Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
UN’ALTRA UMILIAZIONE PER PUTIN CHE GLI AVEVA AFFIDATO IL COMANDO DELLE TRUPPE IN UCRAINA
Valerij Gerasimov è ferito: il capo di Stato maggiore delle Forze armate della Federazione Russa sarebbe stato colpito nei pressi di Izyum, nella regione di Kharkiv, durante un bombardamento ucraino. Lo ha fatto sapere il consigliere del ministero dell’Interno ucraino, Anton Geraschenko.
Gerasimov, 66 anni, è una delle figure di spicco dell’esercito di Putin. Adesso, stando alle ultime indiscrezioni, sarebbe stato ferito da una scheggia che si è conficcata nella gamba destra.
In ogni caso, il colpo non avrebbe provocato fratture o lesioni gravi. Il generale, quindi, non sarebbe nemmeno in pericolo di vita. La scheggia sarebbe stata poi rimossa dalla gamba del generale, che nel frattempo si sarebbe ripreso dall’attacco.
Il bombardamento ucraino, comunque, avrebbe provocato la morte di ben 20 ufficiali russi e del generale Simonov.
Secondo alcune fonti Telegram, il generale Gerasimov starebbe cercando di lasciare Izyum, dove gli uomini di Putin starebbero subendo perdite parecchio pesanti. Sinora, stando alle informazioni riportate dall’esercito di Kiev, sono dieci gli alti ufficiali russi uccisi dall’inizio della guerra. Tra questi sei generali.
Stando ad alcune indiscrezioni, inoltre, prima di mandarlo al fronte Putin gli avrebbe fatto un discorso del tipo: “Vai, vinci o non tornare vivo”. Pare che lo zar le voglia tentare tutte prima del 9 maggio, giorno in cui dovrebbe dichiarare “guerra totale” a Kiev.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
IN AUMENTO M5S E FORZA ITALIA
Il centrodestra è in difficoltà: lo dimostra anche il sondaggio di Nando Pagnoncelli, che segna una generale flessione della coalizione negli orientamenti di voto.
Nello specifico, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni – oggi al 20% – scende dell’1,5% e viene scavalcato al primo posto dal Pd di Enrico Letta, che si attesta al 20,5%, pur perdendo lo 0,4% dei consensi.
Anche questo mese, poi, cala dello 0,1% la Lega di Matteo Salvini, che resta comunque ancorata al terzo posto col 16,5%, “il risultato più basso della legislatura”, scrive Pagnoncelli sul Corriere della Sera.
A seguire, il M5s col 15% dei consensi, in leggero aumento.
Un +0,5% inverte così il trend negativo degli ultimi mesi.
Subito dopo c’è Forza Italia di Silvio Berlusconi all’8,8%, in crescita dello 0,7%.
Da sottolineare, poi, il balzo di Italexit di Gianluigi Paragone, che passa dal 2,3% di marzo al 4,2% di oggi, scavalcando così la federazione tra Azione e +Europa (3,5%).
Un balzo che, spiega Pagnoncelli, rappresenta la “capitalizzazione dello scontento di una parte dell’elettorato, prevalentemente di destra e centrodestra”.
Anche se i tre partiti di centrodestra superano nel complesso il centrosinistra, non si può non notare un periodo di crisi generale a causa dei litigi e delle dinamiche interne. Basti pensare ai contrasti nella scelta dei candidati alle prossime amministrative o all’ipotesi di accordo politico tra Forza Italia e Lega che rischia di aprire una frattura con FdI.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
“I NEMICI OCCIDENTALI DELLA DEMOCRAZIA, MOLTI DEI QUALI FINO ALL’ALTRO IERI ERANO FANBOY DI PUTIN, RICEVERANNO UNA LEZIONE PRATICA SULLA DIFFERENZA TRA GLI ATTEGGIAMENTI DA MACHO E LA VERA FORZA. BIDEN HA FATTO UN LAVORO STRAORDINARIO”
Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, l’idea che potesse essere sconfitta sembrava a dir poco forzata. Vladimir Putin pareva avere un esercito potente e moderno, sostenuto da un budget per la difesa di una decina di volte superiore a quello ucraino. Per aspettarsi una rapida vittoria sul campo dei russi non c’era nemmeno bisogno di abboccare alle fantasie in stile Ted Cruz sul valore di un esercito né “woke” né “effeminato”.
Perfino dopo la miracolosa sconfitta dell’iniziale aggressione russa da parte dell’Ucraina, c’era da porsi varie domande sulle prospettive a più lungo termine. Prima della guerra, l’economia russa era superiore di circa otto volte rispetto a quella ucraina; malgrado l’impatto che stanno avendo le sanzioni sulla produzione russa, la devastazione provocata in Ucraina dall’invasione quasi certamente implica che il divario tra le due oggi è ancora maggiore.
Insomma, ci si sarebbe potuti aspettare che, con il solo peso delle sue risorse, la Russia alla fine avrebbe vinto una guerra di logoramento. Invece, non sembra proprio che stia accadendo una cosa del genere. Nessuno può affermare con sicurezza di sapere in che misura lo stesso Putin si renda conto di come sta andando la guerra; i suoi ufficiali intimoriti sono disposti a dirgli la verità?
