Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
BUFERA SU CASALINO, CAPO DELLA COMUNICAZIONE: “LAVORA PER LE IENE CON I NOSTRI SOLDI”
Il caso di Palermo rischia di sfuggire di mano a Beppe Grillo e di trasformarsi in una slavina per tutto il M5S.
Due dei cinque deputati coinvolti nella vicenda delle firme false, raccontata dalla trasmissione Le Iene, hanno opposto resistenza al suggerimento partito dalla Casaleggio Associati di un passo indietro.
L’ex capogruppo alla Camera, candidato sindaco nel 2012, Riccardo Nuti e la segretaria dell’ufficio di Presidenza di Montecitorio Claudia Mannino si sarebbero rifiutati di autosospendersi in attesa di chiarimenti, come volevano i vertici M5S.
Un atto di ribellione che ha travolto direttamente il capo dello staff Rocco Casalino accusato dai parlamentari «di lavorare per conto delle Iene con i nostri soldi».
In realtà il capo della comunicazione era stato chiamato a verificare la sussistenza delle pesanti accuse e a trovare una via d’uscita coerente con le regole M5S per una vicenda che preoccupa e di molto Grillo e Davide Casaleggio.
I deputati hanno fatto di testa loro e hanno sconfessato Grillo.
Al comico, che sul proprio blog aveva ringraziato pubblicamente Le Iene, hanno risposto cinque deputati (Nuti, Mannino accompagnati dalle colleghe Giulia Di Vita, Chiara Di Benedetto e Loredana Lupo) i quali, invece di chiarire e allontanare i sospetti, hanno presentato querela contro la trasmissione Mediaset.
Ma ieri è andata in onda l’ennesima prova che inchioderebbe il gruppo dei grillini palermitani: un giro di mail del 3 aprile 2012 in cui i 5 Stelle manifestano la paura di non raccogliere in tempo 1200 firme per la candidatura alle comunali.
Peccato però che la quasi totalità delle firme depositate abbiano l’autenticazione del cancelliere del tribunale di Palermo datata marzo.
Chi ha retrodatato i documenti commettendo un falso?
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
I MAGGIORDOMI DI PUTIN HANNO ASSUNTO UNA “CONDOTTA CONTRARIA ALLE NORME INTERNAZIONALI E ALLE RISOLUZIONI VOTATE DA TUTTI I PARLAMENTI EUROPEI”
Erano partiti facendosene un baffo degli inviti alla prudenza provenienti anche da Palazzo Chigi (“Si
sconsiglia lo svolgimento della missione”) e delle larvate minacce dell’ambasciatore di Ucraina.
Consiglieri regionali di fede leghista e alcuni imprenditori sono andati ugualmente in Crimea, per gettare un ponte diplomatico e d’affari con una realtà economica che il boicottaggio anti-russo da parte dell’Europa ha estromesso dal commercio con il ricco Nordest.
Guidati dal consigliere veneto Stefano Valdegamberi, gli otto politici sono andati e tornati. Erano stati invitati dall’agenzia pubblica russa All Russian Public Organization — Business Russia che si è anche fatta carico carico delle spese.
Una delegazione con i fiocchi, visto che era completata dal presidente del consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, e dal consigliere Luciano Sandonà .
Tutti della maggioranza. Ciambetti leghista, gli altri due della “lista Zaia”.
Ma c’erano anche il capogruppo del Carroccio in Toscana, Manuel Vescovi, il vicecapogruppo in Lombardia Jari Colla, il capogruppo in Liguria Alessandro Piana, il consigliere regionale dell’Emilia Romagna Stefano Bargi.
Veneto, Lombardia e Liguria hanno approvato nei mesi scorsi mozioni contro le sanzioni Russe e per l’autodeterminazione della Crimea.
Sono tornati domenica e adesso devono fare i conti con una durissima presa di posizione del’Ucraina.
