Giugno 23rd, 2012 Riccardo Fucile
SOTTO LA LENTE DEGLI INQUIRENTI I BENEFIT MESSI A DISPOSIZIONE DEL GOVERNATORE (YACHT, CENE, VACANZE) E IL PRESUNTO PASSAGGIO DI DENARO DA UN’AZIENDA SANITARIA PRIVATA PER LA SUA CAMPAGNA ELETTORALE
Il governatore della Lombardia Roberto Formigoni è indagato nell’inchiesta della Procura di Milano sui 70 milioni di euro che il polo privato della sanità Fondazione Maugeri ha pagato negli anni al consulente-mediatore Pierangelo Daccò.
La notizia è stata pubblicata sul Corriere della Sera.
Le ipotesi di reato, riporta il quotidiano, sarebbero due: corruzione per la somma dei benefit ricevuti da Daccò e finanziamento illecito per oltre mezzo milione di euro relativi alle elezioni regionali 2010.
La notizia è stata poi confermata all’Ansa che ha aggiunto che la contestazione per corruzione è formulata in concorso con Daccò.
Formigoni ribatte così: ”Provo serenità e tranqullità d’animo, non solo oggi ma sempre”. E ancora: “Non ho nessuna notizia di questa indagine, la notizia ad oggi è destituita di ogni fondamento”. Il presidente della Regione Lombardia ha chiesto al Corriere della Sera ”un’immediata smentita”.
L’inchiesta.
Il finanziamento elettorale illecito, sottolinea il Corriere, sarebbe provenuto da un’azienda sanitaria privata in vista della campagna di Formigoni per le Regionali lombarde.
L’ipotesi di reato di corruzione farebbe invece riferimento ai benefit di ingente valore patrimoniale — vacanze, soggiorni, utilizzo di yacht, cene di pubbliche relazioni a margine del Meeting di Rimini, termini della vendita di una villa in Sardegna a un coinquilino di Formigoni nella comunità laicale dei Memores Domini — messi a disposizione del governatore dal mediatore Daccò.
Le ipotesi di reato di corruzione e finanziamento illecito sono del tutto inedite, come evidenzia il Corriere della Sera.
Sono spuntate nell’ultimo giro di interrogatori alcuni dei quali sono stati secretati. Tra questi quelli di Daccò. In ogni caso, per quanto se ne sa, nè il “mediatore” nè Simone avrebbero fatto ammissioni.
Sospetti anche sulle delibere di giunta.
Ci sono anche alcune delibere varate dalla Giunta regionale nel corso degli anni “nell’interesse” della Fondazione Maugeri alla base delle accuse mosse dalla Procura al presidente Formigoni. In particolare, secondo quanto scrive l’Ansa, i pm milanesi sono arrivati ad ipotizzare nei confronti del governatore la corruzione anche analizzando una serie di provvedimenti “complessi” che hanno ritoccato al rialzo i cosiddetti “drg”, acronimo che sta per “Raggruppamenti omogenei di diagnosi” con il quale si indica il sistema di retribuzione degli ospedali per l’attività di cura, introdotto in Italia nel 1995. Tra i beneficiari di questi rialzi, tra varie strutture sanitarie, rientrava proprio la Fondazione Maugeri.
Per gli inquirenti, questa è l’ipotesi, tali delibere di giunta sulla maggiorazione dei rimborsi sarebbero state la contropartita dei benefit di lusso, come i viaggi esotici e le vacanze su mega yacht, e di “altre utilità ” pagate da Daccò, come da lui stesso a messo a verbale, a Formigoni e al suo entourage.
Questi provvedimenti approvati dalla giunta Formigoni hanno cominciato ad essere affrontati negli ultimi interrogatori e, in particolare, da quanto si è saputo, in quelli resi da Costantino Passerino, l’ex direttore amministrativo della Fondazione arrestato lo scorso 13 aprile assieme, tra gli altri, all’ex assessore regionale Antonio Simone, amico personale del governatore come Daccò.
Le parole di Daccò.
