BASSA EFFICIENZA E ALTI COSTI….E SOLO IL 47% DEI TRATTENUTI VIENE ESPULSO
C’è una fabbrica in Italia che non funziona, ma brucia 200mila euro al giorno di soldi pubblici.
È la “fabbrica dei clandestini”, la rete dei Cie colabrodo.
Alti costi, scarsi risultati.
Qualche numero: dal ’99 al 2011 per i centri d’espulsione si è speso un miliardo di euro.
Un flusso costante di denaro pubblico che corre parallelo al flusso migratorio: se c’è un mercato che non sente la crisi, ma fiorisce nelle emergenze, è quello del contrasto all’immigrazione irregolare.
Ogni immigrato costa in media 45 euro al giorno, ma ogni centro è un’isola a sè: si va dai 75 euro di Modena, ai 34 di Bari.
I risultati? Deludenti: nell’ultimo anno gli espulsi sono stati meno della metà dei trattenuti, record a Milano e Modena (con percentuali oltre il 60%), maglia nera a Brindisi (ferma al 25%). Insomma, in caso di spending review i Cie soccomberebbero nel calcolo costi-benefici.
A fotografare il pianeta immigrazione è un ampio rapporto (“Lampedusa non è un’isola”) curato da Luigi Manconi e Stefano Anastasia per l’associazione “A buon diritto” col contributo di Open Society Foundations e Compagnia di San Paolo, presentato al Senato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.
Si scopre che gli ospiti dei Cie (88% maschi) sono per lo più tunisini (40%), marocchini (16%) e nigeriani (9%), ma soprattutto che ogni centro fa storia a sè in base alle buone o cattive pratiche degli enti gestori.
Un esempio: nei Cie di Roma e Torino non esistono mediatori culturali, a Milano e Lamezia Terme ce n’è uno solo, mentre a Bologna e Modena il loro numero è sufficiente.
IL FLOP
Nel 2011 la permanenza media nei centri è stata di 43 giorni per immigrato: il prolungamento dei tempi di trattenimento (a 18 mesi) non sembra finora aver avuto effetto.
Non mancano forti disparità : si va dagli 11 giorni di permanenza media a Bologna, agli 81 di Trapani Milo.
Qual è l’efficienza dei centri? Bassa: oggi solo il 47% dei trattenuti viene espulso, che poi è lo scopo dei Cie (con un aumento del 6% in un anno, grazie all’accordo sui rimpatri con la Tunisia). Milano e Modena superano quota 60%, Brindisi si ferma al 25%. Ma è sui costi di gestione che quello dei centri si dimostra un sistema a macchia di leopardo.
IL FIUME DI DENARO PUBBLICO
I centri costano tanto: 985,4 milioni di euro dal ’99 al 2011.
Con il governo Berlusconi la spesa è lievitata: il decreto legge 151/2008 e la legge 94/2009 hanno destinato ai Cie ben 239 milioni e 250mila euro.
Ciascun immigrato trattenuto costa allo Stato 45 euro al giorno e, considerata la permanenza media nei centri, la spesa pro-capite è di 10mila euro.
Ma le spese differiscono molto a seconda degli enti gestori dei centri: si va da un minimo di 24 euro al giorno per migrante nel Cara (centro per richiedenti asilo) di Foggia, ai 34 euro del Cie di Bari, fino ai 75 del Cie di Modena.
Quest’anno però tutte le gare d’appalto si stanno facendo al ribasso.
Nel 2012 per il Cie di Bologna la prefettura ha fissato un tetto massimo di 28 euro al giorno: “Sarà interessante capire – si legge nel rapporto – quali servizi verranno offerti a tale costo”
I BAMBINI FANTASMA
Dal rapporto emergono altri numeri allarmanti. Innanzitutto quello dei minori “fantasma”.
Stando alla testimonianza dell’avvocato Alessandra Ballerini “almeno 200 minori non accompagnati presenti a Lampedusa nel 2011 non sono stati identificati”, nè segnalati alle autorità competenti. Insomma ragazzini invisibili e senza tutele. Non solo.
Crescono i casi di discriminazione razziale: 859 episodi nei primi undici mesi del 2011 a fronte dei 653 dello stesso periodo del 2010 (dati Unar).
E poi le vittime: nel 2011 quasi sei persone al giorno (2.160 in totale) sono morte o risultano disperse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica“)
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
LA SOVRAPPOSIZIONE TRA LA MAPPA WEB DEL PAESE E QUELLA DEI CINQUESTELLE…. BANDA LARGA E INTERNET OLTRE IL 50% AL CENTRO NORD DOVE I GRILLINI HANNO AVUTO LE PERCENTUALI PIU’ ALTE
La diffusione di Internet e dei social network è uno dei motori che spingono la macchina di Beppe
Grillo e del Movimento 5 Stelle.
Fra la penetrazione del digitale e la crescita del nuovo partito (o antipartito) la corrispondenza appare stretta.
Il dato, emerso come ipotesi nei commenti ai risultati elettorali, viene ora documentato con precisione da un’inchiesta del Corriere della Sera basata su una ricerca della società di analisi Between.
Partiamo da quattro indicatori chiave della Società dell’Informazione e dal loro andamento negli ultimi sette anni.
