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COSA SONO I NUOVI MISSILI MLRS E M142 CHE GLI USA STAREBBERO PER FORNIRE A KIEV

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

SONO MISSILI AVANZATI A LUNGO RAGGIO SUPERIORI A QUELLI RUSSI E POSSONO COLPIRE A 300 KM CONTRO I 50 DEI RUSSI .. POTREBBERO FARE LA DIFFERENZA

Il conflitto militare potrebbe essere a un punto di svolta.
Se trovassero conferma le indiscrezioni lanciate dalla Cnn, secondo le quali l’amministrazione Biden si starebbe preparando a potenziare il tipo di armi da fornire all’Ucraina inviando sistemi missilistici avanzati a lungo raggio, probabilmente si entrerebbe in una fase nuova di questa guerra.
Una fase i cui epiloghi lascerebbero molte più incertezze, che poi sono le stesse che fino a oggi hanno rallentato ogni decisione della Casa Bianca.
Gli Stati Uniti sarebbero pronti a fornire nuove armi all’esercito ucraino. Fra queste i lanciarazzi a lunga gittata Mlrs e gli M142 Himars. Si tratta di armamenti che fino a oggi non sono entrati in questo conflitto, superiori per potenza di fuoco, gittata e mobilità anche a quelli utilizzati dai russi. Si tratta di lanciarazzi capaci di esplodere una massiccia potenza di fuoco (quindi più razzi contemporaneamente) a distanze 10 volte più lunghe degli armamenti attuali.
Sia gli Mlrs che gli M142 Himars (molto simili, solo che i primi sono cingolati mentre i secondi sono montati su gomma), hanno un raggio d’azione di 300 chilometri.
Potenzialmente, dunque, l’Ucraina si troverebbe nella condizione di colpire obiettivi russi all’interno del territorio russo.
Attualmente l’esercito Ucraino si sta difendendo con armamenti a bassa gittata: missili anticarro Javelin, missili antiaerei Stinger, Howitzer M777. Dispositivi in grado di colpire obiettivi a corto raggio (20-25 km). E questo avvantaggia palesemente l’esercito russo, che grazie a lanciarazzi più efficaci – con portata di circa 50 km – riescono ad attaccare da posizioni più distanti senza correre troppi rischi di contrattacco.
Con gli Mlrs e gli M142 le dinamiche cambierebbero notevolmente. L’esercito di Kiev non sarebbe solo in grado di colpire i russi da distanza considerevole, ma anche di muovere immediatamente i suoi lanciarazzi (grazie alla mobilità molto agile di questi armamenti) per evitare di essere colpiti.
L’artiglieria convenzionale russa, in questo caso, potrebbe essere molto più restia ad avvicinarsi ai centri urbani ucraini coi sistemi Mlrs posizionati. E questo imporrebbe cambiamenti nelle loro tattiche d’assedio.
(da agenzie)

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LA STORIA DI MYKYTA: “IO, DEPORTATO IN RUSSIA E TORTURATO”

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

“MI HANNO COSTRETTO A CAMMINARE SULLA NEVE, COSI’ HO PERSO LE DITA DEI PIEDI”