Chiaro che proprio le parole di Daccò abbiano avuto un peso specifico particolare, come rileva il Corriere: Daccò aveva parlato di “aprire le porte in Regione Lombardia”, aveva detto di sfruttare “la mia conoscenza personale con Formigoni per accreditarmi presso i miei clienti”, di muovere «nell’ente pubblico le leve della discrezionalità » cruciali per il riconoscimento agli ospedali delle «funzioni non coperte da tariffe predefinite», cioè del capitolo (pari al 7% del bilancio della sanità per quasi 1 miliardo l’anno) parametrato su attività d’eccellenza e di ricerca in aggiunta ai normali rimborsi delle prestazioni erogate ai pazienti.
Durante l’inchiesta, nata come costola del crac dell’istituto San Raffaele, sono state arrestate finora 7 persone per accuse di vario tipo: associazione a delinquere aggravata dal carattere transazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazioni indebite pluriaggravate, frode fiscale ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Tra le persone finite in carcere due persone ritenute molto vicine al presidente della Regione Lombardia: uno è, per l’appunto Daccò, in cella da novembre, legame tanto stretto che i due hanno passato insieme molti periodi di vacanza; l’altro è Antonio Simone, in carcere dalla scorsa primavera, ex assessore regionale della Dc nei primi anni Novanta, coinvolto nella prima fase di Tangentopoli e infine riemerso come imprenditore immobiliare e consulente del settore della sanità . Simone, peraltro, è un compagno della prima ora di Formigoni, visto che entrambi sono tra i fondatori di quel Movimento popolare, “braccio politico” tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta di Comunione e Liberazione.
La lunga difesa di Formigoni.
Il presidente Formigoni ha più volte respinto qualsiasi ipotesi di coinvolgimento nelle vicende giudiziarie che hanno travolto la sanità della Lombardia e in particolare due colossi come l’Istituto San Raffaele e la Fondazione Maugeri.
L’ultima volta il governatore lombardo ha ribadito che tutte le inchieste riguardavano rapporti tra privati, che nessuna figura pubblica (politica o tecnica) era coinvolta e che Daccò non ha avuto vantaggi dalla Regione per il solo fatto di essere suo amico.
All’inizio di questa vicenda Formigoni aveva spiegato anche di aver solo fatto con Daccò «vacanze di gruppo» ai Caraibi, dove ogni componente della comitiva pagava qualcosa.
Ha fatto il giro di giornali online e tv la conferenza stampa in cui Formigoni diceva di dover controllare le sue agende o le ricevute (salvo poi non trovare verifica) per i rimborsi.
Successivamente Formigoni aveva precisato che «non c’era stato bisogno di alcun conguaglio» con Daccò.
Infine la vicenda della villa in Sardegna.
Il presidente della Lombardia ha spiegato che ha “potuto accumulare risparmi per un milione di euro che ho prestato a un amico» (cioè Alberto Perego) per comprare la villa venduta per 3 milioni a Perego da Daccò due settimane prima del suo arresto.
In Regione non è indagato nemmeno un usciere, aveva ripetuto Formigoni. Ma dopo l’ex dirigente alla Programmazione sanitaria Alessandra Massei, la scorsa settimana è finito sotto inchiesta (e perquisito) anche il direttore generale dell’assessorato alla sanità , Carlo Lucchina.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 23rd, 2012 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE INSIEME AD ALTRE 10 PERSONE… L’INCHIESTA NATA DA UNA DENUNCIA DEL COMMISSARIO LIQUIDATORE DEL CONSORZIO DI BACINO SALERNO DUE
Rifiuti e truffe in Campania, un film già visto in altre sale.
Il Consorzio di Bacino Salerno 2, composto da 40 comuni del salernitano, che aveva competenze nell’attività di raccolta e smaltimento della spazzatura urbana, trasformato in una gigantesca associazione per delinquere finalizzata alla depredazione delle risorse pubbliche.
