Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
MILITANTE STORICO, FATTO FUORI DALLA LOMBARDI E SPONSORIZZATO DA CASALEGGIO
Virginia Raggi vuole Marco Agostini capo di gabinetto; per quanto il Campidoglio lo smentisca. Ci riuscirà ? Militante storico del M5S a Roma, chi è Agostini?
Nasce come piccolo imprenditore (aveva delle cartolibrerie). È vicepresidente di una cooperativa no profit, Sintesi, che tra Roma e Palermo dà lavoro a 400 disabili (in particolare nei call center).
Ha studiato i processi di democrazia partecipata, barcamp, Occupy. Nel Movimento si è occupato della comunicazione a Roma, ruolo nel quale ha svolto una figura di cerniera tra il meet up romano e Gianroberto Casaleggio.
Era sua, piccola curiosità , la macchina di cui Beppe Grillo schiacciò il tetto facendoci un comizio sopra, nella discesa in piazza Santi Apostoli nel 2013 (Agostini ci ha rimesso per lo meno la macchina, nel Movimento; altri ci hanno guadagnato).
Il meet up romano è un mondo a parte, e per certi aspetti un buco nero; compresa la sua costola organizzativa originaria, la Task Force Eventi.
In questo magma, percorso da rivalità forti e una lotta feroce tra il mondo di Roberta Lombardi e quello dei suoi avversari (dei quali, per vie talvolta casuali, la Raggi è ormai divenuta quasi l’emblema), Agostini si è mosso con una sua coerenza. E ovviamente ha molti nemici.
Gianroberto Casaleggio lo stimava; naturale che Agostini presto si sia trovato odiatissimo dalla Lombardi, che ha fatto di tutto per tagliargli ogni ponte.
Nel settembre 2013 stava per essere assunto dal gruppo M5S alla Camera: l’idea era di affidargli la cura dei rapporti tra la comunicazione nazionale e gli eventi del Movimento.
Un ruolo organizzativo importante che andava a toccare prerogative di cui la Lombardi è gelosissima, e che rappresentano la polpa viva delle sue postazioni di potere. Casaleggio disse «di Agostini mi fido».
Ottima ragione, per i suoi nemici, per stroncarlo.
Per farla breve: ci fu una sollevazione. Alessandro Di Battista – in quel momento assai sotto l’ala della Lombardi (ora molto meno) – fece un’arringa in assemblea che produsse una spaccatura a metà del gruppo parlamentare.
Morale: Agostini non fu più preso. E fu una perdita, perchè si tratta di un militante molto distante dal tipo dell’arrivista da talk show che poi ha prevalso.
Ce la farà , stavolta, o finirà di nuovo vittima della consolidatissima tecnica della calunnia?
Pochi mesi dopo questa rottura, Agostini si allontanò dal Movimento, pur rimanendone iscritto. Era assai deluso per la piega degli eventi.
Lo schema con cui la Raggi prova a ripescarlo è astuto: occupare il campo del movimento romano, dando un segnale chiaro alla Lombardi, e anche ai commissariatori della sindaca. Ci riuscirà , Virginia?
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
VIAGGIO CON I VOLONTARI DEL CUAMM TRA I RACCOGLITORI DI POMODORI NEL FOGGIANO
Quando i giovani medici mi dicono: “Dottore, voglio lavorare in Africa”, rispondo che non occorre andarci, perchè l’Africa è qui”.
Piove sulle terre sterminate del Tavoliere.
Enzo Limosano, chirurgo vascolare in pensione, ci guida per una strada infame tra uliveti e campi di carciofi sopra una terra grassa e lustra come groppa di bufala. Destinazione, il “ghetto” chiamato Ghana, uno dei tanti bacini di manodopera sottocosto del baricentro agroalimentare d’Italia.
È la provincia di Foggia, oltre un milione di tonnellate l’anno di soli pomodori.
Il camper è l’unico ambulatorio possibile in questo pantano. A bordo, una piccola task force sanitaria (chirurgo toracico, dentista e infettivologo con alcuni aiutanti) targata Cuamm, una Ong di solida reputazione che da sessant’anni opera fra Etiopia e Mozambico.
È gente che non si tira indietro davanti a epidemie come Ebola o a guerre civili, ma che qui, mi accorgo, esita un attimo, come ai confini dell’indicibile. “Vuole la verità ? L’Africa è meglio. Si sorride, lavori rilassato. Qui invece la tensione è ovunque”.
Si va a zig zag tra le pozzanghere sotto un cielo piatto come un ferro da stiro. Qua e là , casupole semi-abbandonate della riforma agraria fascista rattoppate da teli.
Ripari miseri, eppure lussuosi rispetto alle baracche dell’Inferno vero, il famigerato Gran Ghetto di Rignano, 40 chilometri a Nordest.