L’ambasciatore in Italia, Yevghen Perelygin, ha rilasciato una dichiarazione. “Abbiamo seguito con profonda amarezza la visita nel territorio della Crimea occupata dalla Federazione Russa. In sintonia con la politica europea, l’Ambasciata di Ucraina in Italia ha più volte indicato ai partecipanti come questa missione in Crimea non aderiva alla normativa internazionale, ed anche ai princìpi morali e ai valori comuni europei”. Poi un durissimo attacco: “La delegazione italiana ha preferito schierarsi apertamente con i responsabili dell’abbattimento del jet della Malaysia Airlines, oltre che della morte di decine di migliaia di ucraini. E’ noto all’Ambasciata che le cosiddette ‘autorità ‘ della Crimea hanno preparato per gli ospiti italiani una sorpresa, avendo arrestato il 12 ottobre, alla vigilia dell’arrivo della delegazione italiana, altri cinque tatari di Crimea con l’accusa di una presunta slealtà verso il regime russo occupante, aggiungendoli alle schiere dei perseguitati tatari ed ucraini nelle carceri russe”.
L’ambasciatore sottolinea la contraddizione con la contemporanea approvazione da parte di tutti i parlamenti europei nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa di due risoluzioni sulle conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina e violazioni dei diritti umani in Crimea, che “invitano Mosca ad annullare l’annessione illegittima della Crimea a ritirare le sue truppe dal territorio ucraino”.
E ancora: “Mentre i consiglieri italiani stringevano le mani alle ‘autorità ‘ russe, in quei giorni si intensificavano i già pesanti bombardamenti russi ad Aleppo che hanno provocato la morte di centinaia di civili, inclusi tantissimi bambini. La storia metterà certamente ogni cosa al suo posto”.
Il console conclude definendo il viaggio una “grave e grande provocazione”.
Giuseppe Pietrobelli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
ACCUSATO DI TURBATIVA D’ASTA PER UNA GARA SUL TRASPORTO DEI MALATI DIALIZZATI ASSIEME AD ALTRE 12 PERSONE
Quando l’allora assessore alla Salute e numero due della Lombardia, Mario Mantovani, fu arrestato dall’inchiesta emerse che c’era un altro uomo della giunta Maroni indagato l’assessore all’Economia, Massimo Garavaglia.
Il leghista è stato rinviato a giudizio con l’accusa di turbativa d’asta in relazione ad una gara per l’affidamento del Servizio di trasporto di malati dializzati, assieme ad altre 12 persone in un filone del procedimento che un anno fa portò all’arresto di Mantovani.
Il giudice per l’udienza preliminare Gennaro Mastrangelo ha anche ratificato il patteggiamento a 3 anni per l’ex ingegnere del Provveditorato Opere Pubbliche per Lombardia e Liguria, Angelo Bianchi, che venne arrestato, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal pm di Milano Giovanni Polizzi, assieme a Mantovani e al collaboratore di quest’ultimo, Giacomo Di Capua, che invece è stato mandato a processo.
La prima udienza per Garavaglia e gli altri 12 imputati è fissata per il 5 dicembre davanti alla IV sezione penale di Milano.
Mantovani, nel frattempo, è già a processo (prossima udienza il 2 novembre), perchè nei mesi scorsi ha chiesto e ottenuto di essere giudicato con rito immediato, saltando la fase dell’udienza preliminare.
L’assessore Garavaglia nel procedimento è accusato di un episodio di turbativa d’asta perchè avrebbe agito, stando all’imputazione, assieme a Mantovani, per turbare una gara del valore di 11 milioni di euro “per l’affidamento del servizio di trasporto di soggetti nefropatici sottoposti al trattamento dialitico” a favore della Croce Azzurra Ticinia Onlus di Giovanni Tomasini, anche lui rinviato a giudizio oggi, così come l’ex direttore della Asl Milano1 Giorgio Scivoletto.
Agli atti un sms tra Mantovani e Garavaglia del marzo 2014 nel quale il secondo segnalava al primo il “problema bando dializzati e croce azzurra”.
Tra le persone mandate a processo ci sono anche gli architetti Gianluca Parotti e Gianluca Peluffo, progettista di fama internazionale, alcuni amministratori delle società dell’ex ‘numero due’ del Pirellone e il suo contabile Antonio Pisano.
Tra l’altro, Bianchi, che oggi ha patteggiato, lo scorso maggio era stato sentito con la formula dell’incidente probatorio e aveva riferito di essere stato aiutato, a suo dire, da Mantovani per essere reintegrato nel suo incarico (i verbali sono utilizzabili solo nel processo che si aprirà a dicembre).
