Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
SOLO GRILLO VEDE UNA CITTA’ PULITA: ROMA E’ ANCORA LA GRANDE BRUTTEZZA… “IL PRIMA E IL DOPO” DIMOSTRANO CHE NON E’ CAMBIATO NULLA CON LA NUOVA GIUNTA
Gli stessi posti e, nella maggior parte dei casi, gli stessi problemi.
Dopo 100 giorni dalla domenica in cui Virginia Raggi è stata eletta sindaca di Roma, Repubblica è tornata in dieci luoghi paradigmatici del degrado in cui versano molte zone della Capitale.
Gli stessi luoghi, simbolo della “grande bruttezza” di Roma, fotografati e segnalati al futuro primo cittadino il 19 giugno scorso.
La situazione è desolante. Rispetto a tre mesi e mezzo fa, ben otto di questi posti si trovano ancora nell’identico stato di abbandono del primo scatto.
Due le uniche eccezioni positive. La prima è via di Riva Ostiense, dove è sparito il mercatino abusivo dell’usato allestito dai rom nei fine settimana. La seconda, invece, è la fontana al centro di piazza dei Quiriti, che è stata ripulita. Qui, però, è comparso un problema nuovo rispetto a giugno: i cestini della spazzatura che stanno ai lati della piazza sono arrugginiti, rotti e rischiano di cadere.
Per il resto, nulla sembra essere cambiato.
Nelle strade-groviera di Tor Bella Monaca sono state chiuse alcune delle buche, ma se ne sono aperte nuove: il rattoppo c’è stato ma non il rifacimento stradale.
La discarica abusiva di Spinaceto-Tor de’ Cenci è sempre là a fare bella mostra di sè, con tutto il suo carico di rifiuti pericolosi.
I tavolini selvaggi di via Tor Millina continuano a occupare suolo pubblico senza permessi, a pochi passi da piazza Navona.
Il verde pubblico di villa Ada e di piazza dei Partigiani non è stato curato.
Le mura Aureliane nel tratto tra porta San Sebastano e porta Latina aspettano ancora di essere restaurate.
E il traffico, con le auto in doppia fila parcheggiate in via Marconi, sembra perennemente ingestibile.
Nelle immagini pubblicate, Repubblica documenta proprio l’impietoso confronto tra “il prima e il dopo”.
E se il dossier realizzato a giugno doveva servire da cartina di tornasole dei mesi iniziali dell’amministrazione comunale, si può dire che il bilancio da trarre a ottobre non è nè entusiasmante nè lusinghiero.
Una prova che se non è stata superata dall’amministrazione, in alcuni casi (come la discarica di Spinaceto) non è stata superata nemmeno dai cittadini che, spesso, continuano a non osservare le norme, le regole dell’educazione e il buon senso.
Così, questi scatti mostrano come troppe zone della città , anche punti centralissimi e di rilevante interesse storico-culturale, non sono ancora in condizioni degne di una Capitale.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
PER DIVIDERLI SONO INTERVENUTI ALTRI PARLAMENTARI CINQUESTELLE… IL MOTIVO? BOCCHE CUCITE
Ore 11 circa, cortile della Camera dei deputati. Decine di parlamentari assistono attoniti a una mini corrida in salsa grillina.
Due deputati del Movimento si ritrovano minacciosamente faccia a faccia. Volano parole pesanti. Litigano. Allungano le braccia, come a spintonarsi.
Per evitare che lo scontro si trasformi in un’autentica, clamorosa rissa, devono intervenire addirittura due colleghi cinquestelle.
In un attimo dividono i due contendenti e riportano la calma. Intorno, i parlamentari degli altri schieramenti restano attoniti.
E la notizia passa di bocca in bocca in pochi minuti, arrivando fin dentro l’Aula della Camera.
I due protagonisti, innanzitutto: si tratta di Giorgio Sorial e Francesco Cariello. Esponente dell’ala dura del Movimento il primo, arruolato tra gli ortodossi. Più moderato il secondo, temperamento mite e origini pugliesi.
