Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
PARMA: PATETICA FIGURA DI PIZZAROTTI CHE AVREBBE VOLUTO NOMINARE L’EX TAVOLAZZI, INVISO PERO’ A GRILLO… E ALLA FINE SI DECIDE DI NON DECIDERE
Alla fine l’hanno spuntata Grillo e Casaleggio che non volevano che il consigliere comunale di Ferrara espulso dal Movimento 5 stelle rientrasse con un incarico di prestigio nella città Ducale.
Intanto il neo sindaco Pizzarotti ha nominato l’assessore al Bilancio.
Nessuna conferenza stampa: i cittadini lo hanno saputo con una sorta di diretta streaming attraverso il sito del Comune
Prima il clamore, poi il silenzio e quindi una velata retromarcia.
A Parma il presunto strappo tra il sindaco del Movimento 5 stelle Federico Pizzarotti e il leader Beppe Grillo, o più presumibilmente, sostengono alcuni esponenti di Parma del movimento, Gianroberto Casaleggio, per la candidatura di Valentino Tavolazzi a direttore generale del Comune si sarebbe ricucito.
Tanto che l’ipotesi dell’arrivo del consigliere comunale di Ferrara, espulso dal Movimento 5 stelle a marzo, appare ormai tramontata.
“Le risorse del Comune di Parma sono molto limitate — ha detto il sindaco — quindi la questione del direttore generale rimane in sospeso”.
Fino a ribadire, un’ora fa, che per ora andranno avanti senza direttore generale. Poi si vedrà .
Il caso Tavolazzi era scoppiato a tre giorni dalla vittoria di Pizzarotti a Parma, quando sul blog di Beppe Grillo era apparso un post per la ricerca di un direttore generale per il Comune per dare un aiuto alla nuova amministrazione Cinque stelle.
Il blogger riferiva anche dell’autocandidatura (sostenuta da un consigliere regionale del Movimento) di Tavolazzi, spiegando che però era incompatibile in quanto al consigliere di Ferrara era stato “inibito l’uso congiunto del suo simbolo con quello del Movimento 5 stelle”.
Da parte sua, Tavolazzi ha sempre sostenuto di essere stato chiamato proprio dagli esponenti di Parma, in primis Pizzarotti, che come dimostrato in un video, si sarebbero serviti delle consulenze dell’ex Cinque stelle anche prima di vincere le amministrative.
Il sindaco di Parma d’altro canto aveva minimizzato sul diktat di Grillo-Casaleggio, ridimensionando la presunta spaccatura nel Movimento 5 stelle e ammettendo di avere contattato Tavolazzi “in piena autonomia durante le selezioni tra altri candidati, per il ruolo tecnico e non politico, di direttore generale in quanto persona di provata capacità e assoluta fiducia”.
Ma nei giorni seguenti sulla questione è cominciato un impercettibile ma deciso dietrofront.
Prima è emerso un problema molto concreto: la figura del direttore generale, così come il suo compenso, nella pianta organica del Comune di Parma non esiste più da diversi mesi .
“Si può reinserire” aveva obiettato Pizzarotti a chi glielo aveva fatto notare. Ma a distanza di giorni questo impedimento non sembra così irrilevante, tanto che lo stesso sindaco questa mattina lo ha annoverato tra i problemi che pesano sulla nomina o meno di un city manager.
“Ci sono limiti di budget, che per ruoli che vanno al di fuori della giunta sono molto limitati — ha aggiunto — e vi sono anche altri vincoli legati ai titoli”.
Un altro passo nella retromarcia sulla scelta di Tavolazzi come direttore generale era stato proprio quella legato alla laurea.
“Una modifica del regolamento del Comune di Parma dice che il requisito per la figura del direttore generale è una laurea in Economia o Giurisprudenza” aveva spiegato Pizzarotti a pochi giorni dalle polemiche sul caso.
Altro dettaglio che impedirebbe quindi la nomina di Tavolazzi, che è ingegnere.
Ma ora sembra che addirittura la nomina stessa del direttore generale possa saltare del tutto, Tavolazzi o meno.
“In realtà quello di cui avevamo bisogno è di qualcuno che ci affiancasse nella gestione della macchina comunale — ha ribadito Pizzarotti — Quello di Tavolazzi è uno delle centinaia di curricula che abbiamo valutato. Una persona come lui sarebbe stata molto utile per le sue competenze, ma un conto è volere, e un conto è potere”.
