Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALLO PSICHIATRA ANDREOLI: “LE PERSONE IMPOVERISCONO, PERDONO IL LAVORO O NON LO TROVANO MAI E QUESTI STANNO A PENSARE AL SENATO”
La campagna del sì e del no al referendum vista da Vittorino Andreoli: “È una battaglia tra isterici convinti i che i problemi dell’Italia siano legati alla definizione delle prerogative del Senato, mentre le persone impoveriscono, perdono il lavoro o non lo trovano mai”.
La malattia da cui l’Italia deve guarire: “L’egocentrismo dei suoi cittadini e il masochismo degli elettori che scelgono persone incapaci di governarle”.
La politica: “Un laboratorio interessantissimo per studiare la stupidità umana”.
Notissimo come psichiatra, celebrato come criminologo: pochi, invece, conoscono il lato di terapeuta “politico” del professor Vittorino Andreoli, raccontato insieme alla sua vita da scienziato puro e il suo amore per la scrittura ne “La mia corsa nel tempo” (Rizzoli, 556 pagine, 22 euro): “Romano Prodi — racconta all’Huffington Post — mi chiama dopo il primo duello televisivo con Silvio Berlusconi, da cui uscì sconfitto, e, in lacrime, mi chiede di sostenerlo mentalmente nella campagna elettorale, parlandomi della paura che aveva sentito nel trovarsi di fronte a un avversario disonesto e spregiudicato, e della delusione che la sua performance aveva provocato nella sua coalizione”.
E ancora: “Durante Tangentopoli ho seguito ventisei o ventisette casi di uomini politici affetti dalla ‘sindrome dell’avviso di garanzia’, cioè il terrore che da un momento all’altro gli arrivasse quella cartolina che avrebbe rovinato improvvisamente la loro vita”, facendogli perdere il potere, ossia “la più grave delle malattie sociali”.
Addirittura, professore?
Io odio il potere, e sono consapevole che la parola odio sia un eccesso. Ma l’idea che io possa fare una cosa e dunque la faccia senza curarmi delle conseguenze che ha, è aberrante. Nega l’altro. Lo riduce a oggetto da dominare. Io, invece, credo nella relazione.
Michel Foucault, però, diceva che anche il potere è una relazione: c’è chi domina e chi si fa dominare.
Il potere ha bisogno dell’altro per esercitare il suo dominio. E, certo, riconosco che c’è un godimento anche nel farsi dominare. Ma è il potere, comunque, che ti obbliga a chinare il capo e obbedire
Che malattie ha la politica oggi?
Dopo Tangentopoli, la politica ha creato un criterio di selezione della classe dirigente basato sul primato dei peggiori: meno si è dotati di capacità , umanità e generosità , più si è portati per farla. La politica è diventata un laboratorio interessantissimo per studiare la stupidità umana.
Possibile che siano tutti stupidi?
Sono persone povere, che non sanno sognare, capaci di guardare solo alla propria piccola dimensione. Personalmente, sono spaventato dall’idea che si ritenga qualcuno adatto ad amministrare la cosa pubblica semplicemente perchè non ha mai rubato.
C’è della follia in questo?
La malattia è sofferenza. È fatta di una materia fragile, che è poi la materia che definisce la condizione umana. La politica oggi, invece, è priva di sentimenti. La destra, la sinistra: sono maschere dietro cui si cela la stessa identica vacuità . Siamo al trionfo della superficialità , del bisogno di dominare. Se lei ci fa caso, amano il potere anche quelli che dicono di odiarlo.
C’è un corrispettivo clinico di questa “sindrome”?
È delirio di grandezza, che al suo stadio massimo arriva alla paranoia, come accadde con Hitler, Stalin, Mussolini. I leader di oggi hanno di sè un’immagine enorme, che non corrisponde al loro reale valore.
La politica dei nostri padri era più alta?
Mio padre, per me, è rimasto un punto di riferimento anche dopo la morte. E sa perchè? Perchè non era un uomo di potere, bensì una persona autorevole. È questo che abbiamo perso: l’autorità . Che è guidata dal sentimento e dal desiderio di guidare gli altri. Il potere, invece, è un cinico calcolo aritmetico ed economico, di cui le banche sono un esempio. All’Italia servirebbe una classe politica disposta a dedicarsi a un paese smarrito, che ha bisogno di essere condotto nel futuro.
Lei ha scritto saggi che sono stati molto venduti. I suoi romanzi, invece, non hanno avuto lo stesso successo. Questo le dispiace?
