Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
DAL RITORNO IN CAMPO A NIENTE COMIZI, IL DISIMPEGNO DALLA CAMPAGNA REFERENDARIA
Un alone di mistero avvolge la salute di Silvio Berlusconi: “Mi pare buona cosa che non si sappia nulla — dice Sestino Giacomoni, ombra del Cavaliere assieme a Valentino Valentini — il che significa che le informazioni restano riservate”.
Gli ultimi spifferi dicono che potrebbe rimanere a New York qualche giorno in più e rientrare alla fine di questa settimana perchè ha un po’ di incontri con imprenditori e per evitare un nuovo stress da volo.
La verità è che attorno alla “salute” di Berlusconi è in atto una grande operazione politica, per giustificare la grande assenza dalla pugna referendaria.
Non è il “raffreddore” di Cernernko di cui parlava il Cremlino, ma i periodici referti delle nebbie di Arcore si spiegano più con la sapienza politica che con la scienza clinica.
Ecco che, una settimana fa, da Villa San Martino trapelava che l’ex premier sarebbe rientrato in campo a metà novembre, per la conferenza programmatica; bagni di folla, selfie, strette di mano, comizio appassionato in una sala a trenta gradi: “sta bene”, “un quarantenne”, “tornerà più forte di prima”.
Ora trapela che i medici del Presbyterian Hospital, evidentemente più appassionati al referendum nostrano che alla competizione Trump-Hillary, si sono affrettati a prescrivere cautela e riposo, vietando bagni di folla, selfie, strette di mano, comizio appassionato in una sala da trenta gradi.
Ovvero ciò che la famiglia e i medici del San Raffaele avevano detto dal primo minuto. E cioè che il Cavaliere può fare una vita da “padre nobile”, sia per la politica sia per le aziende, che indirizza, si interessa, dispensa consigli, ma non può sottoporsi a stressa psico-fisici e certo non può lavorare 18 ore al giorno.
Adesso della conferenza programmatica, ribattezzata come il terzo Predellino, già nessuno parla più.
E Stefano Parisi, che troppo presto aveva immaginato per sè il ruolo di protagonista del “dopo”, ha già toccato con mano di essere solo l’ultimo di una serie di aspiranti leader che è rimasto incastrato nelle contorsioni del prima.
Più di un parlamentare ne ha raccolto gli sfoghi amari su Berlusconi, che lo ha “buttato in mezzo”, “bruciandolo” anzitempo.
E c’è un motivo se Matteo Salvini e Giorgia Meloni, usciti da Arcore la scorsa settimana, si sono chiesti “chissà quanto dura”.
Ecco che una settimana dopo si apprende che, mentre con una mano l’ex premier vergava il comunicato della guerra a Renzi, con l’altra aveva programmato il viaggio in America, proprio nei giorni del Ruby ter, dove i suoi avvocati hanno presentato una certificazione medica, per chiedere l’istanza del rinvio dell’udienza, come effettivamente avvenuto.
Nel giro degli avvocati legati all’ex premier a microfoni spenti più di uno parla di verifiche cliniche ad arte per evitare il processo.
In Parlamento c’è qualcuno che parla chiaro, a microfoni spenti: “È tutto molto semplice. Berlusconi sta come stava una settimana fa, ha solo avuto un lieve malore all’atterraggio perchè impaurito e stressato, solo che i controlli americani sono diventati l’alibi perfetto per le due cose che gli stanno a cuore: rinviare i processi e non mettere la faccia sul referendum”.
Insomma, la salute come legittimo impedimento su tutto, come un modo onorevole per congelare la storia, all’ombra dell’ultimo capitolo del conflitto di interessi: “Berlusconi — prosegue il parlamentare — vuole stare a guardare che succede. Parliamoci chiaro: se il sì vince di tanto, la vittoria è tutta di Renzi, se vince bene il no è tutta di Grillo, lui aspetta e prova a stare in partita o con una vittoria di misura del no o del sì, quando si aprirà la trattativa sulla legge elettorale”.
La salute, appunto, come politica.
Perchè prendere atto e ammettere che non potrà fare più comizi significherebbe aprire ufficialmente il dopo, anche nel suo partito.
Prolungare il gioco di cure, verifiche di salute, promesse di ritorno in campo, è comunque un modo per giocare da leader questo passaggio, anche alla guida di un partito im cui il cuore non batte più e dove i suoi elettori, per il 40 per cento, sono orientati a votare la riforma di Renzi.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
SI POTREBBE ANCHE ABOLIRLE, COSI’ DA CAPOLINEA A CAPOLINEA I MEZZI PUBBLICI VIAGGEREBBERO COME SCHEGGE
Un problema tipico dei mezzi pubblici nelle grandi città è la “velocita di crociera”, ovvero a quanti km/h è costretto a procedere un bus in mezzo al traffico metropolitano.
Tra ingorghi, auto parcheggiate in mezzo alla strada, mancanze di corsie preferenziali e vigili urbani in incroci a rischio, spesso si viaggia a passo d’uomo.
Molti comuni intervengono aumentando le corsie riservate e monitorando e perseguendo gli abusi di chi parcheggia a capocchia.