Da come la Russia si sta sfogando a parole – con tremende quanto vaghe minacce contro l’Occidente e con attacchi d’ira autodistruttiva, come la decisione di mercoledì di interrompere i flussi di rifornimento di gas naturale in direzione della Polonia e della Bulgaria – sembra proprio che almeno qualcuno a Mosca si stia preoccupando di una cosa: il tempo non è dalla parte della Russia, tanto che i funzionari degli Stati Uniti iniziano a parlare con ottimismo di un’Ucraina che non soltanto riesce a tenere a bada la Russia, ma riesce addirittura a vincere. Come è possibile?
La risposta è che l’America, seppure non direttamente impegnata in combattimento, sta facendo di nuovo ciò che fece l’anno prima di Pearl Harbor: noi, con l’aiuto dei nostri alleati, fungiamo da “arsenale della democrazia” e offriamo a chi difende la libertà quello che occorre per continuare a combattere.
Per quanti non sono a conoscenza di ciò, è bene ricordare che nel 1940 la Gran Bretagna, come l’Ucraina nel 2022, ebbe un successo inatteso contro un nemico apparentemente inarrestabile quando la Royal Air Force sventò il tentativo della Luftwaffe di conquistare la superiorità aerea, un prerequisito fondamentale in vista di un’invasione.
Eppure, alla fine del 1940, i britannici erano in gravi difficoltà: il loro sforzo bellico richiedeva considerevoli importazioni, tra cui sia gli armamenti militari sia cose indispensabili come il cibo e la benzina. Ed erano rimasti quasi a corto di soldi.
Franklin Delano Roosevelt rispose con il Lend-Lease Act, la “legge degli affitti e dei prestiti” che rese possibile trasferire ingenti quantità di armi e di alimenti ai britannici messi alle strette. Quell’aiuto non fu sufficiente a capovolgere la situazione, ma dette a Winston Churchill le risorse di cui aveva bisogno per resistere, e ciò alla fine servì a creare le condizioni per la vittoria degli Alleati.
Oggi la legge Lend-Lease è stata ripresentata e gli aiuti militari su vasta scala stanno affluendo in Ucraina, in provenienza non soltanto dagli Stati Uniti, ma anche da molti nostri alleati.
Grazie a questo aiuto, i calcoli della guerra d’attrito di fatto stanno funzionando decisamente a discapito di Putin. L’economia russa sarà anche molto più grande di quella ucraina, ma è piccola rispetto a quella americana, per non parlare delle economie combinate degli alleati occidentali.
Oltretutto, con la sua base economica limitata, la Russia non sembra proprio avere la capacità di sostituire le sue perdite sul campo di battaglia.
Gli esperti occidentali, per esempio, credono che i combattimenti in Ucraina finora siano costati alla Russia l’equivalente di due anni di produzione di carri armati. L’esercito ucraino, al contrario, è equipaggiato meglio di giorno in giorno e dispone di un numero sempre maggiore di armi pesanti.
Presumendo che il Congresso accolga e approvi la richiesta del presidente Biden di aiuti per ulteriori 33 miliardi di dollari – somma che possiamo permetterci benissimo -, il sostegno occidentale all’Ucraina nel complesso si avvicinerà alla spesa militare russa annua.
In altri termini, come ho detto, sembra che il tempo giochi a favore dell’Ucraina. A meno che i russi non riescano a ottenere quel tipo di plateale successo sul campo di battaglia che finora non hanno avuto – per esempio un assalto in stile blitzkrieg che accerchi un’ampia parte delle forze armate ucraine – e ci riescano molto presto, il rapporto di forza pare pendere a favore dell’Ucraina.
Cerchiamo di essere chiari su due punti.
Primo: se l’Ucraina vincerà sul serio, sarà un trionfo per le forze della libertà ovunque. Gli aspiranti aggressori e i criminali di guerra si troveranno obbligati a prendersi una pausa. I nemici occidentali della democrazia, molti dei quali fino all’altro ieri erano fanboy di Putin, riceveranno una lezione pratica sulla differenza tra gli atteggiamenti da macho e la vera forza.
Secondo: mentre il credito di tale vittoria, se si materializzerà, andrà ovviamente e perlopiù agli stessi ucraini, niente di tutto ciò sarebbe stato possibile senza la leadership coraggiosa ed efficace di alcune nazioni occidentali (ahimè, non tutte).
A prescindere da quello che si può dire di Boris Johnson, la Gran Bretagna si è comportata come una roccia in questa crisi. La Polonia e altre nazioni dell’Europa orientale si sono dimostrate all’altezza della situazione, sfidando le minacce russe.
Quanto a Joe Biden, ha fatto un lavoro straordinario, tenendo unita l’alleanza occidentale e al contempo rifornendo l’Ucraina delle armi di cui ha bisogno. I precedenti presidenti degli Stati Uniti in passato hanno fatto discorsi entusiasmanti sulla libertà, come quando esclamarono: “Butta giù questo muro” o “Ich bin ein Berliner”.