La società ti cuce addosso delle categorie che rendono difficile mostrarsi per quello che si è. Io sono stato circondato da fama, sono uno degli psichiatri italiani più noti, un criminologo riconosciuto, eppure c’è una parte di me che non è mai apparsa al pubblico: è quella dello scrittore di romanzi, che è poi la parte di me più ricca di fantasia e fragilità , il mio più vero io. Purtroppo, la società dà una definizione di te — nel mio caso, psichiatra — e non è disposta ad accettare che tu sia anche altro. I miei romanzi, infatti, non sono stati nè stroncati nè esaltati: sono stati completamente ignorati.
Con internet le cose sono migliorate?
No, anzi. Pensi che navigando, una volta, ho scoperto che c’era qualcuno che sosteneva che io fossi nato in Calabria, ma siccome odio il sud ho sempre mentito, dicendo di essere nato a Verona. È assurdo che la tua identità venga così distorta. Internet è una cloaca. Rappresenta la fine della civiltà occidentale.
Non starà esagerando?
No, perchè il web non applica più a logica razionale, che parte dal dubbio e genera delle ipotesi sulla realtà . Ha una logica binaria: o sì, o no. Perciò, fornisce delle pseudo-certezze. Dà stimoli che suscitano emozioni, ma non crea sentimenti, cioè legami.
Cos’è che l’affascina del crimine?
Nella mia vita mi sono trovato di fronte a persone come Donato Bilancia, che ha ucciso diciassette innocenti in sei mesi, e a Pietro Maso, un ragazzo di diciannove anni che ha ucciso il padre e la madre per comprarsi una BMW. Sono stato spaventato e attirato da loro. E mi sono chiesto cosa li avesse condotti fino a compiere quei gesti. È in questo che consiste il fascino: nel trovarsi di fronte a un caso estremo e cercare di comprenderlo.
E cosa ha capito?
Che anche nei territori più lontani, nei gesti più inaccettabili e nel criminale più sanguinario, si ha a che fare sempre con l’uomo.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
LA FILOSOFA PREMIATA A VERONA: “ORBAN RICORDA IL REGIME COMUNISTA DI KADAR, CONTROLLO TOTALE DEI MEDIA, OLIGARCHIA, CLIENTELE, CORRUZIONE, NEGAZIONE DEL LIBERO MERCATO”
La bellezza è una promessa di felicità , scrive la filosofa àgnes Heller in un recente lavoro firmato con Zygmunt Bauman.
La pensatrice nata nel 1929 a Budapest, che perse il padre ad Auschwitz e che all’ombra del male assoluto cominciò il suo corpo a corpo con le contraddizioni dell’essere umano, non ha mai smesso di credere in quella promessa, inseguita negli studi sul Rinascimento, nella riflessione su etica e politica, nel tentativo di conciliare marxismo e soggettività .
A Verona per ricevere il Premio Grosso d’Oro Veneziano 2016, Heller risponde al Corriere sulla bellezza dissipata della sua Ungheria, dove l’odio ha preso il posto della solidarietà e l’interesse di pochi manipola il bisogno di molti.
Professoressa Heller, un capitolo nodale della sua analisi del marxismo è la teoria dei «bisogni radicali», come l’amore o il bisogno di comunità , che sono generati all’interno del capitalismo e insieme ne richiedono la trasformazione. Esigenze spesso strumentalizzate, di fatto oggi non riconosciute ai migranti che attraversano l’Europa come fantasmi. Quale destino li attende?
«Non dobbiamo trascurare la distinzione tra profughi di guerra e i cosiddetti migranti economici. I primi si lasciano alle spalle macerie materiali e morali, pretendono a ragione la nostra empatia. I secondi pongono all’Europa una questione più problematica. Si tratta di persone raggiunte nei Paesi d’origine da un racconto mitizzato dell’Occidente come terra promessa. Aspirano legittimamente a condizioni di vita migliori ma l’Europa non può accoglierli in blocco. Soprattutto, sono i primi a restare delusi da una realtà che non è proprio come al cinema o in tv. Per di più nelle nostre società corre un discorso carico d’odio, che ferisce senza distinzioni. E gli immigrati diventano il primo bersaglio»
Terra promessa era anche l’Occidente capitalista per le società del Centro-Est comunista. C’è disincanto oggi nell’ex galassia sovietica?
«Un disincanto “economico”. In Ungheria la maggioranza insegue un benessere riservato a pochi. Il governo ha creato un’oligarchia legata da logiche clientelari che salda potere e corruzione e nega lo stesso principio capitalista del libero mercato. Sfugge alla frustrazione solo chi conserva memoria della vita priva delle libertà fondamentali. Tuttavia negli ultimi sei anni le libertà si sono progressivamente deteriorate nel mio Paese, una liberaldemocrazia con elementi sempre più illiberali».