Di certo, mentre il caso del city manager e di Tavolazzi sembra essere sfumato nel nulla per tutte queste motivazioni emerse a posteriori, in sospeso è ancora la nomina della giunta, che come da promessa di campagna elettorale sarebbe stata selezionata in base al curriculum.
A più di dieci giorni dall’elezione però, i nomi ufficiali non ci sono ancora,tranne che per l’assessore al Bilancio che è stato nominato oggi: si tratta di Gino Capelli, classe 1964, nato e residente a Parma.
Laureato in Economia Aziendale è commercialista dall’ottobre del 1993.
Dal 1986 al 1990 si è occupato della gestione dell’impresa di famiglia.
Dal 2003 ha svolto incarichi in collegi sindacali di varie società , svolti anche in contesti di crisi aziendali. Ha ricoperto numerosi incarichi giudiziari nell’ambito di consulenze tecniche in materia contabile, civile, penale e della tutela delle persone.
A cui si aggiungono incarichi di amministrazione di società con nomina giudiziaria, nell’ambito del dissesto Parmalat.
Di recente è stato curatore fallimentare della società Jam Session Srl, della Jam Session Holding Srl e della Jam Session Retail Srl, società poste a capo del gruppo titolare del marchio fashion Guru e dichiarate fallite nel luglio del 2008.
“Capelli è già al lavoro su bilancio e partecipate — assicura Pizzarotti — L’annuncio degli altri assessori, come avvenuto per lui, sarà fatto in un modo innovativo attraverso il sito del Comune di Parma, una sorta di diretta streaming”
Silvia Bia | Parma
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: governo | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
SI PAGA LO 0,4% CON DETRAZIONE DI 200 EURO, PIU’ ALTRI 50 PER OGNI FIGLIO…AGEVOLAZIONI SOLO SE COINCIDONO RESIDENZA ANAGRAFICA E DIMORA ABITUALE… NIENTE SCONTI AI FAMILIARI CON USO GRATUITO
Abitazione principale di nuovo tassata.
Pagano come seconde case gli immobili dati in uso gratuito ai familiari. Finora anch’essi esenti. E margini più stretti per beneficiare delle agevolazioni.
Il passaggio dall’Ici all’Imu non sarà indolore per i contribuenti.
Addio esonero
Dal 2008 al 2011 l’abitazione principale e le relative pertinenze sono rimaste esenti dall’Ici. Ora, invece, tornano nel mirino.
Le disposizioni Imu comprendono una nuova definizione di abitazione principale, che è stata modificata in maniera restrittiva: si tratta dell’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il contribuente risiede anagraficamente e dimora abitualmente.
Queste due circostanze devono verificarsi entrambe.
Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi, ma situati nel territorio comunale, le agevolazioni si applicano su un solo immobile.
Unica eccezione è quella di due coniugi che hanno stabilito la residenza anagrafica e la dimora abituale in due comuni diversi: le agevolazioni spettano a ciascun coniuge.
Inoltre l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta in catasto: se il contribuente utilizza come abitazione principale due appartamenti adiacenti ma accatastati separatamente dovrà scegliere a quale dei due applicare le agevolazioni.
Box e cantine
Si intendono come pertinenze dell’abitazione principale – con diritto alle agevolazioni – esclusivamente:
un’unità immobiliare classificata come C2 (cantina, soffitta o locale di sgombero);
un’unità immobiliare classificata come C6 (posto auto o autorimessa);
un’unità immobiliare classificata come C7 (tettoia).
Entro questi limiti il contribuente ha la facoltà di individuare le pertinenze per le quali applicare il regime agevolato.
Se, per esempio, possiede 3 pertinenze di cui una cantina accatastata come C2 e due box classificati come C6, sarà lo stesso contribuente ad individuare fra questi ultimi la pertinenza da collegare all’abitazione principale.
Se però la cantina risulta iscritta congiuntamente all’abitazione principale, il contribuente deve applicare le agevolazioni previste solo ad altre due pertinenze di categoria catastale diversa da C2, poichè in quest’ultima rientra già la cantina iscritta in catasto congiuntamente all’abitazione principale.
Le eventuali ulteriori pertinenze sono assoggettate all’aliquota ordinaria.
Le assimilazioni
I comuni non possono più assimilare all’abitazione principale gli immobili dati in uso gratuito ai familiari.
Su questi ultimi, quindi, l’Imu va calcolata con l’aliquota delle seconde case (0,76%) e senza diritto alla detrazione.