Le scintille iniziano in Transatlantico, ma lo scontro vero e proprio si consuma nel bel mezzo del cortile della Camera, mentre tutto intorno i parlamentari si concedono la sigaretta di metà mattina.
Dalle vetrate dei corridoi, in molti si fermano per osservare il duello: tocca a Vincenzo Caso evitare il peggio, mettendo il proprio corpo tra i due contendenti.
Per sedare lo scontro si lancia anche un altro collega a cinquestelle. Caso si allontana, inveendo. Cariello continua ad agitarsi, e continua a litigare con Sorial.
Poco dopo, un big degli ortodossi come l’ex capogruppo Federico D’Incà riunisce (sempre in cortile) alcuni dei presenti e cerca di mettere ordine, invitando tutti a sforzarsi per mantenere la calma.
Ma quali sono le ragioni del litigio? Bocche cucite tra i cinquestelle, naturalmente.
Nè basta quanto raccontano alcuni deputati che lambiscono l’epicentro dello scontro. Riferiscono di aver captato frammenti di discussione, accuse su un “appuntamento di lavoro mancato” e “orari cambiati all’ultimo momento per un vertice tra rappresentanti di due commissioni ”.
Più facile inquadrare l’accaduto nel clima infuocato del Movimento.
Soprattutto nel gruppo della Camera, la situazione rischia di sfuggire di mano: dopo il ridimensionamento di Luigi Di Maio e del direttorio, manca un centro decisionale, nè bastano le sporadiche missioni romane di Beppe Grillo.
Se a questo si aggiunge la crescente tensione interna tra ortodossi e moderati — oltre all’annosa conflittualità tra deputati e senatori pentastellati — si spiega meglio l’episodio di oggi.
Un normale “mezzogiorno di fuoco grillino a Montecitorio”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
IN ATTESA CHE IL PROCESSO STABILISCA LE CAUSE DEL DECESSO, VENGONO CONFERMATE LE GRAVI LESIONI SUBITE DA STEFANO AD OPERA DEI DUE CARABINIERI A GIUDIZIO
Gli esperti parlano chiaro: se Cucchi dopo il pestaggio fosse sopravvissuto avrebbe riportato un’invalidità permanente, al 35 %.
L’ultima perizia è giunta a questa conclusione, che sottolinea la gravità del pestaggio a cui fu sottoposto Stefano ora valorizzata dall’inchiesta bis.
Se nei confronti si Stefano Cucchi si fosse potuto procedere a un regolare referto, se anzichè morire a sette giorni dal suo arresto e dal pestaggio violento a cui fu sottoposto si fossero esaminate le lesioni riportate, allora, secondo gli esperti, il ragazzo non avrebbe potuto cavarsela con meno di sei mesi di prognosi.
Lo dichiara il professore Francesco Introna, adottando qualche riserva relativamente a considerazioni fatte solo su immagini fotografiche delle lesioni.
Le sue parole riportate da Il Corriere della Sera:
“se le lesioni traumatiche dovessero essere considerate tutte riconducibili ad un unico momento lesivo occorso nelle concitate fasi di una colluttazione allora riteniamo che la durata della malattia possa essere considerata di almeno 180 giorni
L’inchiesta bis ha mostrato l’importanza di lesioni trascurate dalla prima indagine.
Tumefazioni al volti, fra le tempie e le labbra. Tracce di emorragia fra lombi e inguine. Fratture in due punti della colonna vertebrale.
Infatti, dopo aver ottenuto una mappatura dei lividi e delle fratture, Introna e i suoi collaboratori hanno provato a immaginare un’ipotetica degenza per Stefano Cucchi. E hanno concluso che:
“le lesioni riportate dal signor Stefano Cucchi, dominate dalla frattura discosomativa postero superiore di L3 e dalla frattura di S4 (la vera scoperta di questa perizia che, da questa lesione fa dipendere complicazioni alla vescica e una possibile aritmia mortale ndr) ben avrebbero potuto, a guarigione avvenuta, reliquare con postumi permanenti responsabili di un danno biologico permanente del 32,35%”.
