Giugno 21st, 2012 Riccardo Fucile
“L’ESPRESSO” E’ ENTRATO IN POSSESSO DEL DOCUMENTO RISERVATO COMMISSIONATO DAL CAVALIERE: VIA IL PDL E QUASI TUTTI I SUOI DIRIGENTI, NASCITA DI UNA LISTA CIVICA NAZIONALE CHE DOVRA’ ALLEARSI CON IL SINDACO DI FIRENZE DESTINATO A PALAZZO CHIGI
Il documento circolava ieri riservatamente nell’aula di Palazzo Madama mentre i senatori si apprestavano a votare per l’arresto di Luigi Lusi.
Appena arrivato da Milano, top secret, affidato soltanto a un ristrettissimo gruppo di notabili berlusconiani. Nessun file, solo carta, come ai bei vecchi tempi.
Otto pagine dattiloscritte più la copertina, titolo “La Rosa Tricolore”, sottotitolo “Un Progetto per Vincere le elezioni politiche 2013”.
E il simbolo, una rosa stilizzata con i petali rossi, bianchi e verdi su tutte le pagine.
Dopo giorni di indiscrezioni sempre smentite, ecco per la prima volta messo nero su bianco il piano di Silvio Berlusconi per superare indenne il disastro del Pdl, dato in picchiata nei sondaggi, e provare a vincere alle prossime elezioni, tra un anno o nel 2012 «nel caso di voto anticipato», si legge nel documento, nell’eventualità più che mai attuale che il governo Monti venga fatto cadere.
Un piano in tre mosse.
Primo, azzerare l’attuale Pdl, considerato in blocco «non riformabile» insieme a tutti i suoi dirigenti (con un singolare eccezione: Denis Verdini).
Secondo, costruire un network di liste di genere (donne, giovani, imprenditori) tutte precedute dal logo “Forza”.
E, infine, l’idea più clamorosa: candidare un premier a sorpresa, pescato come nel calcio mercato dalla squadra avversaria: non Luca Cordero di Montezemolo nè Corrado Passera nè tantomeno il povero Angelino Alfano.
Ma il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi, oggi candidato in pectore alle primarie del Pd.
Pdl tutti a casa. E senza tv.
Il presupposto dell’operazione Rosa Tricolore è la catastrofe dell’attuale centrodestra e del partito azzurro.
«Il Pdl», si legge, «appare non riformabile e i suoi dirigenti hanno un tale attaccamento alla proprio posto di privilegio da considerare come fondamentale la sopravvivenza solo di se stessi. Miracolati irriconoscenti appiccicati sulle spalle di Berlusconi».
Il rischio è che la sconfitta del Pdl trascini con sè anche «la fine politica» del Cavaliere.
E non solo: «La sconfitta toglierebbe a Berlusconi la sola protezione contro chi lo vuole morto finanziariamente, giudizialmente e fisicamente».
Insomma, i capi del Pdl, pur di non soccombere, condannerebbero al patibolo il loro creatore Silvio. Con alcune eccezioni.
Più di tutti, Denis Verdini, «che ha dimostrato capacità di lavoro e di risultato organizzativo ed operativo», ma anche il coordinatore lombardo Mario Mantovani. Soluzione radicale: «la sola svolta possibile sarebbe le loro dimissioni dai ruoli di partito, la loro scomparsa dai giornali e dal video e la loro non ricandidatura», eccezion fatta per chi ha un solo mandato.
Insomma, si salva Maria Rosaria Rossi.
E a casa, e pure senza telecamere, i «professionisti della politica»: La Russa, Gasparri, Frattini, Quagliariello, Cicchitto, Matteoli, Brunetta, Sacconi…
E naturalmente il segretario Alfano, «che aveva la possibilità di dimostrare la sua leadership e invece non ha fatto nulla dimostrando di far parte a pieno titolo della vecchia classe dirigente che i cittadini chiedono che venga sostituita con facce nuove giovani e non».
Dalla Brambilla a Marco Rizzo
Un progetto di rottamazione? Molto di più: il Piano di Rinascita Berlusconiana si richiama esplicitamente a Beppe Grillo.
Un movimento leggero, solo nazionale, senza apparati regionali, costi bassissimi, senza finanziamento pubblico e, svolta epocale per Sua Emittenza, con la Rete al posto della tv.
Un network che mette insieme lo spirito vincente di Forza Italia ’94 e la lezione di 5 Stelle.
Organizzazioni di genere: «Forza Donne. Forza Imprenditori. Forza Giovani».