Mykyta Gorban, 31 anni, tira un profondo respiro. “Ricordare è un po’ come rivivere tutto”, dice. Lunga pausa. E lui vorrebbe dimenticare i due mesi trascorsi in mano ai russi, ma non ci riesce.
Mesi di prigionia che sono costati a Mykyta le dita dei piedi. E ora sta imparando a camminare senza. “Lo sai cosa mi ha aiutato a non impazzire?”. Respiro profondo, altra pausa: “La musica. Cantavo. Quando potevo, lo facevo a voce alta, altrimenti nella mia mente”.
Mykyta, madre russa e padre ucraino, si trova ora a Kiev in ospedale. La sua storia inizia a marzo, poche settimane dopo l’invasione, nel villaggio di Andreyevka, a ovest della capitale, in cui vive con la famiglia. “Eravamo a casa. Tutte le volte che sentivamo le colonne dei soldati passare ci nascondevamo in cantina. Uscivamo quando c’era silenzio”. Quel giorno erano passate circa tre colonne e poi sembrava tutto tranquillo. Mykyta e il patrigno, che lui chiama padre, lasciano il rifugio pensando che il pericolo fosse finito. “I russi non erano andati via. Erano rimasti nel villaggio e ci hanno catturato. Ci hanno preso subito telefoni e passaporti. Lo portavo sempre con me il passaporto e non so perché lo facessi. La guerra ti fa fare cose strane”.
I russi gli legano le mani dietro la schiena e gli bendano gli occhi: “Non vedevamo niente”. Iniziano a interrogarli. Mykyta gli spiega che è un civile. Lavora a Kiev, in ospedale, in un laboratorio di analisi.
I soldati però iniziano a picchiare sia lui che il padre. “Eravamo civili, accidenti, e stavamo a casa nostra, ma loro non volevano sentire ragioni”. Li portano nel bosco, o almeno così a Mykyta è sembrato. “Eravamo in un campo, fuori. C’erano altre persone in quel posto. I russi continuavano ad accusarci di essere militari e noi a ripetere che eravamo civili. Era inutile cercare di farli ragionare. A chi lo faceva spezzavano le dita. Sentivo le urla”.
Quel giorno era freddo e nevicava. I soldati ordinano agli uomini di stendersi in terra. Li tengono per due o forse tre giorni (“È difficile orientarsi nel tempo quando si hanno gli occhi bendati”.) e ordinano loro di non muoversi. A volte arriva qualcuno e inizia a picchiarli. “Sparavano in continuazione e allora ci dicevamo addio. Eravamo sicuri di morire. Per fortuna ci è andata bene”.
Mykyta non sa dove siano sua moglie, il loro bambino di cinque anni e sua madre. Spera siano riusciti a scappare. I soldati gli hanno levato le scarpe mentre fuori continuava a nevicare. Le temperature sono sotto lo zero, ma loro riempiono le scarpe d’acqua e lo costringono a infilarsele. Il freddo diventa insopportabile. “A volte arrivavano degli ufficiali e urlavano di farci fuori. A che serviva tenerci in vita, dicevano”.
Poi caricano gli uomini di Andreyevka sui camion e li portano in Bielorussia. Da lì, con elicotteri e aerei cargo, li trasportano in Russia, nella regione di Kursk. Gli levano finalmente le bende.
Mykyta, suo padre e gli altri sono in un accampamento militare. Ci sono centinaia di uomini. Tutti ucraini. Camminare diventa sempre più difficile. Guarda per la prima volta i suoi piedi. Le dita sono blu. All’ospedale del campo gli mettono delle bende e gli consigliano di stare al caldo, cosa impossibile perché vivono nelle tende. E poi continuano a interrogarli. Mykyta deve promettere di non tenere più armi in mano, anche se è un civile e le armi non le ha mai usate. Dal campo sono trasferiti nel centro di detenzione N. 1 di Kursk. Mykyta è in cella col padre. “Le giornate erano lunghe. A volte, quando avevamo esaurito gli argomenti di conversazione, cantavo e gli altri iniziavano a piangere. Pensavamo alle nostre famiglie non sapevamo cos’era successo loro”.
I piedi sono un dolore costante. Le dita cadono da sole. È trascorso un mese da quei giorni nel bosco. I medici gli danno degli antibiotici, ma è ormai troppo tardi. All’ospedale militare gli dicono che devono amputargli le dita. “In quell’ospedale c’erano prigionieri ucraini e soldati russi. Non era una bella situazione. I medici però ci proteggevano. Erano gentili, compassionevoli. L’operazione è andata bene. Qui a Kiev mi hanno detto che i chirurghi sono stati bravi”.
Un giorno arriva un comandante e dice a Mykyta di essere nella lista di quelli che dovevano essere riportati a casa. Il padre rimane invece nel centro di detenzione e tutt’oggi Mykyta spera si trovi ancora lì. Il 31enne viene lasciato a Zaporizhzhia. Di sicuro è scambiato con dei prigionieri russi.
Secondo la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk, più di 1.700 soldati e civili ucraini (tra cui 500 donne) sono in mano agli uomini di Mosca. Prigionieri che vengono usati come scambio con i soldati del Cremlino. Mentre Mykyta era prigioniero, la moglie Nadya, il figlio Artyom e la madre Svetlana sono riusciti ad arrivare in Belgio. “Artyom studia francese”, dice Mykyta con orgoglio.
Del suo villaggio, invece, sono rimaste solo macerie. La casa in cui viveva la famiglia è inabitabile. Mykyta non ha un posto in cui andare e vive nell’ospedale di Kiev in cui lavorava come assistente di laboratorio e che oggi però lo accoglie come paziente. Ora sta imparando di nuovo a camminare. “Non è facile”.
Il giovane però non si arrende, continua a studiare in due facoltà: biologia e programmazione. “Mia moglie fa lo stesso”. Ora sogna di andare in Belgio per raggiungere la sua sposa e il figlio. “A volte penso che a me, dopotutto, non sia andata così male. In tanti sono morti in questa inutile guerra”.
(da agenzie)

