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INTERVISTA A MENTANA: “RENZI COME BERLUSCONI NEL 2006, ACCETTA I DUELLI IN TV PER RIMONTARE”

Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“IL BOOM DI ASCOLTI DIMOSTRA CHE MOLTA GENTE E’ INTERESSATA A UN DIBATTITO NON RUFFIANO”

Quel selfie per stemperare la negatività , per riportare la tensione dei due contendenti dentro le corde del ring emotivo.
A scattare la foto «pacificatrice», spente le telecamere de La7, Enrico Mentana, “arbitro” dell’incontro tra il premier Matteo Renzi e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, capofila dei Sì e del No al referendum del 4 dicembre.
Direttore Mentana alla fine i duellanti stavano trascendendo?  
«Erano stanchi, avvertivo una negatività , ho chiamato la pubblicità , abbiamo fatto un breve ragionamento insieme e poi ho fatto fare l’appello finale a tutti e due. Quando si va verso un muro contro muro, quando si ripetono per due volte le stesse accuse, è bene stoppare».
E in questo fuori onda cosa c’è stato?
«I fuori onda si chiamano così perchè, appunto, sono off record. È stato un dibattito teso, si è visto. Certo dopo non erano pronti per andarsi a mangiare una pizza insieme».
Il professor Zagrebelsky ha iniziato polemico, ricordando a Renzi le sue frasi su gufi e parrucconi …  
«E’ stato un dibattito fra due che sentivano di essere i capofila dei due fronti, con colpi non bassi, ma comunque tali da delimitare il territorio. Non è stata certo una disputa accademica, perchè non lo è. È un referendum che ha una posta in palio piuttosto cospicua».
Secondo qualcuno non vi era «simmetria» nella scelta degli attori del faccia a faccia.  
«Mi è sembrato invece un dibattito simmetrico, perchè Zagrebelsky non è un signore che vive sul monte Athos, è un uomo che conosce lo scontro politico, ha un impegno civile, ha sempre capitanato fronti di degna e sana contrapposizione civile su temi importanti. Abituato al dibattito. È arrivato a questo incontro dopo tre sfide, con Orlando, la Finocchiaro e Violante. Simmetricamente Renzi non è certo digiuno di questioni costituzionali, come si è visto».
Chi le è sembrato più in difficoltà ?  
«Nessuno, certo Renzi vive davanti alla telecamera tutti i giorni, mentre non penso che Zagrebelsky abbia fatto mai una cosa del genere in uno studio tv, ma non mi è mai sembrato fortemente in difficoltà ».
E come interpreta la decisione di Matteo Renzi di accettare questa sfida? Forza o debolezza?
«Si può interpretare come si vuole. Certamente ci vuole forza per mettere faccia e voce contro Zagrebelsky, un gigante del diritto costituzionale. Dall’altro lato probabilmente Renzi, come il Berlusconi del 2006, sa che deve recuperare nei sondaggi e che la via più efficace sono gli scontri diretti».
A chi avrebbe alzato il braccio, assegnando la vittoria?  
«Ognuno avrà  valutato. Se chiedi a dieci persone ti diranno cose diverse. Questi dibattiti sono come lo sguardo della Gioconda, ciascuno ne dà  la sua interpretazione, basta guardare sul web. Io posso solo notare che tutti hanno avuto modo di spiegare bene, la scelta che ho fatto è stata quella di non incalzarli perchè ci voleva una certa assertività  ma anche l’agio di argomentare».
Alla fine un boom di ascolti.  
«E’ positivo il fatto che un dibattito giocato su temi non proprio da venerdì sera sia stato tanto seguito. Molta gente è disposta a seguire un dibattito non ruffiano».

Maria Corbi
(da “La Stampa”)

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SCALFARI: “ZAGREBELSKY E’ UN AMICO MA IL MATCH CON RENZI L’HA PERDUTO”

Ottobre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“IL PRIMO ERRORE E’ STATO LA CONTRAPPOSIZIONE TRA OLIGARCHIA E DEMOCRAZIA”

