Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
LO “SCOSTAMENTO” TRA DOMANDA E OFFERTA È DEL 48%, PRIMA DELLA PANDEMIA ERA AL 20% – E COSÌ CRESCE LA MANODOPERA STRANIERA (CHE VALE ORMAI IL 35% DELLE ENTRATE PROGRAMMATE), CHE ACCETTA QUALSIASI CONDIZIONE, ANCHE LO SFRUTTAMENTO, PUR DI LAVORARE
Su 531mila assunzioni previste dalle imprese a settembre oltre 252mila sono considerate dagli stessi imprenditori “difficili” da realizzare. Siamo al 48%; un “mismatch” (scostamento) a livelli elevatissimi che ormai riguarda un’assunzione su due, o giù di lì. Un dato, peraltro, in costante crescita, e in aumento di ben cinque punti rispetto a dodici mesi fa, con quote comprese tra il 60% e il 70% per molte figure tecnico-ingegneristiche e per gli operai specializzati.
Prima del Covid, nel 2019, le difficoltà nelle assunzioni oscillavano intorno al 20%; quindi in meno di un lustro questa percentuale si è più che raddoppiata. E a crescere, con una accelerata negli ultimi mesi, sono gli inserimenti di manodopera straniera, passati dai 95mila ingressi dello scorso anno, pari al 18,2% del totale delle entrate, agli 108mila ingressi segnalati a settembre, pari al 20,4% del totale entrate (+13mila contratti; +13,6%).
A ricorrere maggiormente alla manodopera straniera sono i servizi operativi di supporto a imprese e persone (il 35,2% delle entrate programmate è riservato a manodopera straniera); ma numeri importanti si registrano anche nei servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio (32,7% di assunzioni di stranieri); nelle industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (25,8%), nei servizi di alloggio ristorazione e turistici (25,7%) e nelle industrie alimentari (25,1%).
La fotografia scattata ieri dal bollettino Excelsior di settembre, targato Unioncamere-Anpal, conferma come causa prevalente del mismatch sia la “mancanza di candidati” con una quota del 31,7%. A seguire la “preparazione inadeguata” che si attesta al 12%.
Un segnale da non trascurare vista la denatalità in atto (perdiamo 100mila studenti l’anno); e con un ragazzo su due che esce dalla scuola con competenze inadeguate. Tutto ciò in un mercato del lavoro che sta tenendo: nel trimestre settembre-novembre sono previsti 1,4 milioni di ingressi (+1,9% rispetto all’analogo periodo 2022). Con una spia rossa: a settembre le assunzioni sono in calo nelle aziende sotto i 10 addetti; mentre sono positive in quelli di maggiori dimensioni.
Entrando più nel dettaglio, il mismatch più elevato riguarda gli operai specializzati (64,2% la quota di entrate difficili da reperire), i conduttori di impianti fissi e mobili (53,2%) e le professioni tecniche (49,5%). Mancano attrezzisti, operai e artigiani del trattamento del legno (74,1% e un picco dell’87,7% nel Nord Ovest), gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (73,6%, con un massimo nel Nord Est dell’80,9%), i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori macchine fisse e mobili (73,1%, al 76,7% nel Nord Ovest) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (72%, ma fino all’81,5% nel Centro).
Difficili da reperire anche i tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (67,5%, che raggiunge il 74,5% nelle regioni centrali), i tecnici in campo ingegneristico (64,2%), i tecnici della salute (58,9%) e i tecnici della distribuzione commerciale (58,8%).
(da Il Sole 24 Ore)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE REGIONALE DELLA SANITÀ, CARLO DORIA, SOSTIENE CHE IL MESSAGGIO SIA UN FALSO O “VECCHIO DI ANNI”, MA IL PAZIENTE RIBATTE: “LA COMUNICAZIONE MI È ARRIVATA DALLA ASL”
«L’angoscia di dovermi curare l’ho superata. L’idea di farlo lontano dalla mia famiglia è troppo», Gian Michele Angheleddu strozza il pianto. Ha 51 anni, è sardo e da poco ha scoperto di avere un cancro che richiede la radioterapia. Come autotrasportatore è abituato a viaggiare, ma non avrebbe mai immaginato di dover stare lontano dalla moglie e dai tre figli piccoli proprio adesso che si sente così vulnerabile. Eppure, è ciò che gli è stato suggerito nero su bianco il 28 agosto da un ospedale della sua provincia, il San Francesco di Nuoro.
