Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
E’ LA TESI DI DAGOSPIA: FINANZIATORI SAREBBERO DELLA VALLE, GIANNI PUNZO, ALFREDO ROMEO E POMICINO CON LA SUA IMPRESA SPA… BOCCHINO LASCEREBBE FLI
Signori, in carrozza. Sta per partire il super treno che ci portera’ fin nel ventre della Terza Repubblica.
Confortevole, veloce, competitivo, proprio come l’Italo nazionale, inaugurato in pompa magna a fine aprile.
Ormai il leader maximo, il semprepallido Luca Cordero di Montezemolo, ha deciso di rompere gli indugi e scendere in campo aperto a un anno dal voto, subito dopo la batosta elettorale per la Casta alle amministrative di maggio e la stravittoria del partito dell’astensione (quasi 50 per cento) e dei grillini (gia’ sondaggiati al 15 per cento).
Sono i giorni in cui Silvio Berlusconi lancia in pista la «grande novita’» annunciata nei mesi scorsi, il «presidenzialismo alla francese», con un Cavaliere che, disarcionato dal governo, si allenerebbe dunque per la salita verso il Quirinale.
Con un “forse si'”, per ora, da parte dei montezemoliani.
Ma e’ il colossale vuoto politico che va presto riempito.
Un deserto di macerie: centrosinistra senza identita’, centrodestra annientato, terzo polo morto prima ancora di nascere.
«E’ dentro questa totale confusione – notano parecchi in Transatlantico – che si fa spazio l’Italia Futura di Montezemolo e company. Si tratta di un gigantesco minestrone politico e d’interessi spacciato per il nuovo che avanza, per l’innovazione attesa messianicamente dagli italiani, per la politica diversa perche’ dell’altra ne hanno le scatole piene».
Ed e’ cosi’ che ritroviamo un po’ tutti sotto lo stesso ombrello: pezzi di Pd con una serie di veltroniani ma anche ex dalemiani in testa, poi una bella manciata di tecnocarati, docenti e professori in perfetto stile Monti-Passera, quindi una sfilza di lib, di berlusconiani pentiti, anche di reduci della prima repubblica, che servono soprattutto per portare ossigeno alle finanze di una formazione che sta decollando.
Quindi che spazio politico occupera’ la “Cosa”?
Sara’ il neo Centro da sempre vagheggiato, la nuova Balena bianca storica aspirazione di tanti ex dc, berluscones e non solo?
Il partito della Nazione sognato da Pierferdinando Casini e abortito dopo il naufragio del Terzo Polo?
Oppure il Nuovo Partito Conservatore, i Tories de noantri, quindi il vero erede di una destra “illuminata” e mai nata, comunque a presidiare lo spazio politico ex Forza Italia-An, e poi Pdl?
O cosa, visto che la porta verso il centrosinistra (con tanti pezzi pd nel motore) e il gruppo De Benedetti non sembra del tutto chiusa?
L’AMICO BISIGNANI
Per adesso, ci sono tanti nomi e sigle in campo.
E la voglia matta di mister Cinzano (a quella poltrona lo aveva assegnato il nemico storico Cesare Romiti dopo le bufere di casa Fiat): guidare il motore Italia, stavolta non piu’ a bordo di una Ferrari o di un Italo, ma dalla poltrona piu’ alta di palazzo Chigi.
Una voglia che comincia da lontano, e matura un paio d’anni fa. La sua “celebrazione” durante un puntata prenatalizia di Che tempo che fa. Sotto l’albero di Natale, nel salottino di Fabio Fazio, ecco scendere in pista Elisabetta Canalis, Aldo Cazzullo e lui, Luca, a dettare il suo verbo: «non mi piace il modo di fare politica oggi».
Tutti da leggere i commenti a caldo, via telefono, con l’amico di sempre, Luigi Bisignani, l’uomo della P3 (le conversazioni fanno parte dei maxi fascicoli raccolti dalla procura di Napoli).
Bisignani lo accoglie con un «grande!». E lui, timido ma deciso: «Io ho fatto il 22 per cento, loro non erano mai andati oltre il 15-16 per cento».
L’altro gongola: «Mamma mia!». Lui: «Con sei, sei milioni di persone e la rete 3 e’ la prima volta di domenica che vince la serata, quindi bene anche come attenzione».
Dopo l’euforia per il botto da Fazio, entra in scena l’imprenditore sempre vigile, che cerca l’appoggio dell’ubiquo Bisignani per una faccenda che riguarda l’associazione degli industriali a Napoli: «Sai che ho un grande amico fraterno che si chiama Gianni Punzo. Li’ c’e’ uno, un mascalzone, che vuol fare il presidente degli industriali. Te la faccio breve, la Marcegaglia ha posto il veto su Punzo, allora sia lui che un altro molto bravo, proprietario della Ferrarelle, un altro proprietario della Yamamay, escono perche’ dicono che non accettano che ci siano veti sulle vicepresidenze. (….) Allora posso farti chiamare da Carlo Calenda per spiegarti la situazione, perche’ in questo momento, quello che noi vorremmo tutti…». E Bisignani lo anticipa: «… che questo si ritirasse…».
In un’altra conversazione, poi, si parla di Stefano Lucchini, responsabile per le relazioni esterne di Eni. Cosi’ spiega Montezemolo ai pm partenopei: «chiesi a Bisignani di chiedere al Lucchini quali fossero le posizioni dell’Eni in ordine al rinnovo delle cariche di Confindustria Napoli; lo chiesi perche’ era interessato il mio amico Punzo».
Punzo e Calenda, due grandi amici che si ritroveranno accomunati da un idem sentire imprenditoriale, in quel di Nola, con il rampante Calenda, manager ex Sky e Ferrari, a dirigere da un paio d’anni lo strategico Interporto Campano, creatura nell’arcipelago societario di Punzo e tassello-base nell’operazione Italo sulle piste arcimilionarie dell’Alta velocita’.
Li ritroveremo piu’ volte, Punzo e Calenda, nel racconto che segue, lungo la mappa della strategia targata Montezemolo per passare dagli ozi capresi (abusi edilizi compresi nella sua villa Caprile ad Anacapri) alle vette del Potere.
LE VECCHIE VOLPI
Ricordano ancora oggi al palazzo della Provincia di Avellino, storico feudo di casa Dc: «A inizio anni ’80, dopo il terremoto, i contatti di Ciriaco De Mita con Montezemolo erano frequenti. Lui era li’ li’ per essere candidato, poi non se ne fece piu’ nulla».
Ad opporsi fu l’avvocato Gianni Agnelli in persona e cosi’ quella candidatura, prevista per le elezioni del 1983, sfumo’.
Si potra’ riproporre adesso, a vent’anni esatti, e caso mai qualche pezzo da novanta di quella Balena bianca nel motore (o almeno nel poderoso think tank).
Un nome facilmente arruolabile – per rimanere in zona – e’ quello di Clemente Mastella che, perso per strada (e per alcune vicende giudiziarie) l’appeal politico, puo’ comunque contare sulle storiche “truppe mastellate” e sull’innata vocazione a fiondarsi sul carro del vincitore (da ministro del Lavoro – quello dei 100 mila posti promessi – con l’esecutivo Berlusconi, alla casacca di Guardasigilli nel governo Prodi, e causa della sua caduta).
Altro ingrediente-base, l’inossidabile amicizia che lega il leader di Ceppaloni con l’altro storico amico di Montezemolo (e terzo eccellente nell’avvetura Italo-Ntv), ovvero Diego Della Valle.