Facendo la cresta su tutto: sui pieni di benzina, sugli straordinari dei dipendenti, sulle tessere viacard, sui telepass, sugli stipendi e le indennità di presidente e direttore che il comunicato stampa a firma del procuratore capo di Salerno Franco Roberti definisce “sproporzionati rispetto all’attività svolta”. Per danni complessivi per le casse del consorzio che l’inchiesta della Compagnia dei Carabinieri di Salerno ha quantificato in due milioni di euro.
La Procura salernitana nelle scorse ore ha iniziato a notificare 154 avvisi di conclusa indagine, di cui 11 per associazione per delinquere.
Tra questi 11, c’è il consigliere regionale campano Idv Dario Barbirotti, fino al 2010 presidente del Corisa, poi messo in liquidazione, poco prima della sua candidatura in quota dipietrista nella lista di Salerno.
Barbirotti fu tra gli esponenti Idv che più spinse per chiudere l’intesa tra il suo partito e il candidato Governatore del centro sinistra, il sindaco Pd di Salerno Vincenzo De Luca: sulle prime Antonio Di Pietro era contrario, poi si adeguò. E tra gli indagati per il reato associativo ci sono nomi vicinissimi a De Luca. Tra cui Filomena Arcieri, presidente di Salerno Solidale, una municipalizzata del Comune di Salerno che si occupa di servizi socio-assistenziali, all’epoca direttore generale del Consorzio.
E Pellegrino Barbato, presidente di Salerno Pulita, la municipalizzata della raccolta differenziata, all’epoca revisore contabile.
Nel mirino anche i titolari di due pompe di carburante che si erano prestati a un gioco di sovrafatturazione dei rifornimenti degli autoveicoli in uso al Consorzio.
L’inchiesta è durata un anno e mezzo circa ed è nata da una denuncia del commissario liquidatore del Consorzio sulle presunte irregolarità gestionali dell’ente.
Nel mirino degli inquirenti c’è il periodo tra il 2007 e il 2010. Sono indagati anche 143 dipendenti, accusati a vario titolo di truffa, falso e abuso d’ufficio per aver percepito straordinari non dovuti o per aver ottenuto prestiti su buste paga che attestavano stipendi superiori a quelli effettivamente percepiti.
”Sono sorpreso. E non è una frase di rito: ho piena fiducia nell’operato della magistratura”, ha dichiarato a caldo Barbirotti, che si dice però sereno: ”Appena avrò modo di leggere gli atti fornirò tutti gli elementi utili a fare chiarezza al più presto”.
Barbirotti non entra nel merito delle indagini ma su due punti precisa: ”Non ero certamente io a definire l’entita’ del mio stipendio che, invece, era determinato secondo precisi parametri di legge”.
L’esponente dell’Idv ricorda che ”il presidente del Consorzio non aveva compiti amministrativi ma politici. Ho sempre lavorato per scongiurare l’emergenza rifiuti, individuando le discariche necessarie o impegnandomi per far funzionare efficientemente gli impianti”.
Infine: ”Non è il presidente a gestire gli straordinari oppure a verificare le buste paghe al fine della concessione dei prestiti”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 23rd, 2012 Riccardo Fucile
“E’ STATO PRATICAMENTE SCARICATO PERCHE’ CONSIDERATO L’UNICO CAPRO ESPIATORIO”
Sembra quasi una minaccia. “Credo che Luigi Lusi abbia intenzione di raccontare tutto quello che sa, tanto ormai gli accordi politici sono saltati e lui, con il Senato che ha votato l’arresto, è stato praticamente scaricato. Perchè considerato unico capro espiatorio”.
L’avvocato Luca Petrucci, in vista dell’interrogatorio di garanzia di oggi, fa capire quanto sia determinato il senatore: “Sta a lui decidere quanto stare ancora in carcere. Gli atti processuali a suo carico sono arcinoti. Quindi, è nel suo interesse rivelare quello che sa, a patto che ci sia qualcuno dei pm disposto ad ascoltarlo e a fare le dovute indagini”.