I Cinquestelle a Torino hanno trovato invece la soluzione: basta ridurre le fermate, la gente andrà a piedi, magari sotto la pioggia o in pieno solleone per qualche centinaia di metri e prima o poi troverà una fermata del bus, ma il mezzo pubblico andrà più veloce.
E’ questa la soluzione dell’assessorato alla Viabilità del Comune di Torino, guidato dall’ingegnera Maria Lapietra, come riporta La Stampa: “Abbiamo intenzione di rendere più efficienti e veloci le linee di tram e bus, abolendo delle fermate, per rendere più rapido il trasporto pubblico”.
Si partirà con la sperimentazione della linea 4, di cui si servono ogni giorno circa 100mila passeggeri.
L’obiettivo è tagliare le fermate che si trovano a 300 metri di distanza l’una dall’altra, quindi di fatto la distanza da una a quella successiva sarà di non meno di 600 metri.
Le fermate eliminate saranno «momentaneamente transennate, per capire se si fluidifica il servizio e se si aumenta la velocità », dice ancora Lapietra.
“L’obiettivo è velocizzare le corse, per agevolare i passeggeri e risparmiare un turno per gli autisti e utilizzare un mezzo in meno”.
Una scelta che, secondo l’assessora, risponde a un’esigenza di «razionalizzazione del servizio”.
In pratica per “agevolare i passeggeri” meglio farli andare a piedi.
Senza commento.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
INDISPENSABILI PER COMPENSARE LA RIDUZIONE DELLA POPOLAZIONE ITALIANA IN ETA’ LAVORATIVA… REGOLARIZZARE CHI HA UN LAVORO E LEGAMI FAMILIARI STABILI SUL MODELLO SPAGNOLO DEL “RADICAMENTO”
I canali d’ingresso legale per immigrati economici non funzionano. È questo il rischio che corre il nostro Paese.
A suonare l’allarme è un voluminoso rapporto firmato dai Radicali italiani.
Due le ricette messe in campo: permessi di soggiorno per ricerca di lavoro e corridoi umanitari d’ingresso
Il rapporto “Governance delle politiche migratorie” verrà presentato a Roma giovedì prossimo: duecento pagine che fotografano il pianeta immigrazione.
I numeri innanzitutto: i cittadini stranieri rappresentano oggi l’8,2% della popolazione, sono più giovani degli italiani e il loro lavoro vale l’8,7% del Pil.
Il loro tasso d’occupazione è superiore a quello degli italiani, ma gli sono riservati i lavori meno qualificati. Non solo.
Il nostro è il Paese che ospita gli immigrati con il più basso livello d’istruzione e il 48% di loro è a rischio povertà .
E ancora: 157mila l’anno è il fabbisogno d’immigrati, «indispensabile per compensare la riduzione della popolazione italiana in età lavorativa, per mantenere l’attuale forza lavoro e per rendere sostenibile il sistema previdenziale».
Peccato, però, che l’Italia rischi di trasformarsi in un incubatore di irregolari.
«Con un aumento del numero delle domande di protezione e un tasso di non riconoscimento che è giunto, nei primi sei mesi del 2016, al 60% – avverte Riccardo Magi, segretario dei Radicali italiani – è altissimo il rischio che decine di migliaia di persone non lascino il nostro Paese, ma vi rimangano pur impossibilitati a svolgere una regolare attività lavorativa, destinati al lavoro nero e allo sfruttamento ».
Che fare? I Radicali propongono l’addio alle quote e l’introduzione di un permesso di soggiorno per ricerca occupazione con garanzia di intermediari o sponsor privati.
E ancora: regolarizzazioni degli irregolari che hanno un lavoro e legami familiari stabili, sul modello spagnolo del “radicamento”.
Sul fronte rifugiati, si chiedono canali legali e sicuri d’arrivo in Europa per quanti necessitano di protezione internazionale.
Infine, si sottolinea: Paese che vai accoglienza che trovi.
Lo Stato che spende di più per l’accoglienza dei rifugiati (costo annuo pro-capite) è l’Olanda (24mila euro), seguita da Belgio (19mila), Finlandia (13mila) e Italia (12mila), mentre quello che spende meno è il Regno Unito (2,5mila euro).
«A causa del blocco delle frontiere europee e della massiccia identificazione negli hotspot – sostiene Magi – da Paese di transito siamo divenuti Paese di destinazione, tenuto a farsi carico non solo del riconoscimento dell’asilo, ma anche dell’accoglienza e dell’integrazione. La sfida sta nel trasformare tutto ciò in una opportunità , adottando politiche efficaci e efficienti basate su percorsi di autonomia, formazione, lavoro e capacità del territorio di includere. Una sfida epocale dalla quale le nostre città , l’Italia e l’Europa possono uscire vincenti o disintegrate ».
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
“SI ERA IMPEGNATA A TROVARE UNA SOLUZIONE ALTERNATIVA DIGNITOSA, NON HA FATTO NULLA”
«Oggi è la giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione, nata in ricordo del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui persero la vita 356 migranti. Noi siamo stufi di veder commemorare i morti da parte di chi non fa nulla per i vivi».