Passiamo ad un altro big, Paolo Cirino Pomicino.
E’ rientrato alla grande in politica con la maglietta Udc, organizza kermesse a tutto campo per impartire lezioni di politica economica a Tremonti prima e Monti poi, detta le nuove regole dell’urbanistica all’ombra del Vesuvio (riesumando i suoi vecchi arnesi da prima repubblica “Neonapoli” e “il Regno del Possibile”), pontifica sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno (diretto dall’amico Marco Demarco).
«Pomicino potrebbe giocare a breve un ruolo strategico – commentano a palazzo Partanna, sede della Confindustria partenopea – nel convincere Casini a seguirlo verso il progetto di Montezemolo, vista ormai la morte del terzo polo. Questo significa avere in gioco la forza economica del gruppo Caltagirone che non e’ poco».
Come del resto e’ piu’ che cospicuo il bottino, la “cassaforte” che potrebbe portare in dote lo stesso Pomicino.
Quella cassaforte – come vedremo piu’ avanti – le cui chiavi sono condivise con l’altro partner “d’oro”, Italo Bocchino.
Era destinata a ossigenare le casse di Fli, e visto che Fli fa flop, ecco che – magicamente – tutto puo’ tornare in gioco per il dream team di Montezemolo. In questa ottica, con un Pomicino capace di catalizzare significativi pezzi Udc (e ex Dc), Bocchino portera’ con se’ un consistente pezzo di Futuro e Liberta’, lasciando al suo destino l’ex capo Gianfranco Fini.
LA SPONDA MONTIANA
Continuiamo lungo il versante “politico”. Per scoprire che una parte dell’esecutivo vagheggiato da monsieur Cinzano e’ gia’ all’opera alacremente sotto i vessili del premier-tecnocrate Monti.
A cominciare dall’uomo forte, il superministro Corrado Passera, il mega banchiere-finanziere prestato alla politica, il grande finanziatore del sogno che e’ appena diventato realta’, il Treno della Cuccagna, Italo, capace di produrre milioni a palate senza aver staccato il primo biglietto ferroviario.
Meraviglie della finanza creativa dei tremontiani? No, anche dei Montiani piu’ ferrei.
A cominciare da Passera, per i quali i bookmaker di Montecitorio preconizzano un SuperTicket proprio con lui, il pupillo dell’Avvocato.
«E’ per questo che Passera sta prendendo lezioni di “sinistra” – commentano in Senato – pare addirittura abbia chiesto consigli a Roberto Saviano, per rappresentare il volto progressista del tandem, con un Luca moderato». Fantapolitica? Staremo a vedere.
Pezzo forte del team governativo con un occhio (anzi due) al dream di Montezemolo e’ Piero Gnudi, attuale ministro per il turismo, lo sport e gli affari regionali. Altro pedigree, il suo, chilometrico: ex vertice Enel, membro del cda di Unicredit, amicizie politiche trasversali, da Romano Prodi a Casini (per restare in ambito bolognese), fino a lui, il leader maximo futuro, Luca.
Si sono ritrovati insieme (e con un altro felsineo doc, Gaetano Maccaferri), nella compagine della Manifatture Sigaro Toscano spa, comprata dal colosso statunitensa BAT (il quale, a sua volta, aveva acquisito dalle privatizzazioni di casa nostra l’Ente Tabacchi Italiani).
Restiamo ancora in casa Monti ed eccoci al ministro per le politiche sociali Andrea Riccardi, storico fondatore della Comunita’ di Sant’Egidio, cattolico di lungo corso e da sempre vicino alla fondazione Italia Futura. E poi al vice ministro per il Lavoro (il numero due di Elsa Fornero), Michel Martone, figlio di Antonio, l’ex presidente dell’Anm (il cui nome ha fatto capolino nelle pagine dell’inchiesta sulla P4): docente di diritto del lavoro all’universita’ di Teramo e alla Luiss di Roma, avvocato cassazionista nonostante la giovane eta’, Michel e’ oggi fra i promotori-fondatori di Italia Futura.
«E’ proprio quel milieu universitario, bocconiano, louissiano – ricostruiscono in ambienti politici romani – di docenze in economia oppure storia, scienze politiche o giuslavorismo che rappresenta uno dei terreni su cui lavora Montezemolo, per accreditare un’aura di rinnovamento, di gioventu’, di diverso rispetto alla vecchia offerta politica».
E sono un copia-incolla i curricula di molti tra i fondatori di Italia Futura.
Come quello di Mauro Bussani, docente in universita’ di mezzo mondo e a Trieste di diritto comparato; dell’economista Luca Di Mauro; del docente di scienza e comunicazione politica alla Luiss e alla San Pio V° di Roma Angelo Mellone (collabora a Radio Rai e si definisce «un giornalista che dice qualcosa di destra»), in passato molto vicino a Fini; del direttore dell’istituto di Igiene alla Cattolica Walter Ricciardi; del docente di storia all’universita’ di Bergamo Adolfo Scotto di Luzio; di Irene Tinaglia, docente di «innovazione, creativita’ e sviluppo economico» (letterale dal curriculum) prima alla Carnegie Mellon Univesity di Pittsbourgh e poi alla Carlo III° di Madrid; di Marco Simoni, docente di capitalismo comparato alla London School of Economics and Political Science; di Andrea Romano, che piu’ modestamente insegna storia contemporanea all’Universita’ Tor Vergata di Roma.
Con Simoni e Romano approdiamo al terzo “terreno” in cui vuol affondare radici e far proseliti la Montezemolo band.
E’ la prateria del fu centro sinistra. Gia’ editorialista per l’Unita’, giovane promessa veltroniana, Simoni e’ oggi tra gli uomini macchina di Italia Futura; il cui timone e’, pero’, nelle mani di Romano, gia’ dalemiano convinto, livornese, un pallino (in comune con Simoni) per «i giovani precari», pronti a sfornare una ricetta per loro (sarebbe poi la Rossi-Ichino).
Ed eccoci al big che viene dal Pd, l’economista che sussurava al leader Maximo D’Alema le misure da adottare, le terapie anticrisi per lo sviluppo, Nicola Rossi, al timone dell’Istituto Bruno Leoni, altro think tank del pensiero lib, avamposti a Torino e Milano.
Non e’ finita.
Perche’ a “sinistra” s’e’ fatto le ossa (sic) Giuliano Da Empoli, gia’ al timone di Marsilio Editore, nel curriculum la presenza nel cda della Biennale di Venezia, oggi assessore alla cultura nella giunta Renzi che governa Firenze. Allo stesso rottamator Matteo – sembra – piaccioni i progetti «innovativi», «per una politica diversa» e bla bla continuando dei Monteprezzemolo boys (e il Comune di Firenze ha dato disco verde ai lavori per il tram veloce di un’impresa che potra’ portar propellente al Nuovo Progetto).
Dalla Toscana al Lazio il salto non e’ poi cosi’ lungo, ed eccoci alla provincia di Roma guidata da Luca Zingaretti, Pd, che ha pensato bene di stanziare mezzo milione di euro circa di fondi per la “formazione professionale” delle nuove leve che dovranno lavorare nell’Italo superveloce del futuro. Potra’ mai mancare, last but not least, una blogger doc, una conduttrice germogliata rigogliosa alla corte di Michele Santoro?
Certo che no.
E’ Giulia Innocenzi, segretario giovanile Pd mancato: e’ addirittura tra i pochi, selezionatissimi fondatori di Italia Futura.