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COSA ACCADREBBE SE L’UCRAINA CEDESSE I TERRITORI CHE PUTIN HA GIÀ STRAPPATO CON LA FORZA? PUTIN CONCLUDEREBBE CHE AGGREDIRE FUNZIONA

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

“PUTIN HA SEMPRE DETTO CHE: 1) NON RICONOSCE IL DIRITTO ALL’ESISTENZA DI UN’UCRAINA INDIPENDENTE 2) VUOLE UN GOVERNO-FANTOCCIO A KIEV 3) VUOLE UN’UCRAINA INCAPACE DI DIFENDERSI (“DEMILITARIZZAZIONE”) 4) NON RICONOSCE IL DIRITTO DI POLONIA E PAESI BALTICI DI FAR PARTE DELLA NATO…. NESSUNO DI QUESTI 4 PROBLEMI SAREBBE RISOLTO DA UNA PRESUNTA “PACE” CON CESSIONE DI DONBASS E MARIUPOL

Kissinger è uno statista che ha avuto intuizioni giuste e anche sbagliate. Ha sostenuto il disgelo con la Cina nel 1972 ma anche il bombardamento della Cambogia nel ’70. Non è detto che concessioni di territorio ucraino alla Russia siano la soluzione perché “lo dice K”
Proviamo a testare questo “what if”: cosa accadrebbe se l’Ucraina chiedesse la pace in cambio dei territori che Putin ha già strappato (e distrutto) con la forza? Putin non ha mai detto che fa la guerra perché vuole il Donbass o Mariupol.
Putin ha sempre detto 4 cose.
1. Non riconosce il diritto all’esistenza di un’#Ucraina indipendente
2. Vuole un governo-fantoccio a Kiev come a Minsk (“denazificazione”)
3. Vuole un’Ucraina incapace di difendersi (“demilitarizzazione”)
4. Non riconosce il diritto di #Polonia e #Baltici di far parte della #Nato (ma la Russia nel 1997 accettò l’aspirazione di quei Paesi ex Patto di Varsavia a entrare).
Nessuno di questi 4 problemi sarebbe risolto da una presunta “pace” con cessione di Donbass e Mariupol. Dunque che accadrebbe a quel punto? #Putin avrebbe vinto un’altra partita, dopo quella della #Crimea. L’#Ucraina e i Paesi che la sostengono avrebbero perso un’altra partita. L’Ucraina sarebbe più fragile, più povera, destabilizzata. Putin concluderebbe che aggredire funziona.
Sarebbe questione di tempo prima che la Russia si riorganizzi per scatenare ancora un’altra offensiva, in base ai fini stabili con trasparenza da tempo: governo-fantoccio a Kiev, destabilizzazione della Nato. A quel punto Moldova, Polonia e Baltici sono direttamente minacciate.
E se sono minacciate nazioni della Nato e della Ue, siamo minacciati noi stessi, lo è il nostro ordine di sicurezza, il nostro ordine politico. Dunque chi dice “diamo parte dell’Ucraina a #Putin e chiudiamola qui” o non capisce o è dalla parte di Putin. Tertium non datur – fine.
Federico Fubini

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CALENDA DICE CHE SALVINI SEMBRA MISS UNIVERSO

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

“IN UN PAESE NORMALE NON PRENDEREBBE NEANCHE IL VOTO DI SUA ZIA”