L’ex ingegnere del provveditorato, infatti, era stato sospeso dall’incarico di Responsabile Unico del Procedimento dopo essere stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Sondrio per una vicenda di appalti truccati in Valtellina.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
IL PAROLIERE FERILLI, AUTORE DI “UN AMORE COSI’ GRANDE”: “VOGLIO CHE LA MIA CANZONE RESTI DI TUTTI E NON VENGA ASSOCIATA ALLA POLITICA”
Stop all’utilizzo della canzone Un amore così grande come sigla delle manifestazioni del Movimento 5
Stelle: parte dal Salento la diffida che l’autore Guido Maria Ferilli invia a Beppe Grillo.
Sua la penna che scrisse il testo del brano, reso celebre nel 1976 dall’interpretazione di Mario Del Monaco e che nel 2014, fu ripreso dai Negroamaro e trasformato nell’inno ufficiale della Nazionale italiana ai Mondiali di calcio.
Sua anche la firma in calce alla diffida stragiudiziale che gli avvocati Mario Sansonetti e Stefania Bello hanno inviato ai pentastellati, chiedendo di non utilizzare più quel brano nell’ambito di manifestazioni politiche.
“Non ho nulla contro Grillo e i 5 Stelle – spiega Ferilli, nativo di Presicce e residente a Lecce – ma voglio che la mia canzone resti di tutti e che non venga associata a movimenti politici o a fedi religiose”.
“Quarant’anni fa ho scritto un testo che è diventato un successo planetario – continua Ferilli – e nel 2014 ho scelto di darlo ai Negroamaro affinchè la trasformassero nell’inno della Nazionale perchè il calcio è nel cuore di tutti gli italiani, è qualcosa che ci unisce, mentre la politica ci divide in base al partito che votiamo”.
Sulle sue idee politiche il compositore tace: “Ho esercitato il mio diritto di cittadino sempre nel segreto dell’urna e non ho mai esternato i miei convincimenti attraverso le canzoni”.
Testi che hanno segnato la storia della musica italiana, da Senza discutere incisa dai Nomadi a E se ti voglio di Mino Reitano, Momenti sì momenti no e Un sogno tutto mio di Caterina Caselli, Voglia di vivere e Rumore di Raffaella Carrà .
Proprio questa canzone è stata di recente utilizzata per uno spot pubblicitario, in seguito a regolare richiesta da parte di una multinazionale lattiero-casearia:
“Da Grillo invece nessuna sollecitazione in tal senso – aggiunge Ferilli – ma se fosse arrivata l’avrei comunque rifiutata”.
Per lui, a questo punto, la strada è una sola: cambiare la sigla delle manifestazioni del M5S. E per rendere la diffida ancora più incisiva, l’annuncio di una possibile richiesta di risarcimento danni, patrimoniali e non, che sarebbero stati causati all’autore.
(da La Repubblica”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
BERLUSCONI NON SI IMPEGNERA’ PIU’ DI TANTO SUL REFERENDUM… LA PAURA GIUDIZIARIA SUL RUBY TER SUGGERISCE PRUDENZA POLITICA E PROFILO BASSO
Piomba sul referendum anche il processo più infamante per Silvio Berlusconi, il Ruby ter.
Quando il rinvio a giudizio di Ruby Rubacuori, assieme alle altre Olgettine e di figure chiave del mondo berlusconiano, come Maria Rosaria Rossi era nell’aria già martedì sera, l’ex premier aveva addirittura cambiato idea sulla dichiarazione da fare per il Tg5 delle 20,00 dove ha scandito il suo no al referendum.
Impaurito, assalito da mille dubbi, voleva rimanere in silenzio e non mettere la faccia su una battaglia che non sente sua e non lo coinvolge più di tanto:
“Era terrorizzato — racconta un ex ministro azzurro — e quelli attorno l’hanno dovuto accompagnare fino al suo studio ad Arcore perchè non voleva più registrare l’intervista”.
Il problema è che, per tenere in piedi una parvenza di centrodestra, gli alleati, in particolare Salvini, lo avevano messo davanti a un aut aut: “O metti la faccia sul no, lo dici e ti fai vedere, oppure ti comincio ad attaccare”.
Si spiega così il finto vertice di stamattina a Roma, con la finta dichiarazione che attesta come il no sia una battaglia comune, per poi costruire un centrodestra unito e forte, e tante amenità di questo tipo.
“È l’ennesima volta che proviamo a dire all’esterno che c’è uno straccio di centrodestra, ma questo non si impegnerà sul no”: usciti da palazzo Grazioli, dove il Cavaliere non metteva piede da prima dell’intervento, Salvini e Meloni hanno tirato amare conclusioni.