Dal 2005 a oggi, in Italia, gli utenti di banda larga su telefono fisso sono passati dal 14% nel 2005 al 37% della popolazione; i possessori di smartphone da zero al 51%; gli utenti di Internet, il 30% sette anni fa, sono oggi il 55%; infine il popolo dei social network come Facebook e Twitter è passato da zero al 50%.
Quest’ultimo, in particolare, ha fatto un grande balzo tra il 2008 e il 2009 (dal 10% al 34%).
I dati diventano ancor più interessanti se disaggregati per regione.
In generale emerge una distanza notevole tra Centro-Nord e Sud.
Soprattutto, nell’uso della Rete e dei social network.
Gli utenti di Internet sono oltre il 50% nel Centro-Nord, con punte del 59% in Lombardia e in Trentino-Alto Adige, mentre arrivano al massimo al 45% (con record negativi in Puglia e Basilicata del 41-42%) nel Mezzogiorno.
I fan di Facebook e Twitter sono geograficamente distribuiti allo stesso modo, ma con una percentuale particolarmente alta in Lombardia e Lazio.
In questo panorama la Sardegna fa un po’ storia a sè: da un lato l’isola appartiene a pieno titolo al Sud, nei pregi e nei difetti, dall’altro se ne discosta per essere stata culla dell’innovazione digitale: qui, nel 1993, è nato il primo Internet provider italiano (Video on Line di Nicky Grauso, poi ceduto a Telecom Italia); qui è nata Tiscali di Renato Soru, sintesi vivente del binomio tecnologia-politica.
Se ora sovrapponiamo alla carta tecnologica la mappa del Movimento 5 Stelle, ci accorgiamo che il grillismo si è propagato soprattutto nell’Italia digitale.
La nuova formazione ha ricevuto l’impulso più forte nelle regioni del Nord, dove la crescita del web sociale è stata più impetuosa.
A parte Genova, città natale dell’ex comico e del suo movimento (13,86%), ricordiamo La Spezia (10,7%), Belluno (10,38%), Pistoia (10,2%), Piacenza (9,82%), la roccaforte leghista di Verona (9,35%), Bologna (9,5%), Ravenna (9,83%), Rimini (11,32%), per non dire di Parma, dove il movimento ha espresso un sindaco, e di Emilia-Romagna e Piemonte, dove ha esponenti in Consiglio regionale
Tutti luoghi ad alto tasso di Rete.
Come il mitico Nord-Est – un tempo leghista e prima ancora «bianco» – dove, secondo un sondaggio citato dal Gazzettino , il Movimento 5 Stelle sarebbe al 26% delle intenzioni di voto.
O come Milano – la città più cablata d’Europa in fibra ottica con Stoccolma – dove il sindaco Pisapia, nella campagna elettorale che lo portò a Palazzo Marino, si avvantaggiò della capacità dei suoi sostenitori di contrastare sui blog, talvolta deridendola non proprio amabilmente, la sua avversaria Moratti.
E di creare, con gli stessi strumenti, il fenomeno virale del «favoloso mondo di Pisapie».
In questa sovrapposizione di mappe anche i tempi coincidono: il big bang dei social network è avvenuto tra il 2008 e il 2009; ed è a partire dal 2009 che i grillini si sono presentati alle elezioni con diverse liste civiche a 5 Stelle.
«Colpiscono due elementi: non solo la correlazione tra diffusione di Internet e successo del movimento – dice Cristoforo Morandini, partner di Between -. L’altro aspetto è il ruolo di epicentro svolto da Genova, città del leader, nel terremoto politico. Tutto parte dalla Superba, come le mappe evidenziano».
Può al contrario stupire che la regione di Nichi Vendola – il governatore che ha fatto dell’innovazione tecnologica la sua bandiera – non si discosti dal resto del Sud.
«Bari non è la Puglia – osserva però Morandini -: se si confrontano, anzichè le regioni intere, le aree urbane, si vede che le differenze tra Centro-Nord e Sud sono meno marcate. Questo vale per il capoluogo pugliese ma anche per Napoli».
Dai dati esce confermato il carattere metropolitano di Internet: quanto più si vive in Rete (e la città è di per sè reticolare) tanto più si vuole comunicazione, dice Peppino Ortoleva, storico dei media all’Università di Torino.
«La base più rilevante del movimento di Grillo è la generazione esclusa dal lavoro, fra i trenta e i quarant’anni. Abituata a stare in Rete, si sente al tempo stesso protagonista e tagliata fuori. Se mi baso sulla mia esperienza di docente, aggiungo che i più tentati dal grillismo sono i giovani di livello culturale medio-basso, con un modesto livello di diffidenza verso la demagogia e verso l’assenza di proposte concrete».
Un po’ diverso è il parere di Renato Mannheimer.
«In realtà – dice il sociologo – mi sarei aspettato un divario digitale Nord-Sud ben più profondo.
Il voto a Grillo, secondo me, è più accentuato al Nord indipendentemente dalle differenze di penetrazione del web.
L’informatica è un mezzo cruciale, ma un peso più importante hanno i fattori culturali, a cominciare dall’insoddisfazione per i partiti tradizionali e la loro immoralità .
Grillo così raccoglie un elettorato molto eterogeneo: giovane, ma non solo; leghista, di sinistra e anche conservatore».
Edoardo Segantini
(da “Il Corriere della Sera”)
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