È un bene che l’abbiano fatto. Tuttavia, è innegabile che Biden ha fatto molto di più per difendere la libertà, in modi concreti che vanno ben oltre le semplici parole di qualsiasi altro presidente dai tempi di Harry Truman. Mi chiedo se e quando gli si riconoscerà il merito che gli spetta di diritto.
The New York Times
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
PIU’ DI 15.000 PERSONE SONO STATE ARRESTATE PER AVER PARTECIPATO A MANIFESTAZIONi CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA
La resistenza russa alla guerra dello Zar, è rosa. Concreta, determinata, creativa. Al femminile. A raccontarla, in un reportage di grande impatto per Haaretz, è Liza Rozovsky.
Scrive Rozovsky: “Se siete testimoni di una caduta [un attacco aereo o un bombardamento], chiamate aiuto ed entrate nella stanza più vicina”, dice un cartello appeso nella tromba delle scale di un ufficio governativo in Russia. In fondo, qualcuno ha attaccato una nota che dice: “Sono un testimone della caduta della Russia, della moralità e del buon senso. Ma non c’è nessun posto a cui rivolgersi. Il punto di non ritorno è dietro di noi. Davanti c’è solo paura e disperazione”.
Accanto alla scritta c’è il disegno di una bandiera russa sanguinante. Negli ultimi due mesi, tali graffiti sono diventati parte del paesaggio in molte città in tutta la Russia, soprattutto dopo che le manifestazioni e le veglie contro la guerra della Russia in Ucraina hanno iniziato ad essere soppresse. Fa parte di una protesta più ampia contro la guerra, uno sforzo con molti leader femministi.
“Nella protesta femminista, ognuno fa quello che gli capita tra le mani. Non abbiamo lavori definiti e una divisione del lavoro … sembra che stiamo facendo tutto tranne che buttare giù i treni dai binari”, Ekaterina (non è il suo vero nome), un’attivista femminista che vive a San Pietroburgo, ha detto ad Haaretz per telefono.
Dall’inizio dell’invasione, il 24 febbraio, più di 15.000 persone sono state arrestate dopo aver partecipato a una manifestazione o a una veglia. Coloro che vengono arrestati per la prima volta senza portare un cartello vengono di solito solo multati.
Ma secondo le nuove leggi severe sulla diffusione di notizie sulle istituzioni militari o governative della Russia, un secondo arresto in meno di un anno potrebbe farti guadagnare molti anni di prigione.
Lo stesso vale per chi porta un cartello contro la guerra. “Le persone fuori dalla Russia, specialmente quelle che vivono in paesi democratici, non capiscono il prezzo della protesta in Russia”, afferma Varia Mikhailova, avvocata di un gruppo per i diritti che è fuggita dalla Russia due mesi fa per Israele. Ogni violazione delle nuove leggi sulla censura o delle leggi che limitano le proteste “non porta solo a una multa, alla detenzione o all’arresto, ma anche al licenziamento, alla sospensione dagli studi, o a una combinazione di queste cose”, ha aggiunto.
“Porta molto rapidamente a un estremo deterioramento della vita di una persona su tutti i fronti. Non ci sono abbastanza avvocati per tutti quelli che vengono danneggiati. La Russia è un paese grande e i gruppi per i diritti umani non hanno abbastanza risorse per aiutare ovunque. Inoltre, la gente non è consapevole dei propri diritti e non sa a chi rivolgersi”.
Il modo più comune – e relativamente sicuro – nell’ex Unione Sovietica per organizzare un’operazione anonima è Telegram. Un canale femminista contro la guerra – che ha decine di migliaia di seguaci – condivide proposte per operazioni di protesta sotterranee, mentre documenta gli sforzi già in corso. Inoltre le identità delle donne dietro il canale non vengono rivelate.
In uno sforzo, monumenti improvvisati stanno andando su – di solito croci – in memoria delle vittime a Mariupol, Bucha e altri luoghi in Ucraina. Le croci di solito hanno delle note attaccate con i nomi delle città ucraine, informazioni sulle vittime e appelli contro la guerra.
Vanno in luoghi pubblici, lontano dalle telecamere di sicurezza che coprono le città della Russia: nei cortili delle case, nei parchi e accanto a statue e monumenti ufficiali. Circa una settimana fa, i responsabili del canale Telegram hanno scritto che più di 850 di questi monumenti sono stati messi in 56 città russe.
Alcune donne portano anche borse o indossano gioielli con slogan contro la guerra – e girano la borsa quando è necessario; per esempio, se un poliziotto è in agguato.
Alcune prendono i mezzi pubblici e fissano i loro telefoni – guardando le immagini della guerra con l’intenzione di iniziare una conversazione se un altro passeggero nota ciò che è sullo schermo.
Altre donne sono attive sui social media, rivolgendosi a un pubblico meno istruito su siti come Odnoklassniki e VKontakte. Un’altra iniziativa è quella di mettere delle mangiatoie per uccelli con una scritta di protesta o slogan contro la guerra.
Natalia (non è il suo vero nome), che vive anche lei a San Pietroburgo, ricama messaggi contro la guerra su borse e camicie. A volte scrive solo una parte dello slogan; i lettori possono finirlo da soli. Vende il prodotto finale per raccogliere fondi per i rifugiati ucraini.