Oltre che irrazionali… l’Ungheria nel 2015 ha accolto solo 508 domande d’asilo, eppure mantiene la sindrome dell’assedio trasformata da Orbà¡n in volano di consenso interno e moneta di scambio in Europa.
«Più che l’irrazionale, il potere coltiva la menzogna con un linguaggio che distorce la realtà , distrae l’opinione pubblica, convince di verità fasulle e anacronistiche: “Arrivano i terroristi, ci ruberanno le donne e il lavoro, deturperanno la nostra cultura cristiana…”».
Oggi come ieri, cosa spinge una comunità a credere nella menzogna?
«Le persone seguono la macchina della propaganda, che oggi in Ungheria ricorda molto da vicino i tempi del comunismo».
Un totalitarismo strisciante?
«Non c’è sistema totalitario in assenza di due elementi: pena capitale e negazione della libertà di movimento. I nostri confini restano aperti. Vedo più similitudini con l’era Kà¡dà¡r (il leader comunista che negli anni Settanta aprì alla democrazia, ndr ). Di certo non abbiamo un’informazione libera, il potere ha totale controllo sui media».
Nel suo pensiero la filosofia è «radicale» perchè sovverte l’ordine costituito. Di quali strumenti dispone oggi la società civile contro l’intorpidimento delle coscienze?
«Può e deve fermare il degrado dell’istruzione. Riscoprire la responsabilità e il dovere di agire per riappropriarsi di un futuro nel quale ciascuno possa rivendicare il diritto allo sviluppo della propria personalità e della propria umanità ».
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
ALLERTATE LE FORZE DELL’ORDINE MAGIARE: SI TEME SI BUTTI NEL DANUBIO PER LA DISPERAZIONE… LA DELEGAZIONE LEGHISTA AVEVA POMPOSAMENTE ANNUNCIATO CHE AVREBBE ATTESO NELLA SEDE DI FIDESZ “IL TRIONFO DI ORBAN”… CHE SIA LA LEGA CHE ABBIA PORTATO SFIGA?
Di fronte alla grave minaccia che l’Ungheria, Paese di 10 milioni di abitanti, dovesse essere invasa da ben 1.290 profughi (dicasi uno ogni 8.000 abitanti), in via Bellerio non potevano non mobilitarsi.
E Salvini ha pensato bene di mandare una delegazione della Lega Nord guidata dall’on. Paolo Grimoldi “in qualità di osservatori” del referendum xenofobo indetto dal presidente Orban.
I maligni dicono che così Matteo si sia liberato di Grimoldi per qualche giorno, considerando che il presidente della Lega Lombardia è considerato il suo futuro avversario per la segreteria della Lega.
Il povero Grimoldi aveva pomposamente annunciato: ” Abbiamo accettato l’invito di Fidesz, il partito di Orban, ad essere presenti nella loro sede per attendere lo scrutinio del referendum e dove porterò il saluto del segretario federale Matteo Salvini.”
Insomma, doveva stappare lo champagne e mangiarsi una fettona di torta, sfruttando mediaticamente la scia della “immancabile vittoria” e invece la mission internazionale è finita in tragedia.
Il quorum è stato bucato, Orban ne è uscito con le ossa rotte e di Grimoldi non si sa più nulla.
Si monitorano le sponde del Danubio nel timore che lo sconforto abbia portato il leghista a un gesto disperato.
C’è già chi si interroga se abbia portato sfiga Grimoldi o il fatto che abbia portato il “saluto di Salvini”.
Probabilmente Grimoldi sarà in fuga verso il confine padano, con grande sollievo degli ungheresi tutti, che di disgrazie ne hanno già abbastanza.
Mi raccomando, alle future elezioni politiche, non dimenticate di invitarlo di nuovo…
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
L’AFFLUENZA SI FERMA AL 45%, CONSULTAZIONE NON VALIDA… E ORA L’EUROPA PROVVEDA A TOGLIERE I 5,6 MILIARDI UE GRAZIE AI QUALI L’UNGHERIA NON E’ ANCORA FINITA NELLA BRATTA… 400.000 UNGHERESI HANNO CERCATO FORTUNA ALL’ESTERO: SIANO RIMPATRIATI, CI PENSI ORBAN A TROVARGLI UN LAVORO
Sono troppo pochi gli ungheresi che nella splendida Budapest ingrigita da nubi e pioggia e nel resto del paese sono andati a votare: quota di partecipazione al voto attorno al 45 per cento, ben sotto il quorum del 50 per cento che secondo Costituzione e leggi magiare è necessario perchè un referendum sia valido.
