Luglio 29th, 2013 Riccardo Fucile
I FALCHI INVECE PUNTANO ALLO SCONTRO… LA STRADA DEL RINVIO
In mezzo c’è lui, il Cavaliere, che a 48 ore dall’udienza più gravida di conseguenze della sua vita, ha fermato le macchine: «Qui dobbiamo misurare ogni passo non in funzione della mia sola persona, ma guardando al governo e al Paese. Per quanto mi riguarda, ho detto e ripetuto che il governo, anche se dovessi essere condannato, resterà in piedi. Ma dai segnali che mi arrivano, a questo punto, non sono più tanto convinto che il Pd possa reggere».
Sempre lungimirante Berlusconi.
Come uno sciamano fiuta il pericolo e cerca il rimedio.
Ma al di là di possibili arti divinatorie, è assai probabile che al suo orecchio sia giunto l’allarme che sta maturando il casa dei Democratici.
A più d’uno, il premier Enrico Letta non si è tirato indietro dal rivelare una sua preoccupazione: «Sarà pure che Berlusconi, in caso di condanna, conferma il suo pieno appoggio al governo. Lo dice lui e lo ripetono i suoi. Ma il problema può essere un altro».
Un riferimento chiaro alla tenuta del suo partito, il Pd, dinanzi alla eventualità di dover proseguire l’alleanza con «un alleato condannato in via definitiva».
I rumors già si avvertono, si leggono sul web, e per la verità basta parlare con molti esponenti del Pd per cogliere subito la sensazione dell’imbarazzo, della difficoltà , dell’impossibilità ad andare avanti.
Per un Letta in forte fibrillazione, c’è dall’altra parte un Berlusconi che a ogni momento deve fare i conti con le colombe pronte a suggerirgli estrema prudenza. Gianni Letta in primis, ma anche Fedele Confalonieri.
E da ultimo l’avvocato Franco Coppi.
Con i primi due ha avuto un incontro super riservato. Ma tutti e tre sono convinti, pur se con differenti punti di vista, che una strategia dei toni bassi, della non aggressione dei giudici, possa solo giovare al processo.
Per questo il Cavaliere è stato costretto a smentire l’intervista a Maurizio Belpietro. Quel dare per scontata la condanna – «Non farò l’esule, come fu costretto Craxi, nè accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato, se si assumono la responsabilità di condannarmi vado in carcere» – è suonata come una gratuita provocazione.
Per carità , chi ci ha parlato, sa che Berlusconi la pensa proprio così, ma Coppi ritiene che dichiarazioni simili siano veleno gratuito
Va detto, ovviamente, che lo stesso Berlusconi incita i suoi alla protesta dura.
Ecco Daniela Santanchè, che ha cenato ad Arcore sabato sera con Denis Verdini, pronta a dire che «è pessimista» e sente odore di una condanna che «metterebbe in discussione il voto di 10 milioni di italiani, i quali certamente non resteranno in silenzio se si verificasse questo attentato alla democrazia».
Toni simili da Mariastella Gelmini in ansia per una sentenza «che potrebbe cambiare gli equilibri e danneggiare il Paese».
Di «cortocircuito democratico » e di «libertà di tutti in pericolo » parla Anna Maria Bernini
Tutto questo, dagli allarmi nel Pd alla pressione per una risposta dura nel Pdl, rende anche difficile scegliere la strada tecnica da seguire per l’udienza.
Berlusconi lo ha spiegato a Coppi che preme per individuare soprattutto le giuste mosse processuali. Per questo gli avrebbe detto: «Avvocato, io non sono Andreotti… da me e dalle mie scelte dipende la vita del governo e la storia del Paese ».
Rinvio o non rinvio dell’udienza, è stato questo il rovello domenicale che si è dipanato ad Arcore.
Una scelta da fare alla luce del retroscena politico che comporta.
Sul piano strettamente personale Berlusconi, stressato dall’attesa, vorrebbe chiudere tutto immediatamente. Eccolo dire: «Meglio sapere subito che soffrire un altro mese» confessa agli amici che lo chiamano di continuo.
Gli avvocati Ghedini e Coppi, soprattutto Coppi, credono alla strategia del rinvio sin dal giorno in cui la Cassazione ha fissato l’udienza per il 30 luglio.
Ma la decisione non è solo tecnica, a questo punto è soprattutto politica.
Per questo, per tutta la settimana, dagli avvocati è arrivato il continuo messaggio: «Noi siamo pronti a qualsiasi soluzione, la richiesta di rinvio, con tanto di motivazioni, è già pronta, ma alla fine soltanto lui vuole decidere alla luce della sue considerazioni politiche».
Tutto ruota intorno ai 25-30 giorni in più che la Cassazione potrebbe concedere a Berlusconi in caso di rinvio.
Certo, potrebbero prolungare la vita del governo, ma potrebbero anche impedire di aprire una finestra elettorale in autunno qualora il Pd dovesse far cadere il governo in caso di condanna.
Il faccia a faccia tra il Cavaliere e i suoi due legali proseguirà oggi a Roma, dove il leader del Pdl torna per essere poi pronto a seguire l’andamento dell’udienza in Cassazione sin dalla mattina di domani.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Luglio 29th, 2013 Riccardo Fucile
IL GIUDICE DI PACE: “SE MI AVESSERO DETTO DEL PASSAPORTO KAZAKO L’AVREI LASCIATA ANDARE”
Nella fretta indiavolata di chiudere la partita dell’espulsione della moglie del dissidente Ablyazov, la diplomazia kazaka offrì accidentalmente alle autorità italiane lo strumento per bloccarla e dare un finale diverso a questa storia.