Essere Miss Universo senza apparenti meriti estetici. Carlo Calenda utilizza il paragone con il concorso di bellezza più famoso del mondo per parlare delle continue parole di Matteo Salvini sulla richiesta di pace tra Russia e Ucraina.
Il leader di Azione, ovviamente, non ce l’ha con il pensiero espresso dal leader della Lega, ma trova alquanto banale e buffo ridursi a rilasciare queste dichiarazioni spot senza rendersi conto che il conflitto non può terminare fino a che i militari inviati dal Cremlino proseguiranno in quella loro offensiva inizia oltre tre mesi fa.
Poi, però, c’è anche una stoccata sul passato del segretario del Carroccio e alcune sue vecchie dichiarazioni da “innamorato” di Vladimir Putin.
I conduttori di Tagadà, su La7, avevano appena letto una dichiarazione di Matteo Salvini battuta dalle agenzie di stampa poco prima delle 16. Il leader della Lega aveva ribadito il solito concetto già espresso nei giorni scorsi: “Bene i contatti diretti fra Draghi e Putin, giusto tenere aperti i canali diplomatici e chiedere alla Russia gesti di pace, a partire dalla riapertura alle esportazioni di grano. Anche la Lega, e io personalmente, insistiamo e insisteremo per far tornare le parti in conflitto al tavolo dei negoziati e per un cessate il fuoco, per evitare che la guerra faccia altri morti, prosegua o peggio ancora si estenda”.
E Calenda entra a gamba tesa su questa dichiarazione, facendo quel paragone: “È come Miss Universo che quando vince, le chiedono ‘lei cosa vuole?’ e normalmente risponde ‘la pace nel mondo’. Questa non è una dichiarazione politica, è una cosa tipo ‘voglio bene alla mamma’. Chi auspica che la guerra vada avanti e ci siano un sacco di morti?”.
Il leader di Azione ha poi proseguito: “Il punto è che dire questa cosa è un po’ peloso perché non tiene conto che, ad andare al tavolo della pace, Putin non ci pensa proprio ma questa seconda parte manca sempre perché Salvini è colui che diceva accogliendo Mattarella presidente della Repubblica al Parlamento europeo che avrebbe dato indietro due Mattarella in cambio di mezzo Putin… In un Paese normale non prenderebbe più manco il voto di sua zia”
(da agenzie)

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“IL GOVERNO DELLA GEORGIA RITIENE CHE PUTIN ABBIA PROMESSO A BERLUSCONI UNA PERCENTUALE DEI PROFITTI”

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

I CONTRATTI ENI-GAZPROM, LO SBARCO DEI FILM FININVEST A MOSCA IN ERA SOVIETICA E LE CENE CON ABRAMOVICH: LA RUSSIA CONNECTION DI SILVIO