«A causa della lista d’attesa — è scritto — non è possibile rispettare una tempistica oncologica corretta (come suggerito dal rapporto “Istisan” 02/2. Istisan , ovvero dell’Istituto Superiore di Sanità, ndr)». Deve aspettare circa 6 mesi solo per poter iniziare la radioterapia, «pertanto si invita il paziente a recarsi in altro centro fuori regione».
L’assessore regionale della Sanità, Carlo Doria, sostiene che il messaggio sia un falso o «vecchio di anni». Ma Angheleddu al Corriere ribatte: «Quel documento me l’ha mandato l’Asl ed è noto che i tempi sono lunghi anche per chi è più grave di me».
Entro l’anno le nuove attrezzature dovrebbero permettere una riduzione dei tempi, ma il problema di Nuoro è la mancanza di personale, sufficiente per far funzionare solo uno dei due apparecchi disponibili. Tutti i bandi vanno a vuoto: «Abbiamo introdotto la paga di 60 euro all’ora più il rimborso spese per chi va a lavorare nelle aree problematiche. Presto arriverà pure un bonus da mille euro al mese, ma è difficile trovare dei tecnici».
«La colpa — dice — potrebbe essere degli stipendi bassi, dei numeri chiusi nelle facoltà o del fatto che alcune professioni sanitarie diventano meno attrattive». Per Angheleddu, Cugusi e tanti altri, però, ciò che conta è solo che la Regione si muova prima che sia troppo tardi.
(da il Corriere della Sera)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
RESTANO TUTTI IN CARCERE
Resta in carcere Samuele La Grassa, uno dei sette ragazzi accusati dello stupro di gruppo di una 19enne a Palermo, violentata lo scorso 7 luglio in un cantiere abbandonato del Foro Italico.
Il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dal legale del ragazzo, così come avvenuto per altri cinque del gruppo che in precedenza avevano fatto richiesta.
Fra due giorni il Riesame dovrà pronunciarsi anche su quella del minorenne all’epoca dei fatti, prima scarcerato e poi portato in comunità, dopo la pubblicazione di alcuni video sui social e dopo la deposizione di nuove prove dei periti con le chat nel cellulare del ragazzo.
La Grassa, condannato a pagare anche le spese del giudizio, aveva provato a difendersi sostenendo che quella sera non aveva «partecipato attivamente» alla violenza, restando in disparte mentre il gruppo abusava della 19enne. Nelle scorse settimane, il Tribunale del Riesame aveva respinto le richieste di uscire dal carcere dei primi ragazzi arrestati: Angelo Flores, Gabriele Di Trapani e Christian Barone. Stessa sorte ha avuto Christina Marina.
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
“A CAPODANNO PIU’ DROGA IN CARCERE CHE A PORTA PALAZZO”
“Era come il paese dei balocchi: la notte di Capodanno c’era più droga nel carcere di Biella che a Porta Palazzo”, osserva uno dei detenuti che ha collaborato con gli inquirenti coordinati dalla procuratrice di Biella Teresa Angela Camelio all’inchiesta sul traffico di sostanze stupefacenti, anabolizzanti, smartphone e microtelefoni culminata con 56 indagati, 53 misure cautelari eseguite martedì in 21 province d’Italia, dalla Sicilia alla Val D’Aosta, delle quali 33 in carcere per altrettanti detenuti, 9 loro famigliari ai arresti domiciliari, oltre a sei agenti della polizia penitenziaria indagati , tre finiti agli arresti domiciliari, tre destinatari della misura di sospensione dall’esercizio della professione.
L’inchiesta portata a termine dagli investigatori della squadra Mobile di Biella ha sgominato un sistema articolato di spaccio all’interno della casa circondariale nella quale il 90 per cento dei 320 detenuti è tossicodipendente, solo 15 per cento era già in carico ai servizi sociali prima di entrare in cella.
