Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
L’IPOCRISIA DI DELEGARE A FUNZIONARI DEL COMUNE PER SALVARSI IL CULO… NON HANNO NEANCHE LE PALLE DI IMPEDIRLE, BECCARSI UNA DENUNCIA, UNA CONDANNA E IL COMMISSARIAMENTO DEL COMUNE
Maria Scardellato, sindaca leghista di Oderzo, in provincia di Treviso, si limita ad applicare la legge e
suggella l’unione civile tra due uomini, Pasquale e Andrea, compagni da 11 anni.
Ma nelle logiche interne al Carroccio il più elementare rispetto della legge, il minimo che si possa pretendere anche da un pubblico ufficiale eletto sotto le sue verdi insegne, non può porsi in contraddizione con le politiche di partito. E adesso attorno alla sindaca Scardellato c’è aria di espulsione.
Una fronda interna che, montata a livello locale, ha trovato infine l’avallo del leader nazionale della Lega, Matteo Salvini.
“Sicuramente – ribadisce Salvini – il primo cittadino non è in linea con quello che fanno tutti i sindaci della Lega e del movimento, che delegano ad altri la scelta di applicare una legge sbagliata. Quindi se la sindaca scientemente si è prestata a questo giochino sicuramente ha poco a che fare con la Lega. E’ pieno di dipendenti del comune e gente che si entusiasma per queste cose, potevano occuparsene loro”.
A difesa di Maria Scardellato si schiera la senatrice del Pd Monica Cirinnà : “Con la vicenda della sindaca di Oderzo la Lega ha passato la misura. E’ gravissimo che un partito politico non solo dichiari esplicitamente di non voler rispettare una normativa dello Stato, ma imponga agli amministratori eletti con le proprie liste di porsi al di fuori della legge. Sottoponiamo il caso al ministero dell’Interno con un’interrogazione parlamentare”.
“Le unioni civili tra persone omosessuali sono riconosciute dallo Stato italiano, che piaccia o meno alla Lega, a Salvini e ai sindaci del Carroccio. In Italia evitare di celebrare unioni civili non è nelle disponibilità dei sindaci, anche leghisti, che devono rispettare le leggi”.
La vicenda, per chi come noi conosce da anni le dinamiche in via Bellerio, è così riassumibile.
Il partito deve dare all’esterno l’immagine di essere contro le unioni civili gay, in realtà non gliene frega nulla a nessuno (come di tante altre battaglie strumentali).
Dato che rivoluzionari non si diventa, il giochetto è questo: ufficialmente i sindaci leghisti dicono che loro non si prestano a queste unioni ma dato che, se rifiutassero come istituzione locale si beccherebbero denuncia, condanna e rischio di perdere la poltrona, delegano a funzionari del Comune, così salvano il culo (che poi è la stessa cosa della faccia).
Se fossero coerenti andrebbero fino in fondo, ma la scappatoia permette di presentarsi all’opinione pubblica come “colui che fece il gran rifiuto”.
Altro aspetto: la sindaca in questione non sarà espulsa, è tutta una commedia, per un semplice motivo: non può essere espulsa per aver applicato una legge dello Stato italiano.
Salvini sa benissimo che è sufficiente impugnare in tribunale un provvedimento con questa motivazione e il sindaco viene reintegrato immediamente nonchè il segretario che ha firmato l’espulsione si becca una denuncia e una condanna.
Potrebbe essere espulsa con un’altra scusa, ma anche questa strada è rischiosa.
Salvini manda solo un pizzino agli altri sindaci leghisti, nel timore che altri seguano la strada della Scardellato, nulla di più.
(da agenzie)
argomento: LegaNord | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
RIGUARDA LA LISTA PER LE COMUNALI 2012, QUASI TUTTE LE 2.000 FIRME SONO FALSE… L’ACCUSATA E’ UNA PARLAMENTARE DEL M5S
La procura di Palermo ha dato notizia stamattina della riapertura dell’inchiesta.
I pm avevano già delegato la Digos a indagare sul caso sollevato da alcuni attivisti, ma il procedimento era stato archiviato. Il nuovo fascicolo si aggiunge ora al vecchio.
La vicenda è riesplosa dopo due servizi de “Le Iene”, venuti in possesso di un elenco con le firme originali di alcuni attivisti che hanno disconosciuto gli autografi sul documento che invece era stato presentato in tribunale.
E due periti hanno dichiarato che gran parte delle circa duemila firme depositate non sarebbero autentiche.