“Sono andata nel cortile del mio palazzo per fotografare una di queste borse. L’ho appesa a un cespuglio e una donna l’ha vista e mi ha chiesto aggressivamente cosa stessi facendo e perché lo stessi facendo”, dice. “Ho potuto vedere sulla sua faccia che stava per chiamare la polizia, ma le ho detto che lo stavo facendo solo per divertimento. Se n’è andata e la polizia non è venuta. Sembra che non sapesse chi ero e in quale appartamento vivevo. Alla fine sono riuscito a mandare la borsa fuori dal paese, a venderla e a donare il denaro – così tutto è finito molto bene”.
Prima del Primo Maggio di domenica, i responsabili del canale femminista contro la guerra chiedono un’azione diversa: Andate nelle piazze e nelle strade delle città che hanno la parola “pace” nel loro nome e date da mangiare ai piccioni.
“Non siate timidi nell’iniziare una conversazione con la persona che dà da mangiare ai piccioni accanto a voi, ma osservate le regole di prudenza. Non affrettatevi a rivelare informazioni personali, non condividete le vostre esperienze di protesta, non date i vostri dati personali tranne il vostro manico su Telegram, Signal o Element“, racconta Natalia, riferendosi alle app di messaggistica che sono considerate sicure.
La città parla
La protesta contro la guerra è un segreto scottante in molte città russe, e un centro chiave è San Pietroburgo – la seconda città più grande del paese, con una grande popolazione istruita e liberale. E nella “capitale del nord”, le forze di sicurezza non sono considerate particolarmente intimidatorie.
“L’intero centro della città è pieno di graffiti”, ha detto Natalia. “Puoi vedere questa lotta sui muri degli edifici. Vedi il messaggio ‘no alla guerra’, il giorno dopo vedi che qualcuno ha cercato di cancellarlo, e poco dopo vedi che ci hanno disegnato sopra una Z”, un segno di sostegno alla guerra. Un’altra donna annota: “Questo dialogo va avanti tutto il tempo. La città sta parlando; ti rende felice vederlo”. Un altro segno che le autorità considerano San Pietroburgo un centro di disordini è stata la ricerca di trasgressori durante i primi giorni della guerra.
La vicenda è iniziata all’inizio di marzo, quando le case di decine di attivisti sono state perquisite con il sospetto che stessero diffondendo falsi messaggi sulle mine antiuomo piazzate in tutta la città. Alcuni sospetti erano attivisti femministi, e alcuni hanno lasciato la Russia per paura di essere arrestati.
Danielle, una persona non binaria che vive a San Pietroburgo, segue il canale Telegram delle femministe e porta in vita le idee postate lì: mettere adesivi in tutta la città e passare rubli con slogan contro la guerra o informazioni sulle persone uccise durante la guerra scritte su di essi.
“Per me è molto facile passare queste banconote nei piccoli negozi di alimentari. Di solito sono piccole banconote da 100 rubli che i venditori non controllano. Le banconote con i graffiti sono valide, quindi non è un crimine”, testimonia Danielle attraverso un’app di messaggistica sicura.
“Lascio anche libri in cui scrivo qualcosa contro la guerra sulla copertina interna. Semplicemente ‘dimentico’ i libri sulle panchine del parco – non solleva alcun sospetto. Mi piace molto questo sforzo. È interessante immaginare cosa pensa e sente una persona che apre il libro. Dopo tutto, non può strappare la pagina perché è la copertina interna: Deve fare i conti con le informazioni”, aggiunge Danielle. “Gli operai comunali qui coprono la street art con la vernice, ma anche nel mio quartiere, che è molto apolitico, sono andata in giro di recente con un pacchetto di adesivi e ho visto che c’erano molti più graffiti contro la guerra, e anche volantini. È stato davvero bello”.
Alla domanda se fa paura svolgere queste attività, Danielle ha chiesto se le parolacce sono permesse, e poi ha risposto con un’amata bestemmia russa: “Pizdyets, ho tanta paura”.
Alexandra Skochilenko, un’artista di San Pietroburgo, è in detenzione da più di due settimane, un periodo che è stato esteso fino al 1° giugno. Stava cambiando le etichette del supermercato con note che portavano informazioni sulla guerra – un altro metodo sviluppato dalla resistenza femminista contro la guerra. Un cliente ha chiamato la polizia e il filmato della telecamera di sicurezza l’ha fatta arrestare.
Skochilenko è ora accusata di diffondere false informazioni sull’esercito russo; secondo una nuova legge approvata all’inizio di marzo, potrebbe essere condannata fino a 10 anni di prigione. Gli amici dicono che soffre di celiachia e ha bisogno di cibo senza glutine, che non è disponibile in prigione. La prigione non le permette di ricevere il cibo giusto, mettendo in pericolo la sua vita.
Per ora, il sostegno ai prigionieri politici si è trasformato in proteste contro la guerra a tutti gli effetti. Con decine di attivisti, Natalia è andata all’udienza sull’estensione della detenzione di Skochilenko.