“Voglio dire che – precisa Petrucci – Lusi potrà dire a chi ha dato determinate somme di denaro, non che uso, da parte di altri, sia stato fatto di quei soldi. Non ha ovviamente le prove per poterlo dire. Lui può raccontare quello che sa, ma il resto lo deve accertare la magistratura, se ne ha voglia. Altrimenti, è meglio che Lusi stia zitto”.
L’interrogatorio di oggi si annuncia molto lungo anche perchè il gip, Simonetta D’Alessandro, potrebbe non limitarsi a chiedere a Lusi di chiarire le circostanze che hanno portato all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare per associazione per delinquere e l’appropriazione indebita di oltre 23 milioni di euro.
La procura, dal canto suo, evita le polemiche a distanza ed evidenzia “che non è colpa di nessuno se gli accertamenti sui conti della Margherita fin qui eseguiti hanno condotto a Lusi e a lui solo. E non dimentichiamoci che l’ex tesoriere si è limitato ad ammettere la sottrazione dei primi 13 milioni di euro, quando fu sentito la prima volta, senza fornire spiegazioni ulteriori e se poi l’ammanco è lievitato a oltre 23 milioni, questo è dipeso dagli accertamenti che sono stati effettuati, non certo dalle sue dichiarazioni. Se Lusi ha spunti nuovi da darci che non siano le solite illazioni, lo ascolteremo volentieri’
Insomma, si preannuncia un sabato “caldo”.
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Giugno 23rd, 2012 Riccardo Fucile
INCREDIBILE SENSIBILITA’ DELLA BANCA BARCLAYS: NEGATO L’UTILIZZO AI DIRETTORE CONFESERCENTI DI FERRARA “COSI’ NON ACCUMULA DEBITI CHE POI NON E’ MAGARI IN GRADO DI RIPIANARE”
La risposta dell’operatore al numero verde della banca inglese Barclays di fronte alla richiesta di chiarimenti per un pagamento negato è stata tanto franca quanto irritante. “Sa, lei avrebbe potuto aver perso la casa o il lavoro e non essere più in grado di pagare gli acquisti che fa”, è quanto si è sentito dire Alessandro Osti, direttore di Confesercenti Ferrara, città colpita dal terremoto emiliano. €
“Per questo Barclays ha bloccato le carte di chi abita in queste zone – ha precisato l’operatore – perchè la gente non accumuli debiti che non è in grado di ripianare”.
Barclays mette dunque il lucchetto alle carte di credito di chi abita nei paesi terremotati, scongiurando il rischio che i debiti rimangano insoluti.
Intervento di segno opposto alle molteplici iniziative di solidarietà e volontariato che hanno permesso ai paesi colpiti dal sisma di iniziare il lungo cammino per la ricostruzione.
La decisione della Barclays “è una cosa assolutamente spiacevole e antipatica. Non esiste, merita di essere resa nota”, denuncia Osti. “In un momento come questo hanno bloccato le carte di chi abita nelle zone colpite dal sisma per la paura di avere insoluti sugli addebiti degli acquisti, una dimostrazione perfetta della solidarietà delle banche”.
Osti è riuscito a farsi riattivare la carta di credito, precisando che la sua casa non aveva subito danni.
La tessera però non resterà in funzione ancora per molto. “Mi appresto a disdire il contratto- assicura Osti all’agenzia Dire – lo farò nei prossimi giorni”, ovviamente per protesta.
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Giugno 23rd, 2012 Riccardo Fucile
A CAUSA DEL BOOM DEL MERCATO DELLE AUTO, IN CINA TRAFFICO E INQUINAMENTO STANNO AVVELENANDO LE CITTA’…IL GOVERNO LANCIA UN PIANO PER INCENTIVARE L’USO DELLE DUE RUOTE, SIMBOLO DELL’ERA DI MAO
I cinesi, per non soffocare nel traffico, risalgono in sella.
Ai tempi di Mao erano l’icona mondiale della massa a pedali. Su una bicicletta saliva tutta la famiglia e ogni compagno rosso era tenuto a possedere solo due tesori: la tessera del partito e le due ruote.
Pechino, negli anni Cinquanta, stabilì un imbattibile primato: circolavano più biciclette che abitanti.
