Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
NELLO STAFF DELL’ASSESSORA LAVORA UNA EX MILITANTE DI ESTREMA DESTRA… SUA NIPOTE: FIGLIA DEL NAR BELSITO, ERA IN AMA CON LA MURARO
Come Pulcinella in mezzo ai suoni, l’assessora all’ambiente Paola Muraro continua a ripetere a ogni
legnata un autistico “vado avanti con il pieno appoggio della sindaca”, tenendosi alla larga da un proscenio di cui ormai sono nitidi i contorni e da un’indagine penale in cui risponde di reati ambientali e concorso in abuso di ufficio con l’ex Presidente di Ama Franco Panzironi e l’ex dg Giovanni Fiscon, l’uno e l’altro imputati nel processo Mafia Capitale.
Quelli che consentono di dire che la Muraro è la cruna dell’ago attraverso cui un sistema di relazioni e interessi nato, cresciuto e battezzato dalla destra post-fascista romana, ha rimesso le mani su Ama, la municipalizzata dei rifiuti.
È una storia che si può documentare con le intercettazioni telefoniche (storia della scorsa settimana) tra la Muraro, Fiscon e Panzironi. Dunque, con il legame ora sentimentale, ora di business (1 milione e 350 mila euro di consulenze) che legava la prima agli altri due.
Ma anche con quel reticolo familista proprio della città . Si tratta di una storia minore, forse, eppure esemplare, che lega la Muraro a una famiglia “nera”, i Di Pisa, che ha avuto una parte nelle vicende della destra romana.
E che documenta la microfisica e la vischiosità del Potere che si è saldato intorno alla giunta M5S.
Accade infatti che nello staff dell’assessora Muraro lavori oggi, quale dipendente comunale distaccata, Maria Paola Di Pisa, educatrice di asili nido, e già precedentemente “in distacco” (era il 2010) nello staff dell’allora sindaco Gianni Alemanno.
Maria Paola ha una sorella più giovane, Serena, come lei già attivista di destra, cresciuta nel quartiere “nero” Trieste, già militante di Terza Posizione, e con un ex compagno dal nome e la storia pesanti. Pasquale Belsito, un ex Nar oggi all’ergastolo dopo una lunga latitanza a Londra (nel febbraio scorso, ha tentato l’evasione dal carcere di Secondigliano).
Serena Di Pisa e Pasquale Belsito hanno due figli: un maschio, Giulio, e una figlia, Elena, entrambi non riconosciuti dal padre. E anche per questo “adottati” da quella famiglia di ex camerati che, negli anni 2000, dopo aver indossato la grisaglia della classe dirigente, comandano a Roma.
Mentre Serena Di Pisa lavora nella segreteria di Andrea Augello, senatore Ncd e all’epoca coordinatore delle campagne di Alemanno, la figlia Elena, ingegnere ambientale, viene assunta in Ama dalla coppia Panzironi-Fiscon in quella che sarà battezzata come la più macroscopica delle Parentopoli dell’era Alemanno.
E, coincidenza, viene messa a lavorare agli impianti TMB di Rocca Cencia e Salario con Paola Muraro, allora consulente ricchissima e potentissima dell’Azienda, la “favorita” di Fiscon, il ventriloquo di Panzironi.
Dura finchè dura la destra al potere, perchè con l’arrivo di Daniele Fortini e Filippi in Ama, 41 degli assunti della Parentopoli vengono licenziati. E tra loro c’è Elena Di Pisa.
La Muraro propone allora all’Azienda di riassumerla con un contratto di collaborazione, ma Fortini si oppone. E ne avrà a pentirsi. Perchè sia lui che l’allora direttore generale Alessandro Filippi diventano il bersaglio politico del senatore Andrea Augello e di un altro pezzo da novanta della vecchia destra romana, il deputato Vincenzo Piso (nel frattempo anche lui transfuga dal Popolo della Libertà al gruppo Misto).
Raggiunto telefonicamente, il senatore Augello spiega di “non aver avuto alcun ruolo nei rapporti tra Elena Di Pisa e l’assessore Muraro, conosciuta per la prima volta in occasione della sua audizione in Parlamento”.
È un fatto che nessuno sia in grado di spiegare per quale motivo sia stata tirata a bordo della nuova giunta una donna, la Muraro, che dichiarava pubblicamente di aver votato a sinistra, ma i cui legami e incroci con la destra romana appaiono sempre di più saldi come la gomena di una nave.
