Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
PER VEICOLARE I SUOI MESSAGGI PUO’ CONTARE SU DIRETTORI, I GIORNALI DEL GRUPPO ANGELUCCI E SUL CORRIERE DELLA SERA
Uno, nessuno e centomila. Nell’èra della destra di Giorgia
Meloni al potere, solo Luigi Pirandello potrebbe raccontare, da par suo, le vicende che ruotano attorno alla figura del portavoce della premier. Ce n’è “uno” ufficiale, o meglio “una”, la storica Giovanna Ianniello, che però è formalmente inquadrata come «coordinatore degli eventi di comunicazione».
Al suo fianco Fabrizio Alfano che, recentemente, è diventato capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio. Infine ci sarebbe il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari al quale spetta, dallo scorso 3 agosto, il «coordinamento» della comunicazione. Ma è più un mastino politico che fa la guardia ai ministri per evitare scivoloni politici, di quelli che hanno fatto infuriare la leader nei mesi scorsi.
Insomma, formalmente non c’è “nessun” portavoce. Ma in realtà ce ne sono “centomila”. Da Alessandro Sallusti a Mario Sechi (che è passato da Chigi alla direzione di Libero), da Italo Bocchino a Daniele Capezzone fino al Corriere della sera.
Sono loro che, svolgendo quotidianamente la propria attività, trasmettono il pensiero meloniano al mondo. Sallusti, tornato alla direzione del Giornale, ha anche pubblicato recentemente libro intervista con la premier La versione di Giorgia.
Un manifesto programmatico che ben sintetizza il momento. Libero, ad esempio, ha diffuso in anteprima la “versione di Giorgia” alle Nazione unite, cioè il discorso che la premier ha pronunciato a New York nella notte italiana.
Meglio ha fatto il Corriere che, dopo giorni di polemiche sulla scelta di Meloni di disertare il ricevimento organizzato da Joe Biden per andare a mangiare una pizza con figlia e staff, ha riportato, sotto forma di retroscena, la “versione di Giorgia” su quanto accaduto: «La cena degli americani era alle 19 di New York e io in pizzeria ci sono andata alle 21, dopo dodici ore di lavoro al palazzo di Vetro, dopo aver saltato il pranzo per i tanti bilaterali e quando il ricevimento di Biden era finito».
Dopotutto il giornale milanese, da quanto è arrivata a palazzo Chigi, ha avuto, ricambiato, un occhio di riguardo per la premier che lì ha pubblicato la sua lettera sul 25 aprile ma anche il ricordo di Silvio Berlusconi dopo la sua morte. A riprova che non servono spin doctor o portavoce seduti nelle stanze del governo.
POLO ANGELUCCI
Fin dall’inizio, infatti, la ricerca di qualcuno che potesse ricoprire il ruolo è stata piuttosto complicata. Meloni ha sempre preferito circondarsi di persone fidate provenienti dalla sua storia politica, difficile fidarsi di un “esterno”. Così il mantra che tutti ripetevano, dentro FdI e dentro il governo, era: «Ma perché? C’è davvero bisogno di un portavoce?»
La soluzione perfetta l’ha messa a punto Antonio Angelucci, deputato prima di Forza Italia e oggi della Lega, ma soprattutto editore che, dopo aver acquistato il Giornale e averlo affiancato a Libero e al Tempo, ha creato un polo mediatico conservatore a disposizione della premier e del centrodestra.
Così, quando serve un po’ di narrazione mediatica, con una ricca iniezione di pathos, scendono in campo i pesi massimi. Giornalisti che a colpi di penna fanno arrivare i messaggi al grande pubblico, quantomeno all’elettorato amico.
LIBERO SECHI
Il caso Sechi, passato da essere collaboratore della premier a direttore del quotidiano Libero, spiega bene qual è la strategia. Soprattutto perché il neodirettore si muove in tandem con l’ex parlamentare Capezzone (che del quotidiano è direttore editoriale).
