Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
PIETRO ICHINO: “ALTRI 24.500 POTREBBERO ESSERE “SALVAGUARDATI”, PER GLI ALTRI LA STRADA DEGLI INCENTIVI ALL’ASSUNZIONE”… “FAVORIRE IL RIENTRO DEI 50-60ENNI NEL TESSUTO PRODUTTIVO E PREVEDERE UN TRATTAMENTO DI DISOCCUPAZIONE”
Per decenni ci siamo consentiti di andare in pensione a cinquant’anni accumulando debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito, finchè i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di restituire il tutto.
Così, di colpo, come per effetto dello scoppio di una «bolla», la drammatica crisi del debito pubblico nel dicembre scorso ci ha costretti a rimettere i piedi per terra
Fino ad allora avevamo fatto finta che con 60 anni di età e 37 o 38 anni di contribuzione un lavoratore si fosse «guadagnato il diritto» alla pensione.
Se si considera che a 60 anni gli italiani hanno una attesa media di vita di 23 anni se uomini, 24 se donne, è evidente l’insostenibilità di quell’idea: non è possibile che 38 anni di contribuzione nella misura del 33 per cento costituiscano un finanziamento sufficiente per una pensione pari a tre quarti o quattro quinti dell’ultima retribuzione, destinata a durare per 23 o 24 anni.
Il sistema poteva stare in piedi soltanto con un cospicuo contributo dello Stato: ed è infatti ciò che è accaduto per tutto il mezzo secolo passato, nel quale lo Stato ha contribuito ogni anno con l’equivalente di molte centinaia di miliardi di euro al pareggio di bilancio dell’Inps.
In realtà lo sapevamo benissimo: tanto che nel 1995 abbiamo fatto la riforma delle pensioni necessaria.
Ma l’abbiamo applicata solo ai ventenni e trentenni, cioè ai nostri figli e non a noi stessi.
Il governo Monti, appena costituito, ha dovuto fare in due settimane quello che avrebbero dovuto fare i governi precedenti nell’arco di due decenni, estendendo la riforma del 1995 a tutti.
Naturale che in questo modo molti di noi cinquantenni e sessantenni siano rimasti scottati; ma la colpa non è del governo che ha gestito lo scoppio della bolla: è di chi per tanto tempo ha lasciato che si gonfiasse.
Ora, certo, occorre curare le scottature prodotte da quello scoppio.
Ma non possiamo farlo tornando indietro rispetto alla riforma.
Già con il decreto «salva Italia» del dicembre scorso sono stati «salvaguardati», cioè esentati dall’applicazione delle nuove regole, circa 65.000 sessantenni senza lavoro e molto prossimi al pensionamento secondo le regole vecchie.
Oggi a chiedere di essere «salvaguardati» sono moltissimi altri, un po’ meno vicini al traguardo.
Se si esaminano le categorie interessate, ci si rende subito conto che – oltre a circa 24.500 lavoratori per i quali un accordo stipulato prima della fine del 2011 ha previsto la cessazione del lavoro dal 2012 in poi, con o senza assistenza di un fondo di solidarietà (categoria alla quale pare davvero logico estendere la «salvaguardia» già disposta per casi analoghi con cessazione del lavoro entro il 2011) – tra gli altri aspiranti potrebbero annoverarsi tutti i cinquantenni e sessantenni attualmente disoccupati: l’Inps in particolare segnala 173.100 lavoratori con più di 53 anni, che per i motivi più svariati hanno cessato di lavorare tra il 2009 e il 2011, e 122.750 nati dopo il 1946 e senza lavoro da anni, autorizzati dallo stesso istituto ai versamenti contributivi volontari (per ulteriori dati rinvio al mio sito).