Le uniche possibili estensioni comunali riguardano l’abitazione di proprietà di anziani in case di ricovero e di cura e degli italiani residenti all’estero, purchè non affittata (vedi schema).
Le aliquote
L’aliquota da applicare all’abitazione principale e alle relative pertinenze, per il versamento di giugno, è pari allo 0,4%.
A regime l’aliquota potrà variare dallo 0,2% allo 0,6% (salvo ulteriori rincari).
Dall’Imu lorda si detraggono, fino a concorrenza, 200 euro.
La detrazione deve essere rapportata al periodo dell’anno durante il quale si protrae la destinazione ad abitazione principale.
Inoltre se l’immobile è adibito ad abitazione principale da più soggetti, la detrazione viene suddivisa fra essi in egual misura (indipendentemente dalla quota di proprietà ) e proporzionalmente al periodo per il quale la destinazione stessa si verifica.
Viene inoltre riconosciuta una detrazione di altri 50 euro per ciascun figlio di età inferiore ai ventisei anni che dimori abitualmente e risieda anagraficamente nell’abitazione (fino a un massimo di ulteriori 400 euro).
Il diritto alla maggiorazione spetta fino al compimento del ventiseiesimo anno di età : dal giorno successivo si decade dal beneficio.
Lo sconto spetta anche se il figlio non è a carico e quindi ha redditi propri. Infine, in caso di nascita di un figlio nel corso dell’anno, la detrazione va ragguagliata ai mesi.
Per fare un mese servono almeno 15 giorni.
Sara Longoni
(Associazione italiana dottori commercialisti)
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: casa | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
ANCHE LE LAVORATRICI COLTE E PREPARATE HANNO STIPENDI PIU’ BASSI DEGLI UOMINI, FINO AL 37% IN MENO
Qui non si tratta della casalinga di Voghera o della ragazza del Sud che la famiglia costringe a casa dopo la licenza media.
Qui si tratta di “upper class”, di gioventù ricca e colta, di ragazzi e di ragazze che possono scegliere cosa studiare e dove studiare, che provengono da famiglie ad alto reddito e che sono figli della classe “professionale, dirigente, innovativa” di una città come Milano.
La punta avanzata dell’evoluzione sociale, dunque. Eppure anche lì, anche in quel contesto che dovrebbe essere immune dalle disparità di sesso, le donne guadagnano meno degli uomini. Lavorano, non stanno a casa, sono autonome nella vita come nel reddito, ma la loro busta paga è inevitabilmente più leggera di quella del partner, dell’amico o del fratello.
Mediamente più leggera del 37 per cento.
Anche se a scuola hanno sempre ottenuto i voti migliori, anche se si sono laureate in tempi più stretti, anche se al liceo sono risultate delle autentiche schegge in matematica e fisica.
Perchè non è vero che le ragazze brillano solo nelle materie letterarie: surclassano i compagni anche in quelle tecniche.
Eppure niente ferma la disparità salariale fra maschi e femmine: non c’è reddito, provenienza sociale o territoriale che tenga.
Il fatto nuovo è che spesso – dietro ai risultati ottenuti in questi contesti privilegiati – ci sono scelte effettuate dalle donne stesse.
E’ quanto indica lo studio “Il gap salariale nella transizione tra scuola e lavoro” pubblicato dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti.
Una lettura che parte da un presupposto finora poco considerato: le donne guadagnano di meno perchè al momento della scelta della facoltà , si orientano verso studi umanistico-letterari destinati a condurle verso professioni scarsamente retribuite.
E lo fanno di testa loro, nonostante i brillanti risultati scolastici permetterebbero alle ragazze di “volare” anche in indirizzi considerati tipicamente maschili (e legati a professioni più redditizie) come ingegneria, economia o matematica.
Una decisione non da poco, visto che l’analisi della Fondazione Debenedetti dimostra che la scelta del percorso universitario spiega per un terzo la differenza di reddito fra uomini e donne.
Lo studio – che sarà presentato nella Conferenza europea “Le diverse dimensioni della discriminazione” in calendario a Trani per il 9 giugno (chi volesse iscriversi può farlo all’indirizzo mail info@frdb.org) – considera volutamente un campione di laureati molto ben caratterizzato. Sono stati presi in considerazione i ragazzi diplomati in 13 licei classici e scientifici di Milano tra il 1985 e il 2005 che hanno poi proseguito gli studi nelle 5 Università cittadine.