«Quali investimenti personali hanno [Berlusconi e Putin], che possono guidare le loro scelte in politica estera?». La domanda fu girata nel novembre del 2010 dal Dipartimento di Stato, allora guidato da Hillary Clinton, all’ambasciata americana a Roma.
Gli americani erano (e rimarranno) convinti che il rapporto tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin non fosse politico ma di affari, che tra Silvio e Vladimir ci sia stato qualcosa di più che gli innocenti regali come il celebre lettone di Putin.
Come che sia, fu una stagione perigliosa e oscura. Il cui interesse si riaccende ora, nel pieno dell’aggressione della Russia all’Ucraina, e con le esternazioni filoputiniane del Cavaliere curiosamente riemerse.
Nel 2008 l’ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, in un cablo spedito al Dipartimento di Stato e alla Cia, e rivelato dalla Wikileaks di allora, riferiva a Washington che la natura del rapporto tra Berlusconi e Putin era «difficile da determinare»: «Berlusconi ammira lo stile di governo macho, deciso e autoritario di Putin, che il premier italiano crede corrisponda al suo. (…)
L’ambasciatore georgiano a Roma ci ha detto che il governo della Georgia ritiene che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti da eventuali condotte sviluppate da Gazprom in coordinamento con Eni». Il Cavaliere, l’unica volta che rispose, per iscritto, negò tutto. L’ambasciatore georgiano non smentì mai.
Di sicuro sotto Berlusconi l’Eni diventa – da prima grande azienda pubblica italiana – una specie di cavalleria del re nei settori di gas e petrolio.
C’è soprattutto una storia, che tantissimi osservatori e commissioni parlamentari giudicarono opaca: nel maggio del 2005 Eni firma un accordo che avrebbe consentito a Gazprom Export di rivendere gas russo direttamente ai consumatori italiani.
La storia finisce nel 2008 anche all’attenzione della Commissione europea.
Una commissione parlamentare italiana aveva scoperto diverse gravi opacità, ricostruite così nel 2008 in un saggio di Roman Kupchinsky per «Eurasia Daily Monitor»: una società viennese, Central Energy Italian Gas Holding (Ceigh) – parte di un gruppo più grande, Centrex Group – avrebbe dovuto avere un ruolo importante in quel lucrativo accordo Russia-Italia.
Questa Central Energy Italian Gas Holding era controllata al 41,6 per cento da Centrex e da Gas AG, al 25 per cento da Zmb (la sussidiaria tedesca di Gazprom Export, ossia in pratica da Mosca), e al 33 per cento da due società milanesi, Hexagon Prima e Hexagon Seconda, registrate allo stesso indirizzo di Milano, e intestate a Bruno Mentasti Granelli, l’ex patron di San Pellegrino.
Circolò allora una battuta, in Eni. «Che c’entra Mentasti col gas?». «Beh, con l’acqua gasata sempre di gas si tratta, in fondo». Il saggio di Kupchinsky trasformò la cosa in uno scandalo internazionale.
L’accordo con Centrex fu cancellato. Ve ne furono altri? Ci furono rumor di un giacimento di gas kazako direttamente controllato dal Cavaliere. «Assolute sciocchezze», replicò lui.
Forse il vero uomo del Cavaliere a Mosca non è stato tanto Valentino Valentini, che certo andava e veniva da Mosca, quanto il trasversale banchiere Antonio Fallico, e Angelo Codignoni, uomo di Silvio nei media in Russia, praticamente quello che istruisce Yuri Kovalchuk, oligarca putiniano e azionista principale di Bank Rossiya, su come creare l’impero tv del Cremlino: quello dal quale oggi i vari Vladimir Solovyov, Margarita Simonyan, Olga Skabeyeva, fanno ogni sera la loro propaganda bellica più scatenata contro l’Ucraina e l’Occidente.
Fallico ha raccontato a Catherine Belton nel suo strepitoso libro “Putin’s People” che Berlusconi faceva parte già negli anni ottanta del network economico e di influenza sovietico.
Fu grazie a questo che i film Fininvest conquistarono un assai profittevole spazio in prime time sulla tv di stato russa fin da allora.
Il banchiere narrò anche, a La Sicilia, che «negli anni 1986-88 Berlusconi, che aveva una sua casa editrice, Silvio Berlusconi editore, mi ha contattato perché interessato ad allargare le sue attività economiche anche nel mondo sovietico. Così diventai consulente di Fininvest.
Quando nel 2004 aprimmo a Mosca la nostra sussidiaria, Zao Banca Intesa, Berlusconi ci fece la gradita sorpresa di presenziare all’inaugurazione insieme al premier russo di allora, Mikhail Fradkov».
Legami che insomma arrivano da lontano e furono solo riattivati, negli anni delle trattative energetiche con Putin che allarmarono gli americani e la Cia.
È accertato che fu il Cavaliere a sostituire alla guida dell’Eni Vittorio Mincato, che obiettava sulla vicenda Centrex, con Paolo Scaroni. I contratti tra Gazprom e Italia diventano trentennali. Nel novembre 2008 Berlusconi a Mosca aveva incontrato il presidente russo, che allora era Dmitry Medvedev, e sottoscritto anche un accordo che prevedeva la costruzione di reattori nucleari di terza e quarta generazione in Italia (la cosa poi naufragò).
L’energia era tutto, per la relazione Berlusconi-Putin. Ma anche il divertimento, il real estate, le vacanze. Le figlie di Putin, “Katya” e “Masha”, furono in vacanza a Porto Rotondo assieme a Barbara, la figlia più giovane di Berlusconi, nel 2022: lo stesso anno in cui Berlusconi vanta gli accordi, a suo dire epocali, di Pratica di mare. Lanno dopo, nel 2003, arrivò a Villa Certosa Putin stesso, con foto ormai celebri (indimenticabili anche quelle di Berlusconi col colbacco a Sochi).
Sono gli anni in cui la Costa Smeralda diventa un paradiso per oligarchi russi, Alisher Usmanov, che a un certo punto voleva anche comprare il Milan, di certo compra sette ville fantastiche (un paio oggi sequestrate da Mario Draghi), Roman Abramovich, che ancora nell’agosto 2012 vara il suo nuovo megayacht Solaris a Olbia, e andava alle feste da Berlusconi in cui Mariano Apicella stornellava Oci Ciornie, Oleg Deripaska, Vasily Anisimov, al quale vendette Villa Tulipano a Porto Cervo (Veronica Lario vendette invece Villa Minerva al re russo della vodka, Tariko Roustam), fino alle feste a Villa Violina di Usmanov, dove nel 2012 cantò anche Sting, forse per la sorella di Putin.
Con una mano cantava “Russians”, con l’altra suonava per i russians, simbolo di una stagione doppia e ambigua. Quasi tutti, oggi, sono sotto sanzioni, e non possono più mettere piede in Europa.
(da la Stampa)

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PURE NEL PRIVATO CI SONO 600 MILA POSTI VACANTI: SCOPERTA UNA POSIZIONE SU TRE