Esentare dall’applicazione delle nuove norme tutti questi casi equivarrebbe evidentemente a svuotare la riforma del dicembre scorso, ripristinando la situazione finanziariamente insostenibile precedente e l’ingiustizia tra generazioni, con un incremento di decine di miliardi del debito di 2 mila miliardi che già lasciamo da pagare ai nostri figli e nipoti.
I cinquantenni e sessantenni senza lavoro non devono essere incoraggiati a uscire definitivamente dal tessuto produttivo, ma aiutati a rientrarvi, con tutti gli incentivi e le agevolazioni possibili per favorire il loro ritorno a un’occupazione retribuita adatta a loro, ancora per qualche anno.
La soluzione deve consistere in una norma speciale che estenda, nella misura delle disponibilità finanziarie, il trattamento di disoccupazione, e al tempo stesso istituisca alcuni forti incentivi all’ingaggio di queste persone: per esempio con esenzioni contributive, sgravi fiscali, una disciplina speciale che consenta un periodo di prova fino a un anno nel rapporto di lavoro dipendente, e che agevoli la costituzione di rapporti genuini di collaborazione autonoma continuativa con le amministrazioni locali, dove ne ricorrano gli elementi essenziali. In altre parole, occorre mantenere fermo il principio per cui a 50 e a 60 anni si può ancora lavorare, e si deve essere disponibili a farlo se si vuole beneficiare di un sostegno del reddito; ma anche fare tutto il possibile per abbattere il diaframma che impedisce a questa offerta di lavoro maturo di incontrarsi con la domanda potenziale, soprattutto nel settore dei servizi alle famiglie e alle comunità .
La nuova cultura del lavoro di cui il Paese ha urgente bisogno deve liberarsi dall’idea che per un sessantenne trovare un lavoro, anche magari a part-time , sia impossibile. Per liberarsi di quell’idea non basta, certo, un tratto di penna sulla Gazzetta Ufficiale : occorre anche far funzionare meglio il nostro mercato del lavoro, abbattendo il diaframma che impedisce l’incontro fra una grande domanda di servizi alle famiglie e alle comunità locali e questa grande offerta potenziale di manodopera, che può essere facilmente posta in grado di svolgerli.
Pietro Ichino
(da “Il Corriere della Sera”)
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
“NOI STIAMO CON BERSANI”: LA LETTERA CONTRO L’USATO SICURO RESPINTA DA MOLTI AMMINISTRATORI PD
Una lettera per la «rottamazione» e un manifesto per l’«usato sicuro».
C’è l’ultima fatica epistolare di Matteo Renzi, indirizzata agli amministratori del Pd per invitarli al Big Bang di sabato prossimo nella sua Firenze.
Con una «provocazione» che è tutta un programma: «I veri tecnici siamo noi. Perchè la tecnica non è il contrario della politica: la tecnica è, dovrebbe essere, almeno, strumento a servizio della politica».
Un invito, però, che a conti fatti, un gruppo di destinatari ha già declinato.
In tutto una trentina, tra sindaci, presidenti di Provincia e di Regione, che alla lettera di Renzi hanno risposto con un appello per sostenere Pier Luigi Bersani alle primarie del centrosinistra.
Da Piero Fassino a Vasco Errani, da Zanonato a Cialente, da Merola a Scanegatti passando per Daniele Manca e Catiuscia Marini.
C’è perfino la firma di Enrico Rossi, governatore della Toscana, in calce al manifesto che sponsorizza il «vecchio» segretario rottamando il «nuovo» sindaco di Firenze.
Insomma, prime importanti defezioni tra i grandi elettori naturali di Matteo Renzi, proprio nel giorno della chiamata a raccolta all’assemblea che, promette lo sfidante di Bersani, «non sceglierà un candidato alle primarie, ma candiderà gli amministratori per cambiare l’Italia».
Già , proprio quegli amministratori tra i quali, evidentemente, c’è chi preferisce l’«usato sicuro» agli incentivi alla «rottamazione».
