Marzo 8th, 2013 Riccardo Fucile
LA MORALE GRILLINA: CHI FA GIORNALISMO E’ UN PREZZOLATO, 160 SUOI PARLAMENTARI DEVONO STARE ZITTI PER EVITARE CHE DICANO SCIOCCHEZZE… “SE FALLIAMO CI SARA’ LA VIOLENZA NELLE STRADE”: NOI PENSIAMO L’OPPOSTO, CI SARA’ SE DOVESSE VINCERE
Attenti ai lupi.
Questo il titolo di un post di Beppe Grillo, oggi sul suo blog.
Un attacco durissimo contro la stampa accusata di aver danneggiato il MoVimento.
“I conduttori televisivi sono pagati dai partiti per sputtanare il M5S”. E poi: “Le televisioni sono in mano ai partiti, questa è un’anomalia da rimuovere al più presto, le sette sorellastre televisive non fanno informazione, ma propaganda”.
Da qui un lunghissimo atto d’accusa: “L’accanimento delle televisioni nei confronti del m5s ha raggiunto limiti mai visti nella storia repubblicana, è qualcosa di sconvolgente, di morboso, di malato, di mostruoso, che sta sfuggendo forse al controllo dei mandanti, come si è visto nel folle assalto all’albergo Universo a Roma dove si sono incontrati lunedì scorso i neo parlamentari del M5S”.
Quindi illustra la sua ricetta per il mondo dell’informazione televisiva: “E’ indispensabile creare una sola televisione pubblica, senza alcun legame con i partiti e con la politica e senza pubblicità . Le due rimanenti possono essere vendute al mercato”.
E la strategia di comunicazione per il movimento: “Lunedi sono stati eletti dai gruppi Parlamentari del m5s per i prossimi tre mesi due capigruppo/portavoce, Roberta Lombardi per la Camera, e Vito Crimi per il Senato. Loro sono stati titolati a parlare dopo aver discusso e condiviso i contenuti con i componenti del gruppo”.
Infine, in un’intervista a Time, una previsione: “Se falliamo, ci sarà la violenza nelle strade”.
Il commento del ns. direttore
Siamo tra coloro che ritengono che quando si dirige un grosso partito o movimento, soprattutto in una fase economica delicatissima come quella che attraversa il nostro Paese, occorra avere in primis il senso di responsabilità e un organigramma di vertice adeguato.
Se poi ci si propone a governare il Paese, magari sarebbe anche opportuno avere soluzioni percorribili e non solo slogan da mercato del pesce nelle ore di punta.
A fronte di una classe dirigente che ha massacrato il Paese, favorendo corruttori, evasori e mafiosi, periodicamente emerge qualcuno che catalizza le proteste degli indignati, sia esso comico innato o dichiarato.
Oggi Grillo se la prende con i giornalisti che certo santi non sono, ma in questo caso rei solo di riportare le dichiarazioni talvolta bislacche di qualche parlamentare cinquestelle.
Ma, caro Beppe, il problema è rappresentato dalla stampa che le riporta o di chi spara cazzate stratosferiche?
E chi ha scelto costoro, chi li mandati a Montecitorio con delle votazioni interne farsa?
Basta un curriculum autocertificato o una fedina penale pulita per rappresentare il popolo italiano?
Nessuno nega a Grillo il buon diritto di portare in parlamento o negli enti locali chi gli pare, ma non pensi di sottrarsi al giudizio dell’opinione pubblica, perchè è questa la democrazia.
Non si è mai visto un leader che mette la museruola a 160 suoi parlamentari dicendo che sono titolati a parlare solo i capigruppo.
Ed è pure autolesionistico, perchè è come affermare che gli altri sono dei coglioni, il che certamente non è.
E anche se emergessero pareri diversi, non è questa la democrazia diretta da Grillo e Casaleggio tanto invocata?
Come contestare la libertà di voto e di coscienza degli eletti, invocando un clima da caserma dove chi sgarra viene politicamente fucilato, non è certo un bell’esempio di democrazia.
Se ti scegli persone inaffidabili il problema è tuo, non della Costituzione.
Quanto al sostenere che “se falliamo, ci sarà violenza nelle strade” ricorda tanto chi voleva garantire la sicurezza con le ronde padagne invece che con scelte legislative vincenti.