Secondo l’attivista di M5S Vincenzo Pintagro le firme presentate in tribunale sarebbero state ricopiate di proprio pugno da due esponenti di 5 stelle, Claudia Mannino (deputata) e Samantha Busalacchi (collaboratrice del gruppo di M5S) all’Ars per rimediare a un precedente errore materiale.
Mannino e Busalacchi negano di avere commesso l’illecito e annunciano di voler querelare Pintagro, così come hanno fatto altri esponenti del movimento.
Ma ormai, anche dentro 5 stelle, che il fatto sia avvenuto — ovvero che quelle firme non siano autentiche – sono in pochi a metterlo in dubbio.
La vicenda sta generando il caos nel movimento a Palermo.
Sono state nei fatti sospese le “comunarie” del M5s per la scelta dei candidati per le amministrative della prossima primavera: fonti del movimento spiegano che la procedura per la verifica delle 122 proposte di candidatura è in stand-by in attesa del nuovo regolamento di M5S.
Ma pesa, e non poco, il caso delle firme false: fra i candidati alle comunarie, tra l’altro, c’è anche Samantha Busalacchi, una delle due esponenti di M5S accusata di aver falsificato le firme.
Un gruppo di attivisti sta preparando un documento con un appello a Grillo ad adoperarsi per non annullare le comunarie e scongiurare l’ipotesi — circolata in questi giorni — che 5 stelle non presenti la lista per le amministrative della prossima primavera.
E a esporsi pubblicamente, in questo senso, è il poliziotto Igor Gelarda, segretario del Consap, un grillino di nuova generazione lontano da Nuti e dal suo gruppo, accreditato outsider per le comunarie: “Sugli spiacevolissimi fatti di Palermo – dice Gelarda – bisogna fugare ogni dubbio e mostrare che siamo diversi dagli altri. La perfezione non è di questo mondo, sbagliare è un fatto umano. Si accertino le responsabilità , o si dimostri inequivocabilmente che è tutta una montatura mediatica, e si dia nuova fiducia alla città “.
(da “La Repubblica”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
SONO 44.000 I MIGRANTI CON UN LAVORO, IL 90% CON UN REGOLARE CONTRATTO… MOLTI SONO IMPEGNATI NELL’AGRICOLTURA
Quando si parla di profughi da accogliere, in Italia ci sono regioni del tutto contrarie, regioni che
sopportano, regioni silenziose. E poi c’è la Basilicata.
Sembra un disco rotto. Tutti protestano, sostengono di averne abbastanza,
bisogna scendere verso Sud, oltrepassare la Campania e arrivare in Basilicata per sentire parole che ormai sono sempre più rare.
“L’accoglienza? Noi abbiamo deciso di cambiare passo ampliando ancor più il nostro impegno per i rifugiati e i richiedenti asilo, focalizzando tutte le migliori esperienze e le energie regionali e proponendo un approccio sistemico alla materia della migrazione e del diritto di asilo”, spiega Marcello Pittella, presidente delle Regione Basilicata.
Il governo ha assegnato alla regione la quota di mille migranti da accogliere, una cifra di tutto rilievo in una regione dove la popolazione è in calo costante da anni.
La risposta è stata: possiamo fare di più, ne accoglieremo il doppio.
Come aggiunge Pittella: “In controtendenza rispetto a tutte le altre regioni italiane, nel 2015 ho manifestato personalmente, la volontà del governo regionale di andare anche oltre la quota di riparto nazionale dei flussi migratori, offrendo di accogliere fino a 2000 migranti. Questo perchè la giunta regionale che ho l’onore di presiedere considera l’accoglienza un’opportunità che, se ben strutturata, può essere un’occasione di sviluppo per il territorio. Soprattutto per le aree interne”.
È nato così il miracolo della Basilicata, una regione dove sui migranti le cifre raccontano un vero e proprio boom.
Ci sono 2240 richiedenti asilo in tutta la regione, di cui 185 minori non accompagnati. Oltre 44mila migranti hanno un lavoro, al 90% con un contratto.
Oltre la metà lavora in agricoltura. Vuol dire che gli stranieri rappresentano il 13% circa della forza lavoro totale, cioè più di un lavoratore su 10 è straniero.
Nella zona del Metaponto, le cifre sono anche più elevate: su 34mila lavoratori, 14mila sono stranieri.
Sono in 460 gli operatori lucani a lavorare intorno ai progetti per l’accoglienza e sono 55, oltre un terzo, i Comuni ad aver accettato di ospitare migranti nei loro territori.