È un agglomerato di quattromila schiavi ben visibile dagli aerei di linea in atterraggio su Bari ma stranamente invisibile ai terrestri del Foggiano.
Non lo vedono nemmeno le folle di fedeli, vicinissime, che a San Giovanni Rotondo innalzano canti per Padre Pio. Nemmeno lui, qui, fa miracoli per gli ultimi della Terra.
Da Cerignola, il Ghetto Ghana dista sette chilometri, ma bastano a separare le Ombre dal mondo dei vivi. Le facce bianche sono scomparse. Passano solo medici e caporali. E cani. Quelli abbandonati, attirati dai reietti come loro.
Dopo, non è più Italia. Un barbiere improvvisato insapona un cliente sotto una tettoia, tra galline, questuanti, bottiglie di birra e trattori arrugginiti.
Poco lontano, qualche tenda a pagoda, coperta di nylon per via dell’acquazzone.
È giorno di pausa, e si va a salutare Alexander, ghanese brizzolato, piccolo boss di questo spazio di case sparse, in una baracca trasformata in bar.
È lui che detta legge, e i salamelecchi diventano necessari in un mondo di gerarchie spietate. Zanzare microscopiche trapanano l’aria in un odore dolciastro inconfondibile. Lo stesso della Bosnia ai tempi dell’ultimo conflitto.
Polvere, sudore, marciume e benzina. L’olfatto non distingue tra guerra e miseria.
Michele Alberga, 68 anni, il dentista, porta alla cintura un diffusore sottocutaneo di insulina ma, nonostante l’età e il diabete, spende il tempo libero a curare migranti con animo lieto, senza ipocrisie pietistiche o assistenzialismi.
Gli chiedo se non gli venga mai il dubbio, con la sua dedizione, di essere funzionale a un sistema di sfruttamento. Risposta netta: “Loro ci aspettano”.
È la stessa che mi veniva data in Uganda e in Sudan, negli ospedali del Cuamm. “Se non lo fai tu – ti dicono – chi altro? “. Non ci si può tirare indietro, se ci si vuol guardare allo specchio a giornata finita.
E loro ci aspettano davvero, in fondo allo stradone. Tanti, anche se il Ghetto è mezzo vuoto, perchè le avanguardie sono già partite per gli aranceti della Calabria, a farsi sfruttare in modo ancora più bestiale dalla ‘ndrangheta.
Ogni settore ha le sue patologie. Dietro ai pomodori sciatiche e lombalgie, dietro all’uva emicranie e dolori al collo.
Gli agrumi si pagano con spalle indolenzite, le coltivazioni in serra con disidratazioni gravi, i carciofi con infiammazioni al gomito simili a quelle del tennista. Il tutto senza contare gli incidenti gravi e le malattie sommerse.
Quelle della miseria: Aids, tubercolosi, meningite, sifilide o epatite. Solo i più forti ce la fanno a tornare a casa.
Ha smesso di piovere. Attorno al camper si affollano i reduci della campagna – appena finita – del pomodoro, tirate di dieci ore a riempir cassoni per le aziende di trasformazione del Salernitano.
Aspettano il medico anche per quindici giorni, perchè i pochi medici e infermieri volontari di Puglia non ce la fanno a coprire più di due viaggi al mese.
Fino al dicembre dell’anno scorso funzionava un servizio di Emergency, solidamente finanziato e poi burrascosamente interrotto dalla Regione per una serie di gravi incomprensioni.
Ora bisogna ripartire da zero, e la giunta ha allo studio un piano triennale d’intervento per il quale si sono messi a disposizione, oltre al Cuamm, i missionari comboniani e i Medici senza frontiere.
Sembra una retrovia della Grande Guerra. Mettere in fila i pazienti, distribuire i numeri, evitare liti fra ghanesi e altri africani.
Marcella Schiavone, 28 anni, chirurga col Mozambico alle spalle, riceve nel camper. Il divano per il paziente è minimo. Le domande semplici, in italiano o inglese elementare. Come ti chiami. Quale problema. Quando è cominciato. Dimmi come stai.
Una donna sola davanti a quarantaquattro maschi in meno di tre ore, e non è mai visita sommaria. Ognuno è tastato, auscultato con attenzione.
Passa Ibra, disidratato con dolori allo stomaco. Alì, con una cisti sul naso da rimuovere. Richmond, con un’ernia inguinale. Franco, con una ferita al dito medio, che stringe i denti mentre gli fanno uscire pus come dentifricio dal tubetto. Daniel ha un piede mangiato dal diabete. Gli vedo l’osso nella ferita. Non lavora più, ma chiede l’elemosina, e quella ferita da ostentare è il suo unico capitale.