C’è rabbia nelle parole di Andrea Costa, tra i coordinatori della rete di supporto dell’ex centro Baobab di via Cupa a Roma, il presidio solidale per l’assistenza ai profughi creato da un gruppo di volontari e sgomberato venerdì dalla polizia.
Ieri, in una conferenza stampa, gli attivisti del centro, diventato uno dei pochissimi punti di riferimento per i rifugiati — soprattutto eritrei — a Roma, hanno spiegato «cosa la politica ha fatto, o meglio non ha fatto, per i migranti in transito nella capitale».
«L’ex Baobab andava chiuso, non era una situazione dignitosa nè tollerabile per persone in cerca di aiuto», ha detto Costa, «ma per trovar loro una sistemazione migliore. Invece, dopo lo sgombero forzoso, l’amministrazione capitolina non ha fatto niente, tranne mettere a nudo la sua inadeguatezza».
Le critiche dei volontari vanno tutte alla giunta cinquestelle
Al suo insediamento, a metà giugno, la sindaca si era impegnata a trovare una soluzione al problema dei migranti «entro una settimana».
Promesse non mantenute.
Come quelle arrivate dall’assessora alle politiche sociali, Laura Baldassarre: «Aveva assicurato la costruzione di una tendopoli, in aggiunta alle poche strutture offerte dal Comune, l’alloggio Caritas sulla Casilina e quelli della Croce Rossa. Ma il 9 settembre ha annunciato che non si poteva fare, perchè la Protezione Civile era impegnata con il terremoto di Amatrice».
L’assessore, ha aggiunto Costa, «ora ha dichiarato di aver trovato fondi per metter su un altro centro, anche se le soluzioni da noi proposte, come l’utilizzo del centro ittiogenico sulla Tiburtina, sono state scartate. Ci auguriamo che dall’amministrazione arrivi qualcosa di concreto»
In realtà , secondo i volontari, l’accoglienza e la tutela delle persone vulnerabili non sono una priorità per la giunta Raggi.
Invece «è indispensabile dare una risposta a una questione delicatissima, che merita di essere gestita con serietà e risorse adeguate».
Per ora, l’unica certezza è che 150 migranti, a cui l’ex Baobab forniva un minimo riparo, non hanno alternative alla strada.
Molti di loro erano ieri alla conferenza stampa. A ricordare con la loro presenza l’urgenza della realtà , molto lontana dalle parole delle cerimonie commemorative.
Irene Mossa
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
“AL FUNZIONARIO DEL MINISTERO PAGAVANO ESCORT IN CAMBIO DI FAVORI”
“C’è da mangiare per tutti, c’è da mangiare per tutti, non è che dici…”.
Il riferimento, per la Guardia di Finanza di Milano, è ai lavori nell’aeroporto internazionale di Malpensa. A parlare, emerge dalle carte dell’inchiesta dell’Antimafia di Milano su tangenti, ‘ndrangheta e subappalti in Lombardia che ieri ha portato a 14 arresti, è Salvatore Piccoli, imprenditore di origine calabrese, conversando con un altro imprenditore lombardo, Venturino Austoni.
Entrambi sono fra gli arrestati. Mentre oggi è emerso, fra gli indagati, il nome del funzionario del Ministero dello Sviluppo Economico Pierpaolo Tondo, accusato di aver ricevuto — dallo stesso Austoni — prestazioni di escort, viaggi e cene gratis in cambio di favori — “millantati” secondo gli inquirenti — presso l’Agenzia delle entrate.
“Abbiamo giocato sempre a carte scoperte Vento”, dice Piccoli ad Austoni, “mai fatto i furbi e mai niente… C’è da mangiare per tutti, c’è da mangiare per tutti, non è che dici…”, dice Piccoli.
Nell’intercettazione contenuta nell’ordine di custodia firmato dal gip Alessandra Simion, i due imprenditori parlano proprio del subappalto al centro dell’inchiesta, quello per il collegamento ferroviario tra Terminal 1 e 2 dell’aeroporto di Malpensa.
Piccoli spiega all’interlocutore che c’è “l’ok per poter inserire sia a noi che a voi”. Un altro degli arrestati, Pierluigi Antonioli, riferendosi ancora al subappalto dice: “E’ grosso questo (…) vale 100 e passa milioni”.
Quanto al funzionario Tondo, ex direttore amministrativo al ministero della Giustizia ed ex direttore tributario all’Agenzia delle Entrate di Milano, secondo l’accusa riceveva denaro, ma anche viaggi gratis a Milano con cene, albergo e escort.
Tondo è accusato di millantato credito insieme al presunto faccendiere bresciano Alessandro Raineri, anche lui tra le persone finite in carcere ieri.
Secondo gli inquirenti, Tondo, insieme a Raineri, avrebbe ricevuto dall’imprenditore Austoni denaro in contanti, viaggi gratis a Milano, vitto, compresi l’alloggio e prestazioni sessuali a pagamento.
Stando alle indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, Tondo si sarebbe meritato denaro e regali per “la propria attività di millantata pressione verso i funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Milano e Roma”, come emerge anche da alcune intercettazioni dell’aprile del 2015.
Stando all’imputazione, Raineri è stato aiutato proprio da Tondo per millantare “una capacità di influenza presso personaggi altamente qualificati delle Istituzioni con cui egli è realmente in contatto”.