E che non faranno parte della spedizione dei mille che il prossimo week-end affollerà il palazzo dei congressi a due passi dalla stazione di Santa Maria Novella.
Dove il tema del rinnovamento sembra già destinato a monopolizzare la due giorni. «Non abbiamo scoperto oggi la spending review o il rigore amministrativo — scrive il sindaco —. Solo che siamo abituati a farlo mettendoci il cuore, l’anima, tutto noi stessi. C’è la casta di chi sta rinchiuso nei palazzi dell’amministrazione centrale e c’è l’anticasta di chi tutti i giorni incontra cittadini, parla, ascolta, sta nei mercati e nei centri anziani, nelle scuole e sui posti di lavoro».
Critiche, ma anche proposte. «Non ci serve l’ennesimo cahier de doleances — prosegue Renzi —. E la nostra non può essere una terapia di gruppo di chi si racconta i rispettivi problemi, una sorta di seduta collettiva di amministratori anonimi».
Con una spinta alla fiducia e all’ottimismo. «Noi possiamo e vogliamo restituire un orizzonte all’Italia — continua il capo rottamatore —. Che ha tanti problemi, è vero. Ma è un Paese fantastico, pieno di talenti e opportunità . Liberare l’Italia che già c’è, e che è decisamente più bella di come ce la raccontiamo: questa la prima missione».
Ci sono i meriti dei tecnici guidati da Monti, che hanno ridato «all’Italia quella credibilità che aveva perduto» evitandole «il destino della Grecia», e i doveri della politica.
Che nel manifesto degli amministratori pro Bersani si riassumono più o meno così: «Siamo al cospetto di questioni irriducibili che richiedono di essere guardate in profondità e affrontate con la convinzione che l’impresa che andiamo ad affrontare richiede un passo saldo e determinato e un nuovo patto democratico per la ricostruzione e il cambiamento del Paese».
E come nella lettera di Renzi, anche l’appello a favore del segretario nazionale del Pd, mette al centro gli amministratori locali. «La difficoltà crescente di trovare soluzioni concrete coinvolge direttamente noi Sindaci», nella ricerca di una soluzione che «sta nel ricreare una sana gerarchia dei valori» contro «la montante ondata populista» che «può solo aggravare la disillusione dei cittadini».
La sfida tra Bersani e Renzi per evitarlo è già cominciata.
Antonio Pitoni
(da “La Stampa“)
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
LA FONDAZIONE PER DISTRIBUIRE 30 MILIONI DI EURO AGLI STUDENTI PIU’ BRAVI NON E’ MAI DIVENTATA OPERATIVA…AL PALO ANCHE IL NUOVO PACCHETTO VOLUTO DAL MINISTRO PROFUMO PER GARANTIRE SOLDI E SCONTI SULLE TASSE UNIVERSITARIE
Quella del 2012 doveva essere una maturità all’insegna del merito.
Con 30 milioni di euro in borse di studio da assegnare agli studenti più bravi. Ma il progetto annunciato dall’ex ministro Mariastella Gelmini è rimasto sulla carta.
La novità per il momento è stata accantonata, complice anche il cambio che ha portato al vertice del dicastero dell’Istruzione Francesco Profumo.
E così, mentre il nuovo pacchetto pensato dal neo responsabile per introdurre misure per premiare i migliori non è stato ancora discusso in consiglio dei ministri, per ora agli studenti non resta che puntare alla lode, che però quest’anno è quasi impossibile da raggiungere.
In una nota del ministero datata 11 settembre si leggeva: “Dal prossimo anno scolastico gli studenti che hanno sostenuto l’esame di Stato avranno la possibilità di affrontare un ulteriore test nazionale che metterà in palio borse di studio da 10mila euro, per un totale di 30 milioni. La partecipazione alle prove sarà volontaria, ma potranno essere sostenute solo dagli studenti che conseguiranno alla maturità un punteggio di almeno 80/100”. Il ministero si spingeva più in là , delineando alcune caratteristiche dei nuovi test: “Saranno elaborati dall’Invalsi e non valuteranno la preparazione strettamente scolastica degli studenti ma le competenze di base, dalla comprensione del testo alla logica”.
