Destra di Popolo.net

IN RICORDO DI PAOLO BORSELLINO

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

LETTERA DI UN MAESTRO

Caro Paolo,
quando sono arrivato la prima volta in via D’Amelio ero un ragazzo che aveva da poco compiuto i 18 anni.
Nella mia città , nella mia scuola, in casa mia, nessuno mi aveva parlato di mafia.
Non mi avevano mai raccontato di Placido Rizzotto, di Peppino Impastato, di Portella della Ginestra.
La mafia e la lotta alla mafia non facevano parte del dizionario con il quale ero cresciuto in un piccolo paese della Lombardia.
Mentre nella tua Palermo la gente veniva uccisa per strada, qualcuno al Nord diceva “si ammazzano tra loro. Non ci riguarda”, come se fossimo due Paesi diversi.
In via D’Amelio mi ritrovai a suonare a quel citofono al civico 19, a fare quello che probabilmente fu il tuo ultimo gesto.
Tua sorella Rita, che si era spesa instancabilmente per tutt’Italia, per portare il tuo nome in ogni scuola, parrocchia, associazione o comune, mi accolse nella tua città , mi prese per mano accompagnandomi da giovane giornalista a conoscere la tua storia, raccontandomi del “suo” Paolo.
Sono tornato tante volte in via D’Amelio, accompagnando scolaresche e amici arrivati dal Nord.
Sono tornato ogni 19 luglio.
Ho visto troppe corone d’alloro, troppi minuti di silenzio.
In quella strada, dove tu sei passato per l’ultima volta, ho visto Salvatore Cuffaro renderti omaggio.
A quel citofono nel 1994 Silvio Berlusconi, chiese a tua sorella che aveva con coraggio scelto di non farlo salire in casa: “Cosa possiamo fare per sconfiggere la mafia?”.
Ventuno anni dopo, caro Paolo, in questo Paese che tu hai servito senza essere un eroe ma svolgendo il tuo mestiere con dedizione e passione, il tuo nome rischia di essere impresso solo nei libri di storia o sulle lapidi di qualche strada o piazza.
Quando chiedo ai miei ragazzi nelle classi quinte delle scuole primarie del Nord: “Chi sono Paolo Borsellino e Giovanni Falcone?”, spesso non sanno rispondermi.
Magari hanno scuole intitolate a te e al tuo fraterno amico, ma nessun insegnate si è fermato con questi ragazzi a parlare di te, a leggere con loro le parole che ci hai lasciato.
Ecco perchè nelle mie classi, il primo giorno di scuola, appendo accanto alle cartine e al crocifisso la tua fotografia con Giovanni.
Tua sorella Rita, 18 anni fa mi passò il testimone e ora da maestro ho il dovere di passarlo ai miei bambini.
E’ il compito di ogni insegnante perchè il 19 luglio, il 23 maggio non restino delle date che consentano ai politici di centrodestra e di centrosinistra, di fare passerella.
Stamattina li rivedremo: per un giorno la lotta alla mafia sarà  lo slogan di turno.
Mi tornano alla mente le parole che il magistrato Franca Imbergamo mi ha insegnato: “A volte l’antimafia non fa meno schifo della mafia”.
Oggi caro Paolo, in questa Italia non ci serve a nulla avere politici che si fregiano di essere onesti, di portare sulle spalle le vostre idee.
Li abbiamo già  visti.
Abbiamo bisogno di bambini che un giorno, molto presto, potranno essere magistrati, sindaci, parlamentari, ingegneri, operai che conosceranno la storia di questo paese, vivendo ogni giorno la vostra battaglia e non solo il 19 luglio.

Alex Corlazzoli

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L’ONU RICHIAMA L’ITALIA: “SBAGLIATO CONSENTIRE LA DEPORTAZIONE DI ALMA E SUA FIGLIA, ORA RIMEDIATE”

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

ASSANGE RIVELA: “IL VERO MOTIVO DELLA CACCIA A ABLYAZOV DA PARTE DEL REGIME KAZAKO E’ CHE POSSIEDE DOCUMENTI COMPROMETTENTI SU TANGENTI E CORRUZIONE A LIVELLO INTERNAZIONALE”