Nell’imputazione, vengono elencati anche una serie di soggetti delle istituzioni, non indagati, e i cui nomi sarebbero stati utilizzati per le presunte millanterie: il generale di brigata della Gdf Fabio Migliorati, Carlo Visconti, magistrato e segretario alla Corte Costituzionale, Antonio Lucido, ex capo controlli e riscossione della Direzione regionale della Lombardia Agenzia delle Entrate, Francesco Paolo Tronca “all’epoca dei fatti prefetto di Milano” ed ex commissario straordinario a Roma, e altri due militari della Gdf.
Sempre stando all’imputazione, Raineri e Tondo per queste presunte millanterie avrebbero ricevuto da Zenga e Austoni “denaro e altre utilità ” come “pagamento di viaggi, soggiorni in albergo, cene e pranzi, prestazioni sessuali a pagamento“, come prezzo della loro “mediazione” millantata “verso i pubblici ufficiali”.
Raineri, tra l’altro, avrebbe utilizzato il denaro ricevuto anche “per l’organizzazione di cene e pranzi asseritamente necessari per coltivare tali relazioni millantate, nonchè per l’acquisto di monili e monete coniate dalla Città del Vaticano, procurate tramite conoscenze presso lo Stato Pontificio, col pretesto di comprare i favori dei pubblici ufficiali”.
Il presunto faccendiere, tra l’altro, come risulta ancora dagli atti, “si premurava di aggiornare telefonicamente Austoni del suo accesso quasi quotidiano presso ministeri, comando generale, Consulta, Città del Vaticano ed altre sedi istituzionali in modo da rafforzare, da un lato, l’idea che tali accessi fossero finalizzati a fare pressioni sui funzionari che sarebbero potuti intervenire a vantaggio di Austoni, dall’altro, a fare comunque vedere che aveva relazioni con persone importanti“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
TRA I VOLONTARI DELLA PROTEZIONE CIVILE SIRIANA SOTTO LE MACERIE DELLA CITTA’… TREMILA EROI CHE CERCANO DI SALVARE I BAMBINI
«Quando apro gli occhi non posso fare a meno di pensare che può essere l’ultimo giorno». Ismail Abdullah, 29 anni, prima dell’inizio della guerra insegnava inglese. Oggi fa parte dei «White Helmets», i Caschi Bianchi della Protezione civile siriana. Tremila eroi (ed eroine) che, come ha spiegato il giornalista della Bbc Ian Pannell, «fanno il mestiere più pericoloso al mondo, nella città più pericolosa del mondo».
Non passa giorno ormai che il mondo non parli di loro o che li guardi mentre tirano fuori dalle macerie della guerra i bambini: un documentario di Netflix, un lungo servizio della Bbc, immagini, post su Facebook e su Twitter.
In settembre i Caschi bianchi hanno vinto il Right Livelihood Award, il Nobel alternativo per la Pace.
È stata anche lanciata una petizione perchè ricevano il Nobel, quello vero, che ha raccolto oltre 100 mila firme.
E non sono mancati i divi di Hollywood, come George Clooney e Ben Affleck, che si sono mobilitati per sostenerli.
Ma per i Caschi bianchi quello che conta è salvare il numero più alto possibile di vite umane. «Quando sentiamo la terra tremare corriamo in soccorso, oppure ci avvertono via radio», racconta Ismail al Corriere, mentre la linea va e viene.
Ismail ora si trova ad Aleppo Est, nel bastione dei ribelli, quello che Assad e Putin additano come il covo delle milizie jihadiste.
«La chiamano la battaglia di Aleppo, ma sarebbe più giusto dire che è una guerra mondiale». Quando il regime e Mosca hanno ripreso i raid, i Caschi Bianchi sono tornati in strada, consapevoli di poter essere colpiti in qualunque momento. Il loro motto è «Umanità , Solidarietà e imparzialità ».
«I russi e il regime, hanno iniziato a usare le bunker busters», conferma Ismail. In arabo le chiamano al-qanabil al-irtijajiya, le bombe che scuotono perchè, quando cadono, la terra trema fino in profondità .
Sono progettate per distruggere i bunker ma, ad Aleppo, vengono impiegate per costringere i civili a sfollare e isolare i miliziani.
Il racconto di Ismail si sposta su WhatsApp: «Da tre mesi manca l’elettricità , da venti giorni non arriva niente da mangiare».
Minori, anziani, donne: nella parte orientale della città sono intrappolati 400 mila civili. Via Telegram e sulle chat si dà l’allarme, nel tentativo di far circolare le informazioni sulle zone colpite. «Appena sveglio controllo i gruppi e i messaggi».
Di notte si dorme pochissimo, sempre con l’orecchio teso e il terrore che possa di nuovo scatenarsi la furia.
«A chi mi chiede com’è la situazione ad Aleppo, rispondo che qui non c’è niente, solo la morte». P
oi i puntini di sospensione della chat rimangono lì, a galleggiare.
E la connessione cade.