Dunque le stime del medico indicano che il pestaggio di Cucchi gli abbia causato un’invalidità permanente al 35%.
Introna si trova ad ipotizzare su questa degenza, poichè Stefano non ha avuto neanche un referto, non avendo denunciato il pestaggio dei carabinieri per il timore di peggiorare la sua situazione.
Ma la sua ipotesi prevede che le botte siano state forti al punto tale da causare al ragazzo un’inabilità temporanea di 60 giorni, costrigendolo alla necessità del busto.
Oggi gli indagati per le lesioni – che dunque potrebbero essere accusati di lesioni gravissime oppure omicidio preterintenzionale – sono tre. I carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, mentre per un altro, Roberto Mandolini e il collega Vincenzo Nicolardi il pubblico ministero Giovanni Musarò ipotizza la falsa testimonianza e le false dichiarazioni al pm.
L’inchiesta bis è nata dalla testimonianza di un detenuto, L.L., che al tempo aveva condiviso la stanza con Cucchi e che ha deciso di parlare dopo il primo processo.
Il detenuto ha anche detto anche che il movente per il pestaggio, dopo la perquisizione nella casa dei genitori di Stefano, fosse stato il rifiuto del ragazzo di collaborare.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX MAGISTRATO AYALA: NON E’ AFFATTO IN CONTRASTO CON LA NORMATIVA VIGENTE
L’ultima scomposta polemica a proposito della formulazione del quesito che sarà proposto alla risposta degli elettori mi ha convinto a tornare sull’argomento nel tentativo di offrire un contributo di chiarezza. Modesto, forse, ma sincero di sicuro.
Alcuni dei fautori del No, dopo averlo letto, l’hanno definito senza mezzi termini un “quesito truffa”, se non peggio ancora.
Non c’è dubbio che in tal modo può esser visto a una sola condizione: essere in contrasto con la normativa che regola la materia.
E ciò per l’ovvia ragione che solo il mancato rispetto della legge può consentire di aprire le porte ad una ipotesi truffaldina destinata, addirittura, ad ingannare i cittadini chiamati alle urne.
Tralasciamo di chi sia la responsabilità della formulazione del testo del quesito.
Come vedremo ben poco importa specie laddove il medesimo dovesse rispettare la disciplina normativa che lo regola.
Il mancato rispetto di questa è stato rilevato in un ricorso al Tar che, apprendo dai giornali, fa espresso riferimento all’art. 16 della legge n. 352 del 1970. Non sarebbe, insomma, stato rispettato quanto precisato in quella norma.
A questo punto non riesco proprio ad evitare di risultare noioso. I lettori mi scuseranno.
Tralasciando ogni questione sulla competenza o meno del giudice amministrativo in materia, da modesto artigiano del diritto mi sono limitato a leggere il testo di quell’articolo e, quindi, a confrontarlo con quello che troveremo sulla scheda elettorale.
La formulazione testuale di quest’ultimo è la seguente: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle Istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016”.
Con tutto il rispetto dovuto alle ragioni del No, non c’è dubbio che proprio di quanto indicato si occupa la riforma offerta al giudizio dei cittadini.
Sarà pure pessima, ma quella è.
Vediamo, a questo punto, cosa prescrive il citato art 16 della legge n. 352 del 1970. Leggiamone il testo: “Il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula seguente: Approvate il testo della legge di revisione dell’ art….( o degli articoli….) della Costituzione concernente ( o concernenti)…approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale N…. del….., ovvero Approvate il testo della legge costituzionale concernente…,… approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n….. del…”
“In claris non fit interpetratio” asserivano i giuristi latini.
La previsione successiva all'”ovvero” mi pare pienamente rispettata, non prevedendo affatto l’elencazione degli articoli oggetto della riforma.
Rimane, perciò, solo la curiosità di attendere il pronunciamento del Tar.
Giudichino, nel frattempo, i lettori in cosa possa consistere la ” truffa” della quale, a giudizio dei ricorrenti, rischiano di essere vittime il prossimo 4 dicembre.