Dorme in un’auto abbandonata, una cuccia immonda, e non pensa al dopodomani.
Ogni volta che apriamo un barattolo di “pummarola”, sarebbe cosa buona pensare che in quel barattolo c’è la disidratazione di Ibra, l’ernia di Richmond, l’avitaminosi di Ahmed, lo sterno mezzo sfondato di George.
Ci sono chilometri di spine dorsali lesionate, il fango, la pioggia, e il sole implacabile del Sud. E le mosche, i veleni, le zanzare, i cani, i materassi sfondati, le prostitute a seguito di un esercito di uomini stremati.
Il naufragio dei barconi, i centri di raccolta e quelli che ci campano sopra, i carrozzoni della finta assistenza, e il nostro razzismo che cresce.
I caporali, i trasportatori della Camorra, un sistema produttivo dove pochi campano sulle spalle di molti, una grande distribuzione che strangola il contadino. Per un barattolo di pomodoro.
“Ho tenuto la mia bambina reclusa per mesi nella baracca perchè non vedesse l’orrore che c’era fuori”, racconta tra le lacrime un reduce del ghetto di Rignano.
C’è anche chi si porta la moglie e i figli all’inferno. E c’è chi tace, non svela i suoi aguzzini nemmeno se ha il corpo coperto di ferite da taglio.
E ci sono – raccontano i medici – storie come quella di una giovane africana senza nome, drogata e violentata dal branco fino ai limiti della medicina d’urgenza, capace a malapena di balbettare monosillabi. Da dove vieni? Non so. Come sei arrivata qui? Non ricordo. Come ti chiami? Non ne ho idea. Il capolinea della disumanizzazione.
L’Italia può essere peggio dell’Africa.
Tanti tornerebbero a casa. Ma non hanno i soldi per farlo. E se lo facessero, non oserebbero ammettere la sconfitta.
Alla Regione sembrano decisi a dire basta allo scandalo. Stefano Fumarulo, braccio operativo del governatore per la sanità e le migrazioni, annuncia uno smantellamento imminente in nome della dignità dei lavoratori.
Con quali alternative di alloggio? Ci sono Comuni spopolati che chiedono abitanti e sono disposti ad accogliere stranieri, aziende che cercano uomini capaci di mestieri disertati dagli italiani.
E intanto si sperimentano forme associative per strappare i migranti dalla tirannia dei caporali. Ma resta sempre il dubbio che, una volta fuori dai ghetti, questi stranieri escano anche dal sistema-lavoro e si vedano costretti a rientrarvi con mezzi ancora più precari.
“Senza una riforma della catena produttiva che imponga la tracciabilità , e senza una certificazione etica del marchio, come avviene per altri beni, questa bestialità non avrà fine”, dice con ferrea convinzione Yvan Signet, sindacalista partito dalle Malebolge di Rignano e uomo-simbolo della lotta per l’affrancamento dei lavoratori stranieri.
Uno che, non a caso, vive sotto minaccia da parte dell’intero caporalato pugliese.
“La cosa più grave è che non si prende atto che nei ghetti si sperimenta un tipo di sfruttamento perfettamente integrato nel sistema-Paese, uno sfruttamento che sta già ricadendo sugli italiani. Pensi alla donna morta di fatica quest’estate nei campi fra Taranto e Brindisi. Tutti sanno tutto, si fanno articoli e talk show, ma per questa gente non cambia nulla”.
Nelle quattro ore che siamo al Ghetto Ghana, da Cerignola non arriva anima viva. Come per un ordine silenzioso, gli “indigeni” stanno alla larga.
Nessuno aggiusta la strada, e nemmeno l’Asl passa la frontiera tra i mondi. Non si deve sapere, non si deve vedere.
Anzi, non si vuole vedere, perchè altrimenti l’imbroglio sarebbe chiaro e la verità intollerabile.
Quando torniamo a Bari – tre quarti d’ora di macchina dal ghetto di Cerignola – lo struscio in corso Vittorio è già iniziato. Fiumane di giovani ignari, incollati a telefonini accesi come lucciole nel buio. Sono lontani mille miglia dai ghetti.
E non sanno di essere destinati, forse anch’essi, ad appartenere a una manovalanza senza nome, in aziende senza patria che li sfrutteranno ottanta ore la settimana.
Francesco Di Gennaro, 28 anni, brillante specialista in malattie infettive con una forte esperienza in Mozambico per conto del Cuamm: “Questa potrebbe essere una regione simbolo del domani, un luogo dove sperimentare il futuro… Siamo o no la terra degli sbarchi? In Puglia potremmo capire come sarà il mondo fra trent’anni… e invece la gente si è chiusa nel suo tornaconto. Persino i giovani hanno smesso di chiedersi se questa è una società giusta o sbagliata”.