E poi studenti, pensionati, pubblici dipendenti. Tutti raggruppati in un movimento nazionale, le cui ipotesi di nome sono Forza Silvio oppure Forza Italiani.
Una lista del genere, si calcola, potrebbe valere con quel che resta del Pdl il 28-30 per cento dei voti.
Cui andrebbero aggiunti i consensi raccolti dal bouquet di liste fiancheggiatrici già pronto. Si va dalla Destra di Storace alla lista Sgarbi (“Rivoluzione”) ai pensionati alle new entries.
La lista Santanchè, gli animalisti della Brambilla, una fantomatica nuova Alleanza democratica con gli ex dc, una Lista Sud e una Lista Nord («se salta l’accordo con la Lega») e la nuova di zecca Siamo Italia affidata all’ex supercommissario Guido Bertolaso.
Tutte insieme le liste pro-Silvio potrebbero toccare tra il 37 e il 42 per cento. Competitive con Grillo, che scenderebbe al 12 per cento.
E soprattutto con il Pd e con il centrosinistra oggi dato per vincente.
Contando anche su qualche quinta colonna nel campo avversario: per esempio il comunista Marco Rizzo.
Per togliere voti alla coalizione di Bersani «potrebbe essere di interesse sostenere la presenza del gruppo di Marco Rizzo affinchè si presenti alle elezioni politiche». Quando si dice la doppiezza: Berlusconi anti-comunista nelle piazze, sponsor di Rizzo nelle stanze dei patti elettorali.
Matteo nuovo Silvio
Ma la sorpresa più grande il Piano B. la riserva quando si arriva a parlare di chi potrebbe essere il prossimo candidato premier.
«Fermo restando che nessuno potrebbe svolgere questo compito meglio di Berlusconi, questo vale solo se lui sente il grande fuoco dentro di sempre». Se invece il fuoco del Cavaliere fosse intiepidito, sarebbe meglio pensare a un nome nuovo.
Alfano? «Non crea trascinamento e emozioni». Montezemolo? «Troppo elitario e tentennante». Passera? «Privo di carisma e di capacità decisionali forti. La permanenza nel governo Monti non lo aiuta».
E allora la sola cosa da fare, «folle, geniale», è schierare il campione del campo avverso: «Il solo giovane uomo che ci fa vincere: Matteo Renzi».
Il sindaco di Firenze? Ma non è del Pd? Certo.
Ma chi ha scritto il documento ricorda con lucidità che il rottamatore è inviso ai dirigenti del partito e alla Cgil, mentre è apprezzato dagli elettori del centrodestra.
«Se Berlusconi glielo chiedesse pubblicamente non accetterebbe. Sarebbe un errore fare una richiesta pubblica da parte del leader», che pure conosce e stima Renzi, annota il testo, ricordando gli incontri di Arcore tra il sindaco e il Cavaliere.
«Bisogna che Renzi si candidi da solo con la sua lista Renzi e che apra a tutti coloro che condivideranno il suo programma (ovviamente preventivamente concordato). A quel punto la nuova coalizione di centrodestra si confronterà con lui e deciderà di sostenerlo per unità di vedute e di programmi».
Lista Renzi e Forza Silvio insieme.
E le primarie annunciate del Pd, dove Renzi dovrebbe sfidare Bersani?
Non si faranno mai, scommettono gli autori del documento, che si ritengono ben informati.
Nuovi inni e vecchi condoni
Il programma. I punti forti sono da berlusconismo d’antan.
Via le tasse dalla prima casa, via le intercettazioni e carcere preventivo, via i limiti troppo stretti per l’uso dei contanti.
E poi abolizione di Equitalia, un «grande condono» e presidenzialismo.
Ma la rivoluzione sarà nella forma: un programma già composto di disegni di legge da approvare senza emendamenti entro cento giorni per le leggi ordinarie e dodici mesi per le leggi costituzionali.
E poi, sembra una notazione frettolosa, c’è da eleggere il Presidente della Repubblica. Il candidato non è specificato, ma si può immaginare chi sia.
Un piano così minuzioso non poteva dimenticare la colonna sonora, i gadget e le parole d’ordine. L’inno «sarà quello di Forza Italia adeguato al nuovo nome».
E c’è già l’indirizzo web: rosatricolore.it che si aggiunge ai già esistenti forzasilvio.it e forzaitalia.it
Il circolo Dell’Utri
Fantapolitica? Se lo chiedono alla fine anche gli estensori del Piano. E ci sarebbe da pensarlo se non fosse per altri indizi che portano direttamente nel cuore di Arcore e di Palazzo Grazioli.