Al fianco di Sallusti e Sechi c’è poi il quotidiano romano Il Tempo – altra creatura editoriale nelle mani di Angelucci – che sotto la guida di Davide Vecchi ospita “Cicisbeo”, pseudonimo dietro la quale dicono si nasconda un potentissimo ex parlamentare impegnato, anche lui, nella battaglia contro l’egemonia della sinistra. In ogni direzione. Un’altra versione di Giorgia.
(da editorialedomani)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
AUMENTO RECORD PER GLI STIPENDI NEL 2024: FINO A 14.000 EURO AL MESE
La crisi non è per tutti. L’inflazione non deve essere contrastata con l’aumento degli stipendi, è il mantra che da mesi ripetono la Bce e anche il governo. Ma non vale per tutti. Perché per i sindaci la busta paga cresce eccome. Non per una decisione del governo Meloni, precisiamolo subito. Ma gli aumenti, stabiliti nel 2021, sono da record.
I primi cittadini delle grandi città da gennaio del 2024 guadagneranno quasi 14mila euro lordi al mese. Un aumento di stipendio stabilito dalla legge di Bilancio 2022, con l’esecutivo guidato da Mario Draghi. Lo stipendio dei sindaci viene quindi parametrato a quella dei presidenti di Regione, basandosi sulla popolazione del comune che guidano.
GLI STIPENDI DEI SINDACI
Già nel 2022 gli stipendi dei primi cittadini sono cresciuti, così come nel 2023. Ma a gennaio gli aumenti saranno pieni e i sindaci delle città metropolitane raggiungeranno i 13.800 euro lordi mensili, ovvero ben 6.800 euro in più rispetto al 2021. Per i comuni più piccole le cifre sono più basse: sotto i 3mila abitanti si arriva a 2.208 euro, contro i 1.659 del 2021.
Per i comuni capoluoghi di Regione (ma che non siano città metropolitane) lo stipendio sarà di 11mila euro circa, così come per i capoluoghi di provincia con più di 100mila abitanti. Si scende a 9.660 euro lordi mensili per i sindaci di capoluoghi sotto i 100mila abitanti e a 6.210 euro per i comuni non capoluogo da 50mila abitanti in su. Stipendio da poco meno di 5mila euro per le città tra 30mila e 50mila abitanti e da poco più di 4mila euro tra i 10mila e i 30mila abitanti.
Proprio nei comuni più piccoli l’aumento è maggiore rispetto al 2021, con sindaci come quello di Rieti che avranno un aumento del 159%. Ma anche in comuni leggermente più grandi non ci si può lamentare, passando – per esempio a Viterbo – da 4.500 a 9.660 euro o in capoluoghi come Pescara e Perugia da 5.200 a 11.040.
PERCHÉ SONO STATI AUMENTATI GLI STIPENDI DEI PRIMI CITTADINI
Gli aumenti di stipendio per i sindaci sono stati decisi anche per incentivare personalità che hanno un buon reddito a rinunciare al loro lavoro e alla loro retribuzione per amministrare anche piccole comunità. Di certo fare il sindaco nel 2024 sarà più conveniente che in passato.
Va detto che i precedenti stipendi dei sindaci erano stati fissati nel 2000 ed erano anche stati ridotti del 10% nel 2006. L’unico aggiornamento aveva riguardato i sindaci dei comuni sotto i 3mila abitanti, avvenuto nel 2019. Dal 2024 gli aumenti varranno, sul bilancio dello Stato, 220 milioni di euro. Evidentemente per gli stipendi dei sindaci questi soldi si possono trovare, per quelli dei lavoratori sottopagati no.
(da La Notizia)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
LE DONNE INCINTE NON SARANNO PIU’ CONSIDERATE “VULNERABILI”, CIOE’ MERITEVOLI DI UN’ACCOGLIENZA PARTICOLARE… A PAROLE RIMPATRIANO TUTTI, NELLA PRATICA NON RIMPATRIANO NESSUNO, MA I GONZI RAZZISTI CI CREDONO
Era un indubbio problema, l’arrivo in massa di minori stranieri
non accompagnati, 11.650 quelli registrati quest’anno dal ministero dell’Interno. E i centri dedicati sono andati in tilt. Quindi ecco l’idea del governo di rovesciare il tavolo: basta non classificarli più come minori, o quantomeno prevedere controlli medici per tutti quelli che non sono palesemente adolescenti, e il gioco è fatto.