Paolo Rumiz
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
IL SUD CRESCE LA META’ DEL NORD MA HA PUNTI DI ECCELLENZA IN PUGLIA E CAMPANIA
Si fa presto a dire Pil. A guardare il solo dato numerico, l’Italia non avrebbe scampo. Secondo l’ultimo rapporto del Fondo Monetario, nel 2016 crescerà dello 0,8%.
Il che ci pone ultimi tra i paesi più industrializzati – a parte il Giappone – e sotto la media Ue (+1,7%).
Ma scomponendo il dato del Pil su base regionale, a seconda dell’andamento dei distretti industriali, nonchè al netto delle varie voci di spesa (famiglie e pubblica amministrazione), si scopre una realtà più complessa.
Con l’Italia che va meglio della Germania, da tutti presa a esempio per la sua crescita, prevista nel corso dell’anno all’1,7%, ma in calo all’1,5 nel 2017.
Regioni a due velocità .
In base ai dati aggiornati al luglio scorso, l’Italia si conferma a due velocità , con un Mezzogiorno che cresce della metà rispetto al Nord.
La regione leader per una volta non è la Lombardia (+1%), ma l’Emilia Romagna (+1,1%), in pratica ai livelli della Francia (+1,3%).
Fanalini di coda Calabria e Sardegna (+0,3%).
Ma anche il dato lombardo andrebbe scorporato: Milano e il suo hinterland si confermano tra le aree metropolitane più ricche d’Europa: secondo la Camera di Commercio, al quarto posto, alle spalle di Londra, Parigi e Madrid.
Il resto della regione soffre. “Ma si tratta di un rallentamento congiunturale – spiega Alessandra Lanza, partner dalla società di consulenza Prometeia – perchè la Lombardia è ricca di realtà votate all’export, in questo momento sofferenti per il rallentamento dell’economia mondiale. Saranno le prime a riagganciare la ripresa”.
Distretti contro la crisi.
La conferma di una Italia che cresce a macchia di leopardo arriva dai distretti industriali, fiore all’occhiello della manifattura. Nel secondo trimestre del 2016 – secondo l’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo – hanno cominciato a dare un primo segnale di ripresa le esportazioni (+0,2%); che diventa un +1,3% al netto dei distretti orafi che stanno risentendo del crollo della domanda di gioielli da parte dei paesi emergenti.
Tra i settori in crescita oltre all’agroalimentare, le ceramiche in Emilia, l’imballaggio nel bolognese, la termomeccanica a Padova e Verona. Bene anche qualche realtà del sud, come le conserve in Campania e l’elettromeccanica nel barese. Male sistema moda e metallurgia.
Meglio della Germania.
Ma secondo Marco Fortis direttore della Fondazione Edison “c’è una contraddizione tra il dato del Pil e le condizioni economiche complessive degli italiani migliorate, sia in termini di potere di acquisto, sia di reddito disponibile”.
Perchè allora l’Italia non cresce come la Germania? La differenza è data dai consumi della Pubblica amministrazione: dalla fine del 2014 al giugno scorso, in Germania è cresciuta del 5,4% e in Italia è calata dello 0,5%.
Al netto della Pa, la crescita cumulata del Pil italiano negli ultimi sei semestri sarebbe stata dell’1,3% e quello della Germania dell’1,4%.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
STORIE DI DIRITTO ALLO STUDIO NEGATO, MIGLIAIA DI ALUNNI NON POSSONO PARTECIPARE ALLE LEZIONI, MANCANO DOCENTI DI SOSTEGNO E ASSISTENTI
“Un dirigente scolastico mi ha detto di lasciare a casa mio figlio fino all’arrivo del sostegno”. “Nessuno vuole portare mio figlio in bagno quando ha bisogno”.
Le storie raccolte da ilfattoquotidiano.it dimostrano che il diritto a frequentare la scuola in Italia non vale per tutti.
Sono migliaia gli alunni e studenti con disabilità , sia fisica che psichica, che a un mese dall’inizio dell’anno scolastico non possono ancora partecipare alle lezioni insieme ai loro compagni di classe.
In totale gli studenti disabili quest’anno sono aumentati di 8.057, passando da 216.452 a 224.509. Questa crescita, che è un elemento positivo in vista di una piena inclusione scolastica di tutti i giovani con disabilità , in mancanza di investimenti adeguati per aumentare di pari passo anche il numero dei docenti di sostegno, rischia di peggiorare la situazione che danneggia chi non ha nessuna colpa.
L’assenza di assistenza personale in classe e di un trasporto adeguato purtroppo non è una sorpresa.