Già da sole queste cifre basterebbero a raccontare una visione di futuro che non solo in Italia ma anche in buona parte dell’Unione Europea si fa sempre più fatica a trovare.
Ma la settimana scorsa è accaduto anche qualcos’altro.
A Matera è arrivato Naguib Sawiris, il magnate egiziano che voleva acquistare un’isola per poter accogliere i migranti che transitano lungo la rotta del Mediterraneo, lo stesso che aveva annunciato di voler investire 100 milioni di dollari per aiutare i rifugiati a creare una comunità stabile.
Dopo aver capito la politica di accoglienza lucana ha scelto la Basilicata per realizzare i suoi progetti.
La Regione e Sawiris hanno firmato un accordo per realizzare il progetto economico e sociale soprannominato “We are the people” per favorire la crescita del territorio e garantire l’accoglienza dei rifugiati.
I dettagli sono allo studio ma il modello seguito sarà di un’accoglienza diffusa sul territorio.
Pittella ne parlerà presto con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Gli dirò che ci sono persone in grado di lavorare per lanciare un grande progetto di inclusione sociale di quanti fuggono dalle guerre e dalla miseria”.
Flavia Amabile
(da “La Stampa”)
argomento: Immigrazione | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE 33 ANNI DOPO: FIRMA DEL PRESIDENTE APOCRIFA
Un falso pazzesco. Una firma mai vergata dal presidente-partigiano Sandro Pertini. Che di quell’atto che cacciò dall’Aeronautica un suo ufficiale – se non rovinandogli la vita di certo cambiandogliela pesantemente – non sapeva nulla.
La firma dell’allora Capo di Stato sul decreto di radiazione del capitano-pilota Mario Ciancarella (in prima fila nelle denunce per cercare la verità a Ustica e nella riforma, erano gli anni Settanta, dell’ordinamento militare) sottoscritta nel 1983, era apocrifa. In sintesi: «taroccata» come in un documento uscito da una stamperia fuorilegge. Firmata chissà da chi, in una notte buia del 1983.
Lo ha stabilito, 33 anni dopo, il tribunale civile di Firenze e la notizia è stata rivelata dall’associazione «Rita Atria» di cui lo stesso ex ufficiale, oggi residente a Lucca dove ha aperto una libreria, è fondatore.
La sentenza, spiega una nota della stessa associazione, arriva «dopo due perizie – una di parte e una disposta dal magistrato – che hanno potuto rilevare come il falso sia tanto evidente quanto eseguito con assoluta approssimazione». Non basta.
Nella motivazione si legge che il ministero della Difesa è stato condannato in contumacia al pagamento delle spese processuali di 5.885 euro.
È solo l’inizio di una specie di rivincita giudiziaria che vedrà l’ex pilota – «cacciato per indegnità a portare la divisa», questa fu la formula usata per radiarlo – avviare con ogni probabilità altre cause, sia in sede penale che davanti alla magistratura contabile.
Pilota nella brigata aerosoccorritori
Ma a questo punto è il caso di fare un lungo passo indietro e arrivare alla fine degli anni Settanta, quando tutto comincia.
Anni in bianco e nero, anni di piombo. Terrorismo, stragi impunite, l’ombra dei servizi deviati e della P2.
Mario Ciancarella è un giovane ufficiale dell’Aeronautica, capitano pilota a Pisa, vola sugli Hercules C-130 della brigata aerosoccorritori, la 46°.
Si interessa di sindacato, parola che nelle forze armate di quegli anni era impronunciabile. «Ci chiamavano i “nipotini” delle Brigate Rosse» ricorda oggi l’ex ufficiale riferendosi a quel gruppo di colleghi con cui fondò il movimento dei militari democratici.
E che collaborò alla stesura della legge 382/78 – ovvero la riforma dell’ordinamento militare – soprattutto in un punto: la possibilità di disobbedire a un ordine palesemente ingiusto.
Battaglia che gli valse processi, un arresto e la radiazione dall’Aeronautica. Giunta tramite ufficiale giudiziario con un atto falso, si scopre ora
Che con quella firma Pertini non c’entrasse nulla, Ciancarella l’aveva intuito subito dopo aver ricevuto la copia del decreto presidenziale.
Ma questo avvenne dieci anni dopo la radiazione. E, tra l’altro, dopo la morte dello stesso ex inquilino del Colle.
«Prima non era possibile avere quell’atto, non era diritto dell’interessato, mi venne spiegato». Quella firma «l’avevo vista su altre carte: era apocrifa in un modo spudorato».