Ad Astana infatti erano convinti (o qualcuno gliel’aveva suggerito) che fosse necessario dimostrare la falsità del passaporto centrafricano di Alma Shalabayeva per accelerarne il rimpatrio.
Quindi il 30 maggio l’ambasciata invia la nota n° 31 con la fotocopia dei due passaporti kazaki validi, e gli estremi di quello ritenuto falso, all’Ufficio immigrazione della questura di Roma.
E lì rimase, stando al racconto che il giudice di Pace Stefania Levori consegna a Mario Bresciano, il presidente del Tribunale di Roma incaricato dal ministero della Giustizia di chiarire perchè fu convalidato il 31 maggio il trattenimento di Alma al Cie di Ponte Galeria.
Premessa di quella espulsione lampo che sarebbe avvenuta dì lì a qualche ora.
LA VERSIONE DI LAVORE
«La nota dei kazaki non mi è stata recapitata – si legge nel verbale che Repubblica ha potuto visionare – nel fascicolo avevo il decreto di sequestro del passaporto centrafricano, il verbale della polizia di Fiumicino che lo giudicava contraffatto e due dichiarazioni dal Centrafrica».
In base a queste ultime, Alma Ayan (così si era presentata al giudice) era un soggetto conosciuto.
«Se avessi avuto altri documenti – sostiene il giudice di Pace – non avrei convalidato il trattenimento al Cie». Si sarebbe imposta una domanda, infatti: chi era veramente quella donna? Alma Ayan o Alma Shalabayeva? E l’unica risposta di senso a quel punto avrebbe portato una conseguenza: in quanto cittadina del Kazakhstan con due passaporti validi e due permessi di soggiorno, bisognava concederle un termine congruo per allontanarsi volontariamente dall’Italia. Senza espulsione, e con la possibilità di decidere in quale Paese andare.
«Ho solo applicato la legge, non ho ricevuto pressioni da nessuno », sostiene Lavore.
Non ci sono accuse, nel verbale. Non dice di essere stata ingannata, come invece conclude Bresciano nella relazione finale all’Ispettorato del ministero, che oggi arriva sulla scrivania del procuratore di Roma Pignatone.
Chi avrebbe dovuto mandarle quella nota?
L’UFFICO IMMIGRAZIONE
Già nel primo cablo n° 1614 inviato da Astana all’Interpol di Roma il 28 maggio si accennava ad «Alma Shalabaeva Boranbaeva, nata il 15 agosto 1966».
E con il cablo seguente, il n°1625, si dava conto nel dettaglio dei due passaporti kazaki da lei posseduti.
Quelle carte all’ufficio del giudice di Pace non arrivano. E nemmeno arriva – secondo la versione della Lavore – la nota dell’ambasciata kazaka inviata all’ufficio Immigrazione della Questura, guidato da Maurizio Improta.
Il Dipartimento di Pubblica sicurezza sostiene invece che nel fascicolo del giudice di pace c’erano tutte le note e i cablo.
«Peraltro – aggiungono le stesse fonti di polizia – durante l’udienza gli avvocati della donna informarono il giudice della sua cittadinanza kazaka, ma fu decisivo il fatto che la donna non aveva materialmente con sè i due passaporti. In quel momento era una clandestina, per la quale non era possibile la procedura di allontanamento volontario».
Bisognerà capire però se le carte sono arrivate tutte prima dell’udienza di convalida di quel 31 maggio, che si chiuse alle 11.20.
LA PREFETTURA INGANNATA?
È un fatto che l’espulsione pare decisione presa già il 29 maggio, con il provvedimento emesso dalla Prefettura. A quella data i cablo Interpol di Astana sono già arrivati a Roma. Il prefetto seppe di quelle note? No, stando alla motivazione del successivo decreto del 12 luglio. «Sono stati acquisiti elementi del tutto sconosciuti al momento dell’adozione e, come tali, non considerati dalle autorità giudiziarie».
È un fatto pure che il giudice di pace chiamato la scorsa settimana a giudicare sulla legittimità dell’espulsione abbia sì dichiarato «cessata la materia del contendere », ma nello stesso tempo abbia condannato la Prefettura al pagamento di un migliaio di euro di spese legali per il principio della “soccombenza virtuale”, una sorta di valutazione positiva indiretta sul merito del ricorso presentato dagli avvocati della donna kazaka.
LA PROCURA DI ROMA
Quella nota, la n° 31, di certo arriva alla procura di Roma nello stesso giorno in cui si compie il destino di Alma e della figlia Alua, imbarcate su un aereo e riportate ad Astana.
Tra le 3 e le 5 del pomeriggio del 31 maggio, infatti, viene chiesto da Pignatone e dal sostituto Eugenio Albamonte un supplemento di istruttoria per concedere il nulla osta.
Ma la documentazione inviata dall’ufficio di Improta e che avrebbe potuto fermare tutto diventa al contrario decisiva per l’espulsione.
«Perchè – spiegano fonti della procura – la valutazione era limitata solo alla posizione processuale della Shalabayeva ». C’era da decidere cioè se la presenza di Alma in Italia fosse discriminante o meno per il procedimento che la vedeva, e la vede, indagata per falso.
L’unica, finora, di questa storia
Carla Bonini e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia, Giustizia | Commenta »