Non c’è solo il caso, già noto, della Lombardia, con la difficoltà di centinaia di famiglie con una figlia o un figlio disabile iscritto a scuola. I disagi si estendono su tutto il territorio nazionale, con criticità diverse sia a livello geografico, sia dei singoli istituti scolastici.
L’orario di frequenza in teoria è uguale per tutti, ma per i tanti alunni e studenti con disabilità si devono poi tener conto anche delle ore necessarie per il sostegno, delle ore che effettivamente vengono assegnate e che possono essere “coperte” da insegnanti specializzati e da educatori personali.
MILANO. Iniziare la prima elementare senza insegnante di sostegno, nè un banco funzionale
La storia di Maia è come quella di tanti altri bambini con bisogni “speciali” che si ritrovano all’inizio dell’anno scolastico senza sapere per quante ore al giorno potranno frequentare le lezioni insieme ai propri compagni di classe.
“Mia figlia — spiega Barbara Brusati a ilfattoquotidiano.it — si aspettava un appuntamento importante, denso di attese e tante emozioni. Come genitori, eravamo consapevoli che sarebbe stata una nuova sfida, perchè per noi è tutto un po’ complicato”.
Maia è una bambina di sei anni e mezzo, con un grave ritardo neuromotorio, tetraparesi spastica, e uno del linguaggio dovuto a un evento di anossia cerebrale (mancanza di ossigeno al cervello per qualche minuto, ndr) avvenuto a circa un anno di età per aver ingerito “in modo sbagliato” un pezzetto di mela.
“Già al primo giorno di scuola elementare, dopo le iniziali emozioni comuni a tutti gli altri genitori, è subentrata in noi tanta amarezza. Ci siamo ritrovati a dover gestire una situazione di disagio e difficoltà : la mancanza di tutte le ore di sostegno per coprire la frequenza scolastica di Maia (al momento sono state assegnate solo 12 ore di sostegno a settimana). Perchè non è possibile far frequentare in ugual modo tutti i bambini?” si chiede amareggiata la madre.
“A questo poi si è aggiunto il ritardo nell’assegnazione degli educatori, in quanto il Comune di Milano elargisce i fondi alle scuole successivamente all’inizio delle lezioni”, con la conseguente mancanza di assistenza alla persona, aiuto durante il pasto (Maia deve essere imboccata) e alla comunicazione (Maia non riesce a parlare, ma si esprime attraverso i simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa). “Dove sono tutelati i suoi diritti essenziali?”.
La frequenza a scuola di Maia si riduce notevolmente non potendo fermarsi per il pranzo, momento riconosciuto come importante per la socializzazione.
Cosa ancora più grave è l’assenza di un banco funzionale alle esigenze e ai bisogni della bambina con tetraparesi spastica, peraltro richiesto dai suoi genitori alla scuola già a maggio scorso, ben prima dell’inizio delle lezioni.
“Insomma, ogni anno, si ripropone la solita storia: la mancanza di fondi per garantire uguale diritti ai nostri figli con bisogni speciali ma proprio per questo più urgenti”.
“Maia nonostante tutto — racconta la madre — ci sembra serena e contenta di andare a scuola, è un’esperienza unica per favorire la relazione, l’autonomia, la conoscenza di cose nuove, di socializzare con figure nuove e con i compagni, che le offrono la possibilità di progredire, di acquisire nuove competenze. L’accoglienza da parte degli insegnanti nell’insieme è buona, cercano di compensare come possono le carenze che il Sistema scuola impone soprattutto nei confronti di queste situazioni. Tuttavia appare meno felice quando deve lasciare la sua classe prima del tempo, perchè per lei è finito il tempo a disposizione”.
Barbara riconosce di trovarsi sempre più in difficoltà a gestire queste situazioni che richiedono spesso di assentarsi dal lavoro per poter “assistere ai figli, fare salti mortali, arrabbiarsi per ottenere ciò che è di diritto, sentirsi abbandonati invece che accolti da un sistema che fatica a funzionare come dovrebbe. Vorremmo che non ci fossero più distinzioni tra bambini di serie A e di serie B, ma solo bambini, tutti con gli stessi diritti. E che non ci fosse più un Paese nel suo complesso che non investe nell’istruzione dei propri figli”.
CATANIA. “Il dirigente scolastico ha detto di lasciare a casa mio figlio fino all’arrivo del sostegno”
La campanella della scuola non suona per tutti. Un’altra situazione di forte disagio è quella di un ragazzo disabile quindicenne che frequenta un Istituto tecnico industriale a Catania.
“La vita dei disabili che desiderano frequentare la scuola in Sicilia è difficilissima. Ogni anno vediamo un diritto sacrosanto negato ai tanti ragazzi, compreso mio figlio, la cui unica colpa è avere bisogno di servizi indispensabili per stare a scuola come tutti”.