Marta Serafini
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
ECCO COSA SCRIVEVA COLOMBAN NEL THINK TANK VICINO A CASALEGGIO… E QUALCUNO PENSA ANCORA CHE IL M5S COMBATTA I POTERI FORTI
Nelle chat del Movimento, quelli che storcono il naso per la sua nomina ad assessore chiave della giunta Raggi lo chiamano «comandante onorario della base militare (atomica) Usa di Aviano».
Ma forse, più che di ossessioni, farebbero bene a occuparsi della realtà : e la realtà è che Massimo Colomban, il nuovo assessore alle partecipate di Roma, da fondatore del Think Tank Group (il Ttg, il network di imprenditori e intellettuali a cui era vicino Gianroberto Casaleggio) scrisse di sua mano un programma molto chiaro, e per certi versi lapidario, su cosa bisognava fare delle multiutilities e delle società partecipate in Italia: azzerarle; vendendone nel contempo i servizi ai privati
La Stampa ha ritrovato due documenti, in archivi pubblici ma dimenticati, interessanti e inquietanti.
Il primo è un testo noto anche come «programma di Castelbrando», «intitolato Adesso basta! Diciamo stop».
Si tratta di un vero e proprio programma politico ante litteram del Movimento cinque stelle, sei pagine divise in quattro grandi punti che il Think Tank Group, il pensatoio di Confapri, offriva al Movimento come scheletro informale di leggi da spingere in parlamento.
Il testo, ci dicono nostre fonti, è farina del sacco del futuro assessore alle partecipate di Roma Colomban
Leggiamo al punto 3: «Diciamo basta alle migliaia di partecipate, concessioni, beni non valorizzati che spesso costituiscono un comodo rifugio e una sicura rendita ai politicanti trombati».
Il futuro assessore della Raggi e il TTG stimavano che in tutta Italia «sono almeno 300 mld (alcune stime arrivano a 500 mld) che potrebbero essere immessi sul mercato, quotati in maniera trasparente, riducendo il debito pubblico e quindi la spesa per interessi da 30 ad oltre 50 mld/anno».
Senza entrare nel merito di queste stime, l’idea di Colomban, che da oggi ha potere di indirizzo politico su Ama (l’azienda dei rifiuti) e Atac (dei trasporti), e parzialmente su Acea (dell’acqua), era chiara: vanno azzerate, «privatizzate» (la parola è adoperata in un secondo documento), quotate sul mercato in modo tale da liberare risorse per i privati.
Non pare che i poteri romani attivi tra rifuti, trasporti e energia, se ne debbano dolere, anzi. E i lavoratori? I dipendenti delle partecipate romane, Ama e Atac
Quelli, spesso vere constituencies elettorali del Movimento a Roma, vanno salvati e assistiti eccome. Ma in che modo?
Qui subentra il pensiero della Raggi, espresso in uno scambio avvenuto a fine 2015 sul suo profilo facebook tra la candidata, già prescelta con telefonata da Casaleggio, e Roberto Motta, il capo degli espulsi M5S, ora rientrato dopo l’ordinanza del tribunale di Napoli che ha invalidato le espulsioni.
Motta chiede alla Raggi: «Virginia, spiega bene cosa vuoi farne delle municipalizzate… Modello Livorno e licenziamenti per tutti… Niente Cig (cassa integrazione)), solo reddito di cittadinanza…».
La risposta di Raggi è sostanzialmente un sì: «Il modello di Livorno lo stiamo studiando. Il concordato in continuità , mantenendo i dipendenti e licenziando i dirigenti assunti a chiamata dal Pd senza alcun motivo, non mi pare male».
Tutto chiarissimo, insomma: basta Ama e Atac.
Ma quale privato accetterà di ereditare, oltre a business succulenti, anche un numero pletorico di dipendenti ipersindacalizzati (spesso elettori M5S)?
O servirà la creazione di qualche non proprio entusiasmante bad company?
Jacopo Iacoboni
(da “la Stampa”)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
ATTACCATI ALLA POLTRONA: LA DIFESA CHIAMA 400 TESTIMONI PER TIRARE ALLE LUNGHE IL PROCESSO, LA SENTENZA NON PRIMA DI UN ANNO… ECCO TUTTE LE SPESE CONTESTATE
Un maresciallo con una bacchetta indica i dettagli di una ricevuta dell’Antica osteria della Castagna, proiettata su uno di quei maxi-schermi da diapositive che andavano tanto negli anni ’80: un forfettone da 50 coperti, e va già bene se non si dibatte sui singoli spaghetti allo scoglio e sul loro condimento.
A Genova inizia un processo che incrocia spettacolo, attesa e pure la prospettiva d’incidere in tempi più o meno brevi.
È l’affaire spese pazze, gli acquisti folli (e molto privati) che i componenti del consiglio regionale ligure fecero con i soldi destinati all’attività politica fra 2010 e 2015, esibendosi in un florilegio di cene, aperitivi, pranzi e varianti assortite compreso il cibo per gatti, i vini francesi e i parrucchieri e i giocattoli per i figli e insomma: quasi ogni prodotto dello scibile umano è stato pagato almeno una volta dai contribuenti ai loro rappresentanti, prima che ci si mettesse una pezza fissando paletti un po’ più decorosi.