Come anche la vicenda della famiglia Di Pisa dimostra.
Del resto, nel festival delle ricorrenze “nere”, come svelato quando ancora la campagna elettorale non aveva incoronato la Raggi sindaca, balla anche il nome di un’altra donna, Gloria Rojo.
Anche lei in Ama con Parentopoli. Anche lei per questo licenziata. Era amministratore delegato della società di recupero crediti che finanziava la fondazione di Alemanno, la “Hgr” fondata da Panzironi, di cui era Presidente, per conto dello studio Sammarco, la giovane “praticante di studio” Virginia Raggi.
Come la Muraro oggi, anche la sindaca, allora, liquidò la faccenda come un irrilevante dettaglio, senza spiegare mai, tuttavia, perchè avesse eliso dal suo curriculum quell’esperienza in “Hgr” che la legava, insieme, allo studio Sammarco e all’imputato di Mafia Capitale Franco Panzironi.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
AMMETTE DI ESSERE UN RIPIEGO DOPO DIMISSIONI E RIFIUTI… E SUL CURRICULUM TAROCCATO SI ARRAMPICA SUGLI SPECCHI: “NON SONO ISCRITTO ALL’ORDINE, MA SONO COMMERCIALISTA, NON SONO PROFESSORE UNIV. MA DOCENTE”
L’uomo più ricercato di Roma è sempre stato lì dove tutti potevano vederlo.
Andrea Mazzillo, nuovo assessore al Bilancio, da mesi tra i più vicini a Virginia Raggi, eppure invisibile agli occhi della stessa sindaca, intenta a inseguire altri candidati.
Poi, improvvisamente, la provvidenza gli getta un riflettore addosso e lo chiama a salvare i conti capitolini. E così, allo stesso modo, mentre i suoi colleghi assessori entrano in sordina in Comune da entrate secondarie per sfuggire ai giornalisti, lui pranza in terrazza tra turisti e dipendenti comunali, nessuno lo nota.
Si è già messo al lavoro sul bilancio di Roma?
«Oggi (ieri, ndr) è il mio compleanno».
Le pesano le accuse di essere stato scelto come ripiego?
«Abbiamo deciso insieme alla sindaca che sarebbe stato meglio cercare qualcuno all’interno del Campidoglio. Non è stata una scelta di ripiego».
Quindi era stato preso in considerazione già da tempo come possibile assessore?
«No, dopo un mese di ricerca abbiamo preso questa decisione. Ci siamo resi conto che scegliere una persona esterna era diventata una questione troppo delicata».
Così, è arrivata una nomina interna. Ma un dogma cinque stelle non era il doversi basare sui curricula e non sulle esperienze politiche?
«Mi dica lei se trova qualcuno che vorrebbe fare l’assessore al Bilancio di Roma». Qualcuno c’era…
«Ma l’attenzione mediatica era troppa. Una cosa impressionante».
Alla fine sulla graticola c’è finito lei. Nel curriculum si è davvero inventato i titoli di professore universitario e di commercialista, come è stato scritto in questi giorni?
«Mettiamo le cose in chiaro: sono commercialista e sono docente universitario. Non sono iscritto all’ordine dei commercialisti perchè sono un dipendente di Equitalia (non c’entra nulla in verità … n.d.r.). E poi non ho mai detto di essere professore, ma docente. Come lo chiama lei qualcuno che tiene lezioni all’Università ?».
Anche il suo passato di attivista del Pd ha provocato qualche scontento in Campidoglio. Si dice che il capogruppo grillino Paolo Ferrara sia andato su tutte le furie…
«È tutto a posto. Ho sentito Paolo e mi ha dato la sua disponibilità a lavorare insieme».
A proposito di lavoro, il nuovo assessore alle Partecipate Massimo Colomban, con il quale dovrà collaborare, in passato sosteneva la necessità di azzerare ogni partecipazione esterna da parte dei comuni. È una linea politica adottabile a Roma?
«Se si tratta di razionalizzare Atac e Ama, noi abbiamo sempre detto di sì. Certo, prendere in considerazione la privatizzazione non sarebbe possibile. La linea politica deve essere quella scritta nel programma del Movimento e la soluzione dell’azzeramento delle partecipate non è prevista».
Per colpa delle partecipate, secondo il Pd, Roma avrebbe un buco nel bilancio di un miliardo di euro. Un bel problema, no?