Oggi il governo varerà un decreto che riscrive pesantemente la legge Zampa a tutela dei minori stranieri. La stragrande maggioranza di quelli che finora erano considerate figure fragili, da domani diventeranno particolarmente esposti. Anche perché se verrà dimostrato che l’età dichiarata è un falso, ciò sarà sufficiente per un’espulsione.
Che questo significhi che poi un eventuale diciottenne africano colto sul fatto sia davvero rimpatriato, sarà da vedere. Nel frattempo però troverà sbarrate le porte dell’accoglienza di Stato. E non graverà, come è oggi, per 100 euro al giorno sul bilancio del Viminale.
Il decreto che dà un’ulteriore stretta ai migranti, in particolare quelli minori, era atteso da settimane. A leggere i testi, si rivela di una durezza inusitata. Dei minori che prima erano presi in carico con sollecitudine, e in pratica bastava un’autodichiarazione, per essere inseriti nel corridoio protetto dei minorenni, s’è detto.
In ogni caso cade un muro: in caso di momentanea indisponibilità di strutture speciali per i minori, un prefetto potrà «disporre la provvisoria accoglienza del minore di età non inferiore a sedici anni in una sezione dedicata nei centri e strutture ordinarie». Unico limite, questa mescolanza tra minori e adulti non dovrà superare i novanta giorni».
Le donne incinte, poi, vengono eliminate dalle categorie di persone ritenute vulnerabili e perciò meritevoli di un’accoglienza particolare. All’articolo 17, tra le persone portatrici di esigenze particolari, le parole «in stato di gravidanza» vengono soppresse.
Il decreto prevede anche la cancellazione delle richieste di asilo internazionale quando lo straniero non si presenta presso l’ufficio di polizia per la verifica dell’identità e per la formalizzazione della domanda di protezione. Non basterà la prima indicazione al momento dello sbarco.
Per gli stranieri sottoposti a misure di sicurezza, infine, ossia quelli che abbiano avuto comportamenti violenti, «l’espulsione è disposta dal prefetto» per gravi motivi di pubblica sicurezza, in analogia con quell’espulsione speciale che può essere disposta «per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato dal ministro dell’Interno».
Una misura straordinaria che per anni è stata utilizzata con il contagocce e solo per i sospetti di terrorismo internazionale ora potrebbe diventare una prassi. L’espulsione potrà essere disposta anche nei confronti dei richiedenti asilo o chi gode di un permesso di soggiorno di lunga durata e anche se soggetti a misure di prevenzione e persino quelli con procedimenti penali in corso. Basterà essere considerati socialmente pericolosi per essere espulsi (a parole).
(da La Stampa)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
AL VIA IL PROCESSO ALLA CEDU: LA POSTA IN GIOCO E’ MOLTO ALTA
Sei giovani portoghesi tra gli 11 e i 24 anni hanno fatto causa a 32 governi per non aver affrontato l’emergenza climatica provocata dall’uomo. Oggi, 27 settembre, inizia il processo a Strasburgo davanti alla Corte europea dei diritti umani. Non passa inosservata l’assenza della Russia, chiamata anch’essa a comparire. Si stima che le persone che assisteranno all’udienza saranno almeno 600. 80 gli avvocati che saranno presenti in aula, in rappresentanza dei governi citati in giudizio. La posta in gioco, infatti, è molto alta considerato che potrebbe esser il primo caso sul clima ad essere depositato presso la Corte europea dei diritti umani e il più grande su un totale di tre cause sul tema che la Corte sta esaminando. La Grande Camera sarà composta da 17 giudici.