Passiamo all’organizzazione, alla macchina. Due uomini li abbiamo gia’ visti, gli ex pd Romano e Simoni.
Ma ecco gli altri pezzi forti. Numero uno e’ il gia’ ricordato Carlo Calenda, l’uomo ora fifty fifty tra Montezemolo e Punzo, il sigillo dell’amicizia fraterna tra ‘o pannazzaro Punzo e il pupillo dell’Avvocato.
A lui sono affidate le redini del movimento che in quest’anno dovra’ spiccare il salto verso l’appuntamento poltico del 2013.
Gli potranno dare una grossa mano Simone Perillo (si occupa dello sviluppo territoriale del movimento) e, sotto il profilo delle “pubbliche relazioni”, una sorta di Gianni Letta in salsa montezemoliana, Alberto Stancanelli.
Pezzo da novanta del Palazzo, ex consigliere alla presidenza del consiglio dei ministri, capo di gabinetto alla Funzione pubblica quando era ministro Luigi Nicolais (napoletano, pd, da alcuni mesi al vertice del Cnr), anche Stancanelli ha dovuto occuparsi dei problemi di Napoli, in particolare la monnezza: ai tempi di Guido Bertolaso commissario per l’emergenza rifiuti in Campania, infatti, venne designato dall’ex capo della Protezione civile (e ora coordinatore in pectore delle truppe berlusconiane da riorganizzare dopo lo tsunami elettorale) per mettere ordine nella giungla di consorzi mangiasoldi: una mission fallita, perche’ ancor oggi i cittadini della Campania hanno sotto gli occhi quello sfascio ambientale ed economico, con la camorra a farla, come al solito, da padrona, e i partiti a spartirsi le poltrone, in un’orgia di sperperi milionari.
Gran consigliori di Italia Futura sara’ infine un altro big dell’establishment amministrativo-finanziario: Mario Ciaccia, per anni braccio destro di Passera al vertici di Imi-Intesa San Paolo, trascorsi come vicecapo di gabinetto del ministro delle Poste nel primo governo Prodi del 1996, l’avellinese Antonio Maccanico.
E’ proprio in quegli anni (siamo nel ’98) che Passera va ad occupare una poltrona che conta, amministratore delegato di Poste (forte, a quei tempi, l’influenza dei finiani, con il bocchiniano Antonio Pezzella nel motore). Consigliere della Corte dei Conti, Ciaccia diventera’ poi capo di gabinetto anche col centro destra berlusconiano (al ministero dei beni culturali con Guliano Urbani). Intanto, il posto di Ciaccia al fianco di Maccanico era stato preso da Antonio Catricala’, ora braccio destro di Mario Monti nel governo dei tecnocrati.
OCCHIO ALLA CASSA
E passiamo alla “polpa”. Alle casse, ossia all’ossigeno che potra’ vitalizzare Italia Futura e, soprattutto, dar forza e gambe a quel “Cantiere per il 2013” che dovra’ portare sul palcoscenico elettorale le truppe targate Montezemolo. Per metter su le fondamenta, ci vuol poca fantasia, provvedono i soci-amici di Luca nell’avventura del super treno (per ora fortunatissima, capace di produrre una montagna di utili prima ancora di entrare in concorrenza con le Frecce Rosse di Mario Moretti): ossia le grandi liquidita’ di Mister Tod’s Diego Della Valle e di Gianni Punzo ‘o pannazzaro.
Poi, ci saranno i tanti “amici” coltivati ai tempi della presidenza in Confindustria, caso mai oggi vogliosi di mettersi in mostra dopo l’elezione – non gradita, ma comunque digerita – di Giorgio Squinzi al vertice di viale dell’Astronomia (i fans di Luca tifavano per Alberto Bombassei).
Un folto gruppo, quindi, seguira’ i primi gia’ folgorati sulla via di Italia Futura: come Anna Maria Artoni, a capo del gruppo leader nei settori di trasporti e logistica; Massimo Ferrarese, impegnato nel mattone, molto attivo in Confindustria e anche in politica (al timone della Provincia di Brindisi); il gruppo Monsurro’ (pasta) e quello che fa capo alla Coelna (gruppi elettrogeni industriali e marini) di Stefania Brancaccio; quello, armatoriale, riconducibile al salernitano Agostino Gallozzi, per anni al vertice della locale autorita’ portuale.
Passiamo alla banca “amica”. Si tratta della Banca Popolare di Sviluppo, non a caso quartier generale a Nola (sede di Cis e Interporto), creatura di Punzo.
Luca Cordero Di Montezemolo e Caterina Balivo – Copyright PizziLuca
Ha appena presentato il suo bilancio (utile netto per il 2011 a quota 635 mila euro), i 300 nuovi soci (per un totale che arriva a 2.600), le entre’e di peso, i progetti ambiziosi.
Un “pannazzaro” in forma smagliante, orgoglioso dei suoi gioielli coltivati in tempo di vacche magre e critico verso le autorita’ locali e il numero uno di Confindustria Napoli, Paolo Graziano («il prossimo anno invece di investire in locomotive proporro’ ai miei amici di organizzare una corsa campestre», nota malizioso a proposito della America’s Cup).
Antonio Ferraioli (La Doria, grosso gruppo alimentare); Diego Pacella (per il gruppo armatoriale Grimaldi); Carlo Pontecorvo (presidente del gruppo Ferrarelle, che negli ultimi anni ha fatto man bassa di sigle del settore e non solo); l’avvocato Raffaele Ferola.
Dulcis in fundo, l’ex procuratore generale del tribunale di Napoli Vincenzo Galgano, una toga prestigiosa fresca di pensione, come si conviene per le compagini a’ la page.
ADDA VENI’ POMICINO
Ma eccoci alle indiscrezioni sul futuro ormai prossimo. Risulta che buona parte della “cassa” e’ in arrivo dalle falde del Vesuvio.
Non solo quella made in Punzo (la creatura per il commercio al dettaglio, il Vulcano Buono partorito dal compasso di Renzo Piano), ma soprattutto quella targata Paolo Cirino Pomicino, del resto amico storico di Punzo.
La cassaforte si chiama Impresa spa, gia’ destinata a finanziare Fli, e ora pronta ad essere riconvertita sulla via del progetto di Italia Futura.
«Ci sono tanti segnali – commentano a Palazzo Partanna – che portano in questa direzione. Pomicino vuole un suo spazio, l’Udc non gli sta piu’ bene, e quindi e’ lui che puo’ dettare le regole, anche a Casini. O vieni con me da Montezemolo, o resti li’ da solo, col tuo centro che non nascera’ mai».
Cos’e’ Impresa ? Una sigla sbocciata con prepotenza pochi anni fa e diventata in brevissimo tempo una delle star del mattone a livello nazionale e non solo. «Come fece Icla col dopo terremoto – viene ancora osservato – una sfilza di maxi appalti tutti dovuti ai buoni uffici di ‘o ministro che garantiva i flussi prima come presidente della commissione bilancio, ‘o sportello, e poi dal ministero stesso del Bilancio. Tutto facile, appalti a go go per le imprese amiche, le portappalti, come in primo luogo l’Icla».