A registrare il domino web di Rosa Tricolore il 23 aprile scorso è stato Diego Volpe Pasini, da ormai quasi due anni fra i più intimi consiglieri dell’ex premier. Imprenditore dalle alterne fortune, cinquantuno anni, romano di nascita ma friulano di adozione, tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, animatore della lista Sgarbi, dopo anni burrascosi è rientrato nell’inner circle di Berlusconi forte degli antichi rapporti con il senatore Marcello Dell’Utri, mai interrotti nel corso degli anni, e di una più recente amicizia con il coordinatore Verdini.
E’ lui il probabile estensore del Piano, partorito all’interno della fondazione che è stata incaricata da Berlusconi di rinnovare il Pdl.
Da mesi lavorava in silenzio, questo è il primo risultato.
Che dimostra come per tornare a vincere bisogna ripartire dagli amici di sempre, quelli che fondarono Forza Italia. Dell’Utri e il suo sodale della P3 Verdini, per esempio.
Il futuro ha un cuore antico: anche per Berlusconi.
Tommaso Cerno e Marco Damilano
(da “L’Espresso”)
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Giugno 21st, 2012 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI FINALE EMILIA: “SE NON CI AIUTANO SUBITO, QUI SCOPPIA LA RIVOLTA”… SONO DECINE I BAMBINI, IN GRAN PARTE FIGLI DI IMMIGRATI, CHE VIVONO NELLE TENDOPOLI
Erano le quattro, tre minuti e 52 secondi di un mese fa quando la pianura padana scoprì all’improvviso di essere quello che non credeva di essere: una zona sismica. Appena un mese fa, il 20 maggio.
Le troupe televisive sono già sparite da Finale Emilia, San Felice sul Panaro, Mirandola, Cavezzo, Medolla, Novi di Modena: e pensare che c’era perfino Al Jazeera.
Pure i giornali si sono un po’ dimenticati: sulle prime pagine di ieri non c’era una riga sul terremoto.
«Mi avevano proposto un collegamento in diretta dalla piazza del paese con la Nazionale per la partita di lunedì», dice Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia, «ma non ci sono andato. Lo spettacolo non mi interessa. Se parliamo di cose serie, ad esempio di defiscalizzazione per aiutare le nostre imprese a ripartire, benissimo. Se dobbiamo fare miss Italia, no».
Finale Emilia è stato l’epicentro della prima scossa. La sua Torre dei Modenesi, quella con l’orologio spezzato in due, è diventata il simbolo del terremoto: ma solo per qualche ora, perchè poi un’altra scossa l’ha buttata giù del tutto.
È crollato anche il municipio con la torre campanaria, e così le chiese: dieci su dieci. Una donna di 38 anni per lo spavento ha perso il bambino che portava in grembo, e dopo qualche giorno è morta anche lei.
L’ottanta per cento delle aziende sono ferme: le guardi da fuori e ti sembrano intatte, ma dentro è successo il finimondo.
I forni per le ceramiche – roba da chissà quante tonnellate – si sono spostati e alzati da terra; la fabbrica dell’Averna a Finale ha perso settecentomila bottiglie di liquore. «Il mio paese ha 16.200 abitanti», dice il sindaco, «ma sono pronto a scommettere che presto diventeranno meno di 15.000. Se ne andranno in tanti perchè mancherà il lavoro».
Racconta che la notte del 20 maggio era in casa con il suo bimbo di tre anni, «che per fortuna non si è svegliato»: sembrava un bombardamento, una scossa dopo l’altra, lui ha mandato un sms alla suocera ed è riuscito a portarle il bambino, poi è corso in piazza «ed era la fine del mondo», Finale Emilia che all’improvviso, in mezzo alla notte, era più trafficata di Roma, tutti in macchina.
Ma l’Emilia è una terra che sa portare la croce senza esibirla.
Chi viaggia verso Finale, a lungo non si accorge di tanto dolore.
La Bassa diffonde il suo solito senso di pace.
Chi esce a Modena nord e segue i cartelli per Finale nelle strade dei campi, vede scorrere ai fianchi i rassicuranti villini con i loro giardinetti, le trattorie di paese, i vigneti di Sorbara dove si fa il Lambrusco.
A San Michele, frazione di Bomporto, tutto è ancora intatto, solo la vecchia chiesa pare pendere da un lato.
Il primo segno del disastro lo vedi a una ventina di chilometri da Finale, in una località che si chiama Camposanto: il centro del paese è chiuso, lo devi bypassare con una deviazione, ma alla fine del giro un cartello ti riporta alla normalità : «Vendita cocomeri e meloni». In località Cadecoppi un altro cartello ha invece già il sapore dell’sos: è di un ristorante e fa capire che hanno bisogno di lavorare, «Questa sera siamo aperti».
