COSI’ IL FISCO HA FATTO LO SCONTO A TRONCHETTI PROVERA E COSSUTTA JR
IN BASE A UN ACCORDO CON LA SOCIETA’ PARTECIPATA HANNO PAGATO 61 MILIONI DI TASSE INVECE DI 883
«Io sono amico della signora Rinascente». In “Così parlò Bellavista”, con questa battuta un cliente attempato provava a convincere la caporeparto della storica catena commerciale a concedergli uno sconto.
Ma nella pellicola di Luciano De Crescenzo la risposta dell’impiegata era perentoria: «Non esiste nessuna signora Rinascente!».
E invece agli inizi degli anni Duemila, per quasi un lustro, un signor Rinascente è esistito eccome.
Rispondeva al nome di Dario Cossutta, il figlio del più filosovietico dei comunisti italiani, Armando, il grande antagonista di Berlinguer dentro al Pci.
Nel 2005, il fondo di investimento che a Cossutta junior fa riferimento – la Investitori associati – aveva messo insieme una cordata riunita nella società Tamerice srl per acquistare ciò che restava degli storici marchi Rinascente e Upim.
Del gruppo facevano parte anche la Pirelli Real Estate di Tronchetti Provera e una società lussemburghese.
Un affare, soprattutto immobiliare, che sfiorava il miliardo di euro su cui Cossutta, Tronchetti e company sono riusciti a pagare un’inezia di tasse.
Grazie a un maxi sconto fiscale concordato con l’Agenzia delle entrate.
Il sistema di elusione messo in piedi è stato scoperto dagli investigatori della Guardia di finanza nel 2008.
Successivamente l’Agenzia delle entrate aveva quantificato i mancati versamenti al fisco da parte della cordata in una cifra colossale: 883 milioni di euro.
La Tamerice srl è stata perciò condannata a pagare dalla commissione tributaria della Lombardia sia in primo grado che in secondo grado.
Poi si è arrivati alla transazione. E qui c’è la grande sorpresa. Secondo il documento di cui “l’Espresso” è entrato in possesso, l’Agenzia ha praticato a Tamerice uno sconto del 93 per cento.
Doveva, cioè, incassare 883 milioni di euro, ma si è accontentata di appena 61 milioni.
«Il denaro di per sè non si crea nè si distrugge», diceva Gordon Gekko, il protagonista del film “Wall Street” di Oliver Stone, «semplicemente si trasferisce da una intuizione ad un’altra, magicamente».
Principio che la Investitori Associati ha applicato anche in altre occasioni.
Il private equity, infatti, si è distinto pure per un’altra operazione finita malissimo. Ne sanno qualcosa le decine di migliaia di azionisti di Seat Pagine Gialle.
La società era stata acquistata nel 2003 dalla Investitori Associati e da altri due fondi di investimento. Ma nella proprietà la cordata di cui faceva parte anche Cossutta ci restò giusto il tempo di distribuirsi 3,6 miliardi di euro di dividendo, realizzato indebitando mortalmente Seat Pagine Gialle.
In Borsa il titolo divenne carta straccia e molti piccoli azionisti si ritrovarono sul lastrico
Non sarà l’unica magia finanziaria compiuta da Investitori Associati.
Due anni dopo, infatti, parte l’operazione Rinascente-Upim. La Fiat era in crisi e aveva bisogno di liquidità , per questo decise di vendere la sua quota di partecipazione dentro Rinascente, che gli consentì di mettere a segno una plusvalenza da oltre 600 milioni di euro.
All’epoca Rinascente-Upim era un gruppo in buona salute: registrava un fatturato di 6,6 miliardi di euro, aveva oltre 35 mila dipendenti, 1850 sedi e uno dei patrimoni immobiliari più invidiabili d’Italia, con palazzi storici situati nelle zone più lussuose di quasi tutte le città della penisola.
È su questo patrimonio che mise gli occhi Tamerice srl, una società costituita ad hoc di cui all’epoca la Investitori Associati deteneva il 32 per cento, la Pirelli Real Estate il 20 e un fondo lussemburghese, Goib Luxembourg Three sarl, il 32.
Per comprare La Rinascente Spa Tamerice srl versò 880 milioni di euro, di questa somma, però, 750 milioni furono prestati da un gruppo di banche che finanziarono l’operazione.
Un acquisto, quindi, fatto quasi interamente a debito. Ma qui interviene l’intuizione alla Gordon Gekko per moltiplicare i profitti.
La Rinascente Spa aveva una controllata, la Rinascente Upim spa che valeva circa 90 milioni di euro. Tamerice decide di comprarla, sborsando una cifra ben sette volte superiore al reale valore di mercato.
E anche in questo caso è lo stesso gruppo di banche che concede il finanziamento.
La società alla fine versa 865 milioni nelle casse della Rinascente Spa, che in questo modo, registra una super plusvalenza da 768 milioni di euro.
Ma all’epoca Rinascente Spa era interamente di proprietà di Tamerice srl. E infatti, poche settimane dopo, è lì che tornano tutti i soldi, sotto forma di dividendi.
Il denaro, dunque, rientra da dove era uscito. Il motivo di questa alchimia finanziaria è presto spiegato: dal momento che le plusvalenze sono frutto di operazioni infragruppo, non viene pagato nemmeno un euro di tasse.
Tamerice incassa così il maxi dividendo e il fisco non può che stare a guardare.
Tuttavia il capolavoro non è ancora compiuto. Subito dopo aver spostato tutti gli immobili nella partecipata Rinascente Upim, Tamerice srl si libera di Rinascente spa.
La vende però a poco più di 90 milioni di euro, dopo averla comprata a 880 milioni di euro. Realizza così un minusvalenza enorme, che ammortizzerà non pagando le tasse su tutti gli ulteriori profitti raccolti dalla vendita dell’immenso patrimonio immobiliare del vecchio gruppo Rinascente Upim.
“L’Espresso” ha contattato l’Agenzia delle Entrate per un commento tecnico sull’accordo. «Non siamo autorizzati a rilasciare dichiarazioni su casi particolari», è stata la risposta. Mentre il manager Cossutta, contattato tramite Investitori Associati, non ha risposto.
Che i registi dell’operazione fossero disinteressati a far andare avanti lo storico marchio, ma intendevano soltanto realizzare una speculazione immobiliare, i lavoratori lo avevano intuito subito.
«Non riteniamo malizioso», spiegava all’Unità il 14 maggio 2006 Marco Marroni, segretario nazionale Uiltcs, «temere che l’obiettivo sia quello di ripulire il conto economico, attraverso iniziative brutali come le chiusure e i licenziamenti, per poi rivendere l’azienda e nello stesso tempo vendere i negozi di proprietà ».
È quello che poi è accaduto: nel giro di qualche mese viene annunciata la chiusura di 14 punti vendita e il licenziamento di quasi 500 persone.
In pochi anni ciò che rimane della parte operativa viene dismesso e i gioielli immobiliari venduti al maggior offerente.
A rimetterci da questa intricata vicenda, dunque, non solo i lavoratori di Upim e Rinascente ma anche i contribuenti italiani.
Perchè grazie allo schema di ingegneria fiscale messo in piedi, Tamerice e la cordata che l’ha sostenuta sono riusciti a versare solo gli spiccioli al signor Fisco.
Giorgio Mottola e Giovanni Tizian
(da “L’Espresso“)
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