In altre parole: il premier Viktor Orbà n ha mancato un bersaglio per lui prioritario, ha incassato una sconfitta di primo peso.
La sconfitta è stata riconosciuta con dichiarazioni pubbliche dal vicepresidente della Fidesz (ndr: il partito del premier, membro del Partito popolare europeo) Gergely Gulyas, e dal presidente della commissione elettorale Andras Pulai.
Puntando a vincere e sperando di andare oltre il quorum Orbà n voleva rafforzarsi ancor più sia in patria, sia in Europa, ma è stato sconfitto e il segnale può trasmettersi ora agli altri Paesi dell’est.
Ma le conseguenze potrebbero andare oltre
L’economia ungherese regge solo grazie ai ricchi contributi elargiti dall’Unione europea (5,6 miliardi di euro nel 2015), e i salari — in media l’equivalente di 350 euro al mese — sono troppo bassi perchè gli ungheresi possano pensare al futuro con serenità .
E molti, soprattutto i giovani, preferiscono cercare fortuna all’estero, proprio come i loro coetanei mediorientali o asiatici che il governo respinge ogni giorno.
Negli ultimi cinque anni tra i 300 mila e i 500 mila magiari hanno scelto di vivere in un altro paese, prevalentemente in Germania, Gran Bretagna e Austria.
Contraria a ogni forma di immigrazione, paradossalmente l’Ungheria si ritrova così ad aver bisogno dei migranti per supplire alla carenza di manodopera.
Mancherebbero 22 mila informatici oltre a infermieri, cuochi, camerieri e addetti alle pulizie.
Al punto che il ministro dell’Economia Mihà¡ly Varga a luglio aveva annunciato misure per attrarre lavoratori stranieri nel paese, salvo poi fare marcia indietro.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
DI FRONTE AGLI INTRECCI CHE EMERGONO DALLE CARTE NON SI PUO’ CONTINUARE A FARE SPALLUCCE
Paola Muraro, assessora all’ambiente del Comune di Roma, è indagata anche per abuso d’ufficio in concorso con Giovanni Fiscon, ex dg di Ama.
Per rinnovare la politica bisogna necessariamente arrivare prima della magistratura, principio che con l’ingresso del M5S in politica si è nuovamente riempito di significato, solitamente ignorato dal sistema dei partiti, ma che nel caso Muraro è stato completamente cestinato.
Una vicenda che racconto da fine luglio, accolta dal silenzio dei grillini, al netto degli insulti per gli articoli scritti e mai smentiti nel merito.
Un comportamento simile a quello assunto dai partiti quando in situazioni analoghe sono coinvolti esponenti di Pd o Forza Italia.
I fatti raccontano una vicinanza di Muraro con Nanni Fiscon, arrestato e ora a processo nell’inchiesta mafia capitale, che avrebbe contribuito alla sua assunzione.
Un dato che già era emerso. Era stato Domenico Tudini, ex ad di Ama, a raccontarmi che furono Rubrichi e Fiscon ad assumere Muraro.
Rubrichi ora è coinvolto nell’indagine sull’inceneritore di Colleferro.
Rapporti, infatti, con l’ex dg coinvolto in mafia capitale che erano al centro da settimane di domande all’assessora.
Quando le chiesi, ad agosto, mi racconti i suoi rapporti con Fiscon? Perchè era in aula con lui lo scorso aprile? Lei non rispose e andò via in auto. Eppure era tutto chiaro. Qualche settimana fa evidenziai diversi punti che rendono urgenti le dimissioni di Paola Muraro. Passa il tempo e se ne aggiungono di nuovi.
Come il caso delle mancate autorizzazioni dei rifiuti smaltiti nel ‘forno’ di Colleferro, vicenda nota anche a Paola Muraro, allora consulente di Ama così come la vicinanza al mondo e agli uomini del monopolista Manlio Cerroni.
Le domande aumentano, le ombre anche, le indagini si allargano, ma il M5S non fa una piega, non muove un dito, fa spallucce.
Come gli altri partiti, peggio, a dire il vero, considerando la novità che rappresenta l’universo grillino nel paludato quadro politico.
In una città che fa i conti con illegalità diffuse, che copre da anni una terra dei fuochi ignorata dalle precedenti giunte, testimoniata dall’inchiesta di Piazzapulita con seguito di orribile aggressione, c’è bisogno di un nuovo assessore.