Giuseppe Ayala
magistrato
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
IN BASE A UN ACCORDO CON LA SOCIETA’ PARTECIPATA HANNO PAGATO 61 MILIONI DI TASSE INVECE DI 883
«Io sono amico della signora Rinascente». In “Così parlò Bellavista”, con questa battuta un cliente attempato provava a convincere la caporeparto della storica catena commerciale a concedergli uno sconto.
Ma nella pellicola di Luciano De Crescenzo la risposta dell’impiegata era perentoria: «Non esiste nessuna signora Rinascente!».
E invece agli inizi degli anni Duemila, per quasi un lustro, un signor Rinascente è esistito eccome.
Rispondeva al nome di Dario Cossutta, il figlio del più filosovietico dei comunisti italiani, Armando, il grande antagonista di Berlinguer dentro al Pci.
Nel 2005, il fondo di investimento che a Cossutta junior fa riferimento – la Investitori associati – aveva messo insieme una cordata riunita nella società Tamerice srl per acquistare ciò che restava degli storici marchi Rinascente e Upim.
Del gruppo facevano parte anche la Pirelli Real Estate di Tronchetti Provera e una società lussemburghese.
Un affare, soprattutto immobiliare, che sfiorava il miliardo di euro su cui Cossutta, Tronchetti e company sono riusciti a pagare un’inezia di tasse.
Grazie a un maxi sconto fiscale concordato con l’Agenzia delle entrate.
Il sistema di elusione messo in piedi è stato scoperto dagli investigatori della Guardia di finanza nel 2008.
Successivamente l’Agenzia delle entrate aveva quantificato i mancati versamenti al fisco da parte della cordata in una cifra colossale: 883 milioni di euro.
La Tamerice srl è stata perciò condannata a pagare dalla commissione tributaria della Lombardia sia in primo grado che in secondo grado.
Poi si è arrivati alla transazione. E qui c’è la grande sorpresa. Secondo il documento di cui “l’Espresso” è entrato in possesso, l’Agenzia ha praticato a Tamerice uno sconto del 93 per cento.
Doveva, cioè, incassare 883 milioni di euro, ma si è accontentata di appena 61 milioni.
«Il denaro di per sè non si crea nè si distrugge», diceva Gordon Gekko, il protagonista del film “Wall Street” di Oliver Stone, «semplicemente si trasferisce da una intuizione ad un’altra, magicamente».
Principio che la Investitori Associati ha applicato anche in altre occasioni.
Il private equity, infatti, si è distinto pure per un’altra operazione finita malissimo. Ne sanno qualcosa le decine di migliaia di azionisti di Seat Pagine Gialle.
La società era stata acquistata nel 2003 dalla Investitori Associati e da altri due fondi di investimento. Ma nella proprietà la cordata di cui faceva parte anche Cossutta ci restò giusto il tempo di distribuirsi 3,6 miliardi di euro di dividendo, realizzato indebitando mortalmente Seat Pagine Gialle.
In Borsa il titolo divenne carta straccia e molti piccoli azionisti si ritrovarono sul lastrico
Non sarà l’unica magia finanziaria compiuta da Investitori Associati.
Due anni dopo, infatti, parte l’operazione Rinascente-Upim. La Fiat era in crisi e aveva bisogno di liquidità , per questo decise di vendere la sua quota di partecipazione dentro Rinascente, che gli consentì di mettere a segno una plusvalenza da oltre 600 milioni di euro.
All’epoca Rinascente-Upim era un gruppo in buona salute: registrava un fatturato di 6,6 miliardi di euro, aveva oltre 35 mila dipendenti, 1850 sedi e uno dei patrimoni immobiliari più invidiabili d’Italia, con palazzi storici situati nelle zone più lussuose di quasi tutte le città della penisola.
È su questo patrimonio che mise gli occhi Tamerice srl, una società costituita ad hoc di cui all’epoca la Investitori Associati deteneva il 32 per cento, la Pirelli Real Estate il 20 e un fondo lussemburghese, Goib Luxembourg Three sarl, il 32.
Per comprare La Rinascente Spa Tamerice srl versò 880 milioni di euro, di questa somma, però, 750 milioni furono prestati da un gruppo di banche che finanziarono l’operazione.