“Non sono potuta entrare nell’aula perché ci sono andate 50 persone e c’era posto solo per 20. Abbiamo aspettato nel corridoio. A un certo punto il giudice ha vietato di fotografare e registrare in aula, e le persone che sono rimaste hanno riferito dell’udienza con messaggi di testo”, racconta Natalia.
“Dopo di che, [il giudice] ha deciso che l’udienza sarebbe stata a porte chiuse, così hanno cacciato tutti fuori. Ci siamo seduti e abbiamo aspettato qualche ora, e alla fine l’hanno tenuta in prigione”.
“So di essere seduta su una polveriera”, le fa eco Ekaterina. Quando le è stato chiesto quanto sia efficace la protesta silenziosa, ha risposto: “Ti dà una ragione per sentire che c’è azione, e neanche poca, che è ancora possibile fare qualcosa. E le persone a favore della guerra, almeno sanno che c’è un programma alternativo”.
Danielle, che recentemente ha partecipato ad uno spettacolo di beneficenza per il prigioniero politico Skochilenko presso la sede del gruppo, ha detto: “C’erano più di 100 persone che non conoscevo; era così affollato e così fresco. La gente si salutava e diceva ‘Ciao, eravamo in prigione insieme’, e cose del genere. Era particolarmente divertente quando aprivamo le finestre e continuavamo a cantare”.
Così la protesta femminista sotterranea potrebbe non convincere Vladimir Putin a terminare il suo assalto all’Ucraina, ma fa sentire a molti oppositori della guerra – quelli che sono rimasti in Russia – che non sono soli”.
La resistenza è donna. Il macho del Cremlino è avvertito.
(da Globalist)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
GENNARO SANGIULIANO, DIRETTORE DEL TG2, E’ SALITO SUL PALCO DELLA CONVENTION DI FRATELLI D’ITALIA PER “LANCIARE” IL DISCORSO DI GIORGIA MELONI: SI SCATENA LA POLEMICA
L’intervento ieri sul palco della conferenza programmatica di FdI di Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, diventa un caso. Italia viva e Pd chiedono l’intervento dei vertici Rai per un chiarimento urgente.
“Trovo grave e assolutamente improprio il comizio politico del direttore del Tg2 Sangiuliano alla conferenza di Fdi a Milano. Non è mai accaduto che un direttore di Tg Rai facesse un comizio a una convention di partito. Secondo le regole Rai chi lo ha autorizzato? Serve un urgente chiarimento e l’intervento dei vertici Rai” dice la senatrice Valeria Fedeli, capogruppo del Pd nella Commissione di Vigilanza Rai.
Sulla stessa linea anche Michele Anzaldi di Italia viva, segretario della commissione di Vigilanza Rai, che scrive su Facebook: “Il comizio del direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano alla convention di Fratelli d’Italia a Milano rappresenta un caso senza precedenti: mai un direttore di un tg Rai era salito sul palco di una conferenza di partito per un intervento di carattere politico, addirittura proprio l’intervento chiamato a lanciare il discorso immediatamente successivo della leader Giorgia Meloni. Come ha potuto l’amministratore delegato Fuortes autorizzare una tale umiliazione della funzione del servizio pubblico? Come è stato possibile avallare un atto di tale disprezzo e arroganza nei confronti dei cittadini che pagano il canone?”.
“Che sia stato un intervento politico – prosegue Anzaldi – lo confermano gli stessi quotidiani che ne hanno dato conto: la convention Fdi è stata apostrofata come ‘giornata di avvio della campagna elettorale’, ‘inizio del percorso per portare Fdi a Palazzo Chigi’, ‘atto fondativo del nuovo partito dei conservatori’, e il discorso di Sangiuliano sul conservatorismo è stato inserito dal Corriere della Sera in un pezzo sul nuovo ‘Pantheon’ di Fdi. Nessun dubbio, quindi, che sia stato un episodio dal chiaro carattere politico.
A novembre, in occasione della scadenza del mandato dei direttori nominati dal governo gialloverde, avevo chiesto pubblicamente al presidente Draghi di assicurare al servizio pubblico veri direttori di garanzia per i tg, anche alla luce di quanto era accaduto negli anni precedenti con le sanzioni Agcom: un appello lasciato cadere nel vuoto e oggi vediamo i risultati.
Era stato proprio Fuortes alcuni mesi fa, con una circolare, a regolare e limitare ad un massimo di 10 all’anno le partecipazioni esterne dei giornalisti e direttori Rai a convegni, presentazioni, eventi di vario tipo: a che serve ridurre le partecipazioni, se poi si autorizza un intervento del genere?
Oppure dobbiamo pensare che Fuortes non ne sapesse nulla e Sangiuliano non abbia ricevuto nessuna autorizzazione, in violazione delle regole aziendali?
Di certo chi ha dato l’ok a quell’intervento a una manifestazione politica ha assestato un duro colpo alla credibilità dell’informazione Rai. In tante occasioni i direttori Rai hanno partecipato a feste ed eventi di partito facendo il proprio lavoro, ovvero intervistando leader e moderando dibattiti, ma mai si era assistito ad un vero e proprio speech politico come quello del direttore del Tg2 a Milano, chiamato a lanciare il discorso della leader del partito”.