Il nuovo progetto doveva essere gestito dalla Fonazione per il merito, un organismo istituito dal decreto sviluppo approvato dal governo Berlusconi nel maggio 2011, con membri fondatori il ministero dell’Istruzione e quello dell’Economia.
Una fondazione per cui è già stata autorizzata dal precedente esecutivo una spesa di 10 milioni di euro per il 2011 e di un milione all’anno a partire dal 2012.
Da qui, nelle intenzioni della Gelmini, si sarebbe partiti per arrivare, grazie anche ai fondi europei e al contributo di privati, ai 30 milioni di euro da distribuire agli studenti più meritevoli. E a ulteriori somme da utilizzare per prestiti agevolati agli iscritti alle università .
Ma di prestiti e borse di studio non se n’è più fatto nulla.
Così come della Fondazione per il merito, visto che non è più stato approvato lo statuto e il consiglio di amministrazione non è stato ancora nominato.
Dal ministero dell’Economia fanno sapere che nelle prossime settimane saranno poste le firme necessarie e da allora la nuova organizzazione sarà operativa.
Per ora, però, il merito targato Gelmini è rimasto al palo. Così come quello voluto da Profumo. La bozza del suo ‘pacchetto merito’ è iniziata a circolare a fine maggio.
Tra le altre cose, è prevista a partire dall’anno prossimo la nascita della figura dello ‘studente dell’anno’, scelto da ogni scuola tra quelli che hanno ottenuto i voti più alti alla maturità , magari centrando la lode.
I migliori si aggiudicherebbero una borsa di studio, una riduzione del 30 per cento delle tasse del primo anno di università e la tessera ‘IoMerito’ per avere sconti per musei, mostre e mezzi pubblici.
Il provvedimento sarebbe dovuto arrivare in consiglio dei ministri già all’inizio di giugno. Ma le anticipazioni delle nuove norme hanno scatenato diverse polemiche.
Molto critico il Pd: gli esponenti democratici hanno parlato di visione troppo elitaria della scuola e Giuseppe Fioroni, ex ministro dell’Istruzione, ha indicato altre priorità rispetto al merito: “Dovremmo occuparci innanzitutto della grande dispersione scolastica e migliorare le competenze dei nostri studenti, oggi sotto la media Ocse”.
Niente borse di studio quest’anno, quindi. E nulla di certe su quelle future.
Così agli studenti che il 20 giugno affronteranno la prima prova non resta che sperare nei 650 euro garantiti a chi raggiunge la lode.
Solo che quest’anno sarà più difficile del solito aggiudicarsela, visto che è richiesta la media del 9 negli ultimi tre anni, senza voti sotto l’8 in pagella.
E, come se non bastasse, un 100 pulito al termine di scritti e orali senza i punti bonus a disposizione della commissione.
Luigi Franco
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
LASCIA LA GIUNTA GUIDATA DAL SUO EX COLLEGA DI PROCURA PER CONTRASTI SULLE SCELTE OPERATE DAL SINDACO…AL CENTRO DELLA QUERELLE PERSONAGGI CHIACCHIERATI
Uno strappo, una lacerazione profonda nella compagine di Palazzo San Giacomo. L’addio di Narducci lascia un vuoto e apre un fronte.
Da tempo in Comune si moltiplicano i malumori verso l’amministrazione per alcune scelte.
In testa, i rapporti del Comune con il top manager Alfredo Romeo, già coinvolto nel 1993 in Tangentopoli (quando ammise di pagare alcuni politici definendoli “cavallatte” a caccia di mazzette), quindi arrestato e poi scarcerato e scagionato nel tormentato procedimento Global Service.