Uno scenario allarmante, figlio dell’attività capillare di spaccio organizzata da alcuni detenuti che con la compiacenza delle guardie carcerarie erano in grado di introdurre all’interno del penitenziario 200 pasticche di Subutex a settimana (un farmaco utilizzato per curare la dipendenza da oppioidi), un chilo e mezzo di hashish da rivendere a 60 euro al grammo, un prezzo dieci volte superiore rispetto a quello della strada. E poi gli Smartphone di ultima generazione, in vendita a 1500 euro l’uno, i microtelefoni sul mercato a 500 euro l’uno.
Le tariffe stabilite dai capi dello spaccio per “i cavalli blu”, come erano soprannominate in gergo le guardie penitenziarie, si aggiravano tra i 600 e i 1500 euro a pacco in base al tipo di droga.
Perché nelle sezioni del carcere di Biella si trovava tutto: eroina, cocaina, crack, hashish, marijuana, Subutex e anabolizzanti.
Ogni piazza di spaccio, governata da un capo diverso, all’interno di una specifica sezione vendeva solo un tipo di droga. Una spartizione capillare del territorio e delle sostanze, resa possibile non solo dagli agenti compiacenti, ma anche grazie alla partecipazione dei detenuti che avevano più libertà di movimento all’interno della prigione.
La droga e i cellulari entravano nascosti nei pacchi postali con mittente fittizio, attraverso i lanci dal muro di cinta, venivano portati dai familiari al colloquio oppure entravano con l’ausilio della polizia penitenziaria.
I capi dello spaccio si avvalevano anche della collaborazione dei detenuti in permesso esterno, minacciandoli e tenendoli sotto scacco: vittime di estorsioni hanno inviato delle lettere anonime in procura decidendo di collaborare con gli investigatori della Mobile di Biella diretti da Giovanni Buda.
L’inchiesta, prosecuzione di un primo filone che aveva in carcere un agente della penitenziaria, è decollata grazie a una perquisizione eseguita il 28 aprile 2021 e solo apparentemente dagli esiti fallimentari. Gli investigatori coordinati dalle sostitute procuratrici Paola Francesca Ranieri e Sarah Cacciaguerra, hanno scoperto successivamente che gli agenti della polizia penitenziaria avevano avvisato i detenuti quattro giorni prima, consentendo loro di nascondere i panetti di hashish e i telefoni nell’intercapedine tra la parete e gli armadietti.
Nel dicembre del 2019 gli agenti hanno scoperto che gli smartphone entravano camuffati nelle confezioni di cioccolato, i microtelefoni nell’involucro dei torroncini. La droga era in vendita a ogni ora del giorno, ogni sezione la sua sostanza.
Così l’indice di tossicodipendenza all’interno della popolazione detenuta ha raggiunto picchi del 90 per cento. Secondo il detto che ricorreva tra i detenuti secondo il quale “se la droga non la trovi fuori, la puoi trovare nel carcere di Biella”.
Sono anni che il carcere biellese è al centro dell’attenzione della magistratura. A marzo erano stati sospesi dal servizio 23 agenti in esecuzione di un’ordinanza del gip per il reato di tortura di Stato, commesso all’interno del carcere nei confronti di tre detenuti. Uno solo aveva denunciato.
Qualche mese dopo, a giugno, il tribunale del Riesame aveva tuttavia cambiato posizione e dato un’interpretazione diversa del reato da configurare per quegli episodi: non tortura ma “abuso di autorità”, per quei metodi “anacronistici, rudimentali e spicci” per mantenere l’ordine, che tuttavia – secondo l’analisi del giudice – dovrebbero ricevere un “un trattamento sanzionatorio più severo” rispetto a quello previsto dal codice.
In passato la casa circondariale era stata anche travolta dallo scandalo dei 51 indagati per aver approfittato di una corsia preferenziale per l’esecuzione dei tamponi anti Covid durante le fasi più acute della pandemia.
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
PREVENTIVI RADDOPPIATI PER ECCESSO DI DOMANDA E RINCARO DELLE MATERIE PRIME
Effetti distorsivi del superbonus sulla legge di domanda e offerta, guerra in Ucraina, pandemia.