Da destra a sinistra
Il colpo di teatro si materializza quand’è chiaro come si svolgeranno le udienze, sottoforma d’interminabile proiezione delle gigantografie degli scontrini stessi, sistema scelto dal tribunale per raccapezzarsi nel gaudente ginepraio dei nostri (in molti casi ex) amministratori.
E poi non va dimenticato che a giudizio ci sono tre consiglieri – i leghisti Francesco Bruzzone ed Edoardo Rixi, oltre a Matteo Rosso di Fratelli d’Italia – che in caso di condanna sarebbero sospesi per la legge Severino.
Gli addetti ai lavori più lucidi indicano nella metà dell’anno prossimo il periodo più papabile per il verdetto, al netto delle circa 400 testimonianze richieste dai difensori, nelle quali non pare così malevolo cogliere qualche intento dilatorio: il giudice le ha ammesse per il momento tutte, riservandosi la facoltà di scremare nei mesi a venire.
Resta il fatto che i liguri da ieri possono ripassare, se non ne sono già saturi, l’overdose di tavolate che per un paio d’anni almeno aveva evidentemente surrogato il dibattito.
A processo sono finiti in 23, tutti accusati di peculato e falso ancorchè le somme addebitate a ciascuno siano parecchio variegate.
Oltre a Rixi, Bruzzone e Rosso è quindi alla sbarra un robusto gruppo di ex consiglieri, in carica nella penultima legislatura: Michele Boffa, Massimo Donzella e Nino Miceli (Pd); Raffaella Della Bianca (passata al Gruppo misto e poi tornata in Forza Italia); Franco Rocca e Alessio Saso (Ncd); Rosario Monteleone e Marco Limoncini (Udc); Aldo Siri (Lista Biasotti); Ezio Chiesa e Armando Ezio Capurro (Noi con Burlando); Matteo Rossi (per quasi tutto il mandato in Sel); Alessandro Benzi (da Sel al Gruppo misto); Giacomo Conti (Federazione della sinistra); Luigi Morgillo, Marco Melgrati e Roberta Gasco (Forza Italia); Stefano Quaini e Marylin Fusco per la militanza in Diritti e Libertà (accusa aggiuntiva a quella per il periodo trascorso nell’Idv).
Dalla lista iniziale di 25 nomi (qui le loro richieste di rimborso ) sono stati esclusi Mario Amelotti (ex contabile del Pd), prosciolto perchè il fatto non sussiste, e Maurizio Torterolo (Lega Nord), che ha patteggiato 2 anni .
Per chi ama i dettagli ecco l’imponente elenco, voce per voce, delle spese pazze contestate, imputato per imputato.
http://www.ilsecoloxix.it/r/IlSecoloXIXWEB/genova/allegati/Audio%2023febb/Spese_Pazze_elenco_completo.pdf
(da “il Secolo XIX”)
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Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
LE CASE PROVVISORIE COSTANO PIU’ DEGLI EDIFICI NUOVI, LA PROTEZIONE CIVILE HA UN MODELLO CHE FAVORISCE LO SPERPERO
C’è una domanda che Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, dovrebbe fare a Fabrizio Curcio, capo nazionale della Protezione civile: «Perchè nel 1997 bastarono quarantacinque giorni per dare un tetto provvisorio a oltre tremilaquattrocento persone, dopo il terremoto di Marche e Umbria e oggi servono sette mesi per 2.304 sfollati?».
La stessa questione riguarda perfino noi contribuenti, se teniamo davvero ai principi dell’articolo 97 della Costituzione sul buon andamento della pubblica amministrazione.
Ma non solo i tempi di intervento si sono paurosamente dilatati da allora, con un salto del 366 per cento. Anche i costi sono letteralmente esplosi.
Il dopo-terremoto 2016 ha già imboccato la strada lastricata d’oro (per pochi imprenditori) che aveva guidato l’emergenza a L’Aquila nel 2009: cioè la via dello spreco, già pesantemente sanzionata dalla Commissione di controllo del Parlamento europeo sui bilanci Ue e dalla Corte dei conti europea (Special report 24/2012), dopo che l’Unione ci aveva rimesso svariate centinaia di milioni.
Perchè, come vedremo, ciascuna casetta di legno che costruiranno ad Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto la pagheremo perfino più di quanto in Abruzzo ci era costata la Protezione civile di Guido Bertolaso, l’ex capo dipartimento che si avvia felicemente alla prescrizione dei processi penali che lo riguardano.
Questione di giorni.
Il prezzo al metro quadro per i moduli abitativi provvisori che la Protezione civile sborserà è infatti di 1.075 euro (contratto Consip del 25 maggio 2016 per “fornitura, trasporto, montaggio di Sae – soluzioni abitative in emergenza”).
Il costo supera il valore di tutti i tipi di edifici nuovi e in muratura nella provincia di Rieti e nella zona di Amatrice prima del terremoto: 990 euro al metro quadrato un appartamento, 840 una casa di edilizia economica, 1.000 una villa.
Quotazioni immobiliari che nei paesi subito al di fuori dell’area del disastro scendono a 790 euro al metro quadro per un appartamento, 740 per una casa economica, 840 per una villa in ottime condizioni (dati Agenzia del territorio).