Stesso copione, ora, per Impresa, ma ancor piu’ “rombante” – per la quantita’ di lavori in portafoglio, nonostante la crisi – e piu’ “manifesta” che un tempo. Se una volta Icla era affidata ai due “amici” Agostino Di Falco e Massimo Buonanno, due geometri che improvvisamente si trasformano in imprendotori multimiliardari, ora Impresa fa direttamente capo a lorsignori: Raffaele Raiola (il mattonaro che a fine anni ’80 ribattezzo’ la Sorrentino Costruzioni tanto cara a Pomicino, levandola e “lavandola” delle custodie giudiziarie dopo i sequestri per camorra), Ludovico e Maria Grazia Greco (rampolli di Vincenzo Maria Greco, l’uomo ovunque di ‘o ministro da sempre), Domenico Chieffo, commercialista di fiducia di Italo Bocchino.
Tra i tanti appalti, come detto prima, Icla s’e’ aggiudicata anche quello – arcimilionario – per il tram veloce che colleghera’ l’aeroporto di Peretola con il cuore antico di Firenze.
Non e’ finita qui. A quanto pare altri bocconi si sono in fase di “cottura” sempre a Napoli.
Dove lo stesso Pomicino e’ tornato in sella, alla guida di Tangenziale spa, con grossi progetti per l’area occidentale e non solo (vedi articolo a pagina 28).
Luca Cordero Di Montezemolo insieme a Umberto Agnelli a metà anni settanta – Umberto stava per essere senatore della DCLuca Cordero Di Montezemolo insieme a Umberto Agnelli a metà anni settanta – Umberto stava per essere senatore della DC
Nell’area opposta, quella orientale, sono ormai cantierati i lavori per Naple’st, la creatura di Marilu’ Faraone Mennella e di Antonio D’Amato, storici amici di Pomicino (il padre, Salvatore D’Amato, fondatore della Seda, era tra i finanziatori piu’ assidui della rivista pomiciniana Itinerario negli anni ’80) ed habitue’ anacapresi con la loro villa Damecuta, a un passo dalla maison di Luca.
Del resto, l’ex presidente di Confindustria D’Amato, a poche settimane delle elezioni dello scorso anno, sbalordi’ tutti scoprendosi un cuor bolscevico e invitando a votare De Magistris contro il collega industriale (e coinquilino di palazzo Partanna) Gianni Lettieri.
La torta, per la coppia dorata, si arricchisce dei faraonici progetti – a quanto pare in fase di start – non solo per il costoso restyling del vecchio stadio San Paolo (a proposito, uno degli sperperi dovuti alla gestione allegra del Col per i Mondiali ’90, guidato da Montezemolo), ma anche per la realizzazione del nuovo impianto in partnership con il patro’n del Napoli calcio Aurelio De Laurentiis (che e’ socio di Della Valle e Luigi Abete nella Italian
Dulcis in fundo, i “progetti” di Alfredo Romeo – l’uomo ovunque nella gestione dei patrimoni immobiliari pubblici – per l’area “antica” e fronte porto di Napoli, la cosiddetta “Insula”: Romeo e’ stato il protagonista dell’inchiesta Global Service, finita in flop, nella quale sono stati coinvolti pezzi grossi della Casta, a cominciare dal suo principale referente politico Francesco Rutelli.
Ma l’amico del cuore, comunque, resta sempre lui, ‘o ministro.
E ora – tutti insieme – cosi’ come scoprono un cuore prima bolscevico, poi arancione, sono pronti – armi e bagagli – a catapultarsi sul’Italo che sta sfrecciando a tutta birra.
da Dagospia
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
E’ QUANTO PREVEDE UN DOCUMENTO ELABORATO LO SCORSO MARZO DAI MINISTERI DELLA SALUTE E DELL’ECONOMIA E DALLE REGIONI… A RISCHIO CHIUSURA REPARTI OSPEDALIERI, CONSULTORI, CENTRI DI SALUTE MENTALE, SERVIZI PER TOSSICODIPENDENTI
Nuove difficoltà e possibili disagi in arrivo sul fronte sanitario, in particolare per gli abitanti delle regioni sottoposte ai piani di rientro per la sanità .
Sono infatti 11mila complessivamente le strutture previste che entro l’anno rischiano di essere tagliate, come i reparti ospedalieri, piccoli o complessi, consultori, centri di salute mentale, Sert per il trattamento delle tossicodipendenze e altro ancora.
I responsabili della Sanità di Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania Puglia, Calabria e Sicilia infatti, dovranno ridurre il numero delle strutture sanitarie entro il 31 dicembre di quest’anno, secondo quanto prevede un documento elaborato lo scorso marzo dai ministeri della Salute ed Economia e dalle Regioni per il contenimento dei costi.
Nel territorio le strutture sanitarie complesse, previste dagli atti aziendali o da altri provvedimenti regionali e aziendali (riportate nel documento ministero-regioni), sono 6.738 e le strutture semplici 15.793.
Secondo i nuovi parametri dovrebbero diventare 4.917 le complesse e 6.441 le semplici. Il che significa che si dovrebbero eliminare nel territorio 1.821 strutture complesse e 9.352 strutture semplici.
Ciò si traduce, spiega Massimo Cozza, segretario nazionale dei medici della Cgil, “nella possibile riduzione dei servizi sul territorio per i cittadini. Il che è paradossale, visto che ministero e regioni non fanno altro che parlare di potenziare l’assistenza sul territorio e limitare l’afflusso in ospedale.
Ad essere più a rischio invece è proprio l’assistenza territoriale, già depauperata di personale anche per il blocco del turnover, dai consultori ai servizi di salute mentale, ai Sert per le tossicodipendenze.
In alcuni casi ad essere tagliate potranno essere strutture rimaste finora sulla carta, ma che non vedranno mai la luce, sottraendo di fatto servizi ai cittadini”.
E sui conti della sanità pubblica peseranno anche, in modo diverso, i risparmi che potranno arrivare con l’operazione legata alla centralizzazione degli acquisti in vista della spending review.
”L’applicazione ragionieristica dei parametri — afferma Cozza — senza tenere contro dei bisogni di salute e senza un confronto sindacale rischia di portare ad una riduzione di strutture e prestazioni. A fronte dei tagli già subiti dalla sanità e dei sette miliardi già programmati, questo documento potrebbe essere utilizzato come un’accetta da chi vuole solo fare cassa senza riqualificare il servizio. Vanno perciò superate le situazioni dove le strutture sono create solo per dare incarichi, in particolare nei policlinici e con medici che a parità di professionalità e funzioni reali hanno incarichi diversi”.
E a proposito di incarichi, sempre da questo stesso documento, emerge come i 19 mila primari presenti tra asl e ospedali in tutta Italia siano troppi, e tremila, tra responsabili di reparto e territorio, siano considerati in esubero.
Solo Trentino Alto Adige (-37) e Lombardia (-255) sono al di sotto del fabbisogno, mentre tutte le altre regioni sforano alla grande.
Come ad esempio la Campania, che secondo il documento, ne avrebbe quasi 800 in esubero, o la Toscana con 392, e la Sicilia con 323.
Cifre che però non tornano, secondo le associazioni sindacali di categoria, in quanto basate su criteri poco convincenti. In ogni caso, se così si procederà , potrebbero esserci delle conseguenze anche per i malati.
E’ quanto sostiene il Cipomo (Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri), che teme vengano tagliate le unità di oncologia degli ospedali.
”L’indirizzo è quello di ridurre i primariati, non solo nelle regioni sottoposte a piani di rientro — spiega Roberto Labianca, presidente del Cipomo — ma anche in altre regioni, come la Lombardia. Se non si sostituiranno i primari oncologi che andranno in pensione, la sensazione è che entro 2 anni il 20-30% dei reparti di oncologia sarà senza primario e accorpato a reparti di medicina generale”.