Trovare un avvocato disposto a portare avanti la battaglia per accertare la verità non fu semplice. «Ci ho messo 16 anni… E altri 7 per arrivare alla sentenza». Che gli ha dato ragione.
L’indagine su Ustica
Ciancarella si era interessato anche dei misteri che ruotavano attorno all’abbattimento del Dc9 Itavia a Ustica, il 27 giugno 1980.
In particolare al giudice istruttore Rosario Priore il pilota raccontò di quella testimonianza drammatica raccolta poche ore dopo la sparizione dal radar del velivolo da Alberto Dèttori, il sottufficiale radarista, impiegato nella stazione radar di Poggio Ballone, trovato impiccato nel 1987.
«Comandante, siamo stati noi a tirarlo giù. Siamo stati noi». «È una cosa terribile…». «Io non le posso dire nulla, perchè qua ci fanno la pelle».
A colloquio con il presidente partigiano
Qualche mese prima Ciancarella era stato convocato proprio da Pertini al Quirinale insieme a Sandro Marcucci e Lino Totaro, entrambi aviatori e tra i fondatori del movimento democratico.
Avevano parlato della riforma dell’ordinamento. Il presidente voleva saperne di più. «La segreteria del Quirinale mi chiamò a casa. Fissarono un appuntamento con me, io non volevo essere solo e mi presentai con i colleghi».
Il presidente fu schietto e brutale «ma trasparente: parlammo circa tre ore. Ci congedò dicendoci che se quella sulla modifica dell’ordinamento militare era una battaglia giusta allora avremmo dovuto combatterla seguendo le vie istituzionali, dal confronto sindacale a quello politico ed eventualmente in aula giudiziaria, senza alcun appoggio diretto del Quirinale».
Che però continuò discretamente a interpellarli, e forse a osservarli benevolmente, anche in seguito. Sino al via libera parlamentare della legge.
(Questo fu il destino dei tre fondatori del movimento militari democratici: Sandro Marcucci, capitano pilota nella brigata degli aerosoccorritori, si interessò di Ustica, cercando documenti e testimonianze. Morì il 2 febbraio 1992, una domenica limpida e senza vento, precipitando a Campo Cecina, in Toscana, a bordo di un aereo anti-incendio civile: due anni fa la procura di Massa ha deciso di riaprire un’inchiesta su quell’incidente. Lino Totaro, sergente maggiore, dovette lasciare l’Aeronautica perchè dichiarato instabile mentalmente. Lui oggi vive in Africa, «abbastanza serenamente». Di Mario Ciancarella si è detto.)
Alessandro Fulloni
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
SCATTA LA PROTESTA: “PREZZI VERGOGNOSI”… E ORA SI TEME PER UN DIVORZIO TRAUMATICO CON LA UE
«Bonjour, finalmente l’Inghilterra non è più così cara», si felicita Marcel, l’uomo d’affari parigino appena
arrivato in città .
« Shit, questa è una rapina», si arrabbia Russell, il turista inglese in partenza per le vacanze.
La storia di due valute si concretizza all’ingresso dell’Eurostar
Il treno che attraversa la Manica collegando Londra e Parigi, nella magnifica stazione di St. Pancras, davanti al chiosco dell’International Currency Exchange, una delle principali catene di cambiavalute della città .
Il viaggiatore appena arrivato dalla Francia compra 100 sterline con 114 euro: «Non mi era mai successo», dice, «di ricevere un cambio così vantaggioso».
Il vacanziere diretto a Parigi è furioso: ha dovuto sborsare 99 pound (e due penny) per acquistare 100 euro. «Come se le due monete», s’arrabbia, «fossero alla pari». Già : la parità . Una prospettiva deludente, quasi umiliante, per chi pensava che la scelta di Brexit avrebbe restituito alla Gran Bretagna il ruolo di potenza ricca e sovrana a cui la burocratica Unione Europea le impediva di tornare
Il senso di amara sorpresa cresce, per i sudditi di Sua Maestà , più ci si allontana dal centro e ci si avvicina per così dire all’Europa.
Il massimo dell’indignazione si raggiunge in uno dei sei aeroporti della capitale, Gatwick, al cui interno il cambiavalute Moneycorp è addirittura sceso sotto la soglia dell’1 a 1, quotando il cambio della sterlina con l’euro a 0,97: vale a dire che con 100 sterline si comprano appena 97 euro.