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

TRA I PROFILI INTROVABILI QUELLI DI RESTAURANT MANAGER, MAITRE, CUOCO

Non si trovano camerieri a e commessi, non si trovano barman e pizzaioli, non si trovano colf e badanti in regola, non si trovano raccoglitori nei campi, non si trovano operai specializzati, camionisti.
E poi mancano informatici, ingegneri, designer, operai specializzati, ma anche amministrativi, venditori e operatori del marketing. Secondo i dati Anpal-Unioncamere i datori di lavoro privati hanno difficoltà a reperire il 38,3% dei candidati.
Il paradosso del mercato del lavoro italiano continua imperterrito a perpetuarsi negli anni: tantissimi disoccupati con percentuali drammatiche soprattutto per alcune fasce deboli, a partire dai giovani e dalle donne; datori di lavoro che vorrebbero assumere ma non trovano personale adeguato alle loro esigenze. Un problema che ha un nome tra chi studia il fenomeno: mismatch (che in italiano significa disallineamento tra domanda e offerta di lavoro).
Ma ancora non ha una soluzione, nonostante gli studi, i report, gli allarmi, le tavole rotonde, i convegni, le riunioni a livello governativo, i fondi messi a disposizione dall’Unione europea.
LE CAUSE
Gli analisti indicano più cause: dipende dai sistemi di reclutamento pubblici, malfunzionanti, che non si parlano tra di loro, e a loro volta gestiti con carenza di personale rispetto agli standard di nostri vicini europei; dipende anche dalla scuola, troppo teorica e lontana dalle esigenze del mondo produttivo; dipende dai sussidi pubblici, come il reddito di cittadinanza, che non invogliano le persone a cercarsi davvero un lavoro; dipende anche dal fatto che alcuni settori privati offrono paghe basse.
Lo ha fatto notare in una recente intervista anche il commissario straordinario dell’Anpal (agenzia nazionale per le politiche attive), Raffaele Tangorra: «Se le aziende non trovano bagnini e camionisti, forse dovremmo chiederci quali salari offrono».
Tangorra comunque precisa che ci potrebbe essere anche un altro fenomeno, una sorta di falso positivo: quando l’economia è in ripresa, spiega, «le aziende ripartono tutte insieme e si contendono i lavoratori, generando l’apparente paradosso di avere posti vacanti in presenza di disoccupazione».
I DATI
Gli allarmi e le stime si susseguono e si accavallano. Per la Confartigianato «le aziende hanno difficoltà a trovare 295mila under 30 con competenze digitali e 341mila under 30 con competenze green».
Complessivamente quindi seicentomila giovani che potrebbero uscire dalle file dei Neet (così è definito chi ha smesso di studiare e non cerca lavora) e da quelle della disoccupazione.
Anche dalla cosiddetta blueconomy (le imprese del mare che operano nell’alloggio, ristorazione, servizi turistici, ma anche cantieri navali, estrazioni marittime, trasporti) lamentano difficoltà crescenti a reperire personale: nel 2021 oltre centomila posizioni (su 400.000 programmate) sono rimaste scoperte.
E adesso che la stagione 2022 è iniziata la storia si ripete: sono moltissimi gli annunci di assunzione di personale senza candidati. Nel settore turismo in generale (non solo legato alle località marine) tra maggio e luglio di quest’anno servono oltre 387.000 lavoratori (dati Unioncamere e Anpal), ma il 40% per ora resta vuoto.
Restaurant manager, maitre, cuoco: questi i profili introvabili. Secondo un’indagine di ManpowerGroup sarebbero addirittura tre aziende su quattro (il 72%) ad avere difficoltà nel trovare i talenti necessari.
Accade nell’edilizia (21% delle posizioni difficile da ricoprire), nella manifattura e in agricoltura (entrambe con il 13%). E così c’è chi disperato – come alcun imprenditori del bergamasco – dagli appelli è passato a iniziative quantomeno inusuali: premi in denaro (che vanno da qualche centinaio fino a migliaia di euro) ai dipendenti che segnalano amici e conoscenti bravi disposti ad essere assunti.
(da il Messaggero)

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O NESSUNO HA PIÙ VOGLIA DI FATICARE O LE OFFERTE DI LAVORO FANNO PENA

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

STAVOLTA A LAMENTARSI PER LA MANCANZA DI PERSONALE È LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE AL NORD: “È DIFFICILE ASSUMERE”… «CHI HA IL POSTO LO LASCIA»