Romeo e la sua holding vantano un credito con Palazzo San Giacomo di circa 50 milioni di euro e hanno di recente stipulato nuovi accordi che prevedono anche interventi in una zona dove sorge proprio l’albergo dell’imprenditore.
Ma c’è dell’altro, come il caso di Raphael Rossi, stimato e capace consulente per l’interminabile questione rifiuti, andato via anche lui dopo essersi rifiutato di assumere circa una ventina di persone nell’Asìa, l’azienda che si occupa dello smaltimento dell’immondizia.
Questo, e anche altro, ha scatenato numerosi malumori.
Nelle scorse settimane Narducci e de Magistris hanno “duellato” a suon di dichiarazioni poco amichevoli.
Il magistrato di Calciopoli (che di recente ha dato alle stampe un libro proprio sulla vicenda giudiziaria che ha come primo imputato Luciano Moggi) in una intervista a “Repubblica” aveva già lasciato capire di essere sul punto di mollare manifestando il suo dissenso per alcune decisioni e strategie del Comune
Oggi la conferma di quella che era una sua chiara intenzione.
Ma Narducci, che ormai possiamo definire ex assessore comunale alla Legalità , non potrà tornare a fare il pm a Napoli dopo il suo impegno in politica.
Se vorrà , come è probabile, rientrare in magistratura, dovrà farlo in un altro distretto giudiziario.
Intanto il Comune perde un sicuro protagonista e il suo addio, è già una certezza in queste calde giornate a Palazzo San Giacomo, non passerà inosservato.
In giunta e nel consiglio comunale i mal di pancia cominciano a essere ripetuti.
Giovanni Marino
(da “La Repubblica“)
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
NEL MAGAZZINO MILITARE OCCUPATO DAL GIUGNO DEL 2003: GLI APPARTAMENTI RICAVATI DIVIDENDO I VOLUMI CON IL CARTONGESSO… STORIE DI ORDINARIA POVERTA’ ED EMARGINAZIONE NEL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI
Altro che Porto Fluviale. Questo ex magazzino militare all’inizio di via Ostiense, appena dopo il cavalcavia ferroviario, è un porto oceanico.
Sono approdati marocchini, peruviani, moldavi, tunisini, rumeni, equadoregni, senegalesi, gente da mezzo mondo.
Anche italiani come Manuela, 32 anni, due figli meticci (Kine e Leo, 4 e 2 anni) che si è fatta casa dai tempi dell’occupazione nove anni fa.
Un centinaio di famiglie, decine di bambini che vanno a scuola.
La più piccola è Manel, una ricciolina romano-marocchina di un anno, esibita con orgoglio da zia Zora.
Le occupazioni saranno una sessantina, in tutta la città . Oltre duemila famiglie.
Questa dell’Ostiense, 46 mila metri cubi su mezzo ettaro, fu attuata nel giugno 2003 quando il Coordinamento di lotta per la casa decise un’azione sullo stabile abbandonato da anni.
Erano duecento nuclei famigliari, poi ridotti col tempo.
Tra un anno il ministero della Difesa metterà l’immobile all’asta per fare quattrini.
L’acquirente potrà aumentare i metri cubi di un terzo trasformando tutto in appartamenti, negozi, uffici.
«Non vogliamo andarcene – dice Sara, 22 anni – resisteremo con tutte le nostre forze».
Forse è bene ricordarsi di queste migliaia e migliaia di persone in gran parte pienamente integrate nella società romana (operai, badanti, artigiani) ma costrette a vivere nell’edilizia perduta, talora importanti insediamenti che hanno perso una funzione.
Le case popolari non si costruiscono più, sul social housing si parla molto ma si fa ben poco. Le pubbliche amministrazioni fanno finta di subire un torto, ma tollerano perchè così si tampona un problema.
E che problema: la casa.
Qui se la sono arrangiata col cartongesso, ricavandola dagli spazi interni del magazzino, percorso al secondo e terzo piano perfino da una rotaia.