Per carità : il Cavaliere li ha rassicurati, sul fatto che il suo no è convinto, farà video, interviste, proverà ad andare in tv, almeno così dice.
Ma la verità è che la sua testa è in procura. Perchè è vero che la sua posizione nel processo, dove è accusato di corruzione in atti giudiziari, è stata stralciata per motivi di saluti e l’udienza riprenderà il 15 dicembre.
Ma col rinvio a giudizio delle Olgettine inizia, da gennaio, il film del grande “sputtanamento”, mediatico e giudiziario.
Proprio la sua entità è questione che Berlusconi sta cercando di misurare in queste ore nella mai dismessa war room, consapevole della valanga di prove che hanno in mano i giudici: audio, video, tracce di pagamenti.
Altro che i comitati del no che non decollano. Perchè le ragazze, ora che il gioco si fa serio, sono spaventate, psicologicamente sotto la pressione: “Finora — spiegano fonti vicine al dossier — i giudici hanno seguito la pista dei soldi, provando a dimostrare che Berlusconi paga le ragazze. Ma la traccia dei soldi non basta. Devi comunque provare il nesso tra pagamento e falsa testimonianza per il Ruby ter”.
È questo nesso che in Aula può diventare un gioco da ragazzi per i pm: la confessione che le ragazze erano pagate per “mentire”.
Il che renderebbe praticamente certo il rinvio a giudizio sul Ruby ter, dove Berlusconi è indagato per corruzione in atti giudiziari e dove, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbe cercato di falsare gli esiti processuali addomesticando le testimonianze di molti degli invitati alle feste.
Si capisce come il confine tra la paura giudiziaria e la prudenza politica diventi labile, in una fase in cui il vecchio leader non la ha forza di chiamare gli italiani al suo fianco, in una delle tante crociate.
Mediaset, in attesa che si risolva (sempre in tribunale) il contenzioso con Vivendi è al governo, Forza Italia è una ridotta di combattenti e reduci, e dunque si chiede il Cav: a che mi giova una campagna contro Renzi, per fare cosa poi? Aiutare questi due ragazzotti (Salvini e la Meloni) che neanche mi rispettano o piuttosto è meglio non disturbare il manovratore perchè, come si è visto sul Ruby uno, se mi disarmo lo sputtanamento è contenuto?
E si chiede ancora: se a dicembre mi serve per salute un altro legittimo impedimento, mi conviene fare il leone a ottobre e novembre sulle riforme o è meglio prolungare di fatto la lunga convalescenza?
Usciti dalla porta gli alleati, per la finta del vertice, nuovo giro di telefonate con gli avvocati. E l’agenda, al momento, prevede qualche video-messaggio da mandare in giro alle manifestazioni (poche) che farà Forza Italia.
Nessun evento nazionale, nessun bagno di folla. Come in un permanete legittimo impedimento.
(da “Huffingtnopost”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
“COSI’ VA IL MONDO DEL LAVORO NELL’ERA RENZI”
Meno assunti e più licenziati: così va il mondo del lavoro in Italia nell’era del Jobs Act. Gli annunci e le
promesse del genio di Firenze, alla luce dei dati dell’Inps sul primo semestre del 2016, si rivelano per quel che sono: fanfaronate.
Degli imbrogli, prima illusori e poi avvilenti, oltretutto parecchio costosi.
Esaurita la spinta degli incentivi a solo vantaggio delle imprese, le assunzioni sono crollate: con il dimezzamento delle sovvenzioni pubbliche nel 2016, quelle a tempo indeterminato sono diminuite del 32,9%, in generale tutte le forme di assunzione sono scese dell’8,5%, mentre dilagano i voucher, il lavoro che si compra dal tabaccaio, l’ultima trovata del precariato fatto istituzione.
Ricordate il battage pubblicitario renziano del Jobs Act che “dà un futuro ai giovani ponendo fine all’apartheid di un mercato del lavoro che fa pagare ad alcuni le eccessive tutele di altri”? Questo ne è l’esito.
O, meglio, una sua parte. L’altra consiste nell’aumento impressionante dei licenziamenti per “giusta causa”: senza l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quello che, sempre secondo la propaganda del governo, bloccava assunzioni e investimenti in Italia) nei primi sei mesi del 2016 sono aumentati del 28,3%.