Negli ultimi vent’anni, con il boom economico, l’addio ai cicli e la conversione all’automobile. Ed ancora un record.
La Cina si è trasformata nel primo mercato auto del pianeta: oltre un milione di vetture vendute ogni mese, domanda superiore all’offerta, multinazionali dei motori in fuga verso l’Oriente e lotterie in diretta tivù per l’assegnazione delle targhe.
Una motorizzazione senza precedenti, incentivata dalle autorità impegnate nella più colossale migrazione interna della storia
Anche la “metropolizzazione” di Stato però, con cinque città -mostro di oltre 90 milioni di abitanti entro il 2020, mostra la corda.
Aria definita «inadatta alla vita umana», guerra sui dati dello smog, ingorghi lunghi centinaia di chilometri e insolubili per mesi, mercati alimentari ambulanti di servizio ai pendolari in colonna.
L’allarme suona così pure nei sondaggi pilotati dalla propaganda: per la nuova classe media della Cina, più numerosa della popolazione europea, traffico e inquinamento sono il primo problema, dopo la corruzione dei funzionari.
Dunque, contrordine compagni: anche il Dragone si tinge di verde, ferma le auto e riscopre le care, vecchie e gloriose biciclette.
Il ritorno al futuro delle due ruote cinesi ancora una volta parte da Pechino.
Il governo ha appena inaugurato i primi 63 punti-noleggio dotati di 2 mila biciclette nei quartieri centrali di Chaoyang e di Dongcheng.
Altri 140 affitti pubblici, con 48 mezzi, sono stati sparsi nel resto della capitale. Entro il 2015 si arriverà a 150 mila cicli di Stato distribuiti in 1000 punti della città e serviti dalla più estesa rete di piste ciclabili del mondo.
Per la seconda economia globale è una svolta: automobili a numero chiuso, targhe alterne e biciclette gratis omaggiate dal partito. Se fino a ieri salire in macchina era la cifra del successo nazionale, oggi diventa snob parcheggiare la berlina tedesca sotto casa e pedalare fino all’ufficio protetti dalla mascherina anti-piombo.
Prima ora di sella in regalo, le successive a prezzi popolari: dieci centesimi all’ora, per un massimo di un euro a giornata. Un solo dovere: esibire un documento, o il permesso di soggiorno, e restituire la bicicletta in uno dei centri aperti dal governo.
Frenare l’invasione dei volanti e convincere i cinesi a reimbracciare il manubrio, è del resto una drammatica necessità . In dieci anni la superficie occupata dalle quattro ruote in Cina è cresciuta 680 volte più rapidamente di quella coperta dalle strade.
A Pechino e a Shanghai i tempi di percorrenza dello stesso tragitto, nelle ore di punta, si sono allungati fino a 12 volte: per un percorso da dieci minuti occorrono due ore.
Il risultato, secondo l’allarme dell’Accademia delle scienze, è il 52% dei cinesi, ormai urbanizzati, sull’orlo di una crisi di nervi e sempre più contrari ai privilegi di leader e funzionari.
La riscossa delle biciclette pubbliche, dalla capitale, dilaga così nelle principali città e nei distretti industriali, dove i colossi di Stato cominciano a offrire agli operai l’abbonamento alla metropolitana e una bici di servizio al posto dell’aumento in busta paga.
Resta, insuperabile, il problema dei numeri: montagne di automobili che invadono ogni spazio, cancellano le piste ciclabili e causano la più alta concentrazione di incidenti mortali nei Paesi in via di sviluppo.
«Prima delle Olimpiadi del 2008 — dice Bay Xiuying, gestore del più grande noleggio bici di Pechino — il governo varò il primo piano di riciclizzazione popolare. In pochi mesi sparirono 60 mila biciclette e gli incentivi economici si riorientarono sulle quattro ruote. Oggi tutto è cambiato: se non si ferma lo smog e non si rimette la gente in movimento, l’urbanizzazione della Cina fallisce. I pedali diventano l’assicurazione sulla vita del potere».