«In questo momento non ne posso parlare. Giovedì in aula risponderemo all’interrogazione del Pd riguardante le venti pagine di relazione presentate alla sindaca Virginia Raggi dal ragioniere generale Stefano Fermante. Io le ho già lette e sostanzialmente mi sembra la stessa relazione presentata a maggio al commissario Tronca. C’è poco di nuovo».
Proprio le dimissioni minacciate la scorsa settimana dal ragioniere generale Fermante hanno creato altro caos nella giunta…
«Con Fermante ho già iniziato a confrontarmi. Mi è sembrato di capire che voglia restare. L’importante è andare avanti sicuri di voler portare a compimento il proprio lavoro. E finora la ragioneria ha lavorato bene. Nessun problema».
Fermante ha denunciato di essere stato lasciato solo in una situazione di confusione e con i conti sempre più in rosso. Sicuro che non ci sia nessun problema?
«Fermante ha evidenziato la mancanza di indirizzo politico e, quindi, di un assessore al Bilancio. Adesso l’assessore c’è».
Nonostante il lavoro della ragioneria, pensa che potrebbero esserci dei ritardi per l’approvazione dei bilanci?
«Quello di assestamento verrà chiuso per tempo. Ne sono certo. Mentre per quanto riguarda quello di previsione, vedremo. Una eventuale proroga sarebbe comunque prevista dalla legge. Nulla di preoccupante».
Federico Capurso
(da “La Stampa”)
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Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL PD INVESTE TRE MILIONI DI EURO PER LA CAMPAGNA REFERENDARIA
Jim Messina, il guru della comunicazione già consulente di Barack Obama assoldato dal Pd per la
campagna referendaria, per il suo incarico riceverà dal partito 400 mila euro.
A tanto ammonta, secondo La Stampa, la sua parcella, nell’ambito di un budget complessivo per l’intera campagna a favore del sì, che dovrebbe ammontare complessivamente a 2,8 milioni di euro.
L’importo per la super consulenza – scrive il quotidiano è “appena centomila euro in meno di quanto, mezzo milione di euro, il Pd ha incassato con la raccolta delle 500 mila firme per il referendum
La cifra sta circolando tra i parlamentari democratici venuti a conoscenza che quei soldi saranno scuciti dai gruppi di Camera e Senato assieme agli ulteriori 700 mila euro destinati alla campagna pubblicitaria.
Quella, per intenderci, che sta tappezzando le grandi città , autobus compresi.
Lo slogan non è andato giù a molti altri democratici, curiosi di sapere di più anche su quanto spenderà in tutto il Pd, alla fine.
Sì, perchè ai soldi dei gruppi ci sono da aggiungere quelli del partito, che si aggirano attorno a 1,7 milioni di euro. Il gruzzolo finale dovrebbe fermarsi così poco sotto i 3 milioni di euro.
«Abbiamo 14 milioni di euro a bilancio – spiega Daniele Marantelli, tesoriere del gruppo Pd alla Camera, non del partito – La campagna del referendum è perfettamente coincidente con le tipiche attività del gruppo».
E confermando il compenso di Messina aggiunge: «C’è da dire che lo abbiamo pagato anche per la campagna No Imu lanciata prima delle elezioni amministrative»
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
AFFONDATO IL DIRETTORIO: “DA SOLI NON CE L’HANNO FATTA, PER QUESTO SONO TORNATO”
Da un lato la soddisfazione per la “compattezza ritrovata”, ma dall’altro l’ansia per il ‘caso Muraro’ che agita Roma. Beppe Grillo trova la sintesi perfetta: “Good Movement and bad moments”. Ovvero, “bel MoVimento, cattivi momenti”.
Con queste parole il leader 5 Stelle lascia Montecitorio dove ha incontrato i deputati pentastellati.
Ed è a loro che ha consegnato la garanzia che chiedevano da tempo: “Sono tornato. Il Direttorio – avrebbe detto – da solo non ce l’ha fatta”.
Certificato il fallimento dei ‘magnifici 5’, il leader si dice euforico e presente più che mai. Non trova tuttavia la stessa euforia se pensa alla Capitale.
Una settimana. Massimo dieci giorni.
È questa la dead line sulla quale si ragiona: l’assessore Paola Muraro ha politicamente i giorni contati. E in via confidenziale nessuno ne fa mistero, nè in Campidoglio nè soprattutto alla Camera, dove Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno trascorso l’intera giornata incontrando i deputati M5S.