Noi pensiamo l’opposto: che se mai Grillo dovesse governare l’Italia, un rischio disordini sociali ci sarà , perchè con tutte le promesse strampalate che ha fatto e che non potrà mantenere aumentaranno i disperati che non avranno più nulla da perdere.
Non si possono promettere tagli alle tasse, redditi di cittadinanza, aiuti alle imprese, senza adeguate coperture economiche.
E se i giornalisti, programma grillino alla mano, dimostrano che il costo delle proposte sarebbe di 90 miliardi e le entrate previste appena di 2 (vedi Ballarò), fanno solo il loro mestiere.
E’ il politico che dovrebbe saper fare il proprio.
L’unica cosa certa è che l’ultima cosa necessaria al nostro Paese è il folklore.
Infatti, a differenza di altri, non abbiamo mai girato da ragazzi con il medaglione di Mussolini al collo nè mai pensato che abbia ragione chi urla più forte.
Anche se a chi strepita riteniamo talvolta sia necessario far fischiare le orecchie.
Non è sceso nessun Messia sulla terra, fatevene una ragione.
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Marzo 8th, 2013 Riccardo Fucile
I DUE POSSIBILI SFIDANTI DEFILATI… CIVATI: “NON CREDO ANDREMO LA VOTO CON BERSANI”
Dei due protagonisti del futuro del centrosinistra uno era assente, alla riunione della
Direzione del Pd, perchè non ha nemmeno la tessera in tasca, l’altro, invece, ha timbrato il cartellino per pochissimo tempo.
L’era del dopo-Bersani sembra approssimarsi, ma i discorsi che ieri aleggiavano nella sala del «parlamentino» del Partito democratico non oltrepassavano quella soglia.
Si fermavano pochi centimetri prima per non inficiare il compromesso trovato dai maggiorenti di Largo del Nazareno.
Solo Pippo Civati, alla fine dei lavori, ha ammesso apertamente che la fase è cambiata: «Non credo proprio che andremo alle elezioni con Bersani».
Sono Matteo Renzi e Fabrizio Barca i possibili sfidanti delle primarie che verranno.
Il primo ieri ha fatto solo una capatina. Ha ascoltato il segretario, seguito l’intervento di Dario Franceschini (con cui dopo ha parlato un po’), ha chiacchierato con Walter Veltroni, quindi si è dileguato.
Del resto, lo aveva già detto la sera prima ai collaboratori e ai parlamentari amici: «Andrò in Direzione giusto per dare un’occhiata, ma non parlerò. Quello che ho detto finora basta e avanza».
E quello che ha detto è che «se ci sarà un secondo giro» lui rientrerà con «le primarie»: «Certo non mi faccio cooptare da quelli».
Già , perchè Renzi sa che di questi tempi, con i grillini che incalzano, sarebbe impensabile non ricorrere al voto dell’elettorato per scegliere il candidato alla presidenza del Consiglio.
L’altro protagonista del centrosinistra che verrà , Barca, non partecipa alla Direzione.
Il ministro per la Coesione territoriale non si è nemmeno collegato in streaming per seguire la riunione.
Aveva altro da fare: definire gli ultimi accordi di un contratto istituzionale Sassari-Olbia per dare una strada civile ai cittadini di quelle zone: «Ci sono stati ben 90 morti negli ultimi anni per le condizioni di quelle strade».
Di lui si parla anche come del possibile premier di un governo del Presidente, ma Barca ha sempre smentito, almeno ufficialmente, di voler imboccare quella via.
È un’altra la sua passione: «Mi voglio impegnare in politica», ammette.
E lo affascina l’idea di «aggiornare la forma-partito».
Per Bersani il ministro «è una risorsa sia per il partito che per il governo».
Per quella fetta del Pd a cui non piace Renzi potrebbe essere l’uomo da contrapporre al sindaco di Firenze.
«Se Renzi si candida – spiega ad alcuni amici Matteo Orfini – noi dovremo per forza scegliere un candidato che contrasti la sua linea».
E chi meglio di Barca? Il quale, peraltro, potrebbe arrivare a quella candidatura da una posizione di vantaggio (o di svantaggio, a seconda di come la guarda) rispetto al competitore Renzi.
Infatti il ministro per la Coesione territoriale potrebbe essere eletto segretario del Pd, dal momento che Bersani ha più volte chiarito che lui non intende ripresentarsi al prossimo Congresso.