E presto.
Nello Trocchia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
CHI RUBA UN MAGLIONE DA 19 EURO RISCHIA 10 ANNI, CHI RUBA DUE CAPOLAVORI AL MASSIMO TRE ANNI E IN CARCERE NON CI ANDRA’ MAI
E se non ci fosse stata di mezzo la droga? Il «narco» Raffaele Imperiale non avrebbe manco rischiato il mandato di cattura.
Il furto o la ricettazione di un paio di Van Gogh da 100 milioni di dollari, infatti, non bastano per sbattere in galera un trafficante. Il governo lo sa. Il Parlamento lo sa. I giudici lo sanno
Eppure da anni e anni, a dispetto di ogni campagna di stampa, quelle regole così sfacciatamente lassiste galleggiano senza che alcuno scateni una battaglia per cambiarle.
«Bene, bravi!», ha esultato Matteo Renzi dopo il recupero dei quadri del grande pittore fiammingo a casa del boss a Castellammare di Stabia. «Bene, bravi!», ha esultato Dario Franceschini. «Bene, bravi!», ha esultato Angelino Alfano.
Certo: quella della Finanza è un’operazione straordinaria. Evviva.
Il cancro, però, può essere affrontato sul serio solo andando a mettere mano a norme scellerate che consentono a quelli che Fabio Isman ha bollato come «I predatori dell’arte perduta», di saccheggiare il nostro patrimonio archeologico, artistico, religioso correndo meno rischi di un pensionato alla fame che ruba al supermercato.
È umiliante dover tornare a scrivere di queste storie dopo i mille impegni, le mille promesse, i mille giuramenti sulla sempre «imminente» riforma del Codice dei beni culturali varato nel lontano 2004 dall’allora ministro Giuliano Urbani.
Codice che, rendendo ancora più tolleranti le normative già permissive avviate nel ’99 dal governo di Massimo D’Alema, non teneva in nessun conto il fatto che il traffico di opere d’arte rubate, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna, sia il quarto business internazionale della criminalità organizzata dopo il commercio di droga, di armi e di prodotti finanziari.
E stabiliva per i delinquenti che fanno razzie del nostro patrimonio sanzioni così ridotte da essere ridicole (esempio: chi «procede al distacco di affreschi» rischia da 775 a 38.734 euro e 50 centesimi di multa!) e al massimo tre anni di cella.
Talmente pochi da negare il carcere se non dopo una sentenza di terzo grado in Cassazione. Ciao… Prescrizione assicurata.
Tanto per capirci, spiegava già ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi il sostituto procuratore della Repubblica di Roma e poi «esperto per i rapporti internazionali e i recuperi» dei Beni Culturali Paolo Giorgio Ferri, «quel decreto creò una vera e propria fattispecie nuova di reato, dimenticando del tutto le aggravanti previste per gli altri tipi di furto».
Risultato finale: «anche quando è teoricamente prevista la possibilità di arrestare il delinquente non c’è però quella di metterlo dentro. A meno che i carabinieri o i finanzieri non siano certi di potere dimostrare, con prove inconfutabili, che il trafficante ha materialmente danneggiato lui l’opera d’arte che ha in mano».
In pratica, concludeva, «se in un negozio rubi un maglione da 19 euro rompendo un sigillo puoi essere arrestato, incarcerato e rischi fino a 10 anni. Se ti prendono col Cratere di Eufronio o qualche altro pezzo che vale milioni no».
Torniamo a citare tre esempi pazzeschi.
Il ritrovamento dello splendido monumento funerario con figure di gladiatori di Lucus Feroniae a Fiano Romano, ridotto in 12 pezzi e sepolto in attesa di trovare il compratore.
Il miracoloso recupero dell’eccezionale «sarcofago delle Muse» trovato da un vecchio tombarolo a Ostia Antica e salvato dal Gruppo tutela patrimonio archeologico allora diretto da Massimo Rossi un attimo prima che il trafficante, con un cric da carrozziere, staccasse le statuine una dall’altra per venderle separatamente e correre meno rischi.
L’intercettazione di un camion che se ne andava probabilmente all’estero con la grande statua di Caligola in trono che aveva scoperto nella villa dell’imperatore a Nemi. Tre casi clamorosi non solo per la bellezza dei pezzi ma perchè nessuno dei criminali (nessuno!) era finito in galera.
Dai e dai, a forza di martellare su questo tasto, pareva che nell’autunno 2011 qualcosa si muovesse.