È dopo la località Cabianca («Cà¡ biènca») che il paesaggio cambia davvero: «Polo industriale Finale Emilia», dice un cartello. I capannoni sono tutti su. Ma si capisce che sono inanimati. Anche chi potrebbe avere l’agibilità , per ora non riapre.
Chi si fida? Già incombeva la crisi, ora c’è pure l’incubo di nuove scosse: e le categorie di studiosi incaricate di analizzare i due fenomeni, l’economia e i terremoti, non brillano ahimè per preveggenza.
Nei suoi viali d’ingresso Finale sembra un paese normale: si vede qua e là qualche cascina sbriciolata, ma le case appaiono perfette.
Poi però cominci a vedere le tende. I campi allestiti dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa sono cinque, e lì dentro la vita non è facile. Sono in otto per ogni tenda. Intimità , zero. Morale, a non aver niente da fare tutto il giorno, sotto zero. E adesso è arrivato pure il caldo.
Antichi dissapori riemergono: l’altra sera c’è stata una lite fra marocchini e ghanesi. Le scosse che continuano, poi, non aiutano a stemperare il nervosismo: lunedì ce n’è stata una di 3,2, era mezzanotte e non è stato facile riprendere sonno.
Quanti sono gli sfollati qui a Finale?
Ufficialmente quattromila, in realtà quasi tutti i sedicimila abitanti, perchè anche chi non ha la casa inagibile ha paura e dorme in macchina, oppure si è organizzato in tenda per conto proprio, oppure ancora se ne è andato lontano, fuori dal «cratere», da parenti o amici. Il centro storico è completamente chiuso: «zona rossa».
Ma anche il quartiere dei supermercati è messo male: ed è inagibile pure l’ospedale.
Eppure c’è chi sa trovare del bello: «Vedo la nostra gente forte e coraggiosa, vedo una straordinaria solidarietà », dice don Luca, un giovane prete.
Scorge segnali che solo la fede può scorgere: «Il nostro patrono, San Zenone, ci protegge: la sua statua sul palazzo del Comune, che è crollato, è rimasta intatta. Così come quella della Madonna delle Grazie: anche lei non si è mossa nonostante fosse all’interno del Duomo, che è gravemente danneggiato».
Don Luca ha meno fiducia in un altro genere di statue: «La nostra gente ripartirà subito se la burocrazia non si mette di mezzo. Oggi il terremoto più tremendo è quello lì: la burocrazia».
«Io sto sburocratizzando tutto», dice il sindaco Ferioli, «ma adesso abbiamo bisogno di aiuti concreti. Sa quanti soldi ci sono arrivati fino ad ora? Zero. E stiamo pagando tutto noi, dalle messe in sicurezza ai cinquemila pasti al giorno. Però così le casse del Comune tra poco saranno vuote».
Si prospetta una scelta difficile: «In teoria, dal primo ottobre dovrei chiedere l’Imu ai miei cittadini. Ma secondo lei posso far pagare le tasse sugli immobili a gente che sta fuori casa, o a ditte costrette a rimanere chiuse? Guardi, la situazione è brutta, e se non si muovono qui presto ci sarà una mezza rivolta».
Ecco perchè in Emilia hanno paura che di questo terremoto ci si sia già un po’ dimenticati.
Michele Brambilla
(da “La Stampa”)
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Giugno 21st, 2012 Riccardo Fucile
SI COMINCIA SEMPRE DAL TESORIERE: EFFETTO GRILLO E PAURA DEI FORCONI… IL PRIMO (E UNICO) A PAGARE NEL PALAZZO RIDOTTO A CITTADELLA ASSEDIATA
Da qualcuno bisognava cominciare. Magari ti puoi chiedere perchè Lusi sì e Belsito no, per dire. Oppure perchè no il Trota.
Ma da qualcuno bisognava cominciare. E in faccende così, in genere, si comincia dai tesorieri. Anche Tangentopoli – iniziata per caso con Mario Chiesa, il «mariuolo» – si mostrò per quel che era grazie ai tesorieri: e Severino Citaristi, storico e mite custode delle casse Dc, settantadue avvisi di garanzia e un arresto (giusto nel giugno di 18 anni fa) ne divenne infatti il simbolo. Stavolta tocca a Luigi Lusi, un’infanzia da scout e una faccia da allegrone.