La causa
Gli stati accusati di non aver rispettato gli impegni presi con l’accordo di Parigi sul clima nel 2015 sono tutti i 27 europei – quindi anche l’Italia -, oltre alla Russia, la Turchia, la Svizzera, la Norvegia e il Regno Unito. In attesa dell’udienza, di fronte ai cancelli della Corte sono spuntati diversi cartelli in più lingue a sostegno dell’azione dei sei giovani portoghesi. Tra questi anche alcuni in italiano. «Cosa c’è di più bello della speranza dei giovani che lottano per il loro futuro?», recita uno. L’idea dei sei ragazzi è iniziata sei anni fa nel 2017 a seguito dei devastanti incendi che bruciarono migliaia di ettari del Portogallo, provocando centinaia di morti. La causa venne poi intentata nel 2020 a seguito di un crowdfunding. Se il dossier sarà ritenuto ammissibile, la decisione potrebbe arrivare nella migliore delle ipotesi nel 2024.
(da Open)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL NO DI CROSETTO E PIANTEDOSI BLOCCANO IL DELIRIO SOVRANISTA
Pazza idea: nominare il generale-scrittore Roberto Vannacci
come commissario straordinario di Caivano. La suggestione sarebbe nata a palazzo Chigi – come hanno riferito fonti qualificate a Domani – proprio nei giorni di massima tensione tra Vannacci e il ministero della Difesa. Quando la premier Giorgia Meloni si è recata nel comune alle porte di Napoli dopo le notizie sullo stupro di due cuginette minorenni.
L’idea della promozione del generale è del duo Fazzolari-Meloni. Un’intuizione che si è scontrata con un doppio muro: il no categorico del ministero guidato da Guido Crosetto e quello altrettanto duro del Viminale timonato da Matteo Piantedosi. Non a caso il decreto Caivano del 7 settembre ha individuato per il ruolo un profilo decisamente meno mediatico e controverso come quello di Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia.
Il caso delle violenze al parco Verde di Caivano è emerso il 25 agosto. Gli stupri avvenuti nel comune campano erano solo gli ultimi di una serie di casi simili, tutti con il comune denominatore della violenza di gruppo contro donne o ragazzine avvenuta nelle periferie urbane di grandi città.
Da una settimana, però, il dibattito pubblico era occupato dalle polemiche attorno al libro Il mondo al contrario, autopubblicato su Amazon dal generale Vannacci. Le opposizioni attaccavano da sinistra. Il ministro Crosetto, per difendere l’immagine dell’esercito, aveva richiamato il generale agli obblighi di imparzialità propri di chi indossa la divisa. Ma da destra non tutti condividevano quella posizione. Anzi, i messaggi di sostegno e condivisione del punto di vista estremo di Vannacci, anti-gay e contro i migranti, si moltiplicavano col passare dei giorni.
In questo clima il governo Meloni si trovava a riprendere i lavori dopo la sospensione estiva: con la tempesta perfetta di un militare che lanciava un messaggio forte e potenzialmente affine all’elettorato vicino all’estrema destra e il riesplodere della cosiddetta emergenza sicurezza sulla scia di una terribile violenza.
LA MOSSA DI MELONI
A mano a mano che la fama di Vannacci aumentava, cresceva anche la competizione intestina dentro il centrodestra, tanto da accendere un campanello d’allarme in casa FdI. Se il ministro Crosetto si era subito esposto per arginare e prendere le distanze dal generale («le sue sono farneticazioni», disse pur senza entrare nelle scontro politico), la Lega di Matteo Salvini aveva invece immediatamente sposato le posizioni di Vannacci, lasciando addirittura intrevedere la possibilità di candidarlo alle europee.
«Non chiudo le porte a niente», aveva da subito detto in modo sibillino il generale. Nel frattempo le vendite del libro continuavano a crescere insieme al numero di interviste e alle polemiche ogni volta che veniva organizzata una presentazione.
Anche nel mondo a destra di Meloni gli estimatori si stavano moltiplicando. In prima fila l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, impegnato a compattare l’elettorato più estremo, critico rispetto alla linea “morbida” della premier, considerata un tradimento rispetto alle promesse di campagna elettorale.