L’allora ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan aveva portato infatti in Consiglio dei Ministri un disegno di legge per raddoppiare le pene: da 3 a 6 anni.
Effetto immediato: la possibilità di arrestare il «predatore», sbatterlo in cella, allungare i tempi per la prescrizione e le intercettazioni. La caduta del governo Berlusconi, poche settimane dopo, bloccò tutto.
Sono passati cinque anni, da allora. E dopo Berlusconi è arrivato Monti e dopo Monti è arrivato Letta e dopo Letta è arrivato Renzi.
La legge, però, così sacrosanta da essere passata all’unanimità (all’unanimità !) in commissione dove era stata portata da Felice Casson, è andata a impantanarsi in Commissione bilancio ed è rimasta lì.
Senza che alcuno mostrasse la volontà politica di risolvere il problema. Tutto immobile, conferma Paolo Giorgio Ferri. Colpevolmente immobile.
Nel frattempo, per capire quanto la piaga si sia incancrenita nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine, dei giudici e di tante persone di buona volontà , chi vuole può farsi un giro sul sito dei carabinieri dei Beni culturali e per contare (http://tpcweb.carabinieri.it/SitoPubblico/getOpereRilevanti) quante sono le «opere di particolare rilevanza» tra i «beni illecitamente sottratti».
Sono salite, tra quadri, statue, tavole, anfore, reperti archeologici eccetera eccetera, a «22.252 oggetti».
La politica, però, è in altre faccende affaccendata…
E magari spera ogni tanto in un colpo di scena come quello dei quadri di Van Gogh per batter le mani e passar ad altro.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
AUMENTO DEL 30% PER CHI GIA’ LO INCASSA, BONUS ESTESO A 1,2 MILIONI DI PERSONE ALZANDO IL REDDITO MASSIMO DA 750 A 1.000 EURO… NESSUN INTERVENTO SULLE MINIME
Salirà da 504 a 655 euro l’importo massimo della quattordicesima, l’assegno in più che viene incassato a luglio dai pensionati a basso reddito.
Lo dicono le simulazioni esaminate al tavolo fra governo e sindacati mercoledì scorso, prima della firma del verbale con tutte le misure sulla previdenza che dovrebbero entrare nella legge di Bilancio.
Le simulazioni
La quattordicesima pesante e allargata è stata una delle prime misure a entrare nel cantiere della riforma.
Poi, quando tutto sembrava fatto, ha rischiato di uscire per scelta «politica», perchè il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva chiesto di studiare una strada diversa.
Dopo ancora c’è stato chi ha fatto un po’ di confusione sulle platee, cioè sul numero delle persone coinvolte. Ma i dettagli contenuti nelle simulazioni confermano l’impianto di cui si era parlato alla vigilia dell’accordo.
E allora vale la pena di fare il punto, anche se tutto dovrà essere definito nella legge di Bilancio che prima il governo dovrà presentare entro metà ottobre e poi il Parlamento dovrà approvare prima della fine dell’anno. Fino a quel momento le modifiche sono sempre possibili.
Sono due gli interventi previsti.
L’aumento del 30%
Il primo è l’aumento della quattordicesima per quei 2,1 milioni di persone che già oggi la prendono. L’importo resterà sempre legato al reddito e al numero di anni di contributi versati e quindi di lavoro. L’incremento sarà del 30%. Sia per l’assegno più alto, incassato da chi ha oltre 25 anni di contributi, che passa appunto da 504 a 655 euro. Sia per quello più basso, che si ottiene con meno di 15 anni di contributi, che passa da 336 a 437 euro. Confermato che non ci sarà il raddoppio dell’assegno di cui aveva parlato pochi giorni fa in televisione Matteo Renzi.
L’estensione a 1,2 milioni di pensionati
Il secondo intervento è l’estensione della quattordicesima a un milione e 200 mila persone che oggi non la prendono.
Il limite massimo di reddito per avere diritto al bonus salirà dai 750 euro lordi al mese di adesso fino a 1000 euro lordi al mese.
Per queste persone ci sarà la vecchia quattordicesima, quella senza aumento visto che hanno un reddito più alto: 336 euro con meno di 15 anni di contributi; 504 quando i contributi sono stati versati per più di 25 anni.
Il nuovo tetto di mille euro al mese vale anche per chi ha due pensioni: se, sommando i due assegni, si supera quota mille non si ha diritto alla quattordicesima.
Non sono previsti interventi diretti sulle pensioni minime, gli assegni da 500 euro al mese che vanno anche a chi non ha lavorato o comunque non ha versato contributi. L’ipotesi era stata presa in considerazione ma poi è stata scartata.