Lusi è accusato di aver sottratto per “suo beneficio” oltre 22 milioni di euro dalla cassaforte della Margherita, nei dieci anni in cui ne è stato tesoriere.
Ieri sera, qualche istante prima delle 20,30 – in una calura che ancora toglieva il fiato, e con la stessa grisaglia che aveva un’ora prima al Senato – Luigi Lusi è entrato nel carcere di Rebibbia. Aveva salutato moglie e figli prima di recarsi a Palazzo Madama: e per evitare tragedie a casa si è costituito, prendendo di sorpresa perfino gli inquirenti.
Ha dovuto attendere un po’ che uomini della Guardia di Finanza arrivassero e gli notificassero l’ordinanza di custodia cautelare: poi gli hanno preso le impronte digitali, lo hanno fotografato di fronte e di profilo, e lo hanno condotto nella cella che gli era stata preparata.
Nell’aula del Senato, un paio di ore prima, aveva parlato senza lasciarsi mai andare alla retorica, a una frase pietosa o a cose del tipo “Ho un onore da difendere”.
Quel che gli premeva difendere era la logica: com’è possibile che nessuno al vertice del mio partito sapesse niente, si accorgesse di niente, sospettasse di niente, tanto che ora tocca solo a me rispondere di tutto questo?
E difendeva la legittimità di un cattivo pensiero: mi hanno indagato a marzo per appropriazione indebita, ma per potermi arrestare ci hanno aggiunto a maggio – l’associazione a delinquere, vi pare normale tutto ciò?
Poi, affinchè buon intenditor intenda, un lungo richiamare «patti fiduciari disconosciuti», «comune assenso nella gestione dei flussi finanziari», «rapporti di fiducia ora messi in discussione»…
Non c’è stato niente da fare.
E diciamo pure che ci vuole una discreta sfortuna a finire – inaspettatamente – nella parte di «agnello sacrificale».
Tra i pochi a dire no all’arresto di Lusi (il Pdl ha pilatescamente deciso di non votare…) si sono infatti distinti i nomi dei senatori Sergio De Gregorio, Alberto Tedesco e Marcello Dell’Utri, che agnelli sacrificali non lo sono diventati per un pelo.
Altri tempi, anche se alcuni casi sono recentissimi.
Quello di Luigi Lusi, infatti, è senza alcun dubbio il primo arresto – se possiamo dir così – dell’«era Grillo».
Ieri, al Senato, se ne mormorava nervosamente alla buvette. E qualcuno parlava addirittura di «effetto Grillo»: proprio come una ventina di anni fa si temeva quello di Di Pietro.
L’«effetto Grillo» sarebbe il punto di caduta, la trasformazione dallo stato gassoso a quello solido, di un discredito e di una sfiducia – nei confronti della politica quasi tout court – che vengono da molto lontano.
Ora, però, quei sentimenti si sono trasformati in rabbia, hanno trovato un volto attraverso il quale rappresentarsi ed ogni difesa, ogni argine – nell’accerchiatissima cittadella politica – è ormai impossibile.
«Se il Senato non vota per l’arresto, si rischia che la gente venga qui con i forconi», aveva avvisato Rutelli; «Dobbiamo evitare il linciaggio», aveva concordato qualcun altro.
Ieri, a voto di condanna espresso, Enzo Carra – storico portavoce di Arnaldo Forlani, arrestato a sua volta, uno insomma che sa di che parla – ha tradotto il tutto in un’immagine spietata e melanconica: «Il Senato ha votato contro il suo Schettino: un uomo solo muoia perchè tutti gli altri vivano».
Dunque, da qualcuno bisognava cominciare: e al Senato hanno deciso di cominciare da Luigi Lusi.
Che naturalmente se lo merita per gli spaghettini al caviale, le ville, le case e le vacanze lussuose: tutte naturalmente a spese della Margherita – secondo le accuse – e cioè a spese nostre, o almeno di quelli che pagano le tasse.
Il problema, per qualcuno, potrebbe consistere nel fatto che – dopo che hanno cominciato loro – adesso possa cominciare lui, Lusi: uno che avrà pure la faccia da allegrone ma non sembra disposto a portare la croce da solo, a trasformarsi – insomma – nel Primo Greganti del terzo millennio.
Già nell’aula del Senato (discorso dattiloscritto, quindi a lungo preparato) aveva fatto intendere che – Grillo o non Grillo – nessuno poteva giocare a fare Alice nel paese delle meraviglie: «Non si è mai visto un gruppo dirigente disconoscere ordinarie modalità gestionali». «E quante telefonate da Rutelli per sottrarre firme alla richiesta di voto segreto».