Stessa quotazione agli aeroporti di Luton e Southend. Qualcuno dà la colpa ai cambiavalute. «È una vergognosa speculazione», accusa Martin Lewis, difensore dei consumatori britannici, che è andato fin dentro le partenze di Gatwick per fotografare il tabellone del cambio da scandalo, a suo giudizio, e racconta che per poco non ha preso le botte.
«Non mi meraviglio che mi abbiano gridato dietro che non è permesso fotografare i chioschi di cambiavalute», afferma. «Questo significa approfittare delle ansie del mercato». La foto, peraltro, l’ha scattata lo stesso e l’ha messa su Twitter
È innegabile che i cambiavalute arrotondino, o ne approfittino: è il loro mestiere. Praticano sempre un cambio più basso o più alto, a seconda se vendono sterline o le acquistano, di quello ufficiale.
Ed era già successo, nei tre mesi e mezzo dopo il referendum sull’Unione Europea, che la sterlina venisse scambiata a meno della parità dai cambiavalute londinesi: in luglio qualcuno la dava a 0,99 euro
Adesso, però, è scesa ancora più giù.
Dopo il flash crash della settimana scorsa, in cui con il concorso di un algoritmo impazzito o di un errore umano a un certo punto ha perso il 6 per cento del valore in due minuti, la possibilità che il declino continui fino ad assestarsi sulla parità con l’euro, non sui tabelloni dei cambiavalute ma al cambio ufficiale, appare sempre più verosimile.
È l’effetto dei timori sui danni che Brexit causerà all’economia britannica, spiegano gli analisti della City, anzi dei danni che causerà l’hard Brexit, l’uscita totale, da Unione Europea e mercato comune, che sembra la strada imboccata da Theresa May, sacrificando i liberi commerci pur di fermare la libertà di immigrare nel Regno Unito
Del resto non sono soltanto i cambiavalute a speculare sul declino della moneta con l’effigie della Regina Elisabetta: il Times rivela che hedge fund e investitori hanno aumentato l’acquisto di contratti che “scommettono” sul crollo della sterlina.
Ce ne sono stati 97 mila nei sette giorni prima del 4 ottobre, diecimila più della settimana precedente, e non c’era ancora stato il flash crash, il crollo in due minuti.
È un’attività da avvoltoi o da indovini, come ha illustrato “The Big short”, il film sugli speculatori che scommettevano sul crollo dei mutui troppo facili prima del grande crash 2007-2008. Ma parte sempre da un problema reale
Ora il problema è uscito dalle stanze di broker e banchieri per approdare sulle “high street”, come si chiamano in inglese le strade più centrali e affollate delle città . Cioè tra la gente.
Al Currency Exchange dietro la stazione Vittoria: 1,09 sterline per un euro. Al Post Office poco più in là : 1,066 sterline per un euro.
Nel cambiavalute dentro i grandi magazzini Mark Spencer: 1,064. In pratica, la parità , una sterlina per un euro.
«Ragazzi, venire a Londra è diventato quasi conveniente », commenta Franco, impiegato milanese, appena sbarcato con la moglie all’aeroporto di Gatwick.
Per italiani e altri continentali, è una manna. Ma per gli inglesi è una sberla. Con la monarchia e la Bbc, la sterlina è una delle istituzioni nazionali.
Il fatto che abbia perso il 19 per cento del valore da gennaio, e quasi il 15 per cento dal referendum, suscita un’ondata di incredula frustrazione.
È vero che, come notano gli economisti, ciò ha contribuito ad aumentare le esportazioni, far crescere la Borsa e nel lungo termine potrà servire a rimettere tutto a posto.
Ma nel lungo termine, ammoniva John Maynard Keynes, «saremo tutti morti».
È il breve termine che conta, viceversa, per la classe medio bassa in partenza per l’Europa sui voli low cost: di colpo si trova con meno soldi in tasca per la piccola vacanza alle Canarie, in Grecia, in Italia.
E con un dubbio in testa: sarà stato davvero un buon affare, per l’inglese medio, l’inglese scontento, l’inglese colpito dal disagio sociale, votare per Brexit?
Enrico Franceschini
(da “La Repubblica”)
argomento: economia | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
OLTRE MILLE PERSONE CON AMNESTY INTERNATIONAL IN PIAZZA A TRIESTE… E LA DESTRA NON CAPISCE CHE MOLTI ERANO SUOI ELETTORI
Sono le 18.47 quando da Piazza Unità , fredda e sferzata dal vento, si alza un grido: “Vergogna, vergogna, vergogna”.