Ecco quindi una seconda domanda che il sindaco Pirozzi potrebbe porre al capo dipartimento Curcio, ma anche al ministro dell’Economia, Gian Carlo Padoan: lo Stato può pagare una casa di legno provvisoria in proporzione il 28 per cento in più di una villa di lusso?
Stando così le cifre, è difficile ricavare benefici dalla gara d’appalto organizzata attraverso Consip, la centrale acquisti del ministero dell’Economia.
Il valore della fornitura stabilito da Consip per la prenotazione preventiva di diciottomila “soluzioni abitative in emergenza” è infatti di un miliardo e 188 milioni di euro: i contratti, firmati il 25 maggio di quest’anno e suddivisi in tre lotti, sono stati vinti da aziende legate alla Lega Coop, riunite intorno al “Consorzio nazionale servizi” di Bologna, lo stesso attraverso cui l’imprenditore romano arrestato, Salvatore Buzzi, si era garantito alcuni appalti di “mafia Capitale”.
Ad Amatrice fornitura, trasporto e montaggio di ciascuna Sae, così sono state rinominate le casette di legno, ci costerà 66 mila euro Iva esclusa, più i costi di esproprio dei terreni, le opere di urbanizzazione, gli allacciamenti, eventuali urgenze. Perfino più del prezzo stabilito in Abruzzo dalla Protezione civile di Bertolaso.
Perchè nella cifra del 2009 l’Iva era compresa: 68mila 559 euro per ciascuna delle 3.473 casette, allora chiamate Map.
I costi di oggi condizionano inesorabilmente il nostro futuro. E soprattutto il domani degli sfollati.
Come hanno evidenziato sia la Commissione di controllo sui bilanci Ue sia la Corte dei conti europea, ogni spesa inutile, eccessiva o fuori norma durante le emergenze sottrae importanti risorse economiche alla ricostruzione e alla prevenzione dei disastri. Concetti che il capo dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, e il suo vice, Angelo Borrelli, certamente conoscono.
Curcio per essere stato dal 2007 al 2008 responsabile della segreteria personale di Guido Bertolaso e dal 2008 al 2012 capo dell’ufficio gestione delle emergenze. Borrelli per aver ricoperto dal 2003 al 2010, sempre sotto la direzione di Bertolaso, gli incarichi di coordinatore dell’ufficio amministrazione e finanza, dell’ufficio bilancio e risorse umane e poi dell’ufficio amministrazione e bilancio.
Ma anche per aver firmato, il 25 maggio scorso, i tre contratti sulle casette che impegnano lo Stato con le Coop per i prossimi sei anni in caso di calamità per un miliardo e 188 milioni. Ed è una spesa che non si esaurisce con la firma.
Le case prefabbricate scelte da Curcio e Borrelli e dai loro consiglieri tecnici provocano uno strascico di costi incontrollabili, come il terremoto 2009 in Abruzzo insegna: dagli indennizzi per gli espropri dei terreni alla spesa per le piattaforme di cemento armato su cui costruire i quartieri di legno, dalle opere urbanistiche definitive all’inutile distruzione di territorio. Fino alla desertificazione dei paesi.
Con gli interventi imposti dalla Protezione civile a L’Aquila e in provincia, migliaia di sfollati sono stati trasferiti su terreni isolati. E i centri storici si sono spopolati. Anzi, sono finite le risorse che avrebbero dovuto stimolarne la ricostruzione e l’orologio non si è più mosso dall’ora della scossa.
In altre parole, le casette provvisorie sono diventate definitive. Ed è proprio quanto sostiene la Commissione Ue per il controllo dei bilanci.
Così è scritto nella relazione del 2013: mette sotto accusa l’uso dei 493,8 milioni del fondo europeo di solidarietà nella costruzione dei condomini in cartongesso del progetto “Case”, perchè si tratta di opere definitive e non di emergenza, e delle casette di legno “Map”, per la scarsa qualità dei materiali forniti, in alcuni casi tossici, e gli errori di realizzazione che hanno già provocato qualche incendio.
Ad Amatrice e dintorni gli abitanti rischiano lo stesso destino.
Perchè sulla carta l’epoca di Bertolaso è terminata. Ma Curcio e Borrelli continuano in buona fede ad applicare i suoi piani.
Modelli che servivano da vetrina al governo di Silvio Berlusconi. E ancora oggi obbligheranno lo Stato ad affrontare costi altrimenti evitabili.
A cominciare dai trasferimenti in albergo sollecitati in questi giorni in vista dell’inverno, fino al “contributo di autonoma sistemazione”: 600 euro al mese a famiglia, somma che nei paesi risparmiati dal terremoto nelle province di Rieti e Ascoli equivale al canone mensile per affittare non uno ma contemporaneamente tre appartamenti di 80 metri quadri (dati Agenzia del territorio).
L’alternativa praticabile è ancora scritta nei fascicoli sul terremoto 1997, depositati negli archivi delle amministrazioni regionali di Umbria e Marche e negli armadi romani della Protezione civile.
Un protocollo applicato più volte dal dipartimento allora guidato dal vulcanologo Franco Barberi. E subito stravolto con l’arrivo di Bertolaso.