Per capire di cosa parliamo quando parliamo del caro-cantieri che ha investito l’Italia negli ultimi tre anni, e anche dei costi che tutto ciò ha avuto e avrà sulle casse dello Stato e del conseguente «mal di pancia» lamentato domenica a Cernobbio dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, basta confrontare i preventivi recapitati a un palazzo di Milano nel 2017 e quelli per grossomodo gli stessi lavori di efficientamento energetico ricevuti nel 2022. Si passa da 508.077 per il preventivo più caro (gli altri due sono da 415 e 349 mila euro) a 1.147.830 euro, a cui vanno sottratti circa 150 mila euro di caldaia, intervento inizialmente non previsto. Il doppio, o quasi. Un caso limite? Fino a un certo punto.
Spostandosi in provincia la situazione non è migliore. «L’aumento medio si attesta intorno al 30%, ma se guardiamo ai singoli materiali da costruzione alcuni aumenti sono molto più significativi» spiega Marco Bandini, membro del consiglio nazionale di Anaci e presidente della sede di Lecco dell’associazione degli amministratori di condominio. «Nel settore delle costruzioni gli aumenti più importanti si registrano a partire da settembre 2020 e vengono mantenuti tali fino alla primavera del 2023, ovvero quando lo sconto in fattura è stato eliminato dal superbonus». Chi ci ha guadagnato? «Bisogna specificare che non tutto è attribuibile alla speculazione dovuta al superbonus – prosegue Bandini -. Gli aumenti dei materiali registrati nel 2021 e nel 2022 dipendono dalla pandemia e dalla guerra tra Ucraina e Russia che ha alimentato la bolla speculativa del caro-energia».
Qualche esempio? Sulla base dei dati del centro studi di Anaci-Lecco il costo di un cappotto termico è passato da 65 a 100 euro al metro quadro, i ponteggi dai 15 euro al metro quadrato del 2020 ai 25-30 di oggi mentre se ad aprile del 2020 sostituire i vecchi serramenti costava 10 mila euro, nel 2022 sono arrivati a costare oltre 15 mila euro. La curva tipica della bolla si vede benissimo, poi, parlando di pannelli fotovoltaici: un impianto medio da 6 kW prima dell’abolizione della cessione del credito ad aprile 2023 si aggirava attorno ai 17.400 euro, nel post-decreto, invece, è sceso a 12.600 euro, più o meno quanto sarebbe costato nel 2019. «Con la domanda in crescita e la disponibilità di impalcature ferma al periodo pre-superbonus non solo si sono dilazionati i tempi di realizzazione dei lavori (fino a 4 anni) ma anche i costi» spiega Riccardo Milani, amministratore di condominio della provincia di Milano. «Personalmente, ho spesso sconsigliato la formula del superbonus per palazzi successivi al 1990. Non solo non c’è beneficio economico ma soprattutto si riduce la possibilità per altri di usufruire dell’incentivo statale, per esempio quegli edifici degli anni ‘60 e ‘70 che necessitano di interventi».
Secondo alcuni osservatori stranieri l’Italia dovrebbe aumentare il deficit/Pil del 2023 al di sopra dell’obiettivo del 4,5% fissato ad aprile per l’impatto del bonus 110%. Stando ai dati dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) l’aumento degli investimenti per singoli interventi dal 2021 al 31 luglio di quest’anno è di circa il 15%. Se al 31 agosto 2021 la cifra media per un condominio era di 547.191,22 euro, a luglio di quest’anno si passa a 636.611,27 euro, quasi 90 mila in più. Per quanto riguarda gli edifici unifamiliari, nel 2021 la spesa media era di 98.264 euro a fronte di circa 117.403 del 2023. Sempre secondo Enea, nel mese di luglio si è registrato un utilizzo costante della detrazione con un incremento, da inizio anno, di 17,5 miliardi di euro. Più di 421.995 gli edifici interessati dai lavori di efficientamento energetico a fine giugno, con 84 miliardi circa il totale degli investimenti; completato l’81,8% degli interventi. La maxi detrazione, dunque, rimane ancora il traino principale del settore edile, nonostante le modifiche introdotte dal recente decreto Cessioni e la riduzione dell’incentivo dal 110 al 90%. «Il superbonus è stato studiato male, ha creato una congestione ed è poi stato cambiato più volte venendo meno al patto fra Stato, imprese e cittadini» analizza Regina De Albertis, presidente di Assimprendil Ance, l’associazione delle aziende edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza, la più grande d’Italia. «Il vero responsabile dell’aumento dei costi in cantiere, però, è la crisi energetica. Ora noi chiediamo al governo incentivi stabili, sostenibili e duraturi nel tempo. Siamo pronti a sederci al tavolo con le nostre proposte».