«Extraordinary rendition»: è questo il termine scelto da tre fra i principali esperti di diritti umani dell’Onu in un rapporto sul caso di Alma Shalabayeva e sua figlia Alua, pubblicato ieri, nel quale si chiede all’Italia di fare al più presto tutto il possibile per rimediare all’errore compiuto quando ha mandato in Kazakhstan moglie e figlia del dissidente Mukhtar Ablyazov.
Le firme sono dell’esperto Onu per i diritti dei migranti Franà§ois Crèpeau, di quello sulla tortura Juan Mèndez e dell’esperta sull’indipendenza della magistratura Gabriela Knaul. Che chiedono anche, con forza, di proseguire le indagini e di «deferire alla giustizia i responsabili ».
«Le circostanze della deportazione», scrivono i tre, «danno adito all’impressione che si sia trattato di fatto di una “extrordinary rendition”, una consegna straordinaria, cosa che è di grande preoccupazione per noi».
Un termine che in Italia ricorda la “consegna straordinaria”, dieci anni fa, dell’imam Abu Omar.
Quel che importa però ai tre esperti è di elencare i punti dolenti della vicenda, a partire dal fatto che le autorità  italiane sembrano aver ignorato che in Kazakhstan madre e figlia potessero rischiare persecuzione, tortura e altri maltrattamenti.
«Siamo incoraggiati », prosegue il documento, «dal vedere che l’Italia ha riconosciuto pubblicamente come la deportazione della signora Shalabayeva e di sua figlia sia stata illegale e inaccettabile. Apprezziamo anche il fatto che le autorità  italiane si siano impegnate a condurre indagini sul caso».
Per poi concludere: «Date le possibili gravi implicazioni del caso, ci appelliamo alle autorità  dei due Paesi perchè raggiungano un accordo diplomatico che faciliti il rapido ritorno delle deportate».
Un’altra versione inedita versione sul perchè Ablyazov e i suoi uomini siano invece così ricercati da mezza Europa, se non da tutto il mondo, la offrono invece cablogrammi di WikiLeaks.
Gli scambi diplomatici resi pubblici da Assange e soci dipingono infatti Ablyazov come un ‘kompromat’: termine russo che serve a definire colui che sa, che conosce materiale compromettente.
E qui non si tratta solo di politica interna kazaka o degli affari di Nazarbayev e della sua cerchia, ma delle relazioni di affari a livello internazionale che sarebbero basate su tangenti e corruzione.
Poi Ablyazov sarebbe a conoscenza di materiale compromettente sull’uranio, di cui il Kazakistan è primo produttore mondiale.
Per questo, secondo i vari cablo delle ambasciate, Ablyazov sarebbe stato sotto osservazione di tutti i servizi segreti fin dalla sua estromissione dal potere kazako nel 2009.
Difficile quindi che a Roma qualcuno potesse non sapere chi fosse quell’uomo.

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TACI, IL KAZAKO TI ASCOLTA

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

RE GIORGIO E LA DIGNITA’ DEGI ITALIANI

“Perchè non parli?”, avevano domandato a Napolitano Gustavo Zagrebelsky. E ieri Napolitano ha parlato.
Solo che non l’ha fatto per difendere l’onore del Parlamento, preso in giro da un vicepremier ridicolo e bugiardo.
Nè per tutelare l’immagine del Quirinale, unica istituzione (secondo noi a torto) ancora apprezzata dalla maggioranza degli italiani.
Nè per garantire la dignità  dell’Italia, prostituita da B. e dai suoi servi ai peggiori tiranni di mezzo mondo e ridotta a provincia del Kazakistan.
L’ha fatto — alla cerimonia del Ventaglio, che già  fa aria da sè — per assolvere Alfano, il mandante e i complici; per apporre il timbro sulle sue tragicomiche bugie; e soprattutto per dare ordini al Parlamento, ai partiti, alle correnti e alla stampa, esortata — come già  sugli scandali sessuali di B. e sul caso Montepaschi — ad autoimbavagliarsi per carità  di patria.
Il tutto con la scusa che bisogna tenere in piedi il governicchio Nipote, peraltro sostenuto dalla più ampia maggioranza mai vista.
Mai, neppure nel lungo regno di Giorgio I, si era smantellata così sistematicamente la Costituzione come nel Super-monito di ieri, a colpi di congiuntivi esortativi d’irresistibile comicità  involontaria: “si eviti”, “non ci si avventuri, “si sgombri il terreno”.
1) “Non ci si avventuri a creare vuoti e staccare spine”. Ma in Parlamento nessuno tenta di rovesciare il governo. Non esistono contro di esso mozioni di sfiducia. Ce n’è una individuale di M5S e Sel contro il cosiddetto ministro Alfano, destinata all’insuccesso anche se fosse affiancata da una dei renziani (peraltro subito rientrati al-l’ovile dopo il Supermonito).
Ma, anche se fosse approvata, se ne andrebbe Alfano, non il governo: non sarebbe la prima nè l’ultima volta che un ministro incapace viene sostituito (di solito da un altro incapace). E non spetta al Presidente della Repubblica decidere se, quando e chi debba sfiduciare governi o ministri.
2) “Il governo in due mesi e mezzo s’è guadagnato riconoscimenti e apprezzamenti per la sua capacità  di iniziativa e di proposta”. E da chi, di grazia: dai bradipi e dalle talpe?
E quali iniziative, visto che il governo delle larghe attese non fa che rinviare i problemi (Imu, Iva, Irap, F-35, Porcellum ecc.)?
3) “Si sgombri il terreno da sovrapposizioni improprie tra vicende giudiziarie dell’on. Berlusconi e prospettive di vita dell’eventuale governo”. A parte la perfetta definizione di “eventuale governo”, che significa “sovrapposizioni improprie”?
Se i giudici accertano B. è un evasore, concussore e utilizzatore di prostitute minorenni, la maggioranza dev’esserne orgogliosa?
4) “Una storia inaudita, una precipitosa espulsione in base a una reticente e distorsiva rappresentazione e a pressioni e interferenze inammissibili di diplomatici stranieri”. Ora sta’ a vedere che la colpa è dei kazaki che interferiscono e non del governo che li lascia interferire.
5) “Il governo ha opportunamente deciso di sanzionare funzionari che hanno assunto decisioni non sottoposte al vaglio dell’autorità  politica. Per i ministri è assai delicato e azzardato evocare responsabilità  oggettive”.
Ma qui nessuno evoca responsabilità  oggettive (che valgono solo nella giustizia sportiva). Semmai politiche, come da art. 95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili… individualmente degli atti dei loro dicasteri”.
O è abolito pure quello perchè dà  torto ad Alfano e noia a Re Giorgio?
6) “Il richiamo alle responsabilità  del momento si rivolge anche alla stampa, perchè la sollecitazione e l’amplificazione mediatica influenza molto parole e comportamenti dei politici”.
Ma in base a quale potere costituzionale il capo dello Stato impartisce direttive alla stampa perchè tradisca la sua missione di fare domande e dare notizie?
Viene quasi nostalgia del Minculpop, che almeno le veline ai giornali le passava con più discrezione.
E comunque tutti sapevano di vivere sotto una dittatura.
Oggi la democrazia muore, ma a nostra insaputa.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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I KAZAKI AL VIMINALE ANCHE DOPO IL BLITZ: COSI’ HANNO TELEGUIDATO GLI UOMINI DI ALFANO