Forse i miei venticinque lettori, come diceva l’autore dei Promessi sposi, si stupiranno se, avendo visto alla televisione de La7 il dibattito tra Renzi e Zagrebelsky, comincio dalle nostre rispettive età : Renzi ha 41 anni, Zagrebelsky 73 e io 93.
Sono il più vecchio, il che non sempre è un vantaggio salvo su un punto: molte delle questioni e dei personaggi dei quali hanno parlato io li ho conosciuti personalmente e ho anche letto e meditato e scritto sulle visioni politiche dei grandi classici.
Nel dibattito l’accusa principale più volte ripetuta da Zagrebelsky a Renzi è l’oligarchia verso la quale tende la politica renziana.
L’oligarchia sarebbe l’anticipazione dell’autoritarismo e l’opposto della democrazia rappresentata dal Parlamento che a sua volta rappresenta tutti i icittadini elettori.
Conosco bene Gustavo e c’è tra noi un sentimento di amicizia che non ho con Renzi e, mi dispiace doverlo dire, a mio avviso il dibattito si è concluso con un 2-0 in favore di Renzi ed eccone le ragioni.
Il primo errore riguarda proprio la contrapposizione tra oligarchia e democrazia: l’oligarchia è la sola forma di democrazia, altre non ce ne sono salvo la cosiddetta democrazia diretta, quella che si esprime attraverso il referendum.
Pessimo sistema è la democrazia diretta. La voleva un tempo Marco Pannella, oggi la vorrebbero i 5 Stelle di Beppe Grillo. Non penso affatto che la voglia Zagrebelsky il quale però detesta l’oligarchia. Forse non sa bene che cosa significa e come si è manifestata nel passato prossimo e anche in quello remoto.
L’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche.
E se vogliamo cominciare dall’epoca più lontana il primo incontro lo facciamo con Platone che voleva al vertice della vita politica i filosofi.
I filosofi vivevano addirittura separati dal resto della cittadinanza; discutevano tra loro con diversi pareri di quale fosse il modo per assicurare il benessere alla popolazione; i loro pareri erano naturalmente diversi e le discussioni duravano a lungo e ricominciavano quando nuovi eventi accadevano, ma ogni volta, trovato l’accordo, facevano applicare alla Repubblica i loro comandamenti.
Ma questa era una sorta di ideologia filosofica. Nell’impero ateniese il maggior livello di oligarchia fu quello di Pericle, il quale comandava ma aveva al suo fianco una folta schiera di consiglieri.
Lui era l’esponente di quella oligarchia che fu ad Atene il punto più elevato di buon governo e purtroppo naufragò con la guerra del Peloponneso e contro Sparta (a Sparta non ci fu mai un’oligarchia ma una dittatura militare).
Nelle Repubbliche marinare italiane l’oligarchia, cioè la classe dirigente, erano i conduttori delle flottiglie e delle flotte, il ceto commerciale e gli amministratori della giustizia. Amalfi, Pisa, Genova e soprattutto Venezia ne dettero gli esempi più significativi.
Veniamo ai Comuni. Avevano scacciato i nobili dalle loro case cittadine. L’oligarchia era formata dalle Arti maggiori e poi si allargò alle Arti minori.
Spesso i pareri delle varie Arti differivano tra loro e il popolo della piazza diceva l’ultima parola, ma il governo restava in mano al ceto produttivo delle Arti e quella era la democratica oligarchia.
Nel nostro passato prossimo l’esempio ce lo diedero la Democrazia cristiana e il Partito comunista. La Dc non fu mai un partito cattolico. Fu un partito di centrodestra che “guardava a sinistra” come lo definì De Gasperi; l’oligarchia era la classe dirigente di quel partito, i cosiddetti cavalli di razza: Fanfani, La Pira, Dossetti, Segni, Colombo, Moro, Andreotti, Scelba, Forlani e poi De Mita che fu tra i più importanti nell’ultima generazione.
Quasi tutti erano cattolici ma quasi nessuno prendeva ordini dal Vaticano. De Gasperi, il più cattolico di tutti, non fu mai ricevuto da Pio XII con il quale anzi ebbe duri scontri.
Tra le persone che davano il voto alla Dc c’erano il ceto medio ed anche i coltivatori diretti che frequentavano quasi tutti le chiese, gli oratori, le parrocchie.
I braccianti invece votavano in massa per il Partito comunista, ma non facevano certo parte della classe dirigente.
Gli operai erano il terreno di reclutamento dell’oligarchia comunista, scelta tra i dirigenti delle Regioni e dei Comuni soprattutto nelle province rosse, dove c’erano molti intellettuali, nell’arte, nella letteratura, nel cinema e nella dolce vita felliniana. Al vertice di quella classe dirigente c’erano Amendola, Ingrao, Pajetta, Scoccimarro, Reichlin, Napolitano, Tortorella, Iotti, Natta, Berlinguer e Togliatti. Al vertice di tutto c’era la memoria di Gramsci ormai da tempo scomparso.
Togliatti operava con l’oligarchia del partito e poi decideva dopo aver consultato tutti e a volte cambiava parere. Ascoltava anche i capi dei sindacati.
Gli iscritti erano moltissimi, quasi un milione; i votanti erano sopra al 30 per cento degli elettori con punte fino al 34. Ma seguivano le decisioni dell’oligarchia con il famoso slogan “ha da venì Baffone”.
Caro Zagrebelsky, oligarchia e democrazia sono la stessa cosa e ti sbagli quando dici che non ti piace Renzi perchè è oligarchico.
Magari lo fosse ma ancora non lo è. Sta ancora nel cerchio magico dei suoi più stretti collaboratori. Credo e spero che alla fine senta la necessità  di avere intorno a sè una classe dirigente che discuta e a volte contrasti le sue decisioni per poi cercare la necessaria unità  d’azione.
Ci vuole appunto un’oligarchia. Spero che l’abbia capito, soprattutto con la sinistra del suo partito che dovrebbe capirlo anche lei.

Eugenio Scalfari
(da “La Repubblica”)

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