Al Nord è fuga dal lavoro pubblico. A lanciare l’allarme è il ministro Enrico Giovannini. Così il numero uno del Mims: «Le recenti assunzioni per i provveditorati e le motorizzazioni sono andate in parte deserte, in particolare nelle regioni del Nord».
Preoccupa il flop di alcuni dei concorsi del ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, ha spiegato ieri in audizione alla Camera Enrico Giovannini. «Più nel dettaglio», ha aggiunto il ministro, «per quanto riguarda i 320 funzionari di amministrazione che sono stati messi a concorso, una quota consistente ha rinunciato, evitando di prendere servizio, a meno che non gli fosse stata indicata una sede al Sud».
E ancora. «Il problema che ci stiamo ponendo ora è il tipo di figura professionale necessaria perché strutturalmente nei prossimi anni avremo delle difficoltà a trovare persone adatte. Temiamo che la stessa cosa possa accadere al prossimo concorso per ingegneri».
Risultato? Le motorizzazioni, che hanno perso circa il 50 per cento del personale negli ultimi 20 anni, oggi soffrono la distribuzione delle risorse non ottimale sul territorio, oltre a una obsolescenza dell’infrastrutturazione tecnologica.
Esiste un problema di retribuzioni: quelle offerte non sono spesso ritenute all’altezza del costo della vita che si registra nelle città del Nord. Ma anche la preparazione dei candidati lascia spesso a desiderare.
Insomma, sono molteplici i fattori che in questi mesi hanno portato a migliaia di posti rimasti scoperti nel pubblico. Per accorgersene, basta ampliare lo sguardo e vedere come sono andati i concorsi banditi da altre amministrazioni.
Tra i flop più fragorosi, quello del concorso nella scuola che ha visto il 90% dei candidati bocciati allo scritto. Una débâcle. Si sono presentati invece 3.797 candidati alla prova scritta del concorso per l’accesso in magistratura: appena 220 quelli ammessi all’orale, ovvero il 5,7 per cento del totale. Il restante 95 per cento ha risposto in modo errato alle domande di diritto e di italiano. Ammontano a 310 i posti banditi.
Nella migliore delle ipotesi ne resteranno scoperti una novantina. Nemmeno il concorso per reclutare i primi 8.171 assistenti da destinare all’Ufficio del processo ha prodotto gli esiti sperati: sono rimasti più di 600 posti liberi. Per riempirli sono stati già assunti circa 500 idonei, ripescandoli attraverso lo scorrimento delle graduatorie capienti. Per coprire i cento posti rimasti vuoti, si punta sulla procedura di scorrimento delle graduatorie per permettere agli idonei non vincitori di scegliere un’altra sede distrettuale con posti vacanti.
Altro fallimento: a Roma il concorso per reclutare 500 vigili urbani ha fatto gola all’inizio a 38.381 candidati. Alla fine però i vincitori sono stati solo 223. Di questi hanno accettato il lavoro (per uno stipendio di circa 1.300 euro al mese) solo in 161.
A dirla tutta, i concorsi non decollano nemmeno quando in palio c’è un posto in una pa del Sud. Con il cosiddetto concorsone Sud dovevano essere reclutati 2.800 funzionari tecnici da destinare agli enti locali del Mezzogiorno per aiutarli ad attuare i progetti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Ai vincitori uno stipendio di circa 1.800 euro. Più di qualcosa però è andato storto. Un primo concorso è stato bandito nel 2021, ma il numero dei vincitori non è stato sufficiente a coprire tutti i posti a bando: alla fine sono stati assunti 800 funzionari, poco più di un quarto di quelli necessari. In questo caso, oltre agli stipendi non proprio faraonici, hanno pesato i contratti a tempo determinato, poco attrattivi.
Quest’anno il concorso Sud è stato nuovamente bandito ed è stato un altro insuccesso: i posti a bando sono 2.022 e dopo la prova scritta gli idonei ammontano 728. Una classe di concorso, quella per funzionari esperti tecnici, ha totalizzato una quota di idonei addirittura inferiore al 10 per cento dei posti banditi.
Come se ne esce? Con il decreto Pnrr 2 il governo ha stabilito che saranno le regioni del Sud direttamente a chiamare i 1.300 tecnici ancora necessari, con uno stipendio per ciascuno di massimo 80mila euro annui lordi.
Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha promesso 100mila assunzioni quest’anno e 1,3 milioni entro il 2026. Oggi gli statali sono in tutto 3,2 milioni. Nelle Funzioni centrali sono calati di oltre il 21 per cento tra il 2011 e il 2021 e di quasi il 18 per cento nelle funzioni locali.
(da Il Messaggero)

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ANGELO DEL FANGO NELL’ALLUVIONE DI FIRENZE DEL 1966, DONA 10 MILIONI ALL’UNIVERSITA’ TOSCANA DI CUI E’ STATO ALUNNO