Il nodo dell’equità
In realtà ancora adesso c’è chi sostiene che sarebbe questa la misura da scegliere, perchè questi assegni sono ancora più bassi mentre spesso la quattordicesima va a chi ha sì una pensione bassa ma potrebbe avere anche altre forme di reddito.
Una posizione sostenuta anche dal presidente dell’Inps Tito Boeri, che aveva proposto di aumentare le minime utilizzando il filtro dell’Isee, che pesa reddito e patrimonio non del singolo ma dell’intero nucleo familiare.
Obiezioni alle quali risponde Maurizio Petriccioli, segretario confederale della Cisl: «Quello sulla quattordicesima è un intervento equo proprio perchè tiene conto sia dell’ammontare della pensione sia degli anni di contributi. Sono persone che prendono poco anche se hanno lavorato. Un aiuto lo meritano».
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
LASCIANO SQUINZI E 5 CONSIGLIERI … LA PROCURA INDAGA, L’AD DEL TORCHIO COLPITO DA INFARTO
Terremoto al Sole 24 Ore. Dopo l’allarme sulle «significative incertezze» della continuità aziendale, esplode lo scontro tra il cda dell’editrice e la Confindustria, chiamata a rafforzare il capitale della controllata in difficoltà .
Il presidente dell’editrice, l’ex numero uno di Viale dell’Astronomia, Giorgio Squinzi rassegna le dimissioni. Insieme con lui se ne vanno altri cinque consiglieri: Livia Pomodoro, Claudia Parzani, Carlo Pesenti, Mauro Chiassarini, a cui in serata si aggiunge anche Maria Carmela Colaiacovo.
È l’esito della drammatica riunione del consiglio di venerdì. In una nota firmata da Pomodoro, Parzani e Pesenti, si spiegano i motivi del passo indietro, avvenuto «anche in considerazione della irrituale richiesta avanzata dal socio di maggioranza circa la preventiva disponibilità di tutti i consiglieri a rimettere in futuro il proprio mandato su richiesta».
La bomba esplode quando il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci sostanzialmente chiede ai consiglieri di firmare una lettera di dimissioni in bianco. Apriti cielo. La più indignata appare subito Pomodoro.
Il magistrato, ex presidente del Tribunale di Milano, avrebbe definito la richiesta «offensiva oltre che irrituale». E non sarebbe stata la sola, in un crescendo di tensione. In cui, peraltro, l’ad Gabriele Del Torchio ha accusato un infarto. Operato, ora sta meglio.
Tutto nasce dalla situazione precaria dei conti del Sole, che nei primi sei mesi ha collezionato perdite per 49,8 milioni (e fan 200 da che è quotato) e con la continuità aziendale in forse: ha bisogno di risorse fresche. Anche per questo, spiega una nota diramata dal Gruppo 24Ore, il 27 settembre, Squinzi – cui in Confindustria imputano una certa distrazione di fronte alle maxi perdite degli ultimi anni – aveva riferito la disponibilità di «rimettere il mandato qualora ciò fosse funzionale ad agevolare la realizzazione dell’operazione di rafforzamento patrimoniale».
Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il 29 settembre, assicurava l’apertura «a valutare positivamente un’eventuale operazione di rafforzamento patrimonializzazione» prendendo atto della disponibilità «a rimettere il mandato di amministratori» di Squinzi.
Ora il Sole è a un bivio, mentre la Procura avrebbe aperto un’indagine, a seguito di esposti.
Presto sarà convocata una nuova assemblea per eleggere il cda di una società in cui, disse Boccia ai suoi al momento di insediarsi, «l’azionista non ha fatto l’azionista e l’azienda non ha fatto l’azienda».
Ora Confindustria intende procedere «con la massima determinazione – commenta in un’intervista al Mattino il presidente Vincenzo Boccia – unita alla massima serenità . Di certo «il Sole è e sarà sempre un asset fondamentale per Confindustria, che ne difenderà autorevolezza e autonomia; il piano industriale che attendiamo dall’ad dovrà da subito puntare a riportare la società in utile; l’azionista sorveglierà da vicino il buon andamento del progetto di risanamento».
Secondo indiscrezioni tra gli interventi allo studio ci sarebbe anche una conversione di crediti in azioni, il che porterebbe le banche ad accomodarsi nella casa (editoriale) degli industriali.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
ENTRO OTTOBRE LE MODIFICHE ALLA LEGGE ELETTORALE: “VIA GLI ALIBI”
Galvanizzato dal boom di telespettatori durante il match con Gustavo Zagrebelsky, persuaso di aver vinto, Matteo Renzi programma un’offensiva in grande stile. «La campagna deve ancora iniziare, non avete visto niente», ha confidato a un amico del Pd che lo ha seguito ieri a Pesaro.