La sindaca di Roma Virginia Raggi ufficialmente tiene il punto sulla linea garantista nell’attesa che arrivi, se davvero arriverà , un avviso di garanzia, al momento non ancora recapitato.
Intanto però si aggrava la posizione giudiziaria dell’assessore, indagata per abuso d’ufficio nell’ambito di una vicenda che coinvolge gli ex vertici di Ama, la municipalizzata che si occupa della raccolta rifiuti. Franco Panzironi, ex amministratore delegato di Ama arrestato nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale, sarebbe accusato di aver affidato insieme a Giovanni Fiscon delle consulenze annuali sospette all’allora specialista Muraro, per un totale di circa 500mila euro.
Quindi Grillo vorrebbe chiudere questo “stillicidio”, così viene definito da alcuni parlamentari romani, il prima possibile: il timore del leader, tornato capo politico, è che il Movimento possa subire un grave danno d’immagine se la vicenda giudiziaria dovesse precipitare.
Alla fine, per ragioni di opportunità politica e per evitare di catalizzare tutta l’attenzione sul ‘caso Muraro’, Grillo e il sindaco hanno deciso di non incontrarsi.
Sul leader, secondo quanto viene raccontato di chi lo ha incontrato, incombe questa spada di Damocle.
Da una parte vorrebbe scaricare l’assessore capitolino dall’altra però c’è il sindaco che frena: “Non è ancora arrivato l’avviso di garanzia, aspettiamo”, va dicendo Raggi nonostante a Palazzo Senatorio sia iniziata sottotraccia una moral suasion nei confronti dell’assessore con l’invito al passo indietro.
Tuttavia Muraro garantisce: “Raggi mi ha chiesto un passo indietro? No, ho il suo pieno sostegno”.
Lo stesso sostegno però non si può dire che arrivi dai parlamentari, sempre più insofferenti: “È il metodo di selezione che è sbagliato. Se si sbaglia il metodo, presto viene a galla. E a Roma è iniziato tutto male”, osserva una parlamentare che ha parlato a lungo con Grillo.
Comunicazioni senza intermediari.
“Basta con i filtri”, chiedono alcuni deputati. Grillo rassicura loro, pur sottolineando che l’ufficio comunicazione non si tocca perchè “ha ottenuto buoni risultati”.
Il taglio della torta, in occasione dei sette anni del Movimento, rappresenta la necessità di rinsaldare il valore della “comunità 5 Stelle”.
Ma l’occasione la festa non inganni. Le turbolenze del comune di Roma lasciano il segno e riverberano pure sui gruppi parlamentari.
Grillo e Casaleggio jr ascoltano e prendono appunti, incontrano i deputati a gruppi, in parte suddivisi per aree tematiche. Già , perchè la road map si innesta dopo la festa di Palermo e il rientro a pieno titolo con tutti i poteri dell’ex comico, con un menù composto di programmi a medio termine e gli impegni più vicini. In altre parole la dura opposizione al governo sulla legge di bilancio e la campagna per il no al referendum.
Oltre i programmi c’è da rimettere in sesto una macchina che nelle ultime settimane ha sbandato e dunque è lo stesso Grillo ad annunciare che “da oggi basta filtri, si torna al canale diretto tra me e voi”.
Frase che serve a rassicurare tutti quei deputati che lamentano di essere spesso messi all’angolo. Parole che confermano il sostanziale “fallimento”: “Da soli non ce la fanno, troppe difficoltà , alcune cose sono state difficili da gestire. Per questo sono tornato, ho ripreso in mano la situazione, è stato necessario”.
Salvo solo Luigi Di Maio, che non a caso ha cenato con Grillo e Casaleggio, e al quale il Movimento non può rinunciare.
“Siamo teste pensanti: prima parlavamo direttamente con Casaleggio e ora vogliamo continuare con Grillo”, gli umori captati tra i presenti più insofferenti.
Una rivendicazione che ha il sapore dell’ennesima rivolta contro Rocco Casalino, potente capo della comunicazione del Senato che in troppe occasioni avrebbe assunto anche un ruolo di controllo politico e non solo della gestione dei media.
La fronda contro di lui e la sua omologa alla Camera è nota da tempo e nel caso di Ilaria Loquenzi raggiunse il culmine quindici mesi fa quando dopo la sfiducia del gruppo a Montecitorio fu salvata da Gian Roberto Casaleggio in persona.