Trentamila brillanti giovani provenienti da brillanti famiglie, oggi già inseriti nel mercato del lavoro e immuni dai freni che stanno agendo sull'”ascensore sociale” italiano (quello che fino a poco tempo fa permetteva ai figli di raggiungere condizioni di vita, studio, reddito e lavoro migliori rispetto a quelle dei genitori). Loro sul tetto ci sono già .
Le conclusioni positive dell’indagine, va detto, sono almeno due: il sesso non pesa in termini di occupazione perchè la differenza fra maschi occupati e donne occupate non va oltre il 7 per cento.
Nè le donne decidono come proseguire gli studi in base alle prospettive di un futuro matrimonio “ricco”.
Si potrebbe presumere – considera il rapporto – che gli uomini più spinti alla carriera e all’inseguimento di un alto reddito, pensino sia meglio sposare una donna che, avendo scelto studi umanistici, sia più propensa a professioni meno competitive e meno pagate e più interessata alla gestione della famiglia.
Ma, almeno fra i ragazzi e le ragazze della Milano “bene”, guardando ai numeri, ciò non sembra avvenire.
Ciò che avviene, invece, è che con costanza sorprendente le donne rifuggono dalle facoltà legate a lavori a più alto reddito. Lo studio le indica con chiarezza: medicina, ingegneria, economia, matematica.
Medicina a parte (dove le quote femminili e maschili si eguagliano) le facoltà più “redditizie” sono state scelte dal 65 per cento dei ragazzi del campione e da solo il 20 per cento delle ragazze.
Gli indirizzi legati alle professioni peggio remunerate (Scienze dell’educazione, Scienze umanistiche, Architettura e design) sono stati invece scelti dal 35 per cento delle femmine e dal 10 per cento dei maschi.
Cosa c’è dietro queste decisioni?
Lo studio individua due possibili motivazioni, anche se difficilmente misurabili perchè legate a caratteristiche individuali.
Le donne sono meno competitive dei maschi (il livello di competitività è stimato tenendo conto della propensione ad esercitare attività sportive), sono – in genere – più attente al prossimo (attitudine rilevata in base alla partecipazione ad attività di volontariato) e comunque scarsamente votate alla ricerca di un lavoro a tutti i costi ben pagato.
Pesa il ruolo che si sentono in dovere di coprire nella famiglia e quindi – ancora una volta – pesa la mancanza di infrastrutture e welfare che permettano alle donne di dedicarsi al lavoro senza preoccuparsi dei bambini e degli anziani. Pesa, probabilmente, anche un gap di autostima.
Comunque sia – precisano gli autori del rapporto – colpisce come il “gap salariale fra uomini e donne persista persino in un gruppo socio-economico relativamente benestante e istruito come quello dei licei milanesi”.
Se è così in quell’ambiente protetto, figuriamoci nel resto del Paese.
Lì il problema sta a monte: le donne che lavorano sono ancora troppo poche e gli ultimi dati sulla disoccupazione femminile rilevati dall’Istat fanno capire che le nuove generazioni sono più penalizzate delle vecchie (al Sud è disoccupato quasi il 52 per cento delle ragazze fra i 15 e i 24 anni).
Quando poi lavorano le donne italiane, a parità di ruolo e di orario guadagnano mediamente il 16,4 per cento in meno rispetto ai colleghi maschi.
Ora gli allarmi s’inseguono e s’inseguono anche le promesse: nell’ultima relazione annuale la Banca d’Italia ha ribadito che la ripresa del Paese deve necessariamente passare attraverso la soluzione della questione femminile.
E il governo Monti, pochi giorni fa, si è impegnato a far sì che entro il 2016 non esista più, a parità di ruolo, alcuna disparità di stipendio.
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
argomento: Lavoro | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
ANCORA PIANTONATA LA RESIDENZA DI PALERMO, COSI’ COME SONO ANCORA SCORTATI GLI EX MINISTRI DELLA GIUSTIZIA FASSINO, MASTELLA E CASTELLI
L’argomento della scorta e della tutela a personalità dello Stato è molto delicato, e lungi da noi di suggerire chi e come debba essere protetto.
Tuttavia è nostro compito raccontare i fatti, ed ecco, dunque, un fatto.
Questa è la storia di un piccolo ma significativo spreco italiano.
È una sineddoche, la parte per il tutto, il particolare che racconta il generale, una delle schegge che va a comporre la trave infilata nell’occhio di uno Stato che forse non sa, forse non può o forse non riesce.