«Qualcuno, in quest’aula, è in evidente conflitto d’interessi: e per correttezza dovrebbe non votare».
Poi una obliqua citazione: «Come scrive il poeta, cos’è un ricordo? Niente, non puoi vederlo, non puoi toccarlo. Eppure, non puoi cancellarlo… ».
Ricorda qualcosa Luigi Lusi? E’ questo quel che gli viene chiesto fuori dall’aula, a sentenza ormai emessa.
Ha detto ai magistrati tutto quel che sapeva?
Prima di rispondere, si concede – fedele al personaggio – una battuta: «Sapete ora dove devo andare… Fatemi andare, altrimenti diranno che sto facendo altri otto viaggi alle Bahamas».
Poi però risponde: «No, non ho detto tutto. Ci sono una marea di approfondimenti che, se i giudici vogliono, sono disposto a fare».
Ognuno la può intendere come vuole.
Il sospetto è che non pochi, però, la stiano intendendo assai male…
Federico Geremicca
(da “La Stampa“)
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Giugno 21st, 2012 Riccardo Fucile
IL SENATO VOTA SI’ ALL’ARRESTO 155 A 13, IL PDL NON VOTA… E’ DAVVERO GIUSTIZIA UGUALE PER TUTTI?
Luigi Lusi è in carcere a Rebibbia. Il Senato ha autorizzato l’arresto per l’ex tesoriere della Margherita.
Il voto è arrivato dopo una giornata tesa, con polemiche e interventi “velenosi” in aula.
Poi lo scrutinio palese: 155 i “sì”, 13 i “no” e un astenuto.
E’ la prima volta che i senatori votano nominalmente su una richiesta d’arresto. Il Pdl, come annunciato durante la riunione di questo pomeriggio, ha abbandonato l’emiciclo.
Il primo commento: “Sto vivendo un incubo, voglio rispetto”. Poi aggiunge: “Non ho detto tutto”.
Prima del suo intervento, l’ex tesoriere della Margherita ha rivelato di avere ricevuto tanta solidarietà , “più di quanto possiate immaginare”.
Poi, durante il suo intervento in Aula: “Non intendo sottrarmi alle mie responsabilità e non intendo affatto sottrarmi al processo. Mi si vuole mandare in carcere perchè, parlando con i media, inquinerei il percorso investigativo. Non c’è altra motivazione”.
Ma “il legislatore – ammonisce Lusi – deve tenere distinta l’autorizzazione alla misura cautelare dall’istituto, ancora non previsto, dell’anticipazione della pena”.
Non manca una richiesta: “Non fatemi diventare un capro espiatorio”. L
‘ex tesoriere entra nel merito delle accuse.
Chiamando in causa i vertici della Margherita. “La gestione dei flussi finanziari è stata effettuata per comune assenso al fine di accantonarle per le attività politiche di diversi esponenti del partito”.
Dopo il voto, il messaggio a Rutelli: “ha avuto la decenza di non votare a favore del mio arresto”.
E dopo il voto del Senato, Lusi è un fiume in piena. “Sto vivendo un incubo, voglio rispetto”.
Poi. sulle indagini: “Non ho detto tutto, c’è una marea di approfondimenti da fare”.
L’ex tesoriere aspetterà nella sua villa di Genzano l’ordine di esecuzione dell’arresto che gli sarà consegnato dalla Guardia di Finanza.
Poi l’analisi del voto: “Sulla mia testa si è giocata una partita politica molto ampia”.
Poi aggiunge: “Ho notato che se la Lega non fosse rimasta in aula sarebbe probabilmente mancato il numero legale, così come ho visto che Enzo Bianco ha votato. Almeno Rutelli ha avuto l’intelligenza di non votare”.
Ancora: “Io voglio combattere”. L’ex tesoriere della Margherita, lasciando palazzo Madama, si è congedato dai giornalisti con la frase: “Ora lasciatemi andare dove devo andare”.
Ecco i senatori che hanno votato contro la richiesta di autorizzazione all’arresto nei confronti di Luigi Lusi come risulta dai tabulati del voto.
Per il Pdl: Diana de Feo, Sergio De Gregorio, Marcello Dell’Utri, Marcello Pera, Guido Possa, Piero Longo.
Per il gruppo di Coesione Nazionale: Valerio Carrara, Mario Ferrara, Salvo Fleres, Massimo Palmizio, Riccardo Villari.
Per il Gruppo Misto: Antonio Del Pennino e Alberto Tedesco.