Cinquecento volti con gli occhi puntati suòòa facciata del Municipio. Mano a mano che passano i minuti, si uniscono tanti altri cittadini, al di là delle appartenenze politiche, la Questura stimerà in almeno mille i partecipanti, una cifra non prevista. Volti fissi su quel balcone dove qualche giorno fa il sindaco e l’assessore alla Cultura avevano tentato goffamente di rimuovere lo striscione dedicato alla memoria di Giulio Regeni, immagini che hanno fatto il giro del web.
Trieste ieri sera ha fatto sentire il proprio sdegno contro un’operazione che rifiuta con fermezza e che ha generato parecchi malumori anche tra gli elettori del centrodestra. Tanti giovani intabarrati in sciarpe di lana e giubbotti, chi con una spillina o un fiocchetto, chi con un semplice foglio di carta “Verità per Giulio”.
Mai la giunta di centrodestra è apparsa così lontana dal suo popolo: “vergogna, vergogna, vergogna” il grido ritmano che sale dalla piazza.
Don Mario Vatta stigmatizza: “il sindaco ha sbagliato, il municipio non è casa sua, lui dovrebbe essere al servizio dei cittadini”.
Pietro frequenta il Petrarca, la scuola che ha accolto anche Regeni: “Lo striscione era un atto di solidarietà alla famiglia e il sindaco ha detto che si è tolto un dente cariato, ma ci rendiamo conto?”.
Non ci sono bandiere, si partecipa a titolo personale, l’unico colore concesso è il giallo.
C’è una mamma con la sua bimba che tocca un tasto triste: “Il sindaco è una persona solitamente vicino alle persone semplici, come ha potuto fare una cosa del genere? Come ha fatto la destra a ridursi così?”
Poi il minuto di silenzio e il lungo, interminabile applauso.
Giulio vive nella memoria, nonostante gli imbecilli.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
“IL SINDACO HA CAUSATO UN DANNO DI IMMAGINE ALLA CITTA’ DI TRIESTE”
“Sono contento che quello striscione sia ritornato visibile in piazza Unità , mi sembrava uno scandalo che
fosse stato rimosso”.
Lo scrittore triestino Mauro Covacich ha seguito la vicenda da lontano, ma non ha dubbi nel prendere le parti di chi l’appello alla verità per Giulio Regeni l’ha reso nuovamente visibile anzichè di chi, per evitare il rischio di “assuefazione”, aveva preferito ritirarlo.
Un’azione, quest’ultima, che non ha fatto certo il bene della città .
Chei idea si è fatto?
E’ uno scandalo che non si conosca che cosa è davvero successo a un ragazzo che stava cercando la sua strada con i mezzi della ricerca e della conoscenza. Un ragazzo barbaramente ucciso di cui non possiamo smettere di parlare.
La maggioranza di centrodestra in Comune ha invece scelto di cancellare lo striscione…
Mi sono stupito di un comportamento di una giunta solitamnete sensibile ai temi nazionali. Un atteggiamento di superficialità che va contro la legittima richiesta di conoscere come sono andate realmente le cose.
C’è chi dice che di striscioni se ne potrebbero appendere tantissimi altri, per diverse vittime del nostro Paese…
Mi pare un pretesto per gustificare una decisione sbagliata. Ora si tratta di tenere viva l’attenzione su Regeni. Per due ragioni: una strettamente giudiziaria e morale, dato che un italiano è morto in modo atroce, l’altra è diplomatica, che l’Egitto continui a far finta di nulla, che non renda nota la complicità dello Stato nella vicenda non è atto che puo’ passare sotto silenzio
Lo striscione ritirato la creato un danno d’immagine alla città ?
Il sindaco non ha fatto certo una bella figura. Putroppo ci è abituato
(da “il Piccolo“)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
I NO PROMESSI AI TORINESI SI SCONTRANO CON LA REALTA’ DI UNA CITTA’ IN CRISI E SI PASSA A LABORIOSE MEDIAZIONI… POCHI RISULTATI MA DIALOGA CON TUTTI ED EVITA DI ESPORSI
A guardarla da lontano la Torino a 5 stelle, nata con la vittoria di Chiara Appendino, sembra vivere su
un altro pianeta rispetto al caos, alle polemiche, alle lotte tra correnti, ai veti incrociati che in queste settimane attanagliano la Roma pentastellata guidata da Virginia Raggi.
All’ombra della Mole non esistono le Taverne, o le Lombardi, senatrice la prima, deputata l’altra, potenti e influenti rappresentati romane del Movimento.
Nella Torino di Chiara Appendino i nomi per la Giunta sono stati fatti addirittura durante le campagna elettorale.