Un acquisto, quindi, fatto quasi interamente a debito. Ma qui interviene l’intuizione alla Gordon Gekko per moltiplicare i profitti.
La Rinascente Spa aveva una controllata, la Rinascente Upim spa che valeva circa 90 milioni di euro. Tamerice decide di comprarla, sborsando una cifra ben sette volte superiore al reale valore di mercato.
E anche in questo caso è lo stesso gruppo di banche che concede il finanziamento.
La società alla fine versa 865 milioni nelle casse della Rinascente Spa, che in questo modo, registra una super plusvalenza da 768 milioni di euro.
Ma all’epoca Rinascente Spa era interamente di proprietà di Tamerice srl. E infatti, poche settimane dopo, è lì che tornano tutti i soldi, sotto forma di dividendi.
Il denaro, dunque, rientra da dove era uscito. Il motivo di questa alchimia finanziaria è presto spiegato: dal momento che le plusvalenze sono frutto di operazioni infragruppo, non viene pagato nemmeno un euro di tasse.
Tamerice incassa così il maxi dividendo e il fisco non può che stare a guardare.
Tuttavia il capolavoro non è ancora compiuto. Subito dopo aver spostato tutti gli immobili nella partecipata Rinascente Upim, Tamerice srl si libera di Rinascente spa.
La vende però a poco più di 90 milioni di euro, dopo averla comprata a 880 milioni di euro. Realizza così un minusvalenza enorme, che ammortizzerà non pagando le tasse su tutti gli ulteriori profitti raccolti dalla vendita dell’immenso patrimonio immobiliare del vecchio gruppo Rinascente Upim.
“L’Espresso” ha contattato l’Agenzia delle Entrate per un commento tecnico sull’accordo. «Non siamo autorizzati a rilasciare dichiarazioni su casi particolari», è stata la risposta. Mentre il manager Cossutta, contattato tramite Investitori Associati, non ha risposto.
Che i registi dell’operazione fossero disinteressati a far andare avanti lo storico marchio, ma intendevano soltanto realizzare una speculazione immobiliare, i lavoratori lo avevano intuito subito.
«Non riteniamo malizioso», spiegava all’Unità il 14 maggio 2006 Marco Marroni, segretario nazionale Uiltcs, «temere che l’obiettivo sia quello di ripulire il conto economico, attraverso iniziative brutali come le chiusure e i licenziamenti, per poi rivendere l’azienda e nello stesso tempo vendere i negozi di proprietà ».
È quello che poi è accaduto: nel giro di qualche mese viene annunciata la chiusura di 14 punti vendita e il licenziamento di quasi 500 persone.
In pochi anni ciò che rimane della parte operativa viene dismesso e i gioielli immobiliari venduti al maggior offerente.
A rimetterci da questa intricata vicenda, dunque, non solo i lavoratori di Upim e Rinascente ma anche i contribuenti italiani.
Perchè grazie allo schema di ingegneria fiscale messo in piedi, Tamerice e la cordata che l’ha sostenuta sono riusciti a versare solo gli spiccioli al signor Fisco.
Giorgio Mottola e Giovanni Tizian
(da “L’Espresso“)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
GLI INDAGATI AVEVANO PROBLEMI A NASCONDERE IL DENARO
“Quando io vengo fisicamente con, con i mobili, con le valigie da Roma, ti dovresti far trovare al casello, a Massafra, prima ancora che apro la bocca: ‘scusa questo è quello che ti devo dare’”.
Per Giovanni Di Guardo, l’ex direttore di commissariato della Marina militare di Taranto, è così che dovrebbe comportarsi un imprenditore “minimamente furbo”.
Ora che tocca a lui aprire i cordoni della borsa, insomma, chi ha voglia di guadagnare deve essere pronto a fare la sua parte pagando tangenti. E sono in tanti pronti a esaudire ogni desiderio del comandante Di Guardo e della sua compagna.
L’affitto della villetta, le auto a noleggio, le spese nel più lussuoso negozio di abbigliamento e poi soldi.