Hanno fatto un bagno con doccia per ciascuna, le tubature a regola d’arte, la corrente elettrica distribuita secondo le necessità .
La comunità si autoregola: nessuna violenza verbale o fisica, niente droghe.
Una volta la settimana, assemblea guidata da un «direttivo» nominato a rotazione per mandare avanti l’«unitè d’abitation» senza intoppi.
C’è una coloratissima sala da the aperta al pubblico («per scambiare conoscenze e mettere in movimento idee») che si affaccia sulla strada, un grande ambiente per le riunioni dove c’è anche una piccola area per pregare Allah, i lunghi e oscuri corridoi dove si affacciano le «case» e il Cortile, lo spazio esterno al centro della «ville radieuse», tanto per andare sul contrappasso.
Lo scenario è povero, sgarrupato.
Ma quando si entra a casa di Manuela o di Buochra, una quarantenne di Marrakesh, c’è un ambiente dignitoso, pulito e a cui non manca l’essenziale.
Spesso non chiudono la porta.
Roberto Suarez, 43, peruviano, studia sociologia e fa il facchino d’albergo: «Stando insieme siamo molto cresciuti: ora abbiamo un forte spirito sociale e pensiamo che questo ex magazzino debba subire una trasformazione esemplare per tutto il quartiere».
Abdul, marocchino sui 40, da tempo covava certe idee su questo casermaccio in cui tanti sorridono: ed ha appena scritto un libretto col computer dal titolo «Mi piace questo posto» che regala «solo a chi lo merita».
I «fluviali» organizzano spesso presentazioni di libri, dibattiti, fanno skill share (condivisione di abilità , un progetto social che viene da Boston), aperitivi, party: e così mettono insieme qualche soldo per la manutenzione. Il pomeriggio mentre i ragazzi giocano a pallavolo, si chiacchiera bevendo the e assaggiando dolci di ogni Paese.
«Qui abbiamo imparato a socializzare la sofferenza individuale» dice qualcuno che esalta l’atmosfera di buona convivenza costruita nel grande fabbricato. Non sarà proprio radiosa, ma questa mini-borgata in piena città , sovrastata dalla ferrovia, pare alludere ad una serena alternativa al modo di vivere stressante ed infelice al quale sembriamo tutti tendere”.
Margherita, ingegnere sarda trentenne, sta facendo in questa comunità il suo dottorato di urbanistica.
Con Gaetano ha realizzato un mediometraggio (50′), «Good buy Roma», che parla della valorizzazione dell’ex magazzino e del diverso modo di vivere che si è venuto a creare in via del Porto fluviale.
Il film è stato premiato in tanti festival di settore e sta girando per il mondo nel circuito underground.
È un cinema di denuncia e di speranza, che piace perfino in Nuova Caledonia.
Giuseppe Pullara
(da “Il Corriere della Sera”)
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
IN ITALIA TRE MILIONI DI PERSONE VIVONO IN UNA CONDIZIONE DI POVERTA’ ASSOLUTA, OVVERO NON POSSONO ACCEDERE AI BENI E SERVIZI ESSENZIALI… ALTRI OTTO MILIONI SONO IN UNA CONDIZIONE DI POVERTA’ RELATIVA…QUANDO UNA DESTRA MODERNA E CIVILE VORRA’ RAPPRESENTARLI?
In Italia oltre 3 milioni di persone vivono in una condizione di povertà assoluta – ovvero non riescono ad accedere ai beni e servizi essenziali – e altri 8 milioni sono in una condizione di povertà relativa.
E, forse anche per colpa della crisi, si registra un calo della tensione solidaristica.
La società è più dura con tutti, soprattutto verso i più deboli.
È lo spaccato che emerge dalla prima sessione dei lavori degli “Stati generali degli amici dei poveri”, che si tiene a Napoli.