Proprio mentre era in corso questo doppio assalto al bacino elettorale di FdI – con conseguente preoccupazione dei vertici – a Fazzolari e Meloni, costretta al silenzio dal suo ruolo istituzionale ma in disaccordo con la linea prudente di Crosetto, è maturata l’idea di passare al contrattacco. Da un lato il responsabile dell’organizzazione, Giovanni Donzelli, interviene pubblicamente sul Corriere della Sera il giorno dopo Crosetto per dire che «in un mondo libero si scrive ciò che si pensa». Dall’altro palazzo Chigi ipotizza di recuperare Vannacci alla causa di FdI nominandolo commissario per l’emergenza sicurezza a Caivano.
L’obiettivo principale è politico: sottrarre il generale alla Lega per portarlo nel cerchio di influenza meloniano e recuperare così quota nell’elettorato storico di FdI, anche a costo di dare nuovo fiato alle polemiche e sbugiardare il proprio ministro della Difesa.
Ma il tentativo non ha potuto superare la netta contrarietà dei due ministeri sotto la cui sfera rientravano entrambe le questioni. Piantedosi ma soprattutto Crosetto avrebbero liquidato l’ipotesi come del tutto impercorribile. Arginando così palazzo Chigi, o forse salvandone la credibilità istituzionale.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA FIGLIO DI PAPA’ CI INFORMA CHE IN GERMANIA I NAZISTI SONO ANCORA AL POTERE
Si apprende da fonti autorevolissime, il vicesegretario della Lega Andrea Crippa, che in Germania i nazisti sono ancora al potere.
Ottant’anni fa invadevano gli altri Stati con i panzer della Wehrmacht e adesso lo fanno con le Ong dei migranti, allo scopo di creare malcontento sociale e propiziare la sostituzione della Meloni con Draghi e la Schlein (il famigerato governo Draghlein).
Chissà cosa penserebbe il Crippa se, dopo avere ascoltato le sue parole, qualche vicesegretario tedesco gli desse del mafioso mandolinista mangia-spaghetti o, con maggior rigore filologico, del nostalgico di Mussolini, accusandolo di non avere ancora digerito la sconfitta delle legioni romane nella foresta di Teutoburgo (9 d. C.).
Perché il livello delle accuse del Crippa è quello: un riuscitissimo mix di complottismo e pregiudizio. Intendiamoci, i governi tedeschi e francesi non brillano per solidarietà nei confronti dell’Italia, e nei fatti sono molto più sovranisti di quanto lo sia il nostro a parole.
Però il Crippa sposta il problema sul piano della surrealtà, appagando il bisogno popolare di trovare in fretta una soluzione e soprattutto un colpevole.
Qualcuno dirà: proprio come Salvini. Ma la differenza decisiva tra salvinismo e crippismo è che Salvini non crede sempre a quello che dice, mentre il Crippa dà la sensazione di pensare davvero che i migranti siano al soldo dei nazisti.
E che questo pensiero, per noi disturbante, a lui arrechi persino un certo sollievo
(da Il Corriere della Sera)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
ESISTE UN LIMITE ALLA BALORDAGGINE?
Ieri il ceto politico, e altri sparsi, ha celebrato alla Camera una
sinfonia sobria e ben riuscita in memoria del presidente emerito morto venerdì, Giorgio Napolitano. Sembrava tornato per un solo momento un paese freddo, razionale, emotivamente equilibrato, unito in un breve ma intenso atto memoriale di comune retorica repubblicana e nazionale. Salvini e i suoi erano tra gli officianti istituzionali, in mezzo a una sfilza di presidenti anche francesi e tedeschi. Eppure per loro nella politica quotidiana è tornata la logica del rutto libero, espressa stavolta con forte potere di immaginazione storica dal vicesegretario della Lega che ha imputato alla Germania un’invasione destabilizzatrice di migranti paragonabile all’occupazione del suolo patrio dopo l’8 settembre. Salvini il neo-Truce dà il “la”, e il concertino si fa bello delle più incredibili assonanze e dissonanze, di stridii e cachinni che sputtanano governo, maggioranza e istituzioni civili in Europa. E inducono Meloni a una rincorsa dubbia.