Ma nella riunione della Direzione non è giunta nemmeno l’eco di queste indiscrezioni, benchè nei corridoi del Nazareno i dirigenti del Pd non parlassero d’altro.
Anche perchè il «parlamentino» con il suo esito prefissato non destava poi troppo interesse: sono stati in molti gli esponenti del partito che si sono allontanati all’ora di pranzo senza fare più ritorno in Direzione.
La riunione, in effetti, è stata una tappa interlocutoria, che è servita solo a rinviare lo scontro interno di qualche settimana.
Scontro che, però, appare inevitabile, dal momento che ognuno interpreta l’esito della Direzione come più gli aggrada.
Bersani non ha parlato di elezioni per ottenere i voti di quasi tutti, ma questo non significa che abbia cambiato idea.
Con i suoi, ieri, ha ragionato così: «Io non potrò mai sostenere un Monti bis o un esecutivo tecnico o un governo del Presidente, con i voti del Pdl e del centro e senza quelli dei grillini.
È inutile che mi vengono a dire che una di queste opzioni è necessaria per risolvere l’emergenza italiana: è vero il contrario, sarebbe un suicidio per il Paese.
Come dimostra il fatto che nell’ultima fase di Monti eravamo alla paralisi. La strana maggioranza non può ripetersi, allora è meglio tornare alle urne».
Ma l’ipotesi di tornare al voto in tempi rapidi trova la contrarietà di molti nel Pd.
Un nome per tutti, Walter Veltroni: «Sarebbe una pazzia», è il ritornello dell’ex segretario del Partito democratico che non nasconde la sua preoccupazione.
Mentre Paolo Gentiloni insiste sull’opportunità di lascia fare al capo dello Stato.
A cui si affidano ormai tutti quelli che guardano con più di una perplessità alla linea del segretario.
Il quale però continua a dire ai collaboratori che una soluzione diversa dalle elezioni e dalla maggioranza con il Pdl potrebbe ancora esserci. Lui sembra crederci.
E’ un’opzione che coinvolge i grillini. Non tutti, ovviamente, perchè il segretario del Pd sa bene che questo non è possibile.
Se il leader del Partito democratico va avanti con i suoi otto punti come se nulla fosse un motivo c’è.
Una parte dei parlamentari grillini viene dalla sinistra, i dirigenti locali del Pd li conoscono, la maggioranza è vicina alle posizioni di «Giustizia e libertà ».
È una fetta del Movimento 5 Stelle che in Senato potrebbe consentire al governo Bersani di ottenere la fiducia.
Finora, i nomi di questi grillini sono «coperti», perchè non vi è la certezza che l’operazione riesca.
Certo, sarebbe un colpaccio per il segretario che tutti, o quasi, considerano ormai sul viale del tramonto.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 8th, 2013 Riccardo Fucile
AVEVA GARANTITO DI PUBBLICARE SUL WEB L’ELENCO DEI DONATORI CHE HANNO CONTRIBUITO ALLA CAMPAGNA PER LE PRIMARIE…ORA SPOSTA LA DATA AL 31 MARZO
Aveva garantito di pubblicare online la lista dei finanziatori.
Ma finora Matteo Renzi non ha mantenuto la promessa. Sono passati più di tre mesi dalla chiusura delle primarie del centrosinistra, ma i nomi e cognomi di chi ha contribuito alla sua campagna elettorale sono ancora riservati.
Soldi arrivati o confluiti in buona parte nella Fondazione Big Bang, che ha sponsorizzato anche “l’iniziativa di partecipazione al voto” del secondo turno delle primarie.
Costo 100mila euro, che comprendono anche una pagina comprata su tre quotidiani nazionali e la messa a punto della piattaforma domenicavoto.it.
In una puntata dell’Infedele del 6 novembre 2012 il sindaco di Firenze aveva detto: “Su matteorenzi.it abbiamo superato quota 120mila euro fatto da singoli cittadini”, e di fatto la lista c’è. Ma una campagna elettorale richiede fondi più corposi di quelli dichiarati. Insomma, quella lista non esaurisce il concetto di trasparenza.