Questa è la storia di un appartamento vuoto in cui tempo fa abitava un ministro diventato poi ex-ministro, appartamento che viene tutt’oggi protetto e sorvegliato da due uomini della Polizia Penitenziaria in pianta stabile , con tanto di telecamere a circuito chiuso e inevitabili sbadigli.
L’ex ministro in questione (ma non è questa la notizia) è l’On. Angelino Alfano, che, nonostante dal luglio 2011 sia un semplice — e ora pure afflitto — segretario di partito, mantiene la protezione degli uomini dell’Uspev (Ufficio per la Sicurezza Personale e Vigilanza della Polizia Penitenziaria), non solo presso la sua residenza a Roma, ma anche a Palermo, dove da tempo non vive più e dove pare che l’appartamento sia pure in vendita.
Tutto ciò rende la vicenda Alfano ancora più singolare, ma il suo non è certo un caso isolato.
Anzitutto vale la pena di ricordare che il servizio di protezione è svolto non solo dall’Uspev, ma anche da Polizia di Stato, Carabinieri, Forestale e altri corpi.
Ma la Polizia Penitenziaria, in particolare, dovrebbe occuparsi di ministri, sottosegretari, dirigenti e autorità dipendenti dal ministero della Giustizia.
Perchè allora un segretario di partito continua ancora ad occupare uomini della Polizia Penitenziaria?
La risposta è che esiste una “prassi istituzionale” che prevede che la protezione continui anche dopo il decadimento dalla carica, anche per diversi anni.
E perchè esiste questa prassi istituzionale?
E quanti uomini sono impiegati in questo modo?
Alfano è forse l’unico di cui viene protetto anche lo spirito che aleggia nelle abitazioni precedenti, ma l’anomalia, se c’è, è di più larga scala.
Al servizio di Piero Fassino, ex (ormai molto ex) ministro della Giustizia c’è ancora un’unità di Polizia Penitenziaria; ce ne sono due per l’ex Roberto Castelli, quattro per l’ex Clemente Mastella, dodici per l’ex Nitto Palma, quattro per gli ex sottosegretari alla Giustizia Giacomo Caliendo e Maria Elisabetta Alberti Casellati (che, si leggeva sui giornali quest’inverno, pare sia stata scortata per quindici giorni tra le nevi di Cortina).
E ce ne sono sedici per l’ex ministro Angelino Alfano, che sarebbe stato accompagnato da uomini e mezzi anche nel corso dell’ultima campagna elettorale.
In tutti i casi ci saranno senz’altro ottimi motivi, ma non dimentichiamo anche che le carceri sono sovraffollate, che mancano nuclei di traduzione dei detenuti e che c’è grave carenza di personale di sorveglianza.
Eleonora Bujatti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia, Giustizia, la casta | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
BUONITALIA, UNA SOCIETA’ PUBBLICA PER PROMUOVERE I PRODOTTI ALIMENTARI ITALIANI NEL MONDO CHE, CON IL LEGHISTA ZAIA MINISTRO, FAVORIVA SOPRATTUTTO I PRODOTTI VENETI
Quando nel 2008 Luca Zaia diventa ministro delle Politiche Agricole mette a capo di Buonitalia Walter Brunello, un suo fedelissimo a cui affida 50 milioni di euro per far ripartire la società .
«Soldi spesi in modo politicamente scorretto» a detta di Giancarlo Galan, successore di Zaia, che quando arriva al Ministero nel 2010 trova che: «Tutto era fatto con grande pressapochismo».
Tra i due non corre buon sangue, ma a quanto pare Galan non è l’unico a pensarla così, visto che pochi mesi fa la commissione Agricoltura della Camera ha ficcato il naso tra i contratti dei progetti realizzati e ha notato che c’era un certo squilibrio a favore della regione Veneto.
Come il caso della società City Center di Treviso che, quando Zaia era ministro, avrebbe dovuto realizzare il sito di Buonitalia.
Uno dei soci è Alberto Campion, l’uomo che gli ha curato la comunicazione web aprendo il sito lucazaia.it.
Uscita la notizia sui giornali, il progetto va in fumo.
Buonitalia nel periodo di Zaia ha finito anche per sponsorizzare per 328mila euro una squadra di basket canadese, i Toronto Raptors, dove oltre al cestista Andrea Bargnani, troviamo Maurizio Gherardini ex procuratore generale della Benetton Treviso, che «avrà dato l’aggancio per una squadra e per una promozione a livello degli Stati Uniti» risponde Zaia e conclude: «Perchè non mi chiede del milione di euro speso prima di noi per finanziare una guida negli Stati Uniti?».