In alcune strutture, soprattutto in periferia, “sono già stati tagliati i primariati e le unità di oncologia accorpate in una struttura indifferienziata — continua — facendo curare i pazienti in reparti in cui il primario non è un oncologo. E questo non è un bene per le cure”. Anche perchè, aggiunge Mario Clerico, segretario Cipomo, ”negli ultimi 10-15 anni le unità di oncologia ospedaliere che sono sorte sono diventate un punto di riferimento per i pazienti.
A differenza di altri specialisti — conclude — l’oncologo si prende carico del paziente e continua a seguirlo per anni, anche quando è sano.
Tornare indietro sarebbe un grave errore”.
Adele Lapertosa
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
RIVOLTA DEI RETTORI: “INTERVENGA IL MINISTERO, NON SI PUO’ SOSTENERE IL MERCATO DI UN’AZIENDA PRIVATA CON SOLDI PUBBLICI”
La pubblicità non è chiara. Le parole mettono sulla strada sbagliata.
E soprattutto le borse di studio sono selettive: lo Stato paga soltanto se ci si iscrive all’università privata Lum e non agli altri atenei statali.
“Così non va bene, si prendono in giro gli studenti”. Nel calderone campanilistico della sesta provincia pugliese (“vogliamo un’università per la Bat!” gridano da mesi politici e comitati vari), è finita ora anche l’istruzione accademica.
L’operazione non ha lasciato però indifferente il resto della Regione: da giorni si è alzata la protesta delle istituzioni e dei sindacati che, chiamando in causa anche il ministero stanno cercando di bloccare o di riportare nei giusti binari l’operazione. “Perchè aprire un’università non può essere come aprire un negozio”, spiega l’assessore regionale all’Istruzione Alba Sasso.
I fatti: la Lum, la Libera università mediterranea che ha sede a Casamassima, ha deciso di aprire una succursale nella Bat.
Dopo mesi di lavori, è pronta all’inaugurazione anche la sede individuata tra Andria e Trani.
Palazzo ristrutturato, grande campagna di comunicazione, il magnifico rettore Lello Degennaro (che ben conosce la qualità dell’università creata dal padre, essendosi lui stesso laureato nell’ateneo di famiglia) che si presenta sorridente davanti ai microfoni delle televisioni locali per assicurare: “Saremo l’università della provincia Bat”.
Ecco, questo è il primo punto della vicenda. “Non c’è e non ci può essere nessuna università nella Bat perchè è vietato” spiega l’assessore Sasso.
Che si rifà al documento licenziato dal Comitato universitario regionale di coordinamento, un’assise composta dai rappresentanti di tutte le università pugliesi. “L’iniziativa – si legge – non riguarda, nè può riguardare, l’attivazione di corsi di laurea nè tantomeno di facoltà , e che l’attività da svolgere a Trani non potrà comportare erogazione di lezioni, ma solo azioni di tutorato, e che la stessa potrà essere espletata esclusivamente in favore degli studenti iscritti alla Lum e non di iscritti presso altri atenei”.
La Lum ha lanciato i corsi di Giurisprudenza ed Economia. Ma, come spiega il Comitato, i docenti non potranno nè fare lezioni nè tantomeno gli esami.
Solo tutoraggio, perchè la sede dell’università rimane a Casamassima.
Nel centro commerciale. “In sostanza – sintetizza la Sasso – la Lum può fare solo il Cepu nella Bat, niente di più”.
Le cose però non sembrano così chiare. Visto che la provincia Bat e i comuni del Patto territoriale nord barese ofantino hanno deciso di stanziare complessivamente 700mila euro da destinare a studenti che si iscriveranno alla Lum. E solo alla Lum. Cioè se uno studente (meritevole o bisognoso) di Trani vuole andare a Bari o a Foggia non prende un euro.
Se si iscrive alla Lum ha a disposizione borse da 2.500 euro ciascuno.
“Non ci sembra legittimo – dicono dal Comitato regionale – l’erogazione da parte di un ente pubblico di somme così rilevanti a favore solo degli studenti che operino la scelta di iscriversi a un determinato ateneo, escludendo, in tal modo, tutti gli altri studenti, in aperta violazione del principio di par condicio”.
“Una scelta di dubbia legittimità oltre che politicamente inopportuna” attacca il segretario regionale della Uil, Domenico Raimondo. “Non si possono utilizzare fondi pubblici per sostenere il mercato di una azienda privata”.
Sulla questione era intervenuto anche il segretario della Cgil Bat Luigi Antonucci secondo il quale “è paradossale che la Provincia, non più tardi di un anno fa, non potendo far fronte alle spese per l’arredo scolastico, sia andata a caccia di sponsor per comprare banchi e lavagne e oggi, al contrario, decida di spendere questi soldi per far frequentare un’università privata, di conseguenza finanziandola, a giovani che potrebbero tranquillamente studiare negli atenei e nei politecnici pubblici”.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
RAPPORTO EINAUDI-INTESA: OLTRE IL 46% COMINCIA A INTACCARE RISERVE E PATRIMONIO
È un numero da minimo storico (da quando sono partite le statistiche) quello del risparmio italiano alle prese con la crisi: soltanto il 38,7% delle famiglie riesce ormai a mettere da parte qualcosa, contro il 47,2% di appena un anno fa.
E quasi la metà degli italiani (46,2%) ha iniziato a intaccare il proprio patrimonio.
Il resto, evidentemente, è rappresentato da chi spende esattamente quanto guadagna.
È la fotografia scattata dall’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2012, realizzata da Intesa Sanpaolo e dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi.
Un sondaggio Doxa ha intervistato 1.053 capifamiglia tra gennaio e febbraio di quest’anno: due mesi, tra l’altro, in cui le aste di lungo termine della Bce sembravano aver ridato un po’ di fiducia ai mercati. Prima, però, della nuova ondata primaverile di vendite.
Secondo lo studio, il 24,3% degli intervistati si è messo alla ricerca di un nuovo lavoro o di una seconda fonte di entrate, e i più colpiti dalla crisi sono i ventenni, le donne, gli esercenti e gli artigiani.
Inoltre, il 55% di intervistati dice di avere sfiducia nelle istituzioni per quanto riguarda la loro capacità di difendere il risparmio.
Cambiano poi anche le motivazioni del risparmio.
Scende l’acquisto della casa: valeva il 25,7% nel 2004, il 16,2% nel 2007, il 12,7% nel 2011 e cala ulteriormente ad appena il 5,5% nel 2012 (il mattone resta comunque l’investimento che si guadagna il maggior numero di risparmiatori soddisfatti). Toccano invece il massimo le motivazioni ereditarie o di trasferimento di parte della ricchezza ai figli: il 19,5 per cento risparmia per aiutarli, pagar loro gli studi o lasciare un’eredità .
Quanto alle pensioni, la riforma previdenziale è in parte accettata (il 49,5% pensa che sia giusto lavorare più a lungo) ma il 48,9% dichiara che è sbagliato cambiare le regole troppo spesso.
E i giudizi positivi sono più frequenti tra i giovani.
Che comunque sono pessimisti (o realisti, a seconda del punto di vista): il 43,1% si aspetta una pensione pari o inferiore a 1.000 euro al mese e solo il 9,6% ritiene che sarà superiore a 1.500 euro.
Il saldo tra i giudizi di sufficienza e insufficienza del proprio reddito, che aveva toccato il picco (71,7%) nel 2002–l’anno dell’arrivo dell’euro nelle nostre tasche– scende ora al minimo storico (45,7%).