(da La Repubblica)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO E’ QUELLO DI DISARTICOLARE IL CENTRODESTRA… L’IPOTESI DI UNO SBARRAMENTO BASSO AL 2,5%-3% (NON AL 5) CHE CONSENTA A RENZI, CALENDA, BONINO, LEU E GLI ALTRI CESPUGLI DI ENTRARE IN PARLAMENTO
Ufficialmente, sulla carta, è solo un seminario. Anche il titolo ha poco appeal: “Le ragioni del Proporzionale”.
Ma se nella sala Berlinguer del gruppo Pd, la rivista Left Wing della sinistra dem (tendenza Matteo Orfini) domani chiama a raccolta i massimi vertici dem, con la benedizione di Enrico Letta, c’è un motivo che va oltre l’evento in sé: dare il segnale che il Pd, in tutte le sue anime, prova a sfondare la roccaforte del centrodestra, per far emancipare Salvini dalla Meloni.
Facendogli capire che l’unico modo è smontare la legge attuale maggioritaria e sostituirla con un nuovo convoglio, in cui ognuno è libero di farsi la propria campagna elettorale e allearsi per formare un governo dopo il voto. La speranza è che anche Forza Italia possa navigare in acque libere.
E che i partiti della maggioranza che sostiene Draghi (Pd, Leu, M5s, Fi e Lega) votino insieme la nuova legge elettorale.
Ma non solo: le distanze sempre più evidenti tra Pd e M5s sulla guerra e l’orizzonte sempre più nebuloso di un “campo largo” dove non vuol star nessuno (Renzi, Calenda o Conte), fanno assumere a questo seminario un significato più ampio.
Così riassumibile: chiuse le urne delle comunali, bisogna stanare Salvini, perché se si resta legati a coalizioni forzate si rischia di andare a sbattere.
Ma se qualcuno potrebbe leggere questo evento anche come una garbata opera di accerchiamento di Letta ad opera delle correnti dem, per convincerlo a sposare obtorto collo un sistema che rimanda alla prima repubblica e poco gli garba, sarebbe fuori strada: perché a quella che definisce «una buona iniziativa», Letta manda (non potendo esserci pure lui perché impegnato a Padova) il coordinatore della segreteria Marco Meloni, con un preciso imprimatur.
Del resto il segretario aveva già detto che «l’attuale legge elettorale è la peggiore di sempre e se ci fossero le condizioni, noi ci sederemmo al tavolo con le altre forze politiche per migliorarla». E ora tutto il partito esce allo scoperto.
Al secondo piano di Montecitorio saliranno tutti i big: i ministri Dario Franceschini, che guida l’Areadem cattolico-democratica, Lorenzo Guerini, a capo degli ex renziani di Base Riformista, Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, leader della sinistra di Peppe Provenzano e Antonio Misiani.
E poi, la capogruppo Debora Serracchiani, i presidenti delle commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato, il grillino Giuseppe Brescia e il dem Dario Parrini, e il responsabile riforme del Pd, Andrea Giorgis. Insomma, un parterre coi fiocchi, per dire che dopo i ballottaggi del 26 giugno si aprirà una finestra per cambiare le regole del gioco. Va rovesciato il sistema elettorale maggioritario per un terzo dei seggi, per consentire a ognuno di correre da solo, magari con un premio a chi prende più voti, per avere maggioranze più stabili.
C’è chi vorrebbe uno sbarramento basso al 2,5%-3% (non al 5) che consenta a Renzi, Calenda, Bonino, Leu e gli altri di entrare in Parlamento. E chi no.
Ma serve tempo per portare avanti questo percorso e bisogna partire presto. Letta ha già detto che è disposto a discutere di proporzionale ma vorrebbe che fosse Salvini a fare la prima mossa, per non dare l’impressione di voler cambiare la legge elettorale per paura di perdere le elezioni. Quindi prima di avviare una manovra bipartisan aspetta che i partiti avranno fatto i loro conti dopo le comunali di giugno.
I grillini ormai vogliono correre da soli, senza schiacciarsi sul Pd. Brescia è il loro portabandiera: il presidente della prima commissione ha depositato un testo battezzato il «brescellum», proporzionale con sbarramento alto al 5%.
E aspetta che i partiti diano il via alle danze: nella riunione di un mese fa, gli unici a premere sono stati i Cinque stelle, Fi e Lega non hanno aperto bocca, Fratelli d’Italia ha glissato, contraria a cambiare la legge, il Pd ha obiettato che i tempi erano prematuri e così Italia Viva.
Da domani i dem si attesteranno su una linea più interventista. «Noi proviamo a sbloccare lo stallo, non si possono aspettare gli ultimi mesi di legislatura», prende la palla al balzo Brescia.
(da la Stampa)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
LA MOTIVAZIONE ESILARANTE: “PER ELIMINARE LE DISEGUAGLIANZE”
Una scuola senza più bocciature. È questa la proposta di Giorgia Meloni che, nella mattinata della seconda giornata di lavori della conferenza di Fratelli d’Italia, a Milano, ha presentato i punti del programma di governo della destra.