Anche questa volta Grillo ha difeso lo staff della comunicazione confermandone il ruolo ma disegnando uno schema più orizzontale e meno verticistico. “Non più i soliti, tutti andranno in tv” aveva promesso a Palermo.
E questa è forse l’unica vera svolta della trasferta romana.
(da “Huffingtopost”)
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Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
CENTINAIA IN CAMMINO DA BELGRADO VERSO LA FRONTIERA NONOSTANTE LA PIOGGIA E IL FREDDO: “DEVONO FARCI PASSARE”
Sei mesi fa erano rimasti intrappolati al confine tra Serbia e Ungheria. Era il 5 marzo e la rotta balcanica
si era ufficialmente chiusa, bloccando nella terra di nessuno almeno 6 mila migranti.
Dopo Slovenia e Serbia, anche Macedonia e Croazia avevano blindato le frontiere in una reazione a catena di fronte alla quale l’Ungheria aveva dichiarato lo «stato d’emergenza» per il pericolo di «migrazioni di massa» e deciso di rafforzare il muro «anti invasione».
Ma ieri la lunga attesa nei campi si è improvvisamente interrotta: in centinaia si sono messi in cammino da Belgardo per raggiungere a piedi la frontiera con l’Ungheria, 200 km circa più a Nord, con l’obiettivo di protestare contro le autorità di Budapest per la decisione di impedire loro il passaggio in territorio ungherese e poter proseguire il viaggio verso l’Europa occidentale.
Da quando il governo di Orban ha deciso di chiudere la rotta balcanica sigillando la frontiera con 175 chilometri di barriera presidiata da 10 mila agenti, c’è un solo modo per entrare legalmente nel Paese e proseguire il viaggio verso l’Europa: passare dalle due zone di transito autorizzate, una è a Horgos, dove stanno gli afghani, l’altra è Kelebia, dove aspettano i siriani. Trenta persone al giorno.
Nei primi 6 mesi del 2016 l’Ungheria ha concesso 87 visti ai rifugiati (a fronte di 22.491 richieste d’asilo) e fatto passare meno di 500 persone.
A Belgrado, prima di intraprendere il viaggio a piedi, i migranti, per lo più afghani, avevano inscenato una manifestazione di protesta contro gli ungheresi alla stazione degli autobus della capitale serba, bloccando a tratti il traffico: «Please Open Hungary Borders», per favore aprite il confine ungherese, si leggeva su cartelli e striscioni mostranti dai manifestanti, fra i quali si sono registrati scontri con gruppi di migranti contrari alla marcia verso il confine magiaro.
La polizia, che ha tenuto a bada la protesta, ha successivamente diffuso un comunicato mettendo in guardia dal ripetersi di incidenti e invitando i migranti a «rispettare le leggi serbe» al pari di tutti gli altri cittadini.
La marcia è proseguita nonostante la pioggia e il freddo, scortata dalla polizia e da cittadini che lungo la strada offrono acqua e cibo.
Un anno fa migliaia di migranti sostarono e protestarono a lungo davanti alla barriera di metallo e filo spinato eretta da Orban.
Monica Perosino
(da “La Stampa”)
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Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
DIANE JAMES LASCIA LA GUIDA DEL PARTITO EUROSCETTICO
È durata appena 18 giorni la leadership di Diane James nello Ukip.
La prima donna a guidare il partito indipendentista britannico – lasciato senza capo dopo le dimissioni di Nigel Farage – ha fatto un passo indietro.
«Non sento di avere l’autorità », ha fatto sapere la James con uno scarno comunicato in cui ammette di non sentire la fiducia dei deputati.
Alcune fonti avevano anticipato la mossa della James in tarda serata spiegando che dietro la scelta ci sono motivi famigliari.
Eppure la James aveva stravinto le primarie, l’avvento di una donna alla guida del più discusso, rumoroso ma in ascesa partito britannico aveva portato una ventata di novità .
Dimissioni irrevocabili, accettate nella notte dal presidente del Partito. Ora si riapre la partita.
Steven Wolfe, deputato europeo e voce principale sul tema immigrazione, sembra in pole position. In settembre era stato costretto a rinunciare al «contest» per problemi burocratici, ora potrebbe tornare in lizza.
Ma qualcuno già guarda a Nigel Farage, l’uomo che ha trasformato lo Ukip in un Partito che viaggia ormai stabilmente in doppia cifra (anche se il sistema elettorale britannico, maggioritario secco con collegi uninominali non premia lo Ukip in quanto a seggi, appena 4 quelli a Westminster).