“Dovete fare squadra, come a Torino. Vedetevi di più, incontratevi, fate feste”. Ama ripetere Beppe Grillo ai romani litigiosi.
Qualcuno nel mondo grillino si è addirittura spinto oltre, coniando la definizione di “modello Torino”. A oltre 100 giorni dalla cacciata del Pd, però, nella nuova Torino comincia ad aleggiare il sospetto che dietro tutta questa concordia si nasconda un certo immobilismo.
Fino ad ora la decisione più significativa riguarda il piano da 18 milioni per scuole, strade e periferie. “Sono passati tre mesi dal voto – spiega Oscar Serra, giornalista dello Spiffero, sito on line che molto bene segue i fatti politici piemontesi — e per ora poco è stato fatto. Tanta inerzia e pochi fatti veri”.
Eppure la partenza sembrava di tutt’altro tono: la richiesta di dimissioni di Francesco Profumo dalla presidenza della Compagnia di Sanpaolo, simbolo dei poteri da tempo consolidatisi in città e prima azionista di Intesa San Paolo, aveva dato la sensazione che la rivoluzione fosse davvero cominciata. A distanza di quasi tre mesi restano le parole: a oggi il “diavolo” siede ancora al suo posto.
Il Sindaco ha così da subito fatto i conti con la realtà dei fatti.
A partire dalla Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione, tema tra i dibattuti durante la campagna elettorale.
Il No alla grande opera era sempre stato chiaro e netto. Un No senza se e ma che nelle settimane successive alla vittoria si è trasformato in No con rassegnazione.
“Un sindaco — aveva detto – non può bloccare la Tav, quello che farò è portare al tavolo le ragioni del No”.
A questo poi si sono aggiunte le prime crepe nei rapporti tra il Movimento e il movimentismo che da tempo si batte contro l’alta velocità in Val Susa.
Un episodio ha fatto molto rumore: è il 18 luglio e il Presidente del Consiglio Comunale Fabio Versaci, convinto No Tav, dichiara solidarietà alle forze dell’ordine di Chiomonte per gli scontri avvenuti al cantiere della Maddalena. Una posizione che non è piaciuta a molti No Tav. Da quel momento l’argomento è diventato tabù, nessuno tra i 5 stelle di governo ne parla più. Tutto finisce nel dimenticatoio. Mentre i lavori vanno avanti.
Nei primi mesi a 5 stelle ci sono così i No che si scontrano con la realtà e i No che, nel silenzio generale, diventano dei quasi Sì. Su due temi tanto cari al Movimento, acqua pubblica e infrastrutture, il cambio verso è nei fatti.
Il progetto della nuova amministrazione, scritto nel programma di governo, era la trasformazione della Smat, la società che gestisce le acque torinesi, in un’azienda di diritto pubblico partecipata dai cittadini.
In sostanza la volontà era svuotarla dalle logiche privatistiche di una società per azioni, per trasformarla in qualcosa d’altro. Il risultato, per ora, è che la gestione delle acque, con una mozione è stata riaffidata a Smat, con le stesse identiche caratteristiche del passato.
Sul capitolo infrastrutture il cambio di passo è ancor più evidente.
Il nodo in questione è la costruzione della linea 2 della metropolitana che dovrebbe unire la città da nord a sud. In campagna elettorale le parole del neo assessore ai trasporti Montanari erano state chiare: “La linea 2 è soltanto un bluff: meglio ripensarla”.
Toni da campagna elettorale appunto, perchè poi una volta al governo della città la realtà racconta che il sindaco nelle prossime settimane procederà all’apertura delle buste per gli appalti e la progettazione dei lavori per cui da Roma sono già stati stanziati 10 milioni di euro.
Quando non è retromarcia allora può diventare frenata.
Com’è successo per la città della Salute, il grande polo ospedaliero sul quale il ministero della Salute aveva già previsto uno stanziamento di 250 milioni di euro: prima il no in campagna elettorale, poi il ni dopo le polemiche con il governo e in particolare il ministro Boschi fino al definitivo sì dopo un incontro chiarificatore con la Regione e con il presidente Sergio Chiamparino che con Appendino coltiva un rapporto, ricambiato, di dialogo e stima.
Unione di intenti che si era già vista nella gestione della crisi sul Salone del Libro.
A fine giugno l’associazione degli editori saluta e se ne va, scegliendo Milano come nuova location. Appendino resta con il cerino in mano e trova nel “Chiampa” la spalla ideale per battere i pugni con governo ed editori e non perdere del tutto un appuntamento culturale cruciale per la città .