Nel 2011, inoltre, raggiunge il picco (12,5%, vale a dire uno su otto) la quota di chi guadagna un reddito del tutto insufficiente al mantenimento del proprio tenore di vita. Mentre solo il 15,2% degli intervistati dichiara di non avere avuto alcun impatto dalla crisi.
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
L’ALLARME IN UN RAPPORTO: “MANUTENZIONE AI MINIMI STORICI, GRAVE RISCHIO PER LA SICUREZZA SE GLI ENTI LOCALI NON INVESTONO PIU'”
Strade ridotte a colabrodi, puntellate di crepe e voragini che mettono in pericolo la sicurezza degli automobilisti, ma soprattutto di chi viaggia su due ruote.
Gli effetti della crisi si riflettono sull’asfalto, dove le «toppe» non bastano più a nascondere i pochi investimenti in manutenzione.
Il quadro della situazione italiana emerge in un rapporto del Siteb, l’associazione italiana dei produttori di bitume e asfalto, che certo può essere un po’ di parte, ma quantomeno fornisce numeri e statistiche.
«La prolungata assenza di investimenti da parte di amministrazioni locali e centrali rischia di compromettere un patrimonio tra i più significativi del nostro Paese», è la conclusione.
Quello stradale, s’intende, che ci portiamo dietro dai tempi dei romani.
Quanto vale? Secondo il calcolo dell’associazione 5.000 mila miliardi di euro per un’estensione totale di 850 mila chilometri.
Ma sono altri numeri a destare preoccupazione: «i lavori di costruzione e manutenzione hanno raggiunto il minimo storico negli ultimi 20 anni», sottolinea il rapporto.
Vuole dire che la produzione di asfalto si è praticamente dimezzata in meno di cinque anni, passando dai 45 milioni di euro ai 29 del 2011.
Per un paese che spera nelle grandi opere per ripartire non è un buon segnale.
«L’italia – prosegue la nota-, è stata fra i primi paesi in Europa a dotarsi di un sistema di moderne autostrade e delle necessarie competenze, degli impianti e delle macchine per costruirle. Negli ultimi anni il Paese si è però fermato e, anzi, ha cominciato ad arretrare fino ad arrivare alla situazione attuale».
Quanto a crescita siamo al palo: «le arterie autostradali sono aumentate di soli 187 km in 14 anni».
C’è da dire anche che non è facile mantenere in salute una sterminata ragnatela di vie secondarie: le comunali extraurbane e urbane secondo il Siteb costituiscono la fetta più grossa della rete e sono le prime ad accusare i tagli ai bilanci delle municipalità . «Dopo gli annunci del ministro Passera sull’avvio di un piano nazionale per le infrastrutture, siamo in attesa di misure concrete», afferma Carlo Giavarini presidente del Siteb, «per mettere in sicurezza le nostre strade che sono state tenute sotto la soglia minima di garanzia».
Con il serio rischio di dover pagare un conto salatissimo.
Fra ritardi e e incidenti la stima della Banca d’Italia è di 40 miliardi di euro, ma restano fuori le innumerevoli richieste di danni da parte di chi cade con lo scooter a causa di voragini e crepe.
Perchè l’asfalto non è eterno: «Dopo 8-10 anni la pavimentazione diventa pericolosa e scomoda, fino a dover essere completamente rifatta dopo 12-15 anni», conclude Giavarini.
Daniele Sparisci
(da “Il Corriere della Sera”)
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
DATO SENZA PRECEDENTI NEL PRIMO TRIMESTRE 2012… LE CITTA’ PIU’ COLPITE SONO PALERMO E GENOVA, MENO 10% DI ACQUISTI A MILANO E NAPOLI
Crolla il mercato immobiliare italiano nel primo trimestre 2012: meno 19,6% di compravendite nel settore residenziale rispetto allo stesso periodo del 2011.
Nel complesso il calo del mercato è del 17,8%.
Lo comunica l’Agenzia del Territorio, spiegando che per le case è la più grave caduta dall’inizio delle rilevazioni trimestrali, che data al 2004.
Il mercato immobiliare “potrebbe registrare un’ulteriore contrazione anche nel secondo e terzo trimestre” del 2012 a causa della crisi economica.
Lo afferma il direttore centrale dell’Osservatorio del mercato immobiliare e dei servizi estimativi dell’Agenzia del Territorio Gianni Guerrieri, presentando la nota sull’andamento del mercato nel primo trimestre 2012.
Tra le città più colpite dal crollo si trovano Palermo (-26,5%) e Genova (-21,8%).
A Roma e Firenze le transazioni sono diminuite rispettivamente del 20,6 e del 21,1 per cento. Molto elevati i cali anche a Bologna (-18,4%) e Torino (-18,1%).
Più contenuta la flessione delle compravendite a Milano (-10,7%) e a Napoli (-9,8%).
Il crollo delle compravendite “trova ampia spiegazione considerando i principali indicatori macroeconomici riferiti” agli ultimi mesi del 2011, periodo nel quale sono stati decisi gli acquisti i cui rogiti sono stati registrati nel primo trimestre di quest’anno, ha spiegato Guerrieri.
Dal Pil in calo all’aumento del tasso di disoccupazione, per l’Agenzia è la congiuntura a incidere sulle decisioni delle famiglie italiane.
“Non è ravvisabile, invece, una correlazione tra i dati di riduzione del mercato immobiliare del primo trimestre 2012 e l’aumento della tassazione degli immobili”, decisa con il decreto Salva-Italia praticamente alla fine dell’ultimo trimestre 2011.
Anche per il calo previsto nei prossimi mesi, secondo l’Agenzia, l’aumento dell’Imu è un fattore molto meno importante rispetto alle condizioni economiche generali del Paese.
Entrando nel dettaglio dei dati, il settore residenziale con 110.021 transazioni registrate nei primi tre mesi dell’anno rappresenta il 45% circa dell’intero mercato immobiliare per numero di compravendite e il calo del 19,6% subito interrompe il trend di crescita rilevato negli ultimi due trimestri del 2011.
Altrettanto significativa è la flessione registrata nel settore delle pertinenze (box e cantine), pari a -17,4%: le compravendite passano da 107.593 a 88.894.
Continua la contrazione degli scambi anche nei settori non residenziali con il terziario che perde il 19,6% delle transazioni (da 3.259 a 2.618), seguito dal commerciale (-17,6%; da 7.916 a 6.521).
Diminuzioni più contenute si rilevano nel settore produttivo (-7,9%) con le compravendite che passano da 2.474 a 2.279.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
I DIPENDENTI PUBBLICI “ANZIANI” AVREBBERO TRA IL 50 E IL 60% DI RETRIBUZIONE, POI RICOLLOCATI O LICENZIATI
Il timore è che la spending review si trasformi in un’operazione di tagli alla cieca nel comparto pubblico.
Il rischio è che usare la mobilità prevista dalla legge Brunetta per gli statali (due anni all’80% dello stipendio, a conti fatti solo al 50-60%, poi ricollocamento in altri comparti o licenziamento) generi un altro bacino di “esodati” non concordati: troppo giovani per la pensione e senza reddito.
La preoccupazione dei sindacati, per ora estromessi dal confronto, sale.
Mentre la riunione tecnica della “troika” governativa (tecnici di Ragioneria, Funzione pubblica, commissari) non ha sciolto i nodi sul tavolo.
Il primo dei quali è come ricavare 5 miliardi di risparmi per il decreto atteso entro giugno e quanta parte di questi attribuire agli statali.