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

SPUNTA UNA SECONDA VISITA PER PRETENDERE LA NUOVA PERQUISIZIONE DELLA VILLA… I DIPLOMATICI KAZAKI PERSINO NELLA SEDE OPERATIVA DELLA POLIZIA

Nell’affaire Ablyazov, la mano dei kazaki non è soltanto “onnipresente”. È sapiente. È politicamente ispirata. Per questo padrona.
E ora se ne ha una nuova solare evidenza. Anche questa omessa dalle parole e dai ricordi del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
La mattina del 29 maggio, nelle ore successive al blitz di Casal Palocco, l’ambasciatore kazako, dopo averlo fatto la sera del 28, tornò ad accamparsi al Viminale nell’ufficio di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro, da cui pretese e ottenne una seconda perquisizione nella villa con l’impiego di un sofisticatissimo apparato geotermico per l’individuazione di cunicoli sotterranei in cui il “pericoloso latitante” avrebbe potuto nascondersi.
Un’enormità , documentata nelle oltre cento pagine di allegati alla relazione del Capo della Polizia Alessandro Pansa, che rende ancora più inverosimile di quanto non sia suonata sin qui la circostanza che, a blitz avvenuto, discutendo il da farsi con i kazaki, nessuno al Viminale sapesse che, in quella casa, erano state fermate unadonna e la sua bimba di sei anni.
LA SECONDA VOLTA DA ALFANO
La “seconda volta” kazaka al Viminale ha tratti, se possibile, ancor più “padronali” e umilianti della prima.
Ha soprattutto implicazioni decisive nel rintracciare le impronte digitali di Angelino Alfano in questa faccenda e nel misurare il suo grado di consapevolezza.
Non a caso, pur essendo documentata negli allegati, questa “seconda volta” non è menzionata nella cronologia dei fatti della relazione del Capo della Polizia propinata al Senato e all’opinione pubblica martedì scorso
Ma vediamo cosa accade, dunque.
Nel verbale del suo interrogatorio al Capo della Polizia (che pubblichiamo in queste pagine), il prefetto Alessandro Valeri non nasconde il fastidio e la sorpresa nello scoprire, la mattina del 29 maggio, che l’ennesima convocazione nell’ufficio del capo di gabinetto di Alfano ha quale unico motivo gli stessi ingombranti ospiti della sera prima (il 28), quando, sempre in quell’ufficio, è stata definita operativamente la cattura di Ablyazov.
Seduto in poltrona, l’ambasciatore kazako, neanche fosse il capo della polizia, non è affatto contento che, nella notte appena trascorsa, il latitante non sia stato trovato in via di Casal Palocco 3 e pretende che la polizia torni a quell’indirizzo e cerchi meglio. Come si fa con gli studenti svogliati. E, appunto, lo fa di persona.
Non al bar, ma in un ufficio che dista solo pochi passi da quello del ministro Alfano.
Ora, sembra di vederle le facce di gomma di Procaccini e Valeri, prefetti di prima classe della Repubblica Italiana che hanno giurato sulla Costituzione, annuire ai capricci del diplomatico dell’ex Repubblica Sovietica dal passe-partout formidabile: l’imprimature la benevolenza di Alfano.
E, ancora sempre quella mattina, sembra di sentire anche quel “a disposizione” che Gaetano Chiusolo, capo della Direzione Centrale Anticrimine, la struttura di eccellenza della nostra lotta al crimine organizzato, pronuncia nel prendere la telefonata dell’ambasciatore kazako, cui Valeri ha consigliato di rivolgersi per concordare la nuova perquisizione nella villa di Casal Palocco