Ma non basta, perchè oltre ad aver peggiorato la vita delle persone che per vivere devono lavorare e averne limitato i diritti e, quindi, la libertà , queste “politiche del lavoro” del governo ci sono costate molto anche in termini puramente economici: tra i 15 e i 22 miliardi – dipenderà dalla durata dei contratti stipulati con questo sistema – nel triennio 2015-2017, circa 50.000 euro annui per ogni assunto.
Sono soldi pubblici, che avrebbero potuto finanziare veri investimenti e vera occupazione: quanti posti di lavoro sicuri si sarebbero potuti creare utilizzando questo denaro incentivando – solo per fare un paio d’esempi – una politica industriale in settori ad alto valore aggiunto, o defiscalizzando gli aumenti salariali dei contratti nazionali, o risanando e mettendo in sicurezza un paese rovinato dalle speculazioni edilizie e ambientali?
Sono soldi su cui avremmo il diritto di sapere e decidere, perchè provengono dalle nostre tasse.
Ma tutto questo a Matteo Renzi interessa poco.
Soprattutto in questi giorni di campagna elettorale referendaria, di giri per il mondo alla ricerca di sponsor più o meno illustri del suo operato, di nuove promesse su futuri radiosi o disastrosi a seconda della riuscita o meno dei suoi propositi.
Peccato che mentre lui continua la sua opera al servizio di se stesso e di pochi interessi privati la cosa pubblica e la gran parte del paese si specchino in quei dati dell’Inps che ci dicano come il lavoro sia raro, precario e vilipeso.
Una condizione da cui vorremmo riscattarlo, a partire dalla difesa di una Costituzione che lo indica come valore fondante della Repubblica, fino ai referendum della prossima primavera quando voteremo contro il Jobs Act, per la cancellazione dei voucher, la messa sotto controllo degli appalti, il ripristino e l’estensione dell’articolo 18.
Maurizio Landini
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
LA CRISI ALMAVIVA CON 2.500 TAGLI ALZA IL LIVELLO DI GUARDIA SU UN SETTORE IN BALIA DI SPECULATORI
La crisi di Almaviva, che ha annunciato il taglio di oltre 2.500 dipendenti, alza il livello di guardia sul futuro dei call center.
“Se non risolve la questione entro breve, nel giro di qualche mese ci saranno 70-80mila posti a rischio” nel settore dei call center, tra coloro che chiamano i clienti e coloro che vengono contattati con problemi “anche di ordine pubblico”.
A lanciare l’allarme sono Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom, le tre sigle sindacali ascoltate in un incontro informale dalla commissione Lavoro del Senato in merito alla vertenza Almaviva.
Secondo Giorgio Serao (Fistel), Pierpaolo Mischi (Uilcom) e Riccardo Saccone (Slc-Cgil), che si appellano a governo e Parlamento, tre sono i punti chiave da affrontare: intervenire con norme che siano di contrasto alle delocalizzazioni e applicando le sanzioni che sono già previste, agire contro le gare al massimo ribasso rispettando i minimi contrattuali e prevedere ammortizzatori sociali stabili e non in deroga per tutto il settore.
Per capire quanto sia in sofferenza il settore basta guardare cosa accade sull’altra sponda dell’Adriatico dove – in Albania – i call center prosperano offrendo gli stessi servizi a prezzi stracciati. Prezzi così bassi che hanno già convinto diversi compagnie italiane a disdire i contratti in Italia per migrare in Albania.
Ieri, intanto, la vertenza di Almaviva è tornata al ministero dello Sviluppo economico. Sul tavolo ci sono ancora i trasferimenti di 135 lavoratori da Palermo a Rende.
La vicenza è iniziata con la perdita della commessa Enel che a dicembre non rinnoverà il contratto. E dei 300 lavoratori che rispondono ai telefoni della società elettrica, i primi 135 dovrebbero fare le valigie già dal 24 ottobre.
Il nodo dei traferimenti è solo uno dei problemi che assilla i lavoratori di Almaviva, che pochi giorni fa ha annunciato oltre 2.500 licenziamenti tra Roma e Napoli.