Un confronto a tutto campo sul tema “Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri”, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, tra i rappresentanti di 160 movimenti e associazioni di volontariato che operano in Italia promosso dall’arcidiocesi di Napoli, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità “Giovanni XXIII”.
La povertà è diffusa, ha denunciato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo e non risparmia nemmeno i minori.
Ma soprattutto in questa fase di crisi bisogna evitare «l’eclissi della cultura della solidarietà » perchè «se non si è solidali si finisce per avvertire i mondi dei poveri, come ingombranti, se non minacciosi».
«Si ha la sensazione che l’esclusione si vada affermando quasi come un’attitudine corrente, mentre svanisce sempre di più il senso di debito sociale», ha detto ancora con forza Impagliazzo.
Per il direttore della Caritas italiana, monsignor Francesco Soddu, «prima ancora di una risposta ai bisogni materiali il povero chiede il riconoscimento effettivo della propria dignità di persona, del diritto di persona, del diritto ad un vita normale e decorosa».
E – avverte il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo del capoluogo campano – è possibile e necessaria una alternativa alle chiusure e all’egoismo.
Le povertà non sono tutte uguali.
In Campania, in particolare, ha detto il vescovo ausiliare di Napoli, Antonio Di Donna, c’è una specifica questione, che è quella «dei diritti».
E ricordando le parole del cardinale Bagnasco ha detto «che occorre lavoro, lavoro e lavoro».
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
LA PRIMA DOMANDA DEI CINQUESTELLE ELETTI IN COMUNE A GENOVA: “QUANTI CELLULARI GRATIS AVREMO E QUANDO?”… UNA TESTIMONE: “ERANO AMAREGGIATI QUANDO HANNO SAPUTO CHE SPETTAVA SOLO AL CAPOGRUPPO”
La vicenda è stata riportata dal “Secolo XIX”: ne parliamo solo perchè è giusto capire, al di là del legittimo voto di protesta, a chi si assegna certe volte in buona fede il proprio voto.
Possiamo permettercelo perchè in passato non abbiamo fatto sconti a nessuno, in primis all’area di centrodestra o presunta tale.
Non è la prima volta che trattiamo il tema dei grillini eletti in Comune a Genova (quattro più il candidato sindaco Putti), evidenziando un curriculum poco legato alle origini del movimento Cinquestelle, ma piuttosto al comitato “No gronda” e il loro legame con il presidente Pd della Regione Liguria Claudio Burlando.
Con la elezione di Marco Doria, abbiamo ritenuto di poter commentare che Burlando si è scelto il sindaco (facendo fuori la Vincenzi e la Pinotti in un colpo solo) e anche l’opposizione di comodo (grillini), passando poi per un accordo con l’Udc che, dopo aver fatto eleggere i propri consiglieri nella lista Musso, presto si trasferirà armi e bagagli nella giunta di centrosinistra (come in Regione).
Ma torniamo ai “magnifici cinque” cinquestellati, eletti in nome della lotta ai privilegi della Casta, come trombeggia Beppe Grillo dalle colline di Sant’Ilario.
Ebbene leggiamo che “la prima cosa che hanno chiesto appena affacciati in consiglio comunale sono stati i telefonini. “Quanti ne avremo e quando?” hanno sussurrato agli impiegati comunali. Gli illusi pensavano di averne diritto uno a testa, così addio spese di sim. Che amara sopresa scoprire che la casta di Tursi non era poi così luccicante. Niente da fare, il cellulare comunale lo riceverà solo Paolo Putti, il capogruppo. Specie dopo che è andato a male il tentativo di piazzare Muscarà nella commissione elettorale. Una giovane impiegata li ha descritti così: “Sembravano davvero amareggiati, quando l’hanno saputo”. Muscarà e gli altri rivoluzionari dovranno continuare a comprarsi le prepagate”.