Soprattutto, sembra incredibile che in tutto questo chiacchiericcio sull’esito del blitz del 28 notte e sulla necessità  di approfondimenti, a pochi passi dall’ufficio di Alfano, nessuno si lasci sfuggire di fronte al capo di gabinetto che, tra l’altro, sono state fermate una donna e una bimba di sei anni, ragionevolmente moglie e figlia del “pericoloso latitante”.
KAZAKI A CINECITTà€
Ma non è finita. Purtroppo. Quella mattina del 29, dopo la tirata di orecchi nell’ufficio di Procaccini, e la telefonata con Chiusolo, l’ambasciatore kazako pensa bene, per trattare con il meglio dei nostri apparati investigativi, di spedire a Cinecittà , nei palazzi di vetro e acciaio che ospitano le direzioni centrali operative della nostra Polizia, il suo spiccia faccende. È Nurlan Khassen. Un tipo che ormai conosciamo, perchè, due giorni dopo, il 31 maggio, sarà  sulla pista dell’aeroporto di Ciampino da dove la Shalabayeva sta per essere rimpatriata mentre, a bordo pista, sventola sotto il naso dell’allibita assistente capo della polizia Laura Scipioni il biglietto da visita di Procaccini, brandendo un cellulare da cui prova a chiamarlo cinque diverse volte.
Khassen, dunque.
Chiusolo lo riceve facendo gli onori di casa e lo sbologna a Maria Luisa Pellizzari, capo del Servizio Centrale Operativo. Che non dimenticherà  facilmente l’incontro. Anche perchè tiene a spiegare con orgoglio al sottopancia kazako che, di mestiere, il suo «Ufficio è competente per le investigazioni ».
Ebbene, ricorda a verbale la Pellizzari: «Khassen insisteva sulla presenza del latitante kazako nella villa. Coinvolgevo dunque il responsabile della II divisione del mio Servizio e assicuravo il diplomatico che sarebbero stati fatti dallaMobile di Roma tutti gli approfondimenti necessari». Che hanno un costo. La Questura pretende che per questa seconda perquisizione che ritiene inutile (e che sarà  eseguita la mattina del 31 maggio), la Direzione Centrale della Polizia scientifica metta a disposizione un sofisticato rilevatore geotermico per l’individuazione di cunicoli sotterranei. Che, naturalmente, non esistono.
LA DANZA “INTERPOL”
È evidente che l’ambasciatore Adrian Yelemessov sa perfettamente quali bottoni premere per governare docilmente il pachiderma dei nostri apparati.
Di cui per altro conosce l’ossequio all’autorità  politica e, soprattutto, l’ossessione per le “carte a posto”.
Ma la sua “sapienza informata” ha una cartina di tornasole decisiva.
Nei giorni scorsi, “Repubblica”ha dato conto della singolare circostanza per cui, la mattina del 28 maggio – giorno in cui l’ambasciata kazaka si impadronisce di Viminale, Dipartimento di Pubblica sicurezza e Questura di Roma – l’ufficio Interpol di Astana si attiva improvvisamente per le ricerche di Ablyazov.
Ebbene, nella relazione di servizio consegnata al Capo della Polizia, Gennaro Capoluongo, funzionario della sala operativa della Criminalpol (la struttura di Polizia cui fa capo la sezione italiana dell’Interpol), svela un dettaglio chiave.
«Dalla data di inserimento nella banca dati del nome di Mukthar Ablyazov, non risultava esserci stato alcun seguito sul territorio sul soggetto». Ablyazov, insomma, è una pratica in sonno. E per svegliarla, appunto, per far fibrillare la Questura e «avere le carte a posto» serve un innesco.
Che arriva, appunto dal Kazakistan alle 10.15 del 28 maggio.
Quella nota – scrive il funzionario – «conferma le ricerche di Ablyazov, indica le false identità  utilizzate, rappresenta che la persona è ricercata anche dalla Russia e dall’Ucraina, rende noto che il soggetto possa essere a Roma, sollecita una verifica su un indirizzo in Roma».
Un colpo da maestri, non c’è che dire. Ma ora sospetto per tanta sapienza.

Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)

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“ANDATE A VEDERE DOV’ERA ALFANO NELLE ORE DEL SEQUESTRO”: LA RIVOLTA DEI PREFETTI

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

LO SFOGO DI UN FUNZIONARIO DI POLIZIA… I SINDACATI: “PAGA PROCACCINI, L’UNICO CHE NON HA PARTECIPATO”

Il funzionario di polizia lo dice chiaro al Fatto Quotidiano: “Andate a vedere dove era Angelino Alfano nelle ore in cui la moglie di Ablyazov veniva fermata e espulsa”. Sotto anonimato sono tanti i funzionari e i prefetti che ripetono domande come questa. Dove era Alfano mentre l’ambasciatore del Kazakistan a Roma prendeva il comando delle operazioni?
Dove era il ministro mentre 30 poliziotti armati fino ai denti portavano via da casa sua la moglie di Mukhtar Ablyazov?
E dove era mentre il suo capo gabinetto Giuseppe Procaccini e i funzionari di polizia gestivano un caso così delicato?
Un ministro che fa il triplo lavoro e che molto spesso non è presente al Viminale non può scaricare così la colpa sulle spalle dei prefetti Procaccini e Valeri e su quelle dei funzionari che si sono presi la responsabilità  di agire (e sbagliare) mentre lui era altrove.
I mal di pancia dei prefetti e dei funzionari sono aumentati dopo l’accettazione delle dimissioni di Procaccini.
Un prefetto che se ne è andato con una dichiarazione che gli fa onore e che il ministro non ha avuto ancora il coraggio di pronunciare: “Chiedo scusa alla signora Alma”.
Il ministro fantasma che si permette di bacchettare funzionari con decenni di onorato servizio spiega anche la simpatia con la quale si guarda al comportamento del capo della segreteria del Dipartimento Alessandro Valeri.
Nonostante Alfano abbia chiesto al capo della polizia la sua rimozione che presto avverrà , non si è fatto spontaneamente da parte.
Ieri è sceso in campo il sindacato dei prefettizi: “Per il caso Ablyazov paga solo chi non vi ha partecipato: il prefetto Giuseppe Procaccini” , ha denunciato Sinpref ed Ap, l’associazione dei funzionari prefettizi. “Non è dato comprendere — aggiunge il sindacato — le responsabilità  che hanno determinato l’immediato accoglimento delle dimissioni di Procaccini. Il tempo sarà  galantuomo”.
E allora per capire la ragione profonda di questi mal di pancia è utile seguire il consiglio del funzionario.
Dove era Alfano?
La relazione del capo della polizia, Alessandro Pansa, è piena di particolari quando parla dei suoi sottoposti. Diventa evasiva sul ministro.
Alla data del 28 maggio Pansa scrive: “Nella mattinata l’ambasciatore del Kazakistan a Roma, Adrian Yelemessov, tenta di contattare il ministro dell’Interno, senza esito. L’ambasciatore chiede quindi un appuntamento urgente alla Questura di Roma”.
Cosa faceva Alfano in quelle ore? A metà  mattinata il ministro del’Interno indossa la giacchetta di vicepremier.
Tra le 11 e 23 e le 11 e 50 l’agenzia di stampa Ansa scrive: “È cominciato, a Palazzo Chigi, l’incontro con il presidente del Consiglio Enrico Letta sull’emergenza Ilva sono presenti, tra gli altri (…) anche il vice premier e ministro dell’Interno Angelino Alfano”.
Mentre il vicepresidente si occupa del problema dell’industria siderurgica , l’ambasciatore scorrazza tra Viminale e Questura.
Alle 15 e 30 l’ambasciatore incontra il capo della squadra mobile Renato Cortese e gli chiede il blitz a Casal Palocco.
Dove sta Alfano? Poco prima, alle 14 e 49, l’Ansa informa che Alfano ha partecipato alla riunione dei gruppi parlamentari del Pdl durante la quale si è discussa, alla presenza di Denis Verdini, la mozione Giachetti, (Pd) sulle riforme istituzionali. Alfano incontra un ambasciatore. Ma non è quello kazako.
Alle 17 e 23 l’Ansa scrive: “Il ministro dell’interno Angelino Alfano ha incontrato oggi al Viminale l’ambasciatore colombiano Juan Manuel Prieto. Il ministro ha firmato un accordo in materia di cooperazione di polizia”.
Un fugace impegno che però non lo distrae dal compito che più lo impegna.
Non il destino del blitz a Casal Palocco, ma la mozione Giachetti.
La relazione Pansa descrive così il momento chiave: “Nella serata del 28 maggio il ministro dell’Interno Alfano, a seguito di ulteriori telefonate dell’ambasciatore cui non ha risposto, fa incontrare lo stesso con il suo capo di Gabinetto Procaccini, il capo della segreteria del Dipartimento di Ps Valeri, richiestone si reca dal capo di gabinetto del ministro”, che ovviamente è assente.
Alle 21, quando la squadra mobile sta preparando il blitz, l’Ansa scrive: “Prosegue da oltre due ore la riunione del gruppo Pdl alla Camera che ha come oggetto la mozione sulle riforme … dopo una pausa è arrivato anche il segretario del Pdl Alfano”.
L’ex ministro Claudio Scajola al Fatto ha raccontato: “Ricevevo il capo di Gabinetto ogni mattina entro le otto: leggevo la posta privata, fissavo l’agenda e lui mi aggiornava sui fatti accaduti di notte. Poi ci vedevamo prima di pranzo per capire gli appuntamenti e le pratiche più urgenti. Non lasciavo il Ministero, a tarda sera, se non avevo l’ultimo colloquio che faceva il punto conclusivo. Se non ci vedevamo di persona, era tassativo sentirci al telefono”.
Chissà  come è andata con Alfano in quei giorni.
Il 29 maggio Alfano tiene un vertice con il presidente dell’Anci e il ministro degli affari regionali.
Ma il 30 maggio ritorna a fare il segretario del Pdl. Mentre Alma Shalabayeva è reclusa nel Cie di Ponte Galeria, il ministro vola dal Cavaliere in Sardegna.
Scrive l’Ansa: “Oggi Berlusconi ha avuto un lungo faccia a faccia in Sardegna con Alfano”. Berlusconi illustra al segretario la strategia del partito.
Il 31 maggio, quando l’aereo privato che riporterà  Alma Shelabayeva in Kazakhistan è già  sulla pista di Ciampino, Alfano nomina il nuovo capo della polizia Alessandro Pansa. Troppo tardi. Poche ore dopo la conferenza stampa di presentazione l’aereo con Alma e la figlia decolla.
Il funzionario anonimo sentito dal Fatto spiega: “Non ho mai visto un ministro così preso da altri impegni. Il Viminale è una macchina complessa che ha bisogno di essere guidata”.
Prima di dire no all’ipotesi dimissioni Alfano dovrebbe farsi almeno questa domanda: come sarebbe andata la vicenda di Alma e Alua se al Viminale ci fosse stato un ministro a tempo pieno?