Queste sono le parole di Angela Rendo, madre del giovane (il cui nome ha chiesto di non divulgare, ndr) e vicepresidente dell’associazione 20 Novembre 1989, che ha lo scopo sociale di tutela dei diritti dei minori con disabilità , dei minori in condizioni di rischio sociale ed emarginazione e delle persone maggiorenni con disabilità , lavorando in particolare nelle città di Catania, Palermo e Messina.
“Le istituzioni continuano a parlare di inclusione scolastica e diritto allo studio, ma rimangono solo le parole. Sembra quasi che sia un favore elargire i diritti dovuti ai nostri ragazzi, come il sostegno a scuola, e sembra quasi che ciò che a loro è dovuto sia un privilegio concesso. Ma come si può tollerare tutto questo ancora?”.
Il figlio di Angela è nato con una malformazione anorettale, schisi sacrale (mancata saldatura di una o più vertebre) e problemi vescicali con un un solo rene. E’ anche affetto da una sindrome da regressione caudale e di recente gli è stata anche diagnosticata un’altra malattia genetica rara, la distrofia muscolare di Becker.
“Sono chiamata a spiegare a mio figlio — racconta Angela a ilfattoquotidiano.it — perchè deve rimanere a scuola solo poche ore e questo significa rimarcare la sua diversità , dopo anni che lotto per convincerlo che lui potrà avere una vita come tutti”.
Per il ragazzo, oltre a subire il problema più diffuso che riguarda l’assenza di un docente di sostegno fisso che possa garantirgli la continuità didattica negli anni, deve subire anche la mancanza di un assistente igienico personale, che lo porti in bagno almeno 1-2 volte al giorno.
“Qui in Sicilia il servizio di accompagnamento ai servizi per ragazzi non autonomi è svolto da Operatori socio-assistenziali (Osa) formati e retribuiti tramite cooperative sociali, servizio peraltro effettuato bene e con possibilità di scelta da parte delle famiglie. Il problema principale è però l’assenza di risorse economiche e fondi specifici per tanti servizi che stentano a partire.
Questa mansione dice la Regione dovrebbe essere svolta dal personale ATA come da legge nazionale con 40 ore di formazione, che però viene spesso disattesa. Ma a scuola, in realtà , se mio figlio ne avesse necessità non c’è nessuno in grado di poterlo ‘svuotare’, il personale ATA — che dicono debba essere formato — non è disposto neppure ad accompagnarlo alla porta del bagno. Purtroppo in Sicilia manca quasi tutto, dal materiale didattico per i non vedenti agli educatori domiciliari. Solo chi ha possibilità economiche vede riconosciuti i propri diritti”.
CASERTA. 16enne sordo senza assistenza alla comunicazione. “Così può perdere l’anno”
Stefano vive a Mignano Monte Lungo, in provincia di Caserta, e frequenta il terzo anno dell’Istituto Alberghiero di Vairano Scalo. Nato con una malformazione cardiaca, è stato operato alla nascita d’urgenza e ha subito vari interventi durante i suoi primi giorni di vita. All’età di un anno i suoi genitori vengono a conoscenza anche di una perdita dell’udito e a 7 anni è stato operato all’orecchio dove gli è stato applicato un impianto cocleare.
Attualmente Stefano riesce a parlare solo attraverso il linguaggio mimico-gestuale. “Gli specialisti ci hanno sempre detto di fare richiesta alla scuola per avere a disposizione un assistente alla comunicazione, oltre all’insegnante di sostegno, che purtroppo però — spiega sua madre Lucia Forgetta — tutt’oggi anche dopo diversi solleciti e richieste formali, tale figura non è ancora stata assegnata”.
“Le istituzioni mandano gli insegnanti di sostegno, i quali potrebbero essere anche i più bravi, (e sono ben pochi — precisa Lucia), ma se non hanno la specializzazione non riusciranno mai a svolgere bene il proprio lavoro, soprattutto con delle particolari disabilità si rischia soltanto di peggiorare la situazione e di non agevolare il difficile percorso di inserimento scolastico. Mi sono rivolta personalmente agli enti competenti, ma mi hanno sempre risposto che non hanno i fondi necessari, o addirittura “questo non è un problema nostro!” racconta la madre.
“Sono stanca, lotto da 16 anni per i diritti che spettano per legge a mio figlio, le norme ci sono ma non vengono messe in pratica. Il problema fondamentale è che senza la figura richiesta, e a causa di una programmazione differenziata che Stefano non dovrebbe svolgere, quest’anno rischia di non prendere l’attestato di qualifica e di non diplomarsi nemmeno in futuro”.