Una strada è partire dai dirigenti. Anche se le risorse recuperate potrebbero deludere.
I dirigenti verso la pensione. Soltanto in mille hanno i requisiti
Un’ipotesi è prepensionare i soli dirigente pubblici. Il nocciolo duro dello Stato(ministeri, enti previdenziali e di ricerca, agenzie fiscali) ne conta circa 4 mila.
Ma quelli sopra i 60 anni di età , che potrebbero entrare nel blocco in uscita, in realtà sono appena un migliaio.
Davvero poca roba, in termini di risorse da recuperare. Il criterio dei 40 anni di lavoro, poi, valutato ieri dai tecnici di Ragioneria e Funzione pubblica, sembra invece incontrare problemi giuridici.
In totale, i dirigenti del pubblico impiego sono circa 230 mila, a prescindere dall’età . Ma tra questi, 15 mila rispondono agli enti locali, 180 mila sono medici (non tutti “manager”), e poi prefetti, diplomatici, magistrati, forze armate, 6-7 mila nella scuola (settore già spolpato).
Il rapporto capi-funzionari. Ora si punta al modello europeo un “capo” ogni quaranta sottoposti.
Un rapporto minimo di un dirigente ogni 40 dipendenti, in linea con quanto avviene nei Paesi europei più virtuosi. Questo obiettivo, messo in pratica già per le agenzie fiscali con il decreto varato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, potrebbe essere esteso a tutto il settore pubblico.
Dove esistono sacche di sicura inefficienza, con un rapporto talvolta di uno a 10, persino di uno a 8. Ma anche realtà ridotte all’osso, in cui la proporzione si situa già sui livelli auspicati dal governo.
Gli “esuberi” dirigenziali, che certo la misura produrebbe, andrebbero poi assorbiti. Con la mobilità all’80% di stipendio, per chi si trova a due anni dalle pensione. E per gli altri? Anche per questa misura, il rischio è di raccogliere cifre non esorbitanti.
I dipendenti “anziani”. Un bacino di 240 mila lavoratori che adesso teme per l’assegno.
Mettere in moto la legge Brunetta e usare la mobilità all’80% dello stipendio per due anni come strumento di “prepensionamento”.
L’ipotesi fa correre più di un brivido sulla schiena di statali e sindacati.
Il bacino dei lavoratori over 60 è di 240 mila persone, di cui 25 mila nelle amministrazioni centrali (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici, ricerca). Pescare in questo bacino è operazione delicatissima.
Il rischio è creare nuovi “esodati”, senza passare neanche da un accordo. Se difatti non è possibile ricollocare gli statali presso altri enti o strutture, scatta il licenziamento. Con il traguardo della pensione spostato in là dalle nuove regole, dopo due anni di cassa, molti sarebbero senza busta paga e lontani anni dall’assegno previdenziale.
Il taglio lineare del 5%. Piante organiche già prosciugate. Il rischio di sforbiciate alla cieca.
La soluzione paventata dal ministro Giarda, il regista della spending review, di un taglio lineare del 5% alle piante organiche ha il difetto di operare alla cieca.
Proprio quanto si voleva evitare, sfoltendo le spese in modo mirato per eliminare gli sprechi. Se poi il riferimento è alle “piante organiche”, esiste anche un rischio flop. Molte amministrazioni, per via del blocco del turn over, non hanno rimpiazzato le uscite con assunzioni.
E dunque quel bacino è già “asciugato” e i risparmi attesi contenuti. Per gli enti in eccedenza (la SuperInps, ad esempio, e altri) il taglio lineare avrebbe un effetto casuale dannoso: uffici depotenziati e altri sovraffollati, per assorbire gli “esuberi”.
Se parliamo poi di organico (e non di pianta), allora le rasoiate sono di fatto licenziamenti.
Le indennità -extra. Bonus cospicui per i responsabili la base rischia decurtazioni record.
La parte “accessoria” dello stipendio di un dipendente pubblico pesa dal 10 al 40% della busta paga totale.
Di meno per i dipendenti della scuola, di più per i lavoratori delle agenzie fiscali, sanità ed enti locali. Pensare di “risparmiare” su questa parte è argomento molto scivoloso che rasenta il taglio degli stipendi.
Succosa per i livelli dirigenziali, per la maggior parte degli statali questa voce è linfa insopprimibile, perchè fatta di turni, festività , produttività , risultato.
Va notato, poi, che la mobilità all’80% dello stipendio per due anni (ipotesi al vaglio della task force governativa), per molti si tradurrà nel dimezzamento dello stipendio, proprio perchè l’80% si calcola solo sul livello base, e non anche sui parametri “accessori”.
(da “la Repubblica“)
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
INDENNITA’ AGGIUNTIVE FINO A 2.500 EURO PER BANCARI, CARABINIERI E POSTINI “DISTACCATI”….NEL BILANCIO 3,6 MILIONI DI EURO PER LE INTEGRAZIONI… 901 DIPENDENTI DIVISI IN 14 SINDACATI
L’ex senatore Gustavo Selva l’ha bollata un giorno «indennità di Palazzo».
Mai definizione è stata più azzeccata per descrivere il capitolo 1.6.4 del bilancio di palazzo Madama.
Dove c’è scritto «Personale di altre amministrazioni ex enti che forniscono servizi in Senato», accanto a una cifra: 3 milioni 570 mila euro.
Tanto la Camera alta ha stanziato nel 2011 per arrotondare le paghe di tutte quelle persone che non ne sono dipendenti, ma lavorano lì.
Innanzitutto le forze di polizia. «Un numero che non sono mai riuscito a conoscere nei 14 anni in cui sono stato deputato e senatore», confessò lo stesso Selva a Libero qualche tempo fa, argomentando tuttavia che quella «indennità di palazzo» spettante a poliziotti e carabinieri in servizio, appunto, nei palazzi del potere «dovrebbe essere riconosciuta piuttosto a chi fa servizio di strada per combattere la criminalità ».
La cifra è ovviamente diversa a seconda dei gradi di responsabilità .
L’«indennità di Palazzo» concessa alle forze di polizia oscilla da un minimo di 200 euro lordi al mese per i piantoni a un massimo di 2.500 euro per i gradi apicali.
Poi ci sono i pompieri: da 300 a 2 mila euro.
Quindi i vigili urbani: da 150 a 500 euro. E i dipendenti dell’ufficio interno di Poste italiane: da 200 a 1.000 euro.
E già il fatto che un lavoratore dipendente debba avere una retribuzione aggiuntiva da un’amministrazione diversa dalla sua per fare lo stesso lavoro che qualunque suo collega meno fortunato svolge altrove in condizioni certamente più disagiate, soltanto perchè è nel cuore del potere, è abbastanza curioso.
Ma che all’indennità abbiano diritto anche alcuni privati è addirittura sorprendente. Parliamo dei dipendenti dello sportello bancario interno gestito da Bnl del gruppo Bnp Paribas (da tempo immemore si è in attesa di una gara), ai quali toccano da 400 a 750 euro lordi al mese.
Come pure di quelli dell’agenzia di viaggi di palazzo Madama, affidata alla Carlson Wagonlit, i quali più modestamente si devono accontentare di 300-400 euro mensili. Briciole.
Che però non toccano, per esempio, ai dipendenti del ristorante finiti in cassa integrazione dopo l’aumento dei prezzi del menu che ha provocato il tracollo del fatturato
Sia chiaro: di questo stato di cose non sono certo responsabili i lavoratori.