Fiumi di denaro contante che viaggia in buste, borse e valigette. Così tanto denaro che a un certo punto il problema è nasconderlo.
E anche qui ci sono uomini dell’organizzazione pronti a trovare una soluzione.
Perchè per il pubblico ministero Maurizio Carbone è una vera e propria associazione a delinquere quella messa in piedi proprio da Di Guardo, scelto dallo Stato Maggiore della Marina per fare pulizia dopo la prima inchiesta sulle tangenti e che invece è finito in carcere qualche settimana fa insieme a un imprenditore con l’accusa di corruzione.
Questa mattina, però, la saga della tangentopoli con le stellette si è arricchita di un nuovo inquietante capitolo. In carcere è finita infatti l’intera associazione: la compagna del militare Elena Corina Boicea, e i cinque imprenditori Valeriano Agliata, Pietro Mirimao, Paolo Bisceglia, Giovanni Perrone e Vitantonio Bruno, e il dipendente civile della Difesa e faccendiere di Di Guardo, Marcello Martire.
Agli arresti domiciliari, infine, è finito il maresciallo dei carabinieri Paolo Cesari, accusato di aver rivelato notizie sulle indagini alla cupola dell’associazione.
Nell’ordinanza firmata dal gip Valeria Ingenito, si legge che Di Guardo “sin dal primo momento in cui è giunto a Taranto, per insediarsi nel suo nuovo incarico di Comandante di Maricommi, prendeva immediati contatti con Martire e con l’Agliata, con i quali si era già incontrato nella città di Roma e insieme, da subito, costituivano una vera e propria struttura associativa, volta ad assicurare l’affidamento degli appalti gestiti dalla Direzione di Maricommi, non solo a favore delle ditte facenti capo all’Agliata, ma anche a beneficio di altri imprenditori, realizzando un vero e proprio cartello di imprese, cui dovevano confluire tutti gli appalti, verso il corrispettivo di denaro e altre utilità ”.
Dopo l’appalto da 11 milioni di euro per l’affidamento dei servizi di pulizia che Di Guardo avrebbe tentato di pilotare a favore di Vincenzo Pastore (anche lui già finito in carcere nei giorni scorsi), sotto la lente della magistratura sono finiti decine di nuovi gara pubbliche.
Il sistema era semplice: chi voleva entrare nel giro doveva pagare tangenti al comandante Di Guardo. E così, alcuni imprenditori ionici secondo la magistratura avrebbero “costituito un gruppo ben organizzato con lo scopo di assicurare l’aggiudicazione degli appalti solo alle imprese facenti parte di un cartello ben definito, i cui titolari sono tutti disponibili a versare somme di denaro e altre utilità in favore del Di Guardo”.
Un cartello particolarmente selettivo dal quale dovevano essere esclusi coloro che nella prima inchiesta hanno collaborato con la magistratura raccontando il sistema del “pizzo” del 10 percento da versare agli ufficiali che erano stati precedentemente ai vertici della forza armata.
Al comandante Di Guardo, infatti, durante una delle conversazioni captate dai finanzieri della Sezione Tutela dell’economia del Nucleo di Polizia Tributaria, uno di questi imprenditori viene descritto come “quello è quello che se l’è cantata eh! quello che ha detto: non sono, non erano per pagamento delle fatture ma erano tangenti eh!”.
Un precedente che per l’organizzazione era intollerabile al punto da valutarne l’esclusione dal giro di soldi pubblici che invece rimaneva nelle mani di pochi fidati imprenditori corrotti.
Francesco Casula
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
“ANDRANNO A COMPENSARE FUTURI DEBITI”… MA CI VORREBBERO 25 ANNI PER PAREGGIARE IL CONTO
Un’operazione banalissima, fatta in passato decine di volte.
L’auto-compilazione on-line dell’F24 per pagare l’Iva trimestrale. Un importo nella norma, per un agente di commercio che opera nel settore delle forniture di caffè: 967,30 euro. È un attimo.
La virgola scambiata per un punto. La cifra diventa 96.730 euro. Clicca invia e si stampa il modulo per l’archivio.