Insomma, la mala gestione di Buonitalia sembra quindi partire alla lontana.
E quali sono state le conseguenze?
La società oggi è in liquidazione anche se in cassa ha ancora 20 milioni di euro che non può spendere perchè secondo il Ministero le rendicontazioni dei progetti non sono complete. Prima di chiudere i battenti Buonitalia dovrebbe saldare i suoi conti con i fornitori che hanno realizzato gli eventi: l’Enoteca Italiana aspetta 100mila euro, la Federazione di rugby ne vuole 600mila, la Fiera di Verona 3,8 milioni, la Biennale di Venezia 300mila, Parmigiano Reggiano e Grana Padano 2,3 milioni.
Ad oggi è ancora tutto fermo.
argomento: Costume, denuncia, economia, governo, LegaNord | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
IL CASO CORALLO, L’ONOREVOLE DEL PDL E IL PC “RIPULITO”
Mi chiamo Cleaner, risolvo problemi.
Questa incredibile storia ha per protagonista un computer di nome «Francesco», un deputato del Pdl proveniente da An, ovvero l’on. Laboccetta Amedeo, componente della Commissione Antimafia, Francesco Corallo, un imprenditore di slot machine e videopoker, però anche ambasciatore presso la Fao dell’isola caraibica di Dominica, una banca, la Bpm, inquisita per presunto finanziamento irregolare.
Insomma, una tipica storia italiana, una delle tante, dove si dimostra che le bugie hanno il computer corto.
Ecco i fatti.
All’inizio di quest’anno la Guardia di finanza si presenta nell’abitazione di Corallo, la cui società Atlantis, che si occupa di macchine per il gioco d’azzardo legale, aveva ricevuto un controverso prestito di 148 milioni di euro dalla Bpm, per intercessione di Ponzellini.
I finanzieri sono tenuti fuori della porta con la scusa dell’immunità diplomatica dell’imprenditore.
Poi arrivano quattro avvocati.
Poi arriva l’on. Laboccetta Amedeo, diploma di istituto tecnico commerciale: tira fuori il tesserino da deputato, contrassegno dell’immunità parlamentare, dichiara che il pc è suo, se lo mette sotto braccio e saluta la compagnia.
Per farla breve: le indagini della Procura di Milano hanno documentato che il pc «Francesco» è stato sbianchettato.
Grazie al programma «Cleaner» sono state depennate le tracce in profondità «al fine di occultare la effettiva proprietà del pc in capo a Francesco Corallo».
Amara conclusione degli inquirenti: «Il proposito criminoso è andato, per la più parte, a buon fine perchè, al di là delle vicende manipolative chiaramente emerse, non è stato possibile recuperare dal pc i dati cancellati».
II pc «Francesco» ha cambiato identità ed è come se fosse diventato il pc «Amedeo», prendendo altre strade.
Questo succede quando l’immunità viene confusa con l’impunità .
Questo succede quando l’onorevole Cleaner «ripulisce» il senso delle istituzioni.
Diceva Isaac Asimov che la disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta.
Appunto, al contrario degli uomini.
Aldo Grasso
(da “Il Corriere della Sera”)
argomento: Giustizia, PdL | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
AL CONGRESSO DI BERGAMO L’AUTOCRITICA DEI LUMBARD TRA FORTI DIVISIONI INTERNE E PRETORIANI MINACCIOSI
Solo un accenno di rissa, quando Cesarino Monti rivendica i suoi 65 anni, la sua fede e il suo fastidio: «Sono bossiano e non mi vergogno. Io voglio star vicino a quell’uomo, un uomo che soffre. Quando mi ha chiamato perchè ho un tumore gli ho detto “Umberto, sono più dispiaciuto per la Lega che per me: per il cancro che è entrato tra noi e ha trasformato la Lega in un “postificio”».
Tra i delegati c’è chi grida «Cesarino, Cesarino!».
C’è chi lo fischia. Insomma, a momenti parapiglia.
Non se le sono date, sotto il tendone. Ma quante se ne sono dette, venerdì notte, i delegati.
Cesarino Monti è bossiano orgoglioso.
Gli altri, quasi tutti i delegati, leghisti orgogliosi.
Avevano ascoltato Roberto Castelli e Roberto Calderoli, qui in versione tenerone padano: «Basta con la Lega dell’odio, avanti con la Lega dell’amore».
E vai con le mazzate, con l’ex assessore regionale Corrado Della Torre che lo maltratta: «Sentirsi fare la paternale da te, che hai eseguito il peggior berlusconismo con il ghigno più servile…».