Il ritorno del rigurgito come strumento primitivo di comunicazione politica, a molti mesi dalla fatidica soglia elettorale per l’Unione europea e il suo parlamento, sconcerta e sorprende. Da molti anni ormai il senatore Salvini era impegnato in un’operazione di smantellamento della sua vecchia immagine ribalda, si era per così dire rimpannucciato partecipando al governo di unità nazionale e vincendo con gli alleati le elezioni politiche, ora litiga con il suo ex capo di gabinetto divenuto ministro dell’Interno, sparacchia a caso contro Bruxelles, Parigi e Berlino, ricomincia a usare un linguaggio sudicio sugli sbarchi di povericristi, che non sono un’invasione per quanto difficili da governare in un clima di forza e civiltà, eccita nei suoi il vecchio spirito massimalista e demagogico dell’epoca infausta del governo del contratto, quando leghisti e grillini prima maniera lasciarono tutti a casa e scapparono di casa facendo in un anno meno danni materiali di quelli verbali e d’immagine, fino al clamoroso suicidio dei pieni poteri e del Papeete.
Dal rutto a torso nudo e dai modi fascistoidi sembrava che i veri fascisti liberali della stagione di Meloni, subentrata con voti e poi con una certa aura di autorevolezza al casino organizzato degli anni passati, avessero, dopo le cure Franceschini e Draghi, emancipato un partito combattente che ha una classe dirigente di governatori e ministri seri ma è sempre pronto a sacrificarla pubblicamente in un comiziaccio baciasalami. Niente da fare, allo zelo istituzionale dei contraenti il patto di maggioranza il nuovo trucismo oppone grisaglie e rutti liberi, appena può impunemente sottrarsi a un comportamento minimamente decente.
Salvini non è mai un problema finché non diventa un problema. Ha più che dimezzato i voti quando ha giocato sull’assimilazione politica e di sistema, e questo lo cruccia, lo indispone, lo mette in pericolo tra la sua gente, che poi sarebbero i famosi deplorables, la minoranza qualunquista e sfasciacarrozze che la Lega dell’ex Truce voleva inglobare in un progetto nazionale e istituzionale evidentemente fallito. La sua debolezza relativa, compensata da un’alleanza vincente, ora crea debolezza e imbarazzo per la sua stessa maggioranza e per i suoi uomini di governo meno sprovveduti.
Uno deve decidere, o punta sul ponte o si butta continuamente dal ponte, risale e si ributta in uno spettacolo di autolesionismo e demagogia trita e ritrita. Il neo Truce non ha deciso e costituisce per questo un serio ostacolo alla pratica e all’immagine di destra conservatrice e di governo alla quale i veri vincitori delle elezioni di un anno fa sono attaccati e dalla quale non dovrebbero né vorrebbero scollarsi bruscamente. Lo si tollera pensando al monopoli elettorale, a una fase turbolenta da mettere nel conto, ma fino a quando, fino a che livello di balordaggine è possibile mantenere il timone della politica estera e di difesa, della politica finanziaria e delle alleanze decisive per questa nazione, come direbbe la capa del governo insidiato dalla burinaggine di un uomo del nord molto più cafone di qualunque borgataro e garbatellaro?
(da Il Foglio)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL FILOSOFO ESONDA: “LEI E’ IN MALAFEDE!”… AL CULMINE DEL PANEGIRICO, LOFANO HA INCORNICIATO IL FIN QUI FALLIMENTARE “PIANO PER L’AFRICA” CHE CACCIARI PRIMA INCREDULO, POI SCONFORTATO E SGOMENTO (“MA PER CARITÀ DI DIO”) HA ASSUNTO VIVIDE ESPRESSIONI MUTE, TUTTE IMMORTALATE DALLA REGIA: GUARDIA AL CIELO. VISO AFFONDATO SUL TAVOLO. OCCHI SBARRATI. BRACCIA AGITARSI. MANI TRA I CAPELLI”
Da lunedì sera, nell’ideale podio sull’uso del silenzio reso eloquente come una lectio magistralis va collocato, di diritto, il professore Massimo Cacciari. Ospite nella puntata di 8 e mezzo dedicata al bilancio del primo anno del governo Meloni, il filosofo ha elencato tutti gli insuccessi del governo della destra. Palesemente alle corde sull’economia sempre più schiacciata sotto il peso di debito pubblico e scommettere e dall’immigrazione irregolare fuori controllo, come ammesso dallo stesso premier.