E lì scopre il piccolo dramma. Ha versato quasi 100 mila euro all’Agenzia delle Entrate. Che ora non intende restituirli, ma gli ha annunciato che andranno a compensazione di futuri debiti.
Siccome il libero professionista genera Iva per circa 4 mila euro l’anno, servirà un quarto di secolo per riavere quanto saldato per errore.
«Rivoglio indietro, immediatamente, i risparmi di una vita»: a parlare è il protagonista della vicenda, Luca Schiavon, 52 anni, di Spilimbergo (Pordenone ).
Da oltre un mese e mezzo — il versamento risale alla metà di agosto – ha assoldato una squadra tra avvocati e commercialisti per tornare in possesso del suo denaro, ma i risultati ancora non si vedono.
«Quanto accaduto ha dell’incredibile — racconta a La Stampa -: nella mia intera carriera professionale non ho mai avuto così tanto denaro disponibile nel conto corrente. È accaduto che di recente avessi venduto un immobile e mi stessi guardando attorno per decidere come investire il ricavato. Senza quei soldi, il sistema automatico avrebbe rifiutato il pagamento, per mancanza di liquidità , e mi sarei accorto di quel maledetto punto al posto della virgola».
Il vero dramma per Schiavon è però cominciato quando ha chiesto i soldi indietro.
Era persuaso che sarebbe bastata un’istanza, un po’ come accade, al contrario, con il ravvedimento dei contribuenti. Comunichi l’errore e saldi la differenza. Nossignore. Dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Pordenone la doccia gelata.
Nessun rimborso immediato, ma un iter che impone comunque una fideiussione bancaria o assicurativa di almeno tre anni, ma col finale affatto scontato.
«Nessuno si terrà i suoi soldi — la tragicomica garanzia del dirigente locale dell’ufficio del Fisco all’esterrefatto agente di commercio -: mal che le vada, compenserà debiti e crediti futuri».
Fatti due calcoli, al ritmo attuale, finirà di intascare il suo denaro alla soglia degli 80 anni.
«Mi sento come un criminale che ha commesso un delitto terribile per il quale deve pagare una sorta di ergastolo economico — ha concluso Schiavon -: un secondo di distrazione e sono finito in un tunnel di cui non scorgo la fine».
Lorenzo Padovan
(da “La Stampa“)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE BRITANNICO COLPITO ALLA TESTA DA UN COLLEGA DEL SUO STESSO PARTITO, POSSIBILE EMORRAGIA CEREBRALE
La crisi nel partito britannico Ukip si aggiunge di un capitolo drammatico. L’eurodeputato Steven Woolfe, che puntava a guidare la formazione euroscettica dopo le dimissioni di Nigel Farage, è ora ricoverato in ospedale a Strasburgo dopo una rissa con un collega di partito e, dalle primissime indiscrezioni, sarebbe «in pericolo di vita».
Secondo alcune fonti citate da Skynews la botta ricevuta in testa potrebbe avergli provocato un’emorragia cerebrale, ma il collega di partito Nathan Gill avrebbe invece riferito che Woolfe è cosciente e non in pericolo di vita.
Pare che Woolfe sia stato colpito alla testa da un compagno di partito — forse con un pugno o addirittura con un oggetto di metallo – durante una lite scattata nel corso di una riunione al parlamento di Strasburgo verso le 12.20.
Una trentina di minuti dopo, avrebbe avuto un malore nei corridoi del parlamento europeo di Strasburgo e si sarebbe accasciato al suolo.
Woolfe, 49 anni proprio oggi, aveva cercato di candidarsi alla guida dello Ukip dopo le dimissioni di Nigel Farage, suo storico rivale.
Ma il partito aveva cercato di fare quadrato contro di lui e la candidatura non era stata accettata per un cavillo burocratico, visto che era stata presentata con un quarto d’ora di ritardo dalla scadenza.
Dopo le inattese dimissioni di Diane James, aveva annunciato di volersi ripresentare e forse potrebbe essere proprio questo uno dei motivi della lite con i colleghi di partito.