Un’ipotesi irricevibile per i sindacati. “Basterebbe – ha spiegato Susanna Camusso, segretario generale Cgil – che le grandi aziende pubbliche non facessero le gare al massimo ribasso, ma pagassero, secondo norme e contratti, i lavoratori e anche gli appalti. Un settore come quello dei call center non può essere privo di ammortizzatori sociali e di risposte. Bisogna dare attuazione a quelle norme che sono state fatte e poi non sono state applicate, come quelle che impediscono la delocalizzazione e il fatto che dati sensibili, come quelli che passano attraverso i call center, possano andare in altri Paesi”. Solo nella Capitale sono a rischio sono 1.666 operatori, la parte restante nella città partenopea (845).
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
L’UOMO FA PARTE DEI “REICHSBURGER”… HA SPARATO AGLI AGENTI DURANTE UNA PERQUISIZIONE NELLA SUA CASA IN FRANCONIA
Non è la prima volta che succede, ma stavolta le conseguenze sono drammatiche. 
Un estremista di destra che fa parte dei cosiddetti “Reichsbà¼rger” ha sparato a quattro poliziotti a Georgsmà¼nd, in Franconia, ferendoli gravemente.
Gli agenti volevano perquisire l’appartamento del 49enne ed erano accompagnati da colleghi delle forze speciali.
Il blitz era partito su richiesta del Landsratsamt, l’amministrazione locale, che ritiene l’uomo sia pericoloso e ha ordinato di sequestrargli le armi, detenute legalmente.
La notizia è stata confermata dalla polizia della Franconia.
Il ministro dell’Interno bavarese, Joachim Herrmann (Csu) è partito immediatamente per il luogo della sparatoria.
Già alla fine di agosto un “Reichsbà¼rger” aveva aperto il fuoco contro due poliziotti durante uno sgombero in una cittadina della Sassonia-Anhalt.
I “Reichsbà¼rger” (letteralmente “i cittadini del Reich”) sono un movimento di estrema destra che sostiene che l’impero tedesco della Germania hitleriana, con i suoi confini del 1937, sia ancora in vigore.
Rifiutano il Grundgesetz, la Costituzione, e la Repubblica federale nata dalle ceneri del Secondo conflitto mondiale.
Sono noti per i loro deliri complottisti ma anche per l’estrema violenza. Spesso le loro manifestazioni, come a dicembre del 2015 a Berlino, sono state vietate.
(da agenzie)
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Ottobre 19th, 2016 Riccardo Fucile
LEGA SEMPRE PIU’ IN CRISI: DOPO AVER DISMESSO LA TV E IL GIORNALE, ORA TOCCA ALLA RADIO… E INCASSA 2 MILIONI DI EURO DA LORENZO SURACI, PATRON DI RTL
Non si arresta la crisi economica in casa Lega.
Dopo Telelombardia (chiusa nel 2014) e la Padania nel 2015), ora tocca a Radio Padania. Il Carroccio perde così l’ultimo baluardo dell’impero mediatico costruito da Umberto Bossi a partire dalla fine degli anni Novanta.
Matteo Salvini (che, tra l’altro, ha iniziato il suo percorso nella Lega proprio dai microfoni di Radio Padania) ha dato il via libera alla cessione della concessione nazionale dell’emittente a Lorenzo Suraci, creatore della galassia Rtl 102.5.
L’operazione (secondo alcune voci, la cifra è di 2,1 milioni di euro mentre la Lega parla di “cifre decisamente inferiori”) permetterà così alla radio di sopravvivere sulle frequenze locali, ma solo se i ricavi e le donazioni lo consentiranno.
L’idea alla base dell’operazione che va avanti da tempo – viene spiegato infatti – è quella di “ridimensionare” la radio e farla diventare una “emittente locale priva di contributi pubblici e di partito”
“Radio Padania venduta a un calabrese”: l’ironia sui social.
La notizia economica però assume una colorazione del tutto ironica da quando rimbalza sui social. Gli utenti, soprattutto quelli non amici della Lega, hanno postato valanghe di tweet che giocano sulla regione di nascita di Surace – la Calabria – e sulla propensione non certo meridionalista del partito di Salvini.
Anzi, le battute sono tutte rivolte contro il Carroccio e, in particolare, contro Salvini colpito, sottolineano gli utenti, da una specie di nemesi.
Eccone alcune: “Dio c’è e consuma ‘nduja”, “chi disprezza si fa comprare”.
Per qualcuno è il karma, o una divinità che parteggia per i meridionali.
(da agenzie)
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