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

DIVENTATO TRA I 700 UOMINI PIU’ RICCHI DEL MONDO, DANIEL D’ANIELLO NON HA DIMENTICATO LA CITTA’ DEI SUOI STUDI GIOVANILI

Un Angelo del Fango durante l’alluvione del 1966 a Firenze,
Daniel D’Aniello, ha deciso di fare una maxi donazione al Syracuse Abroad Florence, il programma di studi universitari a Firenze dello storico ateneo newyorchese.
Il gesto, fatto insieme alla moglie Gayle, è da 10 milioni, come spiegato nel corso di una conferenza stampa alla presenza del console generale degli Usa Ragini Gupta e anche del sindaco di Firenze Dario Nardella che ha annunciato di voler conferire le Chiavi della Città allo stesso D’Aniello e ha detto di “voler voler portare in città anche l’Ateneo di Philadelphia”.
Il program director della Syracuse Sasha Perugini parla di “gesto profondo”, sottolineando però che non è isolato e che quindi D’Aniello “non è l’unico donatore. Il legame che si viene a creare grazie al programma è profondo, è un seme che nasce e porta frutti nelle decadi successive”.
Perugini poi si concentra sulla tipologia di studente americano osservando che non si tratta di una persona “che viene a Firenze e poi se ne va subito via, come se fosse un turista mordi e fuggi. Il contributo culturale è molto più profondo e lascia radici in persone che continuano a tornare e a sentirsi legati profondamente alla città”.
Il regalo amplierà notevolmente il finanziamento delle borse di studio agli studenti per i quali i programmi di studio all’estero sono stati fuori portata, inclusi studenti a basso reddito, studenti post-tradizionali e studenti veterani: inoltre sarà ristrutturata sia la sede principale di Villa Rossa in piazza Savonarola sia alcuni edifici in piazza Donatello (sempre di Syracuse).
Gupta ha detto che in “città stanno tornando gli studenti e questo ci fa piacere. Quest’anno ci aspettiamo che le presenze raggiungano il livello pre-Covid, cioè tra i 10 e i 15mila studenti” ed ha evidenziato che “questa donazione generosa riflette il valore dell’esperienza che tanti americani hanno avuto durante gli anni”. Firenze non si dimentica.
(da agenzie)

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“NON MI AFFITTANO CASA PERCHE’ HO UN FIGLIO AUTISTICO”

Maggio 27th, 2022 Riccardo Fucile

LO SFOGO DI UNA MADRE DIVENTA VIRALE

«Non trovo casa, non mi danno casa appena tra i redditi che presento si accorgono che una parte deriva dagli aiuti economici statali a mio figlio, con diagnosi di spettro autistico», inizia così l’appello sui social di Rosamaria Caputi, ex attrice di teatro catanese trasferitasi a Roma 11 anni fa.
Ha lanciato un appello nei giorni scorsi affinché qualcuno l’aiutasse a trovare una casa nella capitale, che le permetta di «mantenere la continuità scolastica e assistenziale» del figlio autistico di 11 anni, fratello minore di altri due maggiorenni, perché «disperata e mortificata» dalla ricerca che ha ormai assunto i tratti di una lotta contro i mulini a vento. Rosamaria Caputi dovrà lasciare la casa in cui si trova entro il 30 giugno poiché le scade il contratto.
«Ho visto almeno 7-8 case – spiega – ho firmato anche delle proposte di offerta, una addirittura con tanto di cauzione per bloccare l’immobile. Dopo la firma, però, mi facevano aspettare per giorni, un comportamento anomalo. Poi ecco arrivare il rifiuto, senza una spiegazione precisa da parte dei proprietari».
«Umiliata e discriminata»
Si sente «discriminata e umiliata» perché è certa che non si tratta di motivazioni economiche.
«Ho un reddito certificato – dice – derivante dalla reversibilità della pensione di mio marito e dagli aiuti statali stanziati per mio figlio e ho ripreso a lavorare part time con l’università».
La ricerca affannosa va avanti da ormai due mesi, ma l’ex attrice ha deciso di dire «basta» e di condividere il suo sfogo sui social «quando l’ultimo mediatore, con una notevole dose di sincerità» le ha detto quello che già aveva intuito con gli altri incontri che non sono andati a buon fine.
«Temono chissà quale comportamento, non sanno quale sia il livello di autismo di mio figlio. Lui ama il rapporto con gli altri, compie i suoi progressi. Come fai a negare a una famiglia un trivani? Non cerco una villa, non cerco aiuti economici. Non cerco compassione di facciata – conclude – difendo solo la mia famiglia e racconto la mia storia che è simile a tante altre».
(da NextQuotidiano)

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