Chiamparino, Appendino. Un tandem per cui è già stato coniato un nome, Chiappendino, e che secondo molti rappresenterebbe già un vero e proprio asse tra sindaco presente e sindaco passato che poco piace ai puristi del Movimento i quali vorrebbero maggiore intransigenza nei confronti di chi, come Chiamparino appunto, ha rappresentato il potere sabaudo negli ultimi 20 anni.
Il neo sindaco su questo ha voluto imprimere un cambio di passo rispetto all’archetipo grillino.
Come? Riponendo l’ascia delle polemiche e degli attacchi dei tempi in cui faceva opposizione per far spazio all’arte della mediazione nella sua nuova veste di primo cittadino.
E non solo con la Regione guidata dal “Chiampa” ma anche con il Governo, conscia di come i buoni rapporti con Renzi possano aiutarla ad ottenere i soldi necessari per finanziare i progetti di rilancio della città promessi in campagna elettorale.
Per capire il cambio di passo basta rileggere le parole concilianti e dialoganti dopo il primo faccia a faccia con Renzi: “L’incontro con il premier? E’ andato bene, abbiamo parlato del patto per Torino”.
Tra alti e bassi, No, Ni e Sì, mediazioni e patti c’è un filo rosso che lega questi primi mesi di amministrazione: il silenzio.
Apparizioni pubbliche selezionate, una sola conferenza stampa in 100 giorni, interviste a giornali e tv ridotte all’osso, forfait a dibattiti e feste.
Il sindaco ha deciso di affidarsi alla comunicazione diretta, senza intermediazioni: ha lanciato il “Parliamoci Tour” per dialogare direttamente con i cittadini, ha deciso di riaprire (lo aveva fatto Chiamparino) due volte al mese la sede del Comune per ascoltare le istanze dei torinesi.
Attivissima sui social, dalle vetrine di Twitter e Facebook mostra la città che cambia. In un sondaggio pubblicato da La Stampa un torinese su due si dice soddisfatto dell’operato del neo sindaco.
Per non disperdere tutto questo credito Appendino dovrà affrontare la sfida più grande: bilanciare le promesse fatte con la possibilità concreta di realizzarle.
Farlo, guidando un Comune con un debito da 2,8 miliardi di euro sul quale la magistratura ha acceso un faro, non sarà impresa facile.
Vista più da vicino Torino non sembra poi così tanto lontana da Roma.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »
Ottobre 11th, 2016 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI ODERZO HA APPLICATO LA LEGGE, SE IL SEGR. PROV VUOLE ESPELLERLO CAMBI LO STATUTO E INDICHI CHE BISOGNA NON APPLICARE LE LEGGI DELLO STATO ITALIANO, COSI’ FINISCE IN GALERA E SI TOGLIE DALLE PALLE
Aria di epurazioni in casa leghista a Oderzo, in provincia di Treviso, dopo che il sindaco, Maria Scardellato, eletto a giugno nelle fila del Carroccio, ha firmato di suo pugno il documento che unisce in matrimonio due uomini, Pasquale e Andrea, compagni da 11 anni.
“Discuteremo nei prossimi giorni il provvedimento che prenderemo nei suoi confronti – annuncia il segretario provinciale della Lega Nord Dimitri Coin.
“Di certo – aggiunge – non possiamo permettere che uno dei nostri sindaci esca così sfacciatamente dalla linea politica che abbiamo. Siamo stanchi di persone che dopo essere state elette da noi vanno poi a sostenere le tesi della sinistra”.
Dalle pagine del Corriere del Veneto il sindaco, 56 anni, si difende: “Non ho fatto nulla di male, non ha a che fare con il partito e la politica. Io sono sempre stata coerente. E’ un contratto previsto per legge. Sono contraria alle adozioni delle coppie omosessuali e lo dico con convinzione, ma da sindaco ho applicato la legge”.
Il segretario provinciale farebbe bene a indicare quale articolo dello Statuto preveda l’espulsione di un sindaco che applichi una legge dello Stato (quello italiano, non quella della Padagna del magna magna).
Dato che non esiste un articolo del genere, anche perchè sarebbe un illecito penale, non può esplellere nessuno, neanche sua sorella, se non con un atto arbitrario che sarà revocato da un qualsiasi tribunale.
Attaccatevi al tram e appplicate la legge, altrimenti comuni commissariati senza tante palle, come per i mafiosi.
(da agenzie)
argomento: Diritti civili | Commenta »