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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“C’E’ BERLUSCONI DIETRO IL SEQUESTRO DI ALMA E ALUA. ALFANO SAPEVA TUTTO””: PARLA UN FEDELISSIMO DI NAZARBAYEV

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

“ALMA E ALUA RIMPATRIATE GRAZIE E BERLUSCONI, NE PARLAVANO DA TEMPO”… “ABLYAZOV E’ UN CRIMINALE E PARLAVA MALE DEL PRESIDENTE IN TV”

“È vero, il blitz romano è passato dalle mani di Silvio Berlusconi, ma sbaglia di grosso chi crede che il nostro presidente gliel’abbia chiesto durante l’ultima vacanza in Sardegna”. Secondo una persona del cerchio stretto di Nazarbayev — che ha chiesto di rimanere anonima — il dittatore kazako lamentava “gli enormi danni provocati da Ablyazov” già  da molto tempo.
E i due ne avrebbero discusso a più riprese: “Era un argomento di conversazione che emergeva spesso. Loro sono molto amici, e da tanti anni. Si tratta, diciamo, di un’amicizia politica”.
In che senso?
Come sempre in questi casi, il beneficio era reciproco. Pensate davvero che la presenza dell’Eni in Kazakistan dipenda dal fatto che vantasse le tecnologie più avanzate? Era alla pari con tanti altri, ma il business si basa su rapporti personali e Berlusconi ha moltissimo da guadagnare dalle nostre risorse naturali: ha già  interessi enormi, e ricordate che è proprio Nazarbayev a controllare tutto. Si sono aiutati a vicenda.
Il Cavaliere ha anche qualcosa da perdere: su questa vicenda potrebbe cadere il governo.
Lo dubito. Il vostro ministro non ha fatto nulla di male: ha contribuito a rimandare in patria la famiglia di un criminale.
Angelino Alfano però nega di essere stato al corrente del blitz romano.
Ma figuriamoci. Lo sapeva benissimo. Ma non è quello il punto. Già  mi sembra incredibile che si sia dovuto dimettere Procaccini: non credo proprio che per una questione così possa traballare un governo serio.
La moglie del dissidente, Alma Shalabayeva, è stata rimpatriata con la figlia di sei anni in un Paese dove rischia di essere torturata.
Non sopporto che si strumentalizzi così la presenza della bambina. Quei due hanno altri tre figli, perchè nessuno li nomina? E poi Shalabayeva e la figlia stanno benissimo, ad Astana vivono in una villa di lusso.
E se volessero andarsene?
Eh no, mica possono. La Shalabayeva è una teste fondamentale nel processo contro quel ladro di suo marito, che ha rubato cinque miliardi di dollari da investitori esteri. È per questo che Nazarbayev se l’è presa così a cuore: avesse rubato in Kazakistan, pazienza. Invece l’ha fatto proprio male, in maniera stupida, distribuendo nella sua banca soldi giunti da investitori esteri. Ha fatto fare una figuraccia al nostro Paese su scala internazionale. Ne ha minato la credibilità . E questo è inaccettabile: se non avessimo reagito, avremmo dimostrato che avalliamo i furti.
Anche fosse, a farne le spese sono moglie e figlia del dissidente, non lui.
Intanto, smettetela di chiamarlo dissidente. È facile rubare e poi scudarsi dietro motivi politici, piangere una persecuzione inesistente. E poi la speranza è che Ablyazov si consegni per far liberare la famiglia. Ma vigliacco com’è dubito che succederà .
La famiglia non dovrebbe comunque trovarsi lì: la richiesta di asilo politico è stata ignorata.
Colpa loro che andavano in giro con passaporti falsi. Se sei in Italia illegalmente, e dici balle alle autorità  locali, è giusto che ti rispediscano indietro.
Ma l’irruzione non è stata frutto di un controllo casuale.
Ovviamente gli italiani erano stati allertati: sapevano dove andare. Ma non capisco lo scandalo quando l’unico criminale è il cosiddetto “dissidente”.
Cosa si dice di Ablyazov ad Astana?
Un tempo era benvoluto: era a capo della seconda banca più importante del Paese, era intimo del presidente, talmente fidato da diventare ministro. Poi si è trasformato in un criminale, e la gente non è certo dalla sua parte. Ha rubato soldi che potevano essere impiegati per costruire scuole in Kazakistan. Stava creando problemi enormi in tv, raccontando fatti privatissimi del presidente solo per screditarlo: tipo che ha un’amante. Saranno fatti suoi o no? Dava informazioni personali e immorali. È di queste cose che, da anni, Nazarbayev discuteva con Berlusconi: di un problema diventato ingestibile. Anche se la campagna diffamatoria non ha funzionato: il popolo sta con il presidente.
Ufficialmente avrebbe il 90% di consensi: numeri che ricordano Borat nel film “Il dittatore”.
Forse sono un tantino gonfiati, ma vi assicuro che se non è il 90 è il 70%. Nursultan à„bisuli Nazarbayev è popolarissimo: ha costruito la capitale dal nulla — e infatti ammetto che è bruttissima — e ha evitato che la Russia ci inglobasse. Ha aumentato la qualità  di vita dei kazaki, ha dato un riconoscimento mondiale al Paese. C’è la corruzione? Certo. È una democrazia? Probabilmente no, ma mi volete dire che gli Stati Uniti lo sono?

Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL PD VOTERA’ NO ALLA SFIDUCIA AD ALFANO: NON AVEVAMO DUBBI

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

NAPOLITANO COMMISSARIA IL PARLAMENTO, IL PD SCATTA SULL’ATTENTI, I RENZIANI LUSTRANO LE SCARPE, FRANCESCHINI SI AUTONOMINA CAPOCASEGGIATO

Il Pd non sfiducerà  Angelino Alfano e si suicida.
L’assemblea dei senatori riuniti a Palazzo Madama ha votato: ottanta voti a favore della proposta del segretario Guglielmo Epifani,   sette astenuti, mentre il gruppo dei tredici renziani si è diviso. Solo tre hanno scelto di astenersi, a quanto pare, per una precisa scelta di fare un voto ‘sparigliato’.
Anche se è in serata è direttamente Matteo Renzi a tornare all’attacco sulla vicenda: “Se Alfano sapeva ha mentito e questo è un piccolo problema, se non sapeva è anche peggio”. Ma ormai è evidente che il sindaco di Firenze fa solo chiacchere e riveste un ruolo funzionale a mantenere lo status quo.
Prevale dunque la linea del segretario, pur tra mille malumori. “Domani voteremo no alla richiesta di sfiducia”, ha annunciato Epifani. “Mi pare che il gruppo, praticamente all’unanimità  con sette astenuti, ha condiviso l’idea per la quale il governo deve andare avanti”.
Del futuro del governo Letta ha parlato anche Matteo Renzi, accusato da più parti di volerne la fine anticipata: “Io logoro il governo? Non c’è bisogno: il governo si logora da solo”, ha detto il sindaco di Firenze durante Bersaglio mobile di Enrico Mentana. “Il governo vive una fase un po’ difficile – ha aggiunto – si è presentato come il governo del ‘fare’. Spero che non diventi il governo del ‘rinviare’ e che non si chieda sempre ‘quanto durare'”.
Poi, sull’ipotesi di un addio al Pd o alla corsa per la segreteria, ha risposto: “Io non mollo. Ma devono stare tranquilli. L’idea che io faccia la foglia di fico, che faccio campagna elettorale e poi governano loro non funziona. Perchè i i voti li prendo se non ci sono loro. Non vinco io, perdono loro”.
E ancora: “Se ci sono primarie aperte mi candido, se non saranno aperte non mi candido”.
Le solite elucubrazioni renziane in attesa che qualcuno lo investa ufficialmente candidato unico del nulla.
Un richiamo alla compattezza era stato lanciato già  durante la riunione del gruppo da Dario Franceschini: “Dentro questo governo si sta in squadra, è spiacevole vedere che c’è chi ci mette la faccia e chi dice ‘io farei cosi perchè c’è chi si sta sporcando le mani’. La faccia – ha ribadito – ce la dobbiamo mettere o tutti o nessuno, come si fa a non vedere che è un atto puramente politico?”.
La decisione di non votare la sfiducia è stata poi messa ai voti: “Non sono ammessi voti di coscienza si tratta di voto politico” aveva ripetuto lo stesso Franceschini, autonominatosi capocaseggiato.
Parole che non sono piaciute a Pippo Civati.
Il deputato, sul suo blog, ha attaccato il ministro: “Ha detto che chi non voterà  a favore di Alfano deve andarsene dal Pd. Forse su un volo privato, con direzione Astana.”
A queste accuse Franceschini ha replicato seccato: “Adesso sono stanco di falsità  e discredito interessato. Alla riunione dei senatori Civati non c’era e mi accusa di avere minacciato espulsioni. Cosa falsa che non ho detto nè pensato. Mi aspetto rettifica e scuse immediate da Civati”. Che pare non ci pensi proprio a fargliele, anche perchè ha capito bene il senso delle sue parole.
Resta, in ogni caso, aperta una ferita nel partito. Tra i senatori astenuti c’è Laura Puppato che motiva così la sua scelta: “Tutta la vicenda evidenzia che non abbiamo una politica con la schiena dritta, capace di trasparenza e di un senso di responsabilità . Un elemento che deve far riflettere il Partito Democratico, il suo segretario, tutti noi”.
Sul voto del gruppo Pd al Senato ha avuto un peso anche l’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’ammonimento ai partiti sulle responsabilità  di un’eventuale crisi dell’esecutivo e la necessità  che il governo Letta ” vada avanti”, rispettando gli impegni presi all’inizio della legislatura.
In pratica un governo commissariato dal presidente della Repubblica che non perde occasione per manifestarsi tifoso di aprte
Il che non depone a favore del suo rolo super partes.
Berlusconi gongola,   la “mina” Alfano è praticamente disinnescata e ora può concentrarsi sulla sua principale preoccupazione: la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset.

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“MI VERGOGNO”: SI DIMETTE DAL PD E DALLA CARICA LA PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA REGIONALE SARDA

Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile

VALENTINA SANNA: “L’IDEA DI POTER CAMBIARE LE COSE DALL’INTERNO SI E’ TRASFORMATA IN INDIGNAZIONE”