Una critica fattuale condivisa da Andrea Scanzi e da Sebastiano Barisoni di Radio 24, che certo un bolscevico non è.
Mentre a spargere di lodi il cammino fin qui percorso dall’esecutivo ci pensava Rita Lofano. Forse per dovere d’ufficio, in qualità di direttore dell’Agi (l’agenzia di stampa di proprietà dell’Eni) succeduta a Mario Sechi chiamato da Giorgia Meloni per una fuggevole collegamento a Palazzo Chigi (tutto si tiene). O chissà, per convinzione personale (preferiamo la prima ipotesi).
È stato quando al culmine del panegirico, Lofano ha incorniciato il fin qui fallimentare “piano per l’Africa” che Cacciari prima incredulo (“lei è in totale malafede”), poi sconfortato e sgomento (“ma per carità di Dio”) ha infine assunto vivide espressioni mute, tutte immortalate dalla sapiente regia di 8 e mezzo.Guardia al cielo. Viso affondato sul tavolo. Occhi sbarrati. Braccia agitarsi. Mani tra i capelli. Fin quando richiesto da Lilli Gruber di un ulteriore commento sui petali di rosa disseminati dall’implacabile Lofano, Cacciari ha detto che poteva bastare così. Salutato, ne siamo convinti, dall’applauso di quanti, nelle case degli italiani, non ne possono davvero più di questo indecente manipolare la realtà. Offndere l’altra intelligenza. Negare l’evidenza.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
SONO 31 GLI ARRESTI PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE DI STAMPO MAFIOSO FINALIZZATA AL TRAFFICO DI DROGA
Sono tre le presunte associazioni criminali smantellate oggi con
l’operazione del Ros “Monte Nuovo”. Dei 31 arrestati, in otto devono rispondere di associazione per delinquere di stampo mafioso, in sei di associazione segreta e altri 14 di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga.
Per alcuni degli indagati ci sono più contestazioni come per l’ex assessora regionale dell’agricoltura, Gabriella Murgia e il primario di Cagliari, Tommaso Girolamo Cocco, entrambi finiti in carcere insieme con Alessandro Arca, Nicolò Cossu, Tonio Crissantu (nipote di Graziano Mesina), Vincenzo Deidda, Mario Antonio Floris, Battista Mele, Giovanni Mercurio, Giuseppe Antonio Mesina, Desiderio Mulas, Paolo Murgia e Alessandro Rocca.
Ai domiciliari sono finiti, invece, Vito Maurizio Cossu, Andrea Daga, Alice Deidda, Alessia Deidda, Antonio Fadda, Giuseppe Paolo Frongia, Anna Gioi, Raffaele Gioi, Salvatore Gioi, Marco Lai, Tomas Littarru, Antonio Marteddu, Riccardo Mercuriu, Serafino Monni, Marco Muntoni, Antonio Michele Pinna, Paolo Sale, Marco Zanardi.
Facevano gli “spuntini”, anche all’interno dell’ospedale Binaghi di Cagliari, che era diventato uno dei luoghi di incontro tra i presunti criminali, il medico e l’ex assessora regionale arrestati oggi nel corso dell’operazione del Ros.
“Abbiamo accertato diversi incontri – ha detto il tenente colonnello Giorgio Mazzoli, comandate del Ros di Cagliari, nel corso della conferenza stampa – a cui hanno preso parte anche loro più volte”.
Secondo gli investigatori con questa indagine si è coperta una “saldatura” tra due mondi considerati inconciliabili: quello della criminalità legato al traffico di droga o a quello che era l’Anonima sequestri, con alcuni membri delle istituzioni.
“Questa operazione dimostra un cambiamento del paradigma in cui si vedeva che la Sardegna aveva solo associazioni e bande modulari legate alle attività storiche come gli assalti ai portavalori e i sequestri – è stato spiegato in conferenza – adesso c’è un’associazione segreta di cui fanno parte questi membri delle istituzioni che avevano capacità di intervenire nelle decisioni degli enti locali”.
(da agenzie)
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