“Metti on line i nomi di chi ti ha mandato 5 euro via paypal dietro un banner sul tuo sito dal titolo ‘Trasparenza sui finanziatori’? Suvvia”, gli chiedeva Massimo Mantellini sul Post il 7 ottobre 2012.
La risposta arriva il giorno dopo. “Noi mettiamo online tutti i denari che riceviamo e tutti quelli che spendiamo entro novanta giorni“.
E ancora: “Per me Internet ha un potere maggiore persino della Corte dei Conti: metti tutto chiaramente online (in modo leggibile, non in burocratese puro) e vedrai che lo smart power dei cittadini diventerà un freno morale alle pazze spese”.
Eppure da allora i 90 giorni sono passati, ma gli unici nomi pervenuti sono quelli “che hanno dato il consenso a rendere pubblica la loro donazione”.
Mancano all’appello anche i donatori più generosi, come i partecipanti alla cena milanese con i finanzieri del 18 ottobre 2012. Una serata organizzata da Davide Serra, ceo dell’hedge fund Algebris (costituita a suo tempo alle Cayman) e pensata da Giorgio Gori. Più che una cena, una appuntamento di fund raising elettorale, come era esplicitamente scritto nell’invito.
Il costo? “Più di mille euro”, aveva detto uno degli ospiti.
E a chi erano destinati quei soldi? “Andranno alla Fondazione Big Bang, non ai comitati elettorali”, specificava il sindaco di Firenze che ha sempre fatto della trasparenza uno dei cavalli di battaglia insieme alla “rottamazione” e al “rinnovamento”.
Eppure sono già passati anche da quella cena i 90 giorni di cui parla Renzi.
Una scadenza non rispettata che contraddice le sue dichiarazioni. ”Noi non abbiamo paura della trasparenza e lo dimostra il fatto che oggi abbiamo pubblicato sul nostro sito tutti i nomi dei nostri finanziatori” (4 ottobre 2012), ”siamo per la rendicontazione online di tutte le spese” (9 ottobre 2012). E ancora: “tutti i dati saranno pubblicati con la massima trasparenza” (30 ottobre 2012).
Online sito il candidato battuto alle primarie precisava di non accettare “nè direttamente nè tramite il Comitato o la Fondazione Big Bang, o per altra via, contributi anonimi alla sua campagna per le primarie”.
Tesoriere e presidente della Fondazione è l’avvocato fiorentino Alberto Bianchi che il Fatto Quotidiano aveva sentito a settembre quando in cassa la fondazione aveva “poche migliaia di euro”.
Spiegava: “Ci sono dei limiti alle donazioni: 50mila euro (nell’arco dell’anno) per le persone fisiche e 100mila per le persone giuridiche. Non si accettano offerte da enti pubblici o organi della pubblica amministrazione”.
Quanto alla lista pubblica dei contribuenti puntualizzava: “Faremo un’istanza al garante della privacy alla fine di questa settimana (l’intervista era del 20 settembre 2012, ndr) o all’inizio della prossima per vedere come è possibile coniugare la trasparenza con la legge. Se il garante ci dice che si può fare pubblicheremo i nomi”.
Anche in questo caso è stato ampiamente “sforato” il termine dei 90 giorni di Renzi. Infatti, dalle dichiarazioni del tesoriere a oggi, sono passati quasi sei mesi.
A fronte del ritardo, all’indomani del risultato delle politiche, Bianchi raggiunto dal fattoquotidiano.it dice che “la lista verrà pubblicata non appena formato il sito della Fondazione, che — precisa — avevamo tenuto in stand-by per non creare confusione col sito Renzi del Comitato per la candidatura di Matteo Renzi. Adesso che sono terminate tutte le tornate elettorali, provvederemo ad aprire il sito della fondazione, e pubblicheremo i finanziatori, salvo il rispetto della legge sulla privacy. E, dunque, non quelli che non ci hanno autorizzato”.
Sì, ma quando? “Per il sito una quindicina di giorni da oggi (27 febbraio, ndr), per la lista pubblica 31 marzo, ma contiamo di fare prima”.
Nell’attesa, contiamo i giorni fino alla prossima scadenza.