A differenza di quanto è avvenuto in Abruzzo, è un modello totalmente in linea con le direttive di impiego dei fondi di solidarietà dell’Unione europea che dal 2002 a oggi (Amatrice esclusa) ha stanziato per le calamità italiane un miliardo e 246 milioni (di cui 493,8 in Abruzzo e 670,2 in Emilia per il terremoto 2012). È il record europeo: la Germania, seconda, si è fermata a 610,9 milioni.
Nell’emergenza Umbria-Marche il 26 settembre ’97, la magnitudo della scossa più forte fu di 6,1, non molto superiore all’intensità del 24 agosto ad Amatrice.
«Anche se il numero delle vittime si fermò a undici, avevamo ventimila sfollati», ricorda Piero Moscardini, allora coordinatore del centro operativo misto di Nocera Umbra.
Una vita trascorsa nei vigili del fuoco, poi nella Protezione civile nazionale e una voce sempre critica del modello Bertolaso: «In appena tre mesi a Nocera furono predisposte 37 aree su cui furono posizionati 126 moduli sociali e 941 moduli abitativi per 852 famiglie e un totale di 2.132 persone. Lo stesso fecero gli altri Comuni. Tutti sistemati in tre mesi, non in sette. E se consideriamo l’intero territorio coinvolto dai crolli, bastarono quarantacinque giorni per togliere dalle tende le prime tremila persone. Più di quante oggi attendono una sistemazione nell’area di Amatrice. Vorrei sottolineare il periodo: quarantacinque giorni. Se non mi crede, ecco qua lo stato dei lavori all’11 novembre 1997», conclude Moscardini e mostra la tabella.
La rapidità di intervento di quella Protezione civile era dovuta all’impiego di moduli abitativi trasportabili come container: piccoli appartamenti mobili e riutilizzabili che non richiedevano espropri, varianti al piano regolatore, permessi a costruire o piattaforme in cemento armato.
Conclusa l’emergenza, le aree occupate ritornavano al loro impiego precedente: parcheggi, campi sportivi, terreni coltivati.
Invece lo staff di Bertolaso se ne liberò dandone qualcuno alle Regioni e lasciando marcire migliaia di moduli nel deposito dell’esercito a Capua, in provincia di Caserta. Oggi l’evoluzione nella produzione mette a disposizione case mobili su ruote: si parte da dodicimila euro a chalet per strutture pronte all’uso in 48 ore.
Una soluzione contemplata dalla legge, che affida alla Protezione civile soltanto opere provvisorie. Ma non dai protocolli del dipartimento nazionale.
La confusione in materia è evidente sul sito istituzionale: «È possibile realizzare moduli abitativi con struttura prefabbricata in cemento armato?», chiede un imprenditore in merito alla fornitura delle casette di legno.
«La struttura portante potrà essere realizzata in qualunque materiale scelto dal fornitore… Si conferma pertanto la possibilità di realizzare i moduli abitativi con struttura prefabbricata in cemento armato», risponde il dipartimento, esponendo gli sfollati a qualunque materiale, scelto da chi vende e non da chi compra: quindi anche polistirolo, gommapiuma, truciolare scadente, esattamente come a L’Aquila.
Mentre il cemento armato provvisorio proposto per Amatrice è un ossimoro strutturale ancora ignorato dalla normativa edilizia.
Basta una visita a San Giuliano di Puglia, paese della strage di bambini nella scuola crollata con la scossa del 2002, per verificare cosa succede alle case di legno provvisoriamente fisse: usciti gli sfollati, cadono a pezzi perchè costerebbe troppo smontarle e rimetterle a disposizione per una nuova emergenza.
Sempre seguendo il modello Bertolaso, sui conti pubblici già provati dal disastro si abbatte poi il cataclisma degli espropri.
In Abruzzo per far posto a “Map” e “Case”, le ordinanze di protezione civile hanno requisito 24mila particelle catastali caricando sui cittadini un costo aggiuntivo di 215 milioni.
Tre anni dopo il terremoto, gli interessi legali sugli indennizzi non ancora pagati facevano lievitare la spesa al ritmo di 700 mila euro al mese. Un regalo alla Curia e ai latifondisti aquilani, proprietari di terreni agricoli pagati dallo Stato come fossero edificabili. Ma non è bastato ad aumentare la guardia.
Il report interno della Protezione civile “Assistenza alla popolazione – ore 12 del 21 settembre 2016”, informa che per 2.672 sfollati alloggiati in tenda nelle quattro regioni interessate e 967 volontari in servizio sono tuttora allestiti 7.467 posti: cioè un totale di 3.828 letti fantasma.
È comprensibile che nelle prime ore si muovano più forze del necessario: ma dopo un mese dal 24 agosto è giustificabile che la Protezione civile le lasci sul posto, con i relativi costi per le indennità di missione?
Il record è della Regione Lazio: 558 volontari con rimborsi di circa 103 euro al giorno a persona per appena 796 ospiti alloggiati su 2.045 posti tenda. Quasi un assistente per ogni assistito.
Saremo pure indietro nella prevenzione antisismica: ma nello spreco di soldi pubblici, non ci batte nessuno.
Fabrizio Gatti
(da “L’Espresso”)
argomento: denuncia | Commenta »