Potrebbe svolgersi già nella giornata di domani l’interrogatorio di garanzia in carcere per il senatore Luigi Lusi.
L’ex tesoriere comparirà davanti al gup Simonetta D’Alessandro, che il 3 maggio firmò il provvedimento con cui chiedeva l’arresto per il reato di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita.
“L’arresto di Lusi? “Ho sempre detto che senatori e deputati sono uguali agli altri cittadini”. Così il segretario del pd, Pier Luigi Bersani.
Tra i primi a commentare, l’ex ministro degli Interni, Roberto Maroni. “E’ andata come doveva andare. L’arresto è sempre una brutta cosa ma non c’erano alternative”.
Per Felice Belisario, Idv, “il Pdl ha fatto come Ponzio Pilato: se ne è lavato le mani con un comportamento molto grave. Gli italiani sapranno valutare”.
Il commento del nostro direttore
UNA OCCASIONE PERSA PER METTERE SOTTO ACCUSA IL SISTEMA POLITICO NEL SUO COMPLESSO
Su questa vicenda occorre dire qualcosa controcorrente.
Intanto i partiti hanno votato Sì al carcere per Lusi solo per paura di perdere consensi a favore della demagogia grillina, senza entrare nel merito.
Tale è ormai il timore di perdere voti in primavera, alle imminenti politiche, che avrebbero mandato a Rebibbia anche la propria madre.
Un commento ci sembra sia stato azzeccato, quello di Enzo Carra, Udc, su Twitter: “Il Senato ha votato contro il suo Schettino. Un uomo solo muoia perchè tutti gli altri vivano”.
E’ giustizia quella che fa di Lusi il capro espiatorio di una allegra gestione dei fondi della Margherita quando il suo bilancio era stato contestato da Parisi e altri già un anno fa?
Quando esisteva un collegio di revisori dei conti che non ha revisionato un bel nulla?
Quando in altri tempi si sarebbe detto che Rutelli “non poteva non sapere”? Quando pare dimostrato che centinaia di migliaia di euro sono stati devoluti per finanziare campagne elettorali di altri esponenti della ex Margherita (compresi Rutelli, Franceschini, Bindi e Bianco, a leggere i resoconti sui media)?
Lusi ha fatto i suoi affari illeciti, ma siamo certi che non fosse il terminale di una prassi diffusa?
Questo lo stabilirà il giudice, certo. Ma pare anomala la necessità di arrestare dopo mesi Lusi, quando non vediamo come avrebbe potuto inquinare prove o reiterare il reato, mentre altri suoi ex sodali si sono travestiti da suoi carnefici.
Vogliamo chiederci che giustizia vige in Italia se Lusi deve essere arrestato, mentre Belsito no?
Come mai Lusi deve anticipare la pena a Rebibbia, mentre qualche sera fa abbiamo visto il buon Belsito dilettarsi nella sua discoteca Sol Levante di Lavagna di cui ha acquistato recentemente una quota societaria per centinaia di migliaia di euro?
E i lingotti d’oro, i conti esteri, le cifre non giustificate, i rapporti con la ‘ndrangheta di cui i giudici hanno parlato, non sono aspetti tali da far temere l’inquinamento delle prove?
E l’origine della disponibilità finanziaria di Belsito da dove deriverebbe?
Vorremmo solo capire se esiste un criterio oggettivo nelle valutazioni della “pericolosità sociale” di un imputato oppure no.
Perchè un conto è la richiesta di arresto di un politico per associazione mafiosa, laddove fosse provata, altra cosa il caso Lusi dove sarebbe stato sufficiente un processo per direttissima in modo che uno sconti subito la eventuale pena comminata.
Possibimente verificando eventuali connivenze e complicità .
Altrimenti resta la brutta sensazione che si sia voluto trovare un capro espiatorio, “un uomo solo che muoia perchè tutti gli altri vivano”.
Un occasione persa per “vedere oltre” e chiamare in correità un sistema politico che genera mostri.
Avrebbe potuto essere,. per un nuovo movimento politico, l’occasione di differenziarsi con un’analisi seria e non superficiale.
Non sempre accodarsi al branco è la via giusta: il coraggio politico certe volte alla lunga paga di più.
Ma come diceva don Abbondio “se il coraggio uno non l’ha, non puo certo dimostrarlo”.
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Giugno 21st, 2012 Riccardo Fucile
IL COMUNICATO DI “LIGURIA FUTURISTA”
Liguria Futurista esprime piena e convinta solidarietà a Flavia Perina, per le critiche che le sono state rivolte, al’interno di Fli, a causa della coraggiosa adesione a iniziative contro l’omofobia.