Ma che l’«indennità di Palazzo» rappresenti una singolare anomalia è chiaro da tempo: almeno da quando, dopo un ordine del giorno voluto nel 2009 dall’ex leghista Piergiorgio Stiffoni, quella voce avrebbe subito in alcuni casi un taglio del 10%.
Del resto, chi si ostina a difendere quel piccolo privilegio va compreso.
Il livello delle retribuzioni del Senato continua a essere tale da mortificare gli «esterni» che lavorano a palazzo Madama e dintorni.
Lo scorso anno gli stipendi del personale, comprese indennità varie, hanno toccato 134 milioni e mezzo di euro. Ovvero, 149.300 euro in media per ciascuno dei 901 dipendenti.
Quasi il quadruplo della retribuzione media di un dipendente della Camera dei comuni britannica.
Ma chi ha l’ingrato compito istituzionale di fronteggiare le offensive sindacali al tavolo delle trattative qui non deve avere vita facile.
Anche se è un sindacalista poco arrendevole, a giudicare da come ha reagito alla sua espulsione decretata dal Carroccio: si tratta di Rosi Mauro, vicepresidente del Senato nonchè presidente del sindacato «padano».
Di sigle sindacali, davanti, ne ha 14. Quattordici per 901 dipendenti.
In media, se tutti quanti avessero una tessera in tasca, 64 iscritti a sigla. In media, appunto.
Perchè per 49 stenografi esiste un «sindacato tra gli stenografi parlamentari» e un’«associazione resocontisti stenografi parlamentari».
C’è poi l’«associazione fra i funzionari», l’«associazione consiglieri parlamentari», il «sindacato quadri parlamentari» e il «sindacato coadiutori parlamentari».
Senza parlare dell’«organizzazione sindacale autonoma-Senato», dell’«associazione tra gli assistenti parlamentari del Senato», del «sindacato dei dipendenti del Senato», dell’«associazione sindacale intercategoriale del Senato» e dell’«associazione dipendenti Senato».
E per finire con Cgil, Cisl e Uil.
La ciliegina: nonostante queste paghe stellari e il nutrito gruppo di espertissimi consiglieri (117), il Senato ha comunque speso 2,3 milioni di «consulenze per il Consiglio di presidenza e i presidenti» (capitolo 1.6.2) e quasi due milioni di «Prestazioni professionali per l’amministrazione».
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera”)
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Giugno 19th, 2012 Riccardo Fucile
LE FAMIGLIE ‘NDRANGHETISTE” CHIEDONO IL 3% ALLE IMPRESE
“o non è che sono venuto da voi per mille euro, che io gli piscio, ma per la scostumatezza che avete avuto. Perchè venite da fuori e avete fatto lavori a casa mia”.
Autostrada Salerno-Reggio Calabria, 433 chilometri di ‘ndrangheta.
“Il corpo di reato più lungo del mondo”, dove la mafia più potente chiede il pizzo, impone ditte per i subappalti, stabilisce buone relazioni con i colossi delle costruzioni italiane, mantiene l’ordine quando si può e quando gli accordi non vengono rispettati l’ordine lo sovverte a suon di bombe nei cantieri e minacce.
Quello dell’autostrada, ci dice un investigatore, è un osso che i mammasantissima non molleranno mai. In ballo ci sono tanti soldi: almeno altri 10,2 miliardi (erano 5,8 secondo i calcoli fatti nel 2002) per tratti da appaltare o da progettare.
Qui le carte le dà la ‘ndrangheta, il resto (Anas, colossi nazionali dei lavori pubblici e Stato) sono giocatori che sanno di dover perdere.
Vittime o complici, a seconda dei casi e delle convenienze.
E chi varca il check-point di Eboli non deve essere “scostumato”, come dice il boss intercettato in una delle tante inchieste (sette negli ultimi anni) sulle infiltrazioni mafiose nei lavori della Salerno- Reggio Calabria.
Comportarsi in modo educato significa pagare.
Almeno il 3% sull’importo dei lavori, che i boss gentilmente definiscono “tassa ambientale”.
Basta versarla con puntualità e si vive tranquilli .
Il geometra Talarico, che lavora per il consorzio Baldassini- Tognoli, un giorno vive la peggiore avventura della sua vita.
Mentre sta lavorando in un cantiere viene avvicinato da due giovani che lo minacciano e gli chiedono il pizzo.
à‰ terrorizzato, non sa che fare. Si tranquillizza solo ventiquattro ore dopo, quando quei due picciotti impudenti si ripresentano accompagnati da un vecchio. Don Mico, si chiama, e dice poche parole: “Il geometra è con me, come vi siete permessi? Ora prendete quelle paline a aiutatelo a misurare il terreno, che gli avete già fatto perdere un sacco di tempo”.
Talarico è allibito quando racconta la sua giornata nera a un amico: “Gioia Tauro, Rosarno e un altro paese che non mi ricordo il nome, lo chiamano il triangolo della morte. Te l’ho detto che mi hanno fermato e mi hanno puntato una pistola in faccia?”.
Funziona così in Calabria, dove la ‘ndrangheta ha trovato un sistema scientifico per spremere fino all’osso i miliardi dell’autostrada.
Lo racconta, da pentito, Antonino Di Dieco, commercialista imparentato con importanti boss e consigliori della famiglia Pesce di Rosarno.
Intanto bisognava appianare tutti i contrasti tra le cosche che avevano provocato attentati e morti fino a tutti gli anni Ottanta.
Per questo, una sera del 1999, le famiglie si riuniscono in un bar di contrada Bosco a Rosarno, il regno dei Pesce e dei Bellocco.
“Le controversie tra le cosche — racconta il pentito — andavano sanate per permettere alle aziende di pagare regolarmente senza che venissero danneggiati i mezzi”.
La “tassa ambientale”, per la ‘ndrangheta.
Il “cash flow”, per il manager di un grande consorzio.
Ma come si stabilisce il pizzo, la quota da pagare?
Lo spiega Di Dieco. “Esaminai i bilanci, i business plane e diedi la mia consulenza. Alterando le fatture di costo si poteva creare una somma di denaro che poi veniva destinata al pagamento del 3%. La ‘ndrangheta riceveva i soldi e la società che si era aggiudicata i lavori pagava senza mettere mano alle proprie casse, bensì da questo surplus che si creava dai costi elevati nelle fatture che presentavano le ditte in subappalto”.
Si gonfia sul costo del noleggio delle attrezzature, ma anche truccando carotaggi e analisi. Sabbia di fiume e di mare, asfalti scadenti, vengono classificati come materiale eccellente.
Come hanno reagito i grandi colossi, ce lo spiega un’inchiesta del pm Roberto Di Palma.
“Sia Condotte che Impregilo avevano compreso molto bene la realtà mafiosa della Calabria, insediando rispettivamente nelle loro società D’Alessandro Giovanni e Miglio Francesco, personaggi che da sempre avevano avuto a che fare con esponenti della ‘ndrangheta e con imprese di riferimento delle cosche”.
I due tecnici vengono nominati entrambi capo area per la Calabria.
La terra dell’autostrada della ‘ndrangheta. Con i suoi boss bisogna accordarsi, anche trovando, parola di un manager, ‘ditte a modo’ per i subappalti.
Perchè la ‘ndrangheta non è un fenomeno folk, tutto tarantella e ‘nduja, ma grande business criminale.
Ce lo spiega l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia definendo la mafia made in Calabria “una presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico e amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l’aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale”.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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