Non l’unica però. Il sogno proibito dei metropolitani è sì la bici, ma elettrica: in quattro anni si è passati da 90 e 160 milioni di cicli a motore, 200 milioni entro il 2015, più 35% all’anno.
È l’esercito dei nuovi eco-cinesi a rischio infarto, terrorizzati da smog e sovrappeso, ma obbligati alla puntualità sul lavoro.
Salute e denaro: i «principi rossi» eredi di Mao spingono il popolo in sella, ma scoprono che non pedala più.
Nemmeno una nostalgia a emissioni zero può salvare Pechino dal virus di un autoritarismo capitalista di successo.
Giampaolo Visetti
(da “La Repubblica“)
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Giugno 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IL COORDINATORE DEI GIUDICI DI PACE A SARONNO SI ALTERNA TRA SENTENZE E LAVORO AMMINISTRATIVO….”AL TELEFONO DICO: VUOLE UN GIUDICE, IL CANCELLIERE, UN COMMESSO O UN IMPIEGATO? FACCIO TUTTO IO”
«Buongiorno, qui è l’ufficio del giudice di pace di Saronno. Vuole parlare con un giudice, con il cancelliere, con un commesso o con un impiegato? Di chiunque abbia bisogno, sta parlando con la persona giusta».
Erminio Venuto, coordinatore dei giudici a pace di Saronno, in provincia di Varese, cerca di sdrammatizzare la situazione buttandola sul ridere: al suo ufficio dovrebbero essere assegnate cinque persone per tutte le mansioni burocratico-amministrative previste dalla legge, ma al momento lui è l’unico in servizio permanente.
Lo si trova a Palazzo di giustizia praticamente sette giorni su sette: «Non posso fare diversamente. Al mattino devo andare all’ufficio postale per ritirare la corrispondenza, talvolta passare in banca e poi rispondere al telefono, ricevere le persone che giustamente si presentano in ufficio pretendendo di essere ascoltate, seguire le richieste di conciliazione — racconta — A tutto questo si aggiungono ovviamente le udienze. Io sono l’unico giudice di pace saronnese che si occupa sia di diritto civile sia di penale e qui si discutono mediamente mille casi l’anno. Porto a casa gli incartamenti da studiare di sera e di notte, perchè il giorno spesso se ne va tra le mille incombenze extra, per le quali tra l’altro non vengo retribuito».
La frenetica routine del giudice Venuto prosegue da ormai due mesi, anche se «la carenza di personale per il nostro ufficio è cronica. Ce ne lamentiamo da almeno 12 anni».
Da aprile l’unica impiegata si è messa in malattia e nessuno l’ha più vista.
«Oltre a me ci sono altri due giudici di pace, ma loro non hanno le stesse responsabilità del coordinatore, quindi vengono due volte alla settimana per le udienze e poi se ne vanno. Siamo tre ufficiali senza nemmeno un soldato — continua Erminio Venuto — Ho sommerso di fax la Corte d’appello di Milano, segnalando l’insostenibilità della situazione, e così sono riuscito a ottenere che un giorno alla settimana venga una persona a darmi una mano».
Un intervento insufficiente, però, anche perchè il giudice tuttofare non gode ancora del dono dell’ubiquità : «Quando sono in udienza non posso certo rispondere al telefon, e quindi i cittadini che chiamano hanno un’impressione di inefficienza del nostro ufficio. D’altra parte chi entra qui trova solo cinque scrivanie vuote. Il servizio che garantiamo risulta per forza di cose inadeguato, ma io non posso proprio fare di più. Apro l’ufficio alla mattina e lo chiudo alla sera, facendo le veci dell’usciere. Non mi sono ancora ritrovato a spazzare i pavimenti, ma di questo passo ci arriverò presto».
Nonostante tutto, comunque, Venuto continua per la propria strada senza cedimenti: «La vita è fatta anche di principi — conclude — Sono quelli e la passione per un mestiere che amo a consentirmi di rimanere ben saldo al mio posto, facendo il mio dovere e non smettendo mai di segnalare a chi di dovere che cosa non va».
Lucia Landoni
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