Da una giustizia con poteri limitati per i pm a un welfare che prevede pensioni più alte per gli anziani che provvedono economicamente ai nipoti. E poi sì, la scuola, dove la leader di Fratelli d’Italia immagina l’addio al sistema delle bocciature.
E tra una domanda su Salvini e l’altra (“Dov’è?”, “Se passasse a salutare sarei contenta, secondo me sarebbe anche carino”), Meloni delinea il suo programma per la scuola, basato sul sistema dei livelli.
L’idea è quella di riprendere il modello degli A – LEVELS tipicamente britannici. In poche parole: “Non ti boccio mai ma anziché certificare il falso come spesso oggi avviene, alla fine della scuola secondaria certifico in modo accurato e fedele il livello di conoscenza che hai raggiunto”.
Un’idea promossa in primis da Ricolfi, che ha definito una riforma scolastica di questo tipo “rivoluzionaria”. E alla platea di Fdi raccolta ad ascoltarlo ha affermato che “l’idea di Meloni di un “liceo del made in Italy” gli piace molto “perché utile a contenere il meccanismo delle lauree deboli in Italia”.
Soprattutto perché “le riforme della scuola progressiste, promosse con l’idea di aiutare i ceti deboli, hanno aumentato le disuguaglianze. Perché un’istruzione di basso livello danneggia i ceti popolari. In quanto i ceti ricchi hanno la possibilità di supportare i figli con ripetizioni e lezioni private. Mentre i ceti popolari devono accontentarsi di un’istruzione di scarso livello”.
Sostituire la bocciatura con una schedatura sui livelli raggiunti cosa cambierebbe? Nulla.
E pensare che le diseguaglianze vengano meno senza bocciature per spacciarsi come difensore dei “poveri” è la tipica demagogia di chi rappresenta i “ricchi” e vota sempre a difesa degli interessi dei ceti benestanti.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
STRATEGICO PER IL FUTURO DEL CONFLITTO, NON SOLO UN SIMBOLO
Il colpo grosso sarebbe – o sarà – il ponte di Crimea, che è poi il ponte di Putin. Opera colossale, 19 chilometri di lunghezza, il più lungo di tutta la Russia, e anche d’Europa.
Se mai gli ucraini riuscissero a danneggiarlo, interromperlo o addirittura distruggerlo, questo sarebbe lo smacco più grande per i russi, nella guerra dei ponti che si va combattendo.
Come tante cose, è anche un simbolo dei vecchi rapporti tra i due Paesi, che a un certo punto decisero addirittura di mettersi insieme per costruirlo. E della potenza di Mosca, che dopo l’annessione della Crimea nel 2014 e la fine dell’amicizia tra i popoli, decise di farselo da sola. Doppio, stradale e ferroviario, alto 35 metri, e bianco. Inaugurato il 15 maggio del 2018 da Putin in persona, che alla guida di un Tir rosso partì dalla penisola di Taman, che è nel territorio di Krasnodar, cioè Russia, per raggiungere rombando la penisola di Kerc, Crimea.
Alla festa che seguì, il Putin camionista dichiarò che si trattava di un risultato notevole, e sul punto non aveva torto: “Rende più forti sia la Crimea sia la leggendaria Sebastopoli. Adesso siamo tutti più vicini, ciò consentirà all’economia di svilupparsi in modo più dinamico, innalzando gli standard di vita delle persone”, che è quello che alle persone interessa di più. Ai russi invece interessa la posizione strategica: lo stretto di Kerc divide il mare di Azov dal mar Nero, è lo sbocco vitale a sud, è quello che già ora in parte controllano, con la flotta schierata proprio davanti a Odessa.
E agli ucraini interessa eccome, il ponte di Putin. Da abbattere, un giorno o l’altro. “Se avessimo avuto la capacità di farlo, lo avremmo già fatto. E se ci sarà l’occasione, lo faremo”, ha detto Olelsiy Danilov, segretario del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale.
E’ solo questione di tempo, dal loro punto di vista. E non è solo una questione di simboli, che pure sono importanti.
Il governo di Kiev ha denunciato che i russi stanno portando in Crimea le scorte di grano (e anche i macchinari agricoli) rapinati nella zona di Melitopol e di Kherson. Ci passa anche altro, ad esempio i rifornimenti per le batterie di contraerea che da lì, come è successo proprio ieri, lanciano i missili Bastion su Odessa. Quindi, un pericolo concreto, per la resistenza dell’Ucraina a sud.
Nel frattempo altri ponti sono già saltati. Nel Donbass, per fermare l’avanzata dei russi, gli ucraini hanno distrutto sei ponti a nord di Sloviansk, mantenendone uno solo attivo, già minato in caso di pericolo imminente.
E sono minati tutti quelli che attraversano i fiumi-estuario nel territorio che va da Mykolaiv a Odessa. Il Bug, il Berezan, il Tylihul. Qualunque cosa, pur di impedire l’invasione.