Questi sono gli uomini nuovi, lontani dalle tentazioni del potere, che dovrebbero “cambiare il Paese”?
Cosi è, se vi pare.
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Giugno 18th, 2012 Riccardo Fucile
CON CARTA INTESTATA DEL SENATO, SCRIVE ALL’UFFICIO CONTRAVVENZIONI DEL COMUNE DI ROMA: “L’AUTO OGGETTO DELLA CONTRAVVENZIONE ERA TEMPORANEAMENTE SPROVVISTA DELL’AUTORIZZAZIONE DI TRANSITO CHE NON HO POTUTO RINNOVARE A CAUSA DI CONTINUI IMPEGNI”
“Io sottoscritto Sen. Maurizio Gasparri, Presidente del Gruppo Parlamentare ‘Il Popolo della Libertà ‘ presso il Senato della Repubblica…”.
La lettera comincia così, piena zeppa di maiuscole.
Ma non ha niente a che vedere con il ramo del Parlamento che ha sede a Palazzo Madama o con il partito che alloggia in via dell’Umiltà .
Riguarda una Mercedes classe A, che viaggia per le strade della Capitale ed è intestata ad Amina Fiorillo. La moglie del senatore Maurizio Gasparri.
La lettera è datata 22 marzo 2012 e indirizzata all’ufficio Contravvenzioni del Comune di Roma.
Gasparri e famiglia abitano nel centro storico e hanno preso alcune multe perchè si sono dimenticati di rinnovare il pass per la zona a traffico limitato.
Hanno chiesto l’archiviazione dei verbali e fatto valere il loro diritto di residenti autorizzati. Ma il senatore ha preferito non procedere come un cittadino qualsiasi.
Ha scritto ai vigili su carta intestata del Senato, ha illustrato lo scranno su cui sedeva e ha tenuto a precisare che “l’autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell’autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d’Italia correlati al mio mandato istituzionale”.
Talmente avvezzo alla tiritera da metterla in mezzo anche quando non ce ne sarebbe bisogno.
Lui, però, al telefono non capisce il punto.
Spiega e rispiega com’è andata la vicenda: “Sono residente in centro storico, la macchina è di mia moglie, io a volte la uso a volte no: il permesso era scaduto, mi sono arrivate le multe, adesso aspetto di capire quanto e come bisogna pagare…”. Nessuno gli contesta la dimenticanza, ma lui insiste: “I residenti hanno un permesso che viene rinnovato con scadenze anomale, tipo ogni tre anni, quindi non è come l’assicurazione, o il bollo… quando scade non c’è neanche un avviso al titolare. Mia moglie non l’ha rinnovato, può capitare, e quindi, in attesa di pagare…”.
Il senatore ha fatto ricorso, come avrebbe fatto chiunque.
Su questo siamo d’accordo: “Non c’entra niente il fatto di essere parlamentare, non ho il permesso in qualità di parlamentare, ho il permesso come residente. Non è che non ne avevo il diritto, è che non l’avevo rinnovato”.
Il punto è chiarissimo, ma perchè usare la carta intestata del Senato? “Non è questo il problema, quello che mi chiederanno di pagare pagherò , quella lettera non è tesa a procacciarsi un ingiusto vantaggio: se uno voleva fare una cosa non regolare non è che si metteva a fare una lettera, giusto no?”.
Sarebbe bastato presentarsi come Maurizio Gasparri, residente in via tal dei tali… “Io sono quello che sono, mica mi devo vergognare di quello che sono nè devo chiedere un privilegio per la mia posizione. Sono un senatore, uso la carta intestata, che devo fa’? Non credo che per questo faranno valutazioni di alcuna natura, guardi… la procedura è assolutamente corretta, la risposta potrà essere negativa, ci atterremo a quello che sarà ”.
In attesa di vedere come andrà a finire, non resta che affidarsi al presagio del senatore: “Non credo che mi daranno una risposta perchè sono Gasparri”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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