MILANO. “Il passaggio dalle medie alle superiori? Un disastro, ripartiamo da zero”
Un’altra vicenda di non adeguata inclusione scolastica nel capoluogo lombardo è quella di Matias Bonfrisco, ragazzo di 17 anni, che è diventato disabile il 30 novembre 2009 dopo che un “pirata” della strada gli ha rubato la vista e anche un pezzetto di cervello.
Mesi di coma e anni di ricovero a Bosisio Parini, provincia di Lecco, alla Nostra Famiglia Istituto E. Medea e in tanti ospedali, 42 interventi chirurgici di tutti tipi, mezzo cranio di titanio e una valvola lombo-peritonale. Mati — dice la madre Maria Bonfrisco — viene riconsegnato alla società , molto diverso di prima e con tanti handicap non solo fisici ma anche cognitivi.
La famiglia decide di trasferirsi a Milano per iscrivere Matias ad un Istituto Professionale per il commercio e il turismo, in cerca di un futuro migliore e di una possibilità di terminare il percorso di studio.
“Abbiamo scelto questa scuola soprattutto perchè garantiva alta qualità per il sostegno, con quasi 30 insegnanti dedicati in totale. Il numero, però, l’anno scorso è diminuito a 28 per seguire quasi 50 disabili, e quest’anno i docenti di sostegno sono stati tagliati a circa un terzo per 68 ragazzi con disabilità ”.
“Adesso mio figlio non ha un assistente personale che lo segue quotidianamente. In questo periodo i professori si sono organizzati per sistemare gran parte degli alunni con disabilità in una sala, cercando di seguirli tutti insieme, ma con un numero troppo esiguo di docenti. Ma questo non è certo inclusione scolastica e rispetto delle norme vigenti”.
Renato La Cara
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
A CAUSA DEI TAGLI DELLE EX PROVINCE VENGONO MENO ANCHE LE GARANZIE PER IL TRASPORTO E L’ASSISTENZA IN CLASSE… “MANCA UN DOCENTE SPECIALIZZATO SU TRE”
Aumentano gli alunni disabili ma gli insegnanti di sostegno restano sempre troppo pochi garantendo il rapporto di un solo docente per due alunni.
Non basta: secondo il sindacato Anief manca all’appello un professore specializzato su tre. E a questo si aggiunge il fatto che a causa dei tagli delle ex Province, anche quest’anno, sono venute a mancare le garanzie per il trasporto e l’assistenza in classe per molti disabili.
A quasi un mese dall’avvio dell’anno scolastico restano i problemi per le famiglie dei ragazzi in difficoltà che quest’anno sono aumentati di ben 8.057 unità passando da 216.452 a 224.509.
La maggior parte dei diversamente abili è alla scuola primaria dove se ne registrano 79.777 su un totale di 2.572.969 alunni.
Segue la scuola secondaria di primo grado con 65.227 ragazzi con difficoltà e le superiori dove diminuiscono a 61.880 su un totale di 2.626.674 studenti.
Alla scuola dell’infanzia il dato si ferma a 17.625 alunni con disabilità su un totale di 978.081: un numero basso a causa della mancata diagnosi negli anni precedenti alla scolarizzazione.
Problema che andrebbe preso in considerazione visto che spesso in queste classi non c’è un docente di sostegno nonostante la necessità reale solo perchè la disabilità non è ancora stata certificata.
Alunni e insegnanti: i numeri
Altro elemento sul quale riflettere è il numero di disabili per regione: la Lombardia è prima in classifica con 35.442 alunni disabili su un totale di 1.190393 ragazzi iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado. Segue la Campania che ha 909.010 allievi di cui 25.022 che necessitano del sostegno. In Sicilia ci sono 754.438 alunni in totale di cui 23.850 disabili mentre in Veneto su un numero complessivo di 604.299 alunni sono solo 15.701 quelli certificati.
Sul fronte insegnanti si è passati dai 117.000 dello scorso anno ai 124.572 che comprendono i 28.092 in deroga dove in alcune regioni del Sud sono spesso finiti insegnati senza la specializzazione per evitare il trasferimento al Settentrione.
Di questi 124.572 fanno parte anche i posti di potenziamento (al netto di quest’ultimi infatti i posti di sostegno sarebbero solo 1.126 in più.
Anche in questo caso è la Lombardia, logicamente, ad avere il maggior numero di insegnanti (16755) seguita da Campania (17.805) e Sicilia (13.224).
Da notare che rispetto alla serie storica dopo due anni di minimo incremento di docenti (nell’anno scolastico 2014/2015 erano 117.673, persino qualche unità in più del 2015/2016) quest’anno si è visto un leggero incremento. Interessante vedere, infine, che il focus del ministero dell’Istruzione non riporta, invece, alcun numero sui disabili presenti alle paritarie.