Voci, non ancora confermate, dicono che a colpire Woolfe sarebbe stato il collega di partito Mike Hookem.
Secondo il Daily Mail, a far scattare la rissa sarebbe stata una battuta di Woolfe, che ha espresso apprezzamenti per la politica di Theresa May e ha annunciato – scherzando — di voler passare con i Tories.
A quel punto sarebbe scattato il battibecco con Hookem e Wolfe, togliendosi la giacca con un gesto di sfida, gli avrebbe detto: «Risolviamo la questione fuori».
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
“NE RICEVO UNA AL GIORNO, VOI STATE LI’ A NON FARE UN CAZZO E IO MI PRENDO MIGLIAIA DI DENUNCE”: IL TIMORE DI ACCOLLARSI LE SPESE GIUDIZIARIE
«Chi va contro le regole non deve restare all’interno della comunità » dice Beppe Grillo rilanciando con un post e un video sul blog le votazioni sul nuovo regolamento che dureranno fino a fine ottobre.
Lo stesso rigore annunciato da Grillo vale ovviamente per chi va contro i diktat del fondatore-garante e dei tre probiviri che da ora in avanti decreteranno richiami, sospensioni, o altri procedimenti disciplinari.
Le nuove regole però formalizzeranno anche il silenziatore imposto agli eletti pentastellati con la stampa, attraverso una delle norme che possono costare l’epurazione dal M5S.
Al punto 4 del regolamento, quando si parla delle sanzioni, viene specificato che l’espulsione può essere irrogata per cinque motivi. Il quinto dice così: «Se sottoposti a procedimento disciplinare, per rilascio di dichiarazioni pubbliche relative al procedimento medesimo».
Come la nota prima regola del Fight Club: «Non si parla mai del Fight Club», soprattutto con i giornali.
L’esempio classico è sempre lui, l’eretico per eccellenza, l’ormai ex 5 Stelle Federico Pizzarotti, che dopo la sospensione ha lanciato la sua sfida a Grillo e al direttorio proprio attraverso i giornali (anche perchè nessuno ai vertici gli rispondeva al telefono).
«I panni sporchi si lavano in casa», insomma, come impose una volta Luigi Di Maio in chat , recuperando la massima andreottiana che non è proprio aderente alla tanto sbandierata trasparenza dei 5 Stelle.
Grillo dopo il tweet in cui vietava ai parlamentari di parlare del caso Roma, ieri se n’è uscito con un altro dei suoi paradossi: «Basta con le opinioni. Quando non c’è il pensiero ci sono opinioni».
Lo ha detto lasciando Roma, dopo la due giorni passata a incoraggiare deputati e senatori, alcuni dei quali gli hanno chiesto «più democrazia interna» e uno spazio di manovra «più autonomo» dallo staff della comunicazione guidato da Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, e dagli uomini della Casaleggio Associati, Max Bugani e Pietro Dettori.
«Abbiamo parlato di progetti. Il Movimento si sta evolvendo. Io recepisco le istanze dei cittadini», dice Grillo dopo aver registrato un video in cui sollecita a votare il nuovo regolamento sul blog e spiega le ragioni della nascita del tribunalino dei probiviri, che già esiste negli altri partiti: tre giudici che saranno scelti tra i parlamentari che avranno potere di espulsione, salvo sentenza d’appello diversa del comico.
«Faranno da paravento anche a me, perchè ricevo una querela al giorno…e non mi sembra giusto che voi state lì a non fare un c… e io prendo migliaia di denunce». Spiega così Grillo quello che da tempo si diceva: dei suoi timori, dopo la pioggia di ricorsi vinti dagli espulsi, di accollarsi infinite spese giudiziarie.
Ma le nuove regole diventano più stringenti per chiunque avesse qualche tentazione di dissentire dal verbo del leader o dalle decisioni prese.
Comunque sia, a giornali e tv non si parla di quelle che definisce «beghe interne». Bisogna salvaguardare, conclude Grillo, «il Movimento da questi cazzoni che entrano e vogliono fare i c…loro».
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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