Si è dimessa così, con una lunga lettera in cui traccia un quadro a tinte fosche del suo partito, il Pd. Una parte rivolta alla Sardegna, una parte — molto consistente — ai vertici nazionali — con accuse dirette al segretario Epifani e al premier Letta.
Da questa mattina Valentina Sanna non è più presidente dell’assemblea regionale: lascia tutto “da dirigente e da militante”.
Con l’intento, e la speranza di continuare “fuori”, così scrive al segretario regionale e senatore Pd, Silvio Lai.
Non arriva da una posizione estremista, bensì dalla Margherita. Professione grafico, 44 anni, dice di aver votato “Pci, Pds — sempre a sinistra”.
E ha ricoperto la carica dal 2009 a titolo onorario “Senza ricevere un euro. Sottraendo tempo ad altri impegni, come fanno tutti gli attivisti”.
Ma ora basta, e va via scrivendo, quasi gridando: “Vergogna”. E cita Enrico Berlinguer, tra un paragrafo e l’altro.
Perchè?
L’idea poter cambiare le cose dall’interno — anche grazie al mio ruolo — si è trasformata in vergogna. Sì, per lo schema con cui si gestiscono le cose. Dalle elezioni politiche in poi, tutto è iniziato con le primarie tradite, anche nella mia Isola, il dissenso puntualmente viene messo a tacere e “normalizzato”. E così si allontanano le persone, gli elettori. C’è stato un vero e proprio accanimento della classe politica per uccidere qualsiasi tipo di fiducia e la gente non vota più. Il sistema è sempre lo stesso: per non lasciare i posti chiave si preferisce costruire un’alleanza politica che dire anormale è poco. Il governo nazionale Pd —Pdl è inquietante, ma si copre tutto e si va avanti facendo finta di nulla. In Sardegna c’è il caso dell’ex senatore Pd Antonello Cabras ai vertici della Fondazione Banco di Sardegna : nessun dubbio, nessun tentennamento nonostante i richiami nazionali di Fassina.
Eppure la base ha espresso dissenso proprio per gli episodi citati: l’elezione del Capo dello stato, i 101 franchi tiratori contro il padre del partito Prodi. E l’esperimento del Governo Letta.
Poi tutto passa perchè si tratta di persone normali, che lavorano per vivere. E vedono il loro impegno cadere nel vuoto. L’unico interesse dei dirigenti, invece, è mantenere la quantità  di consenso necessaria per essere di nuovo eletti. Della vera partecipazione non frega nulla.
Quali reazioni dopo la sua lettera?
Ho ricevuto appoggio da persone comuni che si ritrovano in quello che ho scritto. Ma anche da qualche dirigente regionale e da Pippo Civati che mi ha dedicato un post sul suo blog chiedendomi di restare. La mia comunque non è una sconfitta, ma un’azione politica di contrasto all’allineamento perpetuo.
Il suo punto di riferimento nazionale è Civati?
Lo vedo come l’unico, ora come ora. Anche se ha sbagliato sugli F35 a votare contro. I nostri parlamentari avrebbero dovuto opporsi agli investimenti, annullare le commesse. E invece nulla.
Cosa avrebbe dovuto fare il suo Pd?
Almeno in un’occasione quel che aveva promesso. Ossia spostare i finanziamenti su spese più importanti — così come aveva detto Bersani. In un Paese che è allo sfascio. Ci sono davvero delle emergenze: scuola, istruzione, lavoro. E poi l’imbarazzante caso diplomatico dell’espulsione della moglie e della figlia di un oppositore politico di un regime.
Fiducia o no?
Questa è ancora la questione. Non ci dovrebbe essere nemmeno una riunione sul da farsi. Dimissioni di Alfano e pure del premier Letta su una vicenda così grave, di diritti mancati, di silenzi e complicità  istituzionali. E invece il Governo è blindato dallo stesso capo dello Stato Napolitano, tutto in funzione di questa assurda alleanza Pd-Pdl. Per me, e per molti, inconcepibile.
Lei chiede subito la riforma elettorale, cancellazione del Porcellum e scioglimento delle Camere. Ma i tempi sono stretti, non trova?
Si è sempre in emergenza, sotto ricatto. Il 30 luglio si aspetta la sentenza su Berlusconi, senza legge elettorale il Governo non può cadere. E allora fate questa riforma, cancellate il Porcellum anche per decreto. Resterebbe il Mattarellum, comunque meglio del sistema attuale. Ci si sono i margini per far capire alla gente che si è rinsaviti. Ma il tema non pare all’orizzonte.
Da qui gli attacchi a Epifani e Letta proprio sul caso Berlusconi: “Si sono limitati a dire che rispettano la sentenza della magistratura quando invece avremmo dovuto votarne l’ineleggibilità ”.
Hanno fatto dimettere il ministro Idem per l’Ici non pagata e cosa dovrebbero fare davanti a una condanna come quella di Berlusconi? Dovrebbe cadere automaticamente il Governo. Siamo arrivati a farci passare delle questioni abnormi come delle cose normali. Non stanno facendo il bene comune, anzi proprio nulla. Peccato per Epifani, è una brava persona. Ma con certe dichiarazioni sta buttando al macero 40 anni della sua storia.
Nella lettera parla anche di un eventuale appoggio Sel e M5S sulla riforma elettorale. Pensa si possa collaborare con il Movimento?
Per come è fatto ora il Pd capisco che siano loro a non voler collaborare, non ci voglio collaborare io che sono dentro da una vita. Ma, perchè no? Anche loro hanno qualche aspetto da perfezionare sul fronte democrazia interna.
Lei parla di un “destino fatale” che attende il Pd, che cosa intende?
Temo che si riduca a partitino di dirigenti, della casta. Così resta un processo non realizzato, un contenitore. Senza la linfa delle persone ci si accanisce a tenerlo in vita.

Monia Melis
(da “il Fatto Quotidiano”)

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