“Quest’anno – aveva detto Flavia – una netta presa di posizione su questi temi è addirittura più importante che in passato: l’affossamento della legge sull’omofobia in parlamento, il ripetersi di aggressioni omofobe, l’immobilismo italiano in un contesto europeo che punta a diritti di cittadinanza uguali per tutti rendono indispensabili scelte nette. Pertanto Futuro e Libertà sostiene anche quest’anno il Gay Pride”.
A chi si scandalizza per una dichiarazione peraltro in sintonia con le posizioni storicamente espresse da Fli e con quelle di una moderna destra europea, vorremmo porre alcune domande.
Come mai non si sono vergognati di votare in parlamento il respingimento dei profughi in mare, procedura vietata dalle leggi internazionali, che spesso ha determinato l’affogamento di esseri umani e svariate condanne del nostro Paese da organismi sovranazionali ?
Come mai non si sono vergognati di approvare norme razziste con la Lega ?
Come mai qualcuno non ha mai dato spiegazioni su cenette ristrette con attenzionati dalla Dia o soggetti oggi colpiti da mandato di cattura internazionale ?
Di questo si scandalizza semmai l’elettorato di Fli, non certo della solidarietà rivolta a chi reclama diritti civili senza dar fastidio a nessuno.
LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di Presidenza
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PERINA: “SOSTEGNO AL GAY PRIDE”, MA IN FLI E’ SCONTRO
“Quest’anno – spiega Flavia Perina (deputata di Fli e responsabile per i “diritti civili e integrazione”) – una netta presa di posizione su questi temi è addirittura più importante che in passato: l’affossamento della legge sull’omofobia in parlamento, il ripetersi di aggressioni omofobe, l’immobilismo italiano in un contesto europeo che punta a diritti di cittadinanza uguali per tutti rendono indispensabili scelte nette».
E dunque, «Futuro e Libertà sostiene anche quest’anno il Gay Pride», annuncia l’ex direttore del Secolo d’Italia.
Ma ecco che nel giro di pochi minuti piovono i distinguo, segno che nel movimento nato dallo strappo con il Pdl, su alcuni temi “sensibili”, le posizioni sono diverse e talvolta distanti.
«Con tutto il rispetto per Flavia Perina, la sua è una dichiarazione tutta personale», dice il coordinatore nazionale Roberto Menia.
Posizione condivisa dal vicepresidente del partito, Italo Bocchino, secondo il quale un conto è «battersi per i diritti degli omosessuali, tenendo sempre distinte tali coppie dalla famiglia», e altra cosa è aderire a «sfilate allegoriche spesso di cattivo gusto».
La diretta interessata ribatte che «a quarant’anni dalle prime marce negli Usa sui diritti omosessuali, persino un Paese arretrato come l’Italia potrebbe spostare l’attenzione dalle forme, comunque festose e non violente, al contenuto», a maggior ragione dal momento che «la piattaforma del Gay Pride, nella maggior parte dei punti, è in sintonia con le posizioni storicamente espresse da Fli e con quelle di una moderna destra europea». E in difesa di Flavia Perina arrivano anche le parole di Enzo Raisi: «Trovo oltremodo ambiguo il comportamento di chi l’anno scorso nulla ha detto sulla nostra partecipazione – peraltro non solo appoggiammo l’iniziativa ma partecipammo fisicamente – e oggi reagisce in modo inspiegabile su un tema ampiamente discusso e condiviso all’interno del partito, grazie anche alle posizioni innovatrici espresse pure su questo tema dal nostro presidente Gianfranco Fini».
Ma a far salire la temperatura nel partito è anche la vicenda di Riccardo Lo Monaco, commissario cittadino di Fli a Cagliari, “epurato” nel giro di ventiquattr’ore dal coordinatore regionale Ignazio Artizzu, proprio il giorno dopo aver aderito al Gay Pride.
«Le posizioni del coordinatore regionale sulla causa omosessuale sono note – spiega il “dimissionato” – e se a questo aggiungiamo la mia netta opposizione alla sua linea politica scellerata di appiattimento su Cappellacci e il Pdl nel governo dell’isola, il gioco è presto fatto».
Ed è amara la conclusione dell’ormai ex responsabile cagliaritano: «Omofobia e tirannide sembrano ormai essere le parole d’ordine dentro Futuro e Libertà ».
Insomma, quel che è certo è che la partita per il futuro del “finismo” si gioca anche (e non poco) sulla “questione dei diritti”.
(da “Il Futurista”)
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