E sono proprio i duelli televisivi l’arma su cui il premier conta di più.
Per questo sta personalmente convincendo tutti i big del Sì, a partire da Giorgio Napolitano, ad accettare di sedersi faccia a faccia con gli esponenti del No.
E certamente si aspetta che a farlo siano i suoi ministri. Ai quali l’ordine è già arrivato nei giorni scorsi: «Tutti, tutti fuori, nessuno escluso».
I generali in prima linea, insieme ai fanti.
Ha già testato Gian Luca Galletti, è stato mandato in tv Carlo Calenda, è stato chiesto un impegno anche ad Angelino Alfano, allo stesso Pier Carlo Padoan, a Graziano Delrio, oltre ovviamente alla ministra Boschi.
Una mobilitazione generale che tocca anche la vecchia guardia, personalità come Pierferdinando Casini e Luciano Violante, mentre continua il corteggiamento a sinistra verso Giuliano Pisapia e sul fronte destro si è stabilito un fronte comune con il gruppo di Marcello Pera e Giuliano Urbani, con professori e costituzionalisti di area popolare come Giovanni Guzzetta e Lorenzo Ornaghi.
Se questa è la rete delle alleanze e la massa d’urto da schierare in battaglia, la prima mossa da cui partire, quella senza la quale tutto il resto rischia di essere inutile, è eliminare il problema della legge elettorale.
«Dobbiamo togliere ogni alibi dal tavolo e concentrarci solo sul referendum», dice Renzi. Per questo il segretario del Pd ha deciso che entro ottobre, dunque prima del voto, verrà fuori nero su bianco la proposta di modifica della legge elettorale.
Su quali binari correrà non è ancora stabilito nei dettagli, ma dopo aver molto resistito sembra che Renzi si sia convinto a sacrificare il ballottaggio per aprire a Berlusconi. Perchè quelli della minoranza interna, i bersaniani, il segretario li dà per persi. Indisponibili, pregiudizialmente, a qualsiasi apertura dovesse arrivare: «Tanto a loro il presepe non piacerà mai».
L’idea è quella di offrire alla discussione un ventaglio di proposte, proprio come fece quando si trattò due anni fa di cambiare il Porcellum e dal Nazareno partì un menù con 3 piatti: Mattarellum corretto, sistema spagnolo e il modello delle comunali.
A dispetto dei mea culpa sulla personalizzazione, sull’eccesso di aspettative che ha creato mettendo la fine della sua carriera politica come posta sul tavolo, Renzi non ha invece alcuna intenzione di fare un passo indietro nella campagna. Tutto il contrario. Certo, i bersagli saranno scelti con cura, come con Smuraglia, Travaglio e Zagrebelsky.
Perchè l’obiettivo è convincere l’elettorato moderato ancora indeciso, non far cambiare idea a chi è già per il No.
Dunque scontrarsi con gli avversari storici del “Caimano” è utile per veicolare un messaggio preciso, per parlare all’elettore di Forza Italia seduto sul divano: occhio che i tuoi nemici adesso sono anche i miei, ti puoi fidare.
Parte di questa Opa sul voto moderato è anche l’enfasi sul rischio che, votando No, non si favorisca il centrodestra, quanto piuttosto si contribuisca a gonfiare il vento in poppa ai grillini.
Ma se Berlusconi, per ora defilato, nonostante tutto decidesse di scendere personalmente in campo a favore del No, Renzi ha in serbo anche per lui una sorpresa: lancerà in pubblico all’ex Cavaliere un guanto di sfida.
Chiamandolo in tv per un faccia a faccia. Per la gioia del conduttore che si aggiudicherà l’evento.
La stessa attenzione riservata agli elettori moderati sarà posta nei confronti dei più arrabbiati con la “casta”, anche se votanti per la Lega o i Cinquestelle.
Da qui il taglio “populista” di certi slogan del Sì che promettono una mannaia sui costi della politica. Infine il partito. Finora è rimasto in ombra, Renzi ha puntato sui comitati per il Sì.
Ma è in agenda una grande manifestazione con le bandiere del Pd in Piazza del Popolo a Roma per il 29 ottobre.
Per gridare contro l’Europa dell’austerità . Tutte le mosse sono state pianificate. «La campagna deve ancora iniziare, fidatevi».
Francesco Bei
(da “La Stampa”)
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