(da La Stampa)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
“DIMEZZARE IL GAP SALARIALE CON LA GERMANIA VALE DUE LEGGI DI BILANCIO”
“Agire sulla situazione salariale è dirimente per il futuro del Paese”. E “sostenere che è inevitabile mantenere gli attuali livelli salariali per garantire la sopravvivenza delle imprese, senza chiedersi se sia accettabile avere interi comparti basati interamente sul semi-sfruttamento, forse non è la strategia più opportuna per un Paese solidaristico“.
Non sono tesi dei sindacati di base o delle opposizioni, ma considerazioni del rapporto Global attractiveness index di The European house Ambrosetti.
Per il think tank che organizza il Forum di Cernobbio, durante il quale a sorpresa è emerso che la maggior parte degli imprenditori presenti era favorevole al salario minimo, “un intervento urgente sui salari” è la prima azione da mettere in campo per migliorare l’attrattività e la crescita del Paese.
Perché si tradurrebbe in maggiori consumi, dunque più pil e più gettito fiscale. Il tema di un aumento generalizzato dei salari era stato anticipato proprio in apertura dell’ultimo forum di Cernobbio, venerdì scorso, dall’amministratore delegato di The European House-Ambrosetti Valerio De Molli. Intervistato da ilfattoquotidiano.it, De Molli è stato molto diretto sull’argomento: “Penso che le imprese italiane in generale paghino troppo poco i collaboratori, lo dicono i dati Ocse. Iniziamo noi imprenditori a fare il nostro adeguando i compensi a delle soglie giuste dopodiché gli altri ci seguiranno. Mi rendo conto di dire una cosa a rischio di grande critica e impopolarità in questo contesto fatto di imprese, perché significa far crescere la struttura dei costi. Però è nell’interesse degli stessi imprenditori fare in modo che ci sia più denaro in tasca delle famiglie, più potenzialità di spesa”.
Secondo l’analisi di Ambrosetti, a cui ha lavorato anche un comitato scientifico in cui siedono tra gli altri l’ex Bce Lorenzo Bini Smaghi, l’ex ministro Enrico Giovannini e l’ex Istat Roberto Monducci, servono due interventi coordinati. Il primo per le persone che sono in povertà nonostante lavorino – “l’11,8% del totale dei lavoratori in Italia” -: il problema va affrontato con “adeguati strumenti legislativi” come l’estensione dei contratti nazionali e il salario minimo, appunto, tema che “non dev’essere affrontato ideologicamente”. Serve una discussione sui contenuti, che tenga conto del fatto che nonostante la contrattazione collettiva abbia ampia copertura i ccnl siglati dai sindacati confederali prevedono in alcuni casi soglie minime molto basse. E vengono rinnovati con grande ritardo, cosa che “nell’attuale contesto inflattivo danneggia significativamente lavoratrici e lavoratori”. Il secondo riguarda i salari mediani, indicatore che esprime meglio della media il livello la situazione retributiva di un Paese. Su questo fronte si può agire con la “rimodulazione delle aliquote Irpef“, la solita riduzione del cuneo ma anche lo “spostamento del carico fiscale dai redditi da lavoro ai redditi da capitale“, ovvero colpire di più le rendite finanziarie o i patrimoni. Ricetta di solito non molto gradita all’universo imprenditoriale.