Eleonora Bianchini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 8th, 2013 Riccardo Fucile
L’OPINIONE DEL PREMIO NOBEL JOSEPH STIGLITZ: “SONO MISURE CHE DISTRUGGONO L’ECONOMIA, LO DICONO I NUMERI”
E’ cambiato tutto in America. E’ finita l’era della crescita senza fine, è chiusa la fase in cui
la maggioranza vedeva migliorare il proprio tenore di vita, è storia del passato quel sentimento comune che era a portata di mano l’ingresso nella classe media, quella middle classe che nei libri, nei film era sinonimo di casa, auto e figli all’università . Sta finendo persino l’epopea del Sogno Americano, la bandiera che per gli americani e per coloro che hanno lasciato patria e affetti per venire negli Stati Uniti sventolava dicendo “qui avrai l’opportunità che cerchi, basta che lavori sodo e sei un bravo cittadino”.
Parola di un premio Nobel, Joseph Stiglitz, economista e professore alla Columbia University che ha dedicato a questo tema il suo ultimo libro “Il prezzo della disuguaglianza” (in uscita con Einaudi) e che racconta come negli ultimi trent’anni gli Usa siano finiti tra i Paesi avanzati ai primi posti in tema di disuguaglianza.
Come è potuto accadere?
Colpa dell’egoismo, dell’individualismo sfrenato, di una cultura che, dice Stiglitz a “l’Espresso”, ha visto prevalere «il singolo sulla comunità , il privato sul pubblico».
Lei racconta che la superpotenza America è ai primi posti della classifica della disuguaglianza tra i Paesi sviluppati. Com’è potuto accadere e quando ha cominciato a manifestarsi questo fenomeno?
«Gli anni Ottanta sono il punto di svolta. Fino ad allora, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, le disuguaglianze erano diminuite e non è un caso che quello sia stato il periodo di più rapida crescita economica negli Stati Uniti e in Europa. In America le disuguaglianze diminuivano sotto la spinta dell’aumento della produzione e della ricchezza nazionale, in molti Paesi dell’Europa anche grazie a un’azione di riforme mirate a ridurre le differenze sociali ed economiche. Essendosi invertito il trend, quando è arrivata la recessione del 2007 e 2008 si sono visti subito i risultati. Faccio un solo esempio: il reddito medio aggiornato all’inflazione è oggi inferiore a quello del 1968. Alla fine la fotografia è quella ormai resa chiara dallo slogan che in America esiste l’1 per cento che è sempre più ricco, mentre il 99 per cento degli americani peggiora giorno dopo giorno».
Quali sono state le scelte che hanno accelerato questo processo?
«Sono accadute molte cose, anche se è difficile analizzarle come un insieme. Durante la presidenza Reagan, per esempio, è stato ridotto il ruolo del sindacato, un’entità importante per far migliorare la situazione di coloro che stavano più in basso nella scala sociale ed economica. La deregulation, a partire dal settore finanziario, ha avuto un ruolo decisivo perchè furono cancellate norme utili a uno sviluppo equilibrato. Anche la politica fiscale con la riduzione delle tasse sui redditi più alti e sulle rendite finanziarie ha prodotto effetti negativi e l’esempio più eclatante lo abbiamo visto nei mesi scorsi con la vicenda dell’imprenditore milionario ed ex candidato alla Casa Bianca Mitt Romney che pagava in percentuale meno tasse della sua segretaria. Aggiungo che è una fandonia dire che imposte più basse sono il motore dello sviluppo e della crescita: la Svezia, dove le aliquote sono più alte che negli Usa, cresce meglio di noi e ha un tasso di disuguaglianza molto più basso rispetto al nostro».
Perchè si è rotto quel tacito accordo che ha consentito a pochi di guadagnare moltissimo a condizione che anche tutti gli altri migliorassero in modo visibile e duraturo il loro tenore di vita?
«Determinante è stata la cultura che si è insinuata tra i manager delle grandi aziende: hanno teorizzato il diritto ad avere sempre di più in termini di stipendi e bonus sia quando le loro società non andavano bene e licenziavano lavoratori per diminuire i costi, sia quando i conti miglioravano grazie a cause esterne e che non dipendevano dalla loro capacità manageriale come la diminuzione del prezzo del petrolio. Io ho parlato con molti amministratori delegati che sono stati alla guida di aziende negli anni dello sviluppo per tutti: individuano nell’affievolirsi della ragionevolezza e dell’onestà dei comportamenti il cambio culturale decisivo».
Antonio Carlucci
(da “l’Espresso”)
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