Vecchi rancori, forse. Ma pure una certa rabbia contro la nomenklatura.
Un delegato bergamasco in camicia verde: «Voglio sentire una parola sola: scusa. Quella che dovremmo dire alla nostra gente».
Leghisti orgogliosi e ancora storditi. Come l’assessore regionale Daniele Belotti: «La cosa più brutta è il nostro crollo morale, è andare in giro e sentirsi presi per il culo».
Ancora l’altro bergamasco in camicia verde: «Un movimento di popolo non può diventare uno stipendificio. E troppi nella Lega senza uno stipendio dalla politica non saprebbero cosa fare nella vita».
E Alessandro Vedani, già sindaco di Buguggiate: «O ci rinnoviamo in fretta o ci penserà il voto a mandarci via. Basta con la sclerotizzazione della Lega. Basta con figli e amici e amiche e amichette».
Dal palco sfoghi, amarezze, i toni di chi ci ha sofferto e ci soffre ancora.
Nella notte di venerdì erano stati proprio i varesini, cresciuti con Bossi e Maroni, a condannare una Lega che non piace più.
Come Stefano Candiani, già sindaco di Tradate: «certi nostri parlamentari sembrano mercenari al banchetto romano. E noi non siamo nati per governare a Roma, ma per cambiare il sistema. Il risultato è che alla Padania non crede più nessuno, non ci crediamo nemmeno noi. La Lega in questi anni si è “terronizzata”. E adesso dovremo imparare a dare contenuto a quello che diciamo. Dobbiamo essere credibili».
Contro le «badanti, le Trote e le Pantegane», è quasi facile prendere l’applauso così.
Più difficile, ed è il caso del senatore Giovanni Torri, prendere il microfono per rivendicare una posizione ormai di minoranza: «da quando qualcuno ha parlato di Lega degli Onesti ecco che è partita la magistratura…».
E’ quel che sostengono i bossiani, i reduci del “Cerchio Magico”. «Non si può continuare a sparare sulla croce Rossa», che in questo caso sarebbe Renzo, il figlio di Bossi.
E si stupisce, «schifato», quando scopre che tra i delegati c’è Nadia Degrada, la segretaria intercettata con il tesoriere Belsito. «Non ci volevo credere…».
Ha vinto Salvini, evviva Salvini.
Ma ci sono Cesarino Monti, Torri, quel 25% di leghisti lombardi che credono ancora in Bossi e non riescono ad immaginare un futuro con la Lega di Maroni.
Più che nostalgici, come Monti, non ci vogliono credere, non capiscono cosa stia succedendo.
«Io in 23 anni non ho mai chiamato il Capo -si toglie il cappellino e si sfoga Monti- Non gli ho mai chiesto un appuntamento o un posto. Ma adesso vedo tutti quelli che si mettevano in fila davanti alla stanza del capo che non ci sono più, e non ci sono più perchè temono per la loro carriera politica, perchè loro sono cresciuti nello “stipendificio”».
Bossi si sta alzando dalla prima fila, il palcoscenico non è più per lui, se ne andrà da solo. «Hanno fatto un congresso vicino al manicomio», diceva l’altra notte alle due, nella hall dell’Una hotel.
E forse non era solo una battuta.
Quante ne ha sentite, il vecchio Capo…
argomento: LegaNord | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI “LIGURIA FUTURISTA”: L’UDC PRIMA PRENDE I VOTI NELL’AREA DI CENTRODESTRA E POI TRATTA LE POLTRONE CON IL CENTROSINISTRA… PRONTO IL PREVISTO SALTO DELLA QUAGLIA, MENTRE FLI DORME E MUSSO NON HA NULLA DA DIRE
Preso atto che il neocavaliere della Repubblica, nonchè presidente del Consiglio regionale della Liguria, nonchè coordinatore regionale Udc, nonchè politico citato, nelle operazioni Maglio e Crimine, nel rapporto dei Ros alla Dia come interlocutore del boss della ‘ndrangheta Gangemi e da quest’ultimo appoggiato alle elezioni regionali del 2005, Rosario Monteleone, “invoca un segnale dalla coalizione del sindaco Doria” per la nomina di un esponente Udc alla presidenza del Consiglio comunale di Genova che rappresenterebbe di fatto un allargamento della maggioranza all’Udc, proprio nel momento in cui l’appoggio dell’Idv alla giunta potrebbe venire meno.