Farage non è nuovo ai ritorni. Se dovesse tornare sulla scena sarebbe la quarta volta che si riprende il partito, la terza dopo le sue stesse dimissioni.
Nel 2015, dopo le elezioni generali, lasciò sostenendo che c’era bisogno di una svolta e di aria fresca nel partito; dopo la Brexit invece se ne andò dicendo che aveva realizzato il suo sogno e che la sua missione politica ultraventennale era portare lontano dalla Ue il Regno Unito.
L’aveva compiuta e quindi poteva mettersi in disparte. Ma c’è già chi lo invoca come salvatore della patria a poche ore dalle dimissioni della James.
Il partito è litigioso, la partita della Brexit si gioca tutta a Bruxelles e a Downing Street e gli indipendentisti britannici non hanno leve particolari da azionare.
Farage da solo con le sue sparate e le sue proposte sopra le righe dava visibilità a un partito il cui nome degli altri esponenti è sconosciuto ai più.
Ora lo Ukip deve cercare un ruolo che vada ben oltre quello di guardiano della procedura della Brexit, troppo burocratico e tecnico.
Più che un leader servono idee che non siano già state triturate nella battaglia referendaria.
Alberto Simoni
(da “La Stampa”)
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Ottobre 5th, 2016 Riccardo Fucile
“IN ITALIA SERVONO MENO LEGGI E MIGLIORI”
Le riforme costituzionali del governo Renzi sono “un ponte verso il nulla“. E sarebbe meglio che il
governo Renzi facesse “meno leggi, ma di migliore qualità “.
E’ il consiglio che il Financial Times rivolge al capo dell’esecutivo.
“Per quale motivo — domanda Tony Barber, autore dell’editoriale — Matteo Renzi, che nel 2002 criticò” la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, ora propone di costruirlo e “ne tesse gli elogi?”.
La risposta: “Ventilando al rilancio di un progetto caro a Silvio Berlusconi, Renzi punta a ridurre la propensione dei lealisti di Berlusconi e delle altre forze di centrodestra a farlo cadere nel caso in cui dovesse perdere il referendum“.
Ma “contrariamente a quanto pensa lo stesso Renzi, le riforme costituzionali che propone faranno poco per migliorare la qualità del governo, del processo legislativo e della politica” italiana.
Secondo il premier, prosegue Barber attaccando alle basi la dottrina renziana, il bicameralismo paritario “produce ritardi inutili che fanno zoppicare anche i governi benintenzionati come il suo, che vogliono mettere in atto riforme in grado di modernizzare il Paese. Eppure la storia dei governi del dopoguerra, compresa quella dello stesso esecutivo Renzi, smentisce la sua teoria. Il Parlamento italiano ha approvato anno dopo anno un numero maggiore di leggi di quelle passate in Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Nonostante la mancanza di una maggioranza in Senato, il Partito Democratico di Renzi è riuscito a far passare i tagli delle tasse e la riforma del mercato del lavoro su cui si basa il suo programma”.
“L’Italia — si legge ancora — non ha bisogno di leggi approvate più rapidamente, ma di un numero minore di provvedimenti e di migliore qualità “.
Leggi che “dovrebbero essere scritte con cura e applicate davvero, piuttosto che essere bloccate o aggirate da pubblica amministrazione, interessi privati e pubblici”.
Le riforme, poi, “sono legate a una legge elettorale che garantirà un premio al partito vincente, garantendogli la maggioranza per 5 anni. Elaborata nel 2014 da Renzi e Berlusconi, anche questa è davvero una cattiva riforma“.
Tony Barber ha cambiato idea sull’ex sindaco di Firenze, dirà chi ricorda un editoriale del 2015 in cui il giornalista definiva Renzi come “l’ultima speranza per l’Italia”.
Ma nell’ultimo paragrafo dell’articolo, Barber riprende il concetto.
Con un distinguo: “Nelle capitali europee si ha la sensazione che Renzi meriti di essere sostenuto. Un’Italia senza timone, esposta a una crisi delle banche e al Movimento 5 Stelle, comporterebbe guai”, continua il Financial Times sottolineando i pericolo che una vittoria del No al referendum del 4 dicembre comporterebbe.
Ma “dall’altro lato una vittoria (del Sì, ndr) potrebbe rivelare la follia di voler anteporre l’obiettivo tattico della sopravvivenza del governo alla necessità strategica di una democrazia robusta“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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