Intanto in tutt’Italia è il caos
A Pavia la Cisl ha denunciato la mancanza di 100 docenti di sostegno nelle scuole della città e della provincia: ad oggi questi posti sono occupati da docenti non abilitati che hanno accettato l’incarico per non restare senza lavoro.
A Bari nei giorni scorsi i genitori hanno protestato davanti la sede della presidenza della Regione per chiedere garanzie sul trasporto scolastico e l’assistenza specialistica nelle scuole.
A Milano il problema riguarda 500 studenti delle superiori: le casse della Città metropolitana sono vuote e il servizio di trasporto costerebbe almeno 3,4 milioni che nessuno ha intenzione di tirar fuori. Per ora solo Palazzo Marino ha deciso di occuparsi di una parte di questi. In Sicilia sono circa 2000 i disabili senza il servizio di trasporto e assistenza.
“In questi giorni abbiamo parlato con tanti genitori, molti di loro sono demoralizzati. Stanchi di trovarsi ogni volta a lottare con le istituzioni per ottenere quello che in realtà è un diritto dei loro figli: il diritto all’istruzione”, spiega Alberto Fontana della Ledha.
Le famiglie sono disorientate e frustrate dalla mancanza di informazioni e di collaborazione da parte degli enti territoriali.
Alcune, pur di garantire ai propri figli il diritto ad andare a scuola, sono disposte a pagare i tasca propria i costi per l’assistente alla comunicazione o l’assistenza ad personam.
Altre terranno a casa i propri figli in attesa di avere informazioni più precise, altre ancora ricorreranno alle aule dei tribunali.
Alex Corlazzoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 6th, 2016 Riccardo Fucile
SU COSA SI BASA, MODI E TEMPI DELLA DECISIONE
Che cosa contesta il ricorso sul referendum?
Prende di mira il quesito che troveremo sulla scheda. Dove ci chiederanno di approvare o no la legge «sul superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Secondo i ricorrenti, questo riassunto è fazioso e viola la legge 352 del 1970 sui referendum.
Cosa prescrive la legge?
La sostanza dell’art.16 è che nelle leggi di revisione costituzionale si dovrebbero elencare sulla scheda gli articoli da cambiare, indicandone il contenuto; per le altre leggi costituzionali, invece, è sufficiente specificare l’argomento cui si riferiscono. L’accusa dei ricorrenti (gli avvocati Giuseppe Bozzi e Enzo Palumbo, cui si sono uniti Vito Crimi per M5S e Loredana De Petris per Sel) è che la formulazione renziana non indica gli articoli uno per uno, come secondo loro avrebbe dovuto, e per spiegare il contenuto usa il titolo propagandistico della Boschi.
È un ricorso fondato?
Lo deciderà il Tar del Lazio, seconda sezione bis, presieduta dalla dottoressa Spanizzi. Il tribunale amministrativo deve anzitutto chiarire se è competente a decidere. Certi giuristi sostengono di no, che i ricorrenti hanno sbagliato indirizzo, avrebbero dovuto bussare invece alla Cassazione che già aveva messo il suo timbro sul quesito. Sennonchè la legge sui referendum (art.12) non prevede alcuna forma di ricorso in Cassazione, per cui Bozzi e gli altri non avevano altra possibilità che contestare l’intero decreto con cui il Presidente della Repubblica ha indetto il referendum. Per questo motivo si sono rivolti al Tar, correndo i rischi del caso.
Nella sostanza i ricorrenti hanno ragione?
Il governo tramite i suoi avvocati dirà di no, che pure in passato si era fatto così: tanto nel 2001 quanto nel 2006 la scheda non indicava gli articoli da cambiare ma semplicemente «il Titolo V», oppure «la seconda parte della Costituzione»: formulazioni che guarda caso corrispondevano ai titoli delle due riforme sottoposte a referendum. Sostiene il premier: noi ci siamo regolati esattamente allo stesso modo, inserendo il titolo della legge approvata dal Parlamento. Sottovoce, certi fautori del Sì riconoscono che c’è stato un po’ di furbizia; salvo aggiungere che la legge del 1970 non la vieta affatto, perchè la formulazione del famoso art. 16 è alquanto lacunosa. Prescrive semplicemente di specificare sulla scheda l’argomento cui la riforma costituzionale «concerne», ma non indica il modo in cui la riforma va sintetizzata. Renzi l’ha riassunta a modo suo, e per il Tar non sarà facile metterlo con le spalle al muro.
Quando la decisione?
La cattiva notizia: qualunque cosa il Tar decida, ci sarà un appello davanti al Consiglio di Stato. La buona notizia: diversamente da quella civile, la giustizia amministrativa procede in fretta. Già oggi a mezzogiorno è fissata la prima udienza.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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