Dalla loro parte, i russi hanno da tempo concretizzato la strategia di distruggere le infrastrutture vitali del Paese da invadere, ferrovie, stazioni, depositi di carburante e di armi, fabbriche militari. I ponti, naturalmente.
Lo scorso 26 aprile hanno colpito il grande ponte Zatoka, alla foce del Dniestr. Strategico perché unisce direttamente l’Ucraina alla Romania, cioè all’Europa.
Doppio – stradale e ferroviario – da qui ci passavano i carichi di grano e altre merci di cui l’Ucraina è massima produttrice e numero uno dell’export, come l’olio di girasole.
Fermo il porto di Odessa, e chiusi gli altri attualmente sotto il controllo russo, come Mariupol, Kherson, Berdiansk, Skadovsk, non restava che la ferrovia, per far uscire merci e far entrare i carichi di armi che vengono poi immagazzinati in attesa della distribuzione all’esercito.
Il missile che ieri ha centrato la pista di atterraggio dell’aeroporto di Odessa era destinato proprio a questo: distruggere un magazzino “di armi arrivate dagli Stati Uniti e dall’Europa”, hanno dichiarato da Mosca.
Il 27 aprile un secondo attacco, a distanza di mezza giornata dal primo, ha definitivamente messo fuori uso il ponte Zatoka. Gli operai sono al lavoro per ripristinarlo, ma è opera lunga e complicata. E se anche ci riusciranno, resterà sempre un bersaglio facile per i sottomarini che sparano i loro Kalibr dal bel mezzo del mar Nero, come si è poi capito. Come a dire: lavorate, lavorate, tanto ve lo buttiamo giù un’altra volta.
Tre giorni più tardi, la risposta ucraina. Salta in aria il ponte ferroviario che collegava direttamente la Crimea al paese di Yakimivka, vicino a Melitopol. “Serviva agli occupanti per rifornire il loro esercito di armi e carburante”, ha detto Serhiy Bratchuk, portavoce dell’amministrazione militare di Odessa. Le immagini dimostrano che la struttura portante è distrutta. Era una delle due linee ferroviarie con la Crimea. Ne resta una, ed è il ponte di Putin.
(da la Repubblica)
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Maggio 1st, 2022 Riccardo Fucile
“ALLA CONVENTION DI FRATELLI D’ITALIA USANO LE NOSTRE CANZONI? MI FA PIACERE. NON HO MAI VOTATO PER IL MOVIMENTO SOCIALE, SONO UN LIBERALE”
Maestro Mogol, dopo i funerali di donna Assunta si parla ancora di saluti fascisti. E certa destra ci ha sempre visto un riferimento nella sua “La collina dei ciliegi”, dove si plana, appunto, su boschi di braccia tese.
«Una forzatura totale. Le braccia alzate, verso l’interno, invocavano la benedizione del Signore. È anche sulla copertina del disco. I paragoni col saluto fascista sono stati chiaramente un’interpretazione forzata».
Anche Battisti è passato spesso come uno di destra. Lei ha già detto mille volte che non era così.
«Non gliene fregava nulla, non l’ho mai sentito parlare di politica».
Alla convention di Meloni le casse sparano “Acqua azzurra, acqua chiara”, quasi a rivendicare un legame politico. Che effetto le fa?
«Mi fa piacere sempre quando suonano una mia canzone, che lo facciano da Meloni o nel Pd. Per me è come quando cantano “I Giardini di marzo” i tifosi della Lazio».
Anche lei è stato dipinto a volte come un intellettuale di destra. È così?
«Ho sempre votato il meno peggio. Guardo le persone: se uno è cretino, è cretino, a prescindere da destra e sinistra».
Il Movimento Sociale l’ha mai votato?
«Mai. Sono un liberale, ma all’acqua di rose».
Giorgia Meloni le piace?
«Non ragiono sui nomi, ma sugli argomenti. Come per l’Ucraina. Oggi abbiamo persone che sono state invase, da altre persone terribili che ammazzano la gente per strada, i bambini. E sento chi dice: ma dobbiamo vedere il tipo di armi…Non ha senso. Fare distinguo è un discorso imbecille».
I saluti romani al funerale di Assunta Almirante, le braccia tese politiche, come le giudica?
«Se passa Almirante io dico una preghiera, non faccio il saluto fascista. Ma non mi metto neanche a criticare chi lo fa. Per me uno che fa il braccio teso per salutare Almirante è un ex fascista che saluta a suo modo, un saluto diciamo di onore, di chi aveva quella fede politica. Ma provengo da una famiglia antifascista, mio padre non mi ha mai voluto vestire da balilla».
Lei parla da privato cittadino. Ma un leader politico che aspira a fare il premier non dovrebbe usare parole più severe di «gesto antistorico»?
«Per me ha fatto bene, non ha senso. E non è che sono per Meloni. Io sogno gli Stati uniti d’Europa: un solo ordinamento, un solo esercito. Tanti politici ancora fanno discorsi sul nazionalismo. Che senso ha? Affrontiamo i problemi un po’ da dilettanti».
È molto distante dai sovranisti…
«Assolutamente sì, siamo in un altro momento della Storia. Ma stiamo sempre a parlare delle stesse cosette».
(da la Repubblica)
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