Considerato che su quattro eletti della Lista Musso (oltre al candidato sindaco) ben tre sono di estrazione Udc (l’altro consigliere è la sorella di Musso), grazie proprio al listone unico voluto da Monteleone e dal segretario regionale di Futuro e Libertà , Enrico Nan, soluzione accettata dal candidato sindaco Musso.
Ricorda che proprio Liguria Futurista aveva denunciato, prima dell’inizio della campagna elettorale, il trappolone di Monteleone: invece che ottenere un solo consigliere, presentandosi col proprio simbolo (percentuale Udc del 3%), mimetizzandosi nella lista civica il partito di Casini ne avrebbe ottenuti tre, per poi gestirsi in modo autonomo.
Ritiene un atto politico molto grave che i voti raccolti da Enrico Musso per una seria opposizione alla giunta di sinistra vengano dirottati a breve sul candidato Doria, costituendo ciò una grave scorrettezza nei confronti del mandato ricevuto e della volontà espressa dagli elettori.
Richiede le immediate dimissioni dei vertici regionali di Futuro e Libertà che hanno avallato una operazione insensata che ha portato all’azzeramento della presenza di Fli in Comune a Genova.
Ricordiamo che Liguria Futurista aveva non a caso chiesto invece la presentazione di Fli con il proprio simbolo di appoggio al candidato Musso.
Auspica, dopo giorni di silenzio, che il sen. Musso prenda una posizione nel merito della vicenda, assumendosi le relative responsabilità di fronte al proprio elettorato.
LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di presidenza
argomento: Futuro e Libertà, Genova, Musso, Udc | Commenta »
Giugno 4th, 2012 Riccardo Fucile
TERREMOTO IN EMILIA: LA PROPOSTA DEL MINISTRO SEVERINO… E NELLE CARCERI DELLE ZONE COLPITE “CELLE APERTE GIORNO E NOTTE”
Coinvolgere i detenuti delle carceri dell’Emilia-Romagna nell’opera di ricostruzione delle zone terremotate.
Lo propone il ministro della Giustizia, Paola Severino, durante la visita al carcere della Dozza di Bologna.
«Vorrei lanciare un’idea – dice il ministro – quella di rendere utile la popolazione carceraria, quella non pericolosa, per i lavori di ripresa del territorio».
E ancora: «Momenti come questi potrebbero vedere anche parte della popolazione dei detenuti tra i protagonisti di un’esemplare ripresa».
«Vorrei che fossero coinvolte tutte le carceri della regione e se fosse possibile non solo» dice il ministro, pur precisando che si tratta di una «piccola idea» di cui si deve ancora discutere con i direttori e i provveditori.
«Ho sempre pensato che il lavoro carcerario sia una risorsa per il detenuto, un vero modo per portarlo alla risocializzazione e al reinserimento nella società » aggiunge il Guardasigilli.
Facendo l’esempio di Bologna il bacino di detenuti in cui si potrebbe pescare escluderebbe per Severino i 101 detenuti in alta sicurezza e potrebbe riguardare i 246 tossicodipendenti o il 57% di extracomunitari che compongono la popolazione carceraria della Dozza.
Si potrebbe lavorare, spiega «su queste due fasce».
Nel frattempo Severino annuncia alcuni provvedimenti per la sicurezza dei detenuti nelle zone colpite dal terremoto.
«Abbiamo fatto in modo che tutte le celle rimangano aperte di giorno e di notte. Non possiamo aggiungere al carcerato anche l’angoscia della claustrofobia» spiega il ministro della Giustizia.
Chi è in cella «sa di non poter andare da nessuna parte», aggiunge.
Al via già da lunedì, inoltre, lo spostamento di circa «350 detenuti nelle carceri di altre regioni e un rinforzo alla polizia penitenziaria impegnata in Emilia-Romagna». Provvedimenti d’emergenza «per alleggerire la situazione carceraria» e «per dare sollievo», spiega ancora Severino.
Fa il punto su nuovi interventi anche il ministro degli Interni Annamaria Cancellieri: «Ne parleremo presto in consiglio dei Ministri. Non ci sono al momento novità sul piano dell’emergenza e della ricostruzione».
Sui controlli e l’opera anti-sciacallaggio, inoltre, il ministro non esclude l’invio di nuovi militari dell’esercito: «Dipende dalle situazioni. Ad oggi dove i Prefetti hanno fatto richiesta hanno ottenuto i militari».
(da “Il Corriere della Sera”)
argomento: Giustizia, terremoto | Commenta »