Per arrivare a queste conclusioni lo studio mette in fila dati Ocse, Istat ed Eurostat che mostrano la distanza tra salari italiani ed europei e il progressivo allargamento del precariato e del part time involontario. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha aggiornato di recente le rilevazioni sui salari medi nei Paesi Ue: se nel 2021, anno di forte ripresa post Covid, si era registrato un marginale recupero che aveva portato quelli italiani appena sopra il livello di 30 anni prima, nel 2022 la tendenza si è di nuovo invertita e la media è diminuita.
Risultato: se in Francia e Germania le retribuzioni hanno registrato, rispetto al 1991, aumenti a doppia cifra, in Italia sono scese dell’1%: da 45.342 a 44.893 dollari (a parità di potere di acquisto). Contro i 58.940 guadagnati dai tedeschi e i 52.764 dei francesi.
A contribuire al gap c’è anche il fatto che in Italia solo il 6% dei contratti a termine viene convertito a tempo indeterminato e il 46,7% dei dipendenti precari ha un contratto di 6 mesi o meno. Il tempo parziale, che a inizio anni Novanta coinvolgeva l’11% dei lavoratori, ora riguarda il 18,2%, e in più di metà dei casi non è una scelta.
Riuscire anche solo a dimezzare il divario salariale tra l’Italia e la Germania, calcola il think tank, avrebbe enormi effetti positivi sul pil e sul gettito fiscale. Se le retribuzioni lorde italiane aumentassero in modo da ridurre del 50% il gap con quelle tedesche, i consumi nazionali – anche tenendo conto della propensione al risparmio delle famiglie italiane – salirebbero del 4,8% e il pil del 3,8%, vale a dire 74 miliardi di euro in più. Applicando al nuovo monte salari le aliquote fiscali, poi, si otterrebbe un gettito fiscale aggiuntivo pari a 65,2 miliardi di euro (+12%): più o meno due leggi di Bilancio, nota l’Ambrosetti. Un calcolo che dovrebbe far fischiare le orecchie al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alla ricerca di coperture per una manovra che si preannuncia complicatissima.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’INTERO ARCHIVIO DEL MINISTERO DEI TRASPORTI, RELATIVO AGLI ANNI DAL 1968 AL 1980, ANNO DELLA TRAGEDIA DI USTICA, È SPARITO. DI CHI È LA MANINA CHE HA PREFERITO NASCONDERE LE CARTE UTILI A INDIVIDUARE LE RESPONSABILITÀ DEGLI “INCIDENTI”?
Non ci sono più le carte che facevano riferimento alla strage di Ustica, e neppure le relazioni sull’attentato alla stazione di Bologna. Niente sulla bomba del 1980 e niente su quelle fatte esplodere o ritrovate nel ‘69 sui treni a Pescara, Venezia, Milano e Caserta. Neppure del massacro dell’Italicus dell’agosto del 1974 c’è più traccia. È scomparso tutto, ogni documento, ogni relazione.
E per non rischiare di lasciare qualche traccia hanno fatto sparire l’intero archivio del ministero dei Trasporti e tutta la documentazione del ministro e del suo Gabinetto. Hanno creato un buco nero che va dal 1968 al 1980, gli anni delle stragi fasciste e della strategia della tensione dell’eversione nera. Una voragine, nella quale è stato inghiottito un pezzo di storia del Dc9 dell’Itavia e di tutte le altre, di cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ha dovuto prendere atto in un documento ufficiale del 12 ottobre 2022.
È tutto scritto nero su bianco nella relazione annuale del Comitato consultivo sulle attività di versamento all’Archivio Centrale dello Stato della documentazione a cui fanno riferimento le direttive Renzi e Draghi. Direttive che avevano come obiettivo quello di desecretare e rendere pubblici gli atti relativi alle stragi italiane.
A ottobre scorso a conclusione dei lavori il Comitato «ha dovuto rilevare che, nel recente passato, le amministrazioni hanno avuto talora scarso controllo della propria documentazione, soprattutto di quella non più in uso, e tale circostanza ha causato in alcuni casi dispersioni e perdita di fonti rilevanti per la ricerca storica».
Di cosa si tratta viene spiegato a pagina 23 (la penultima della relazione): «Non è accettabile che, in un periodo di tempo prolungato, che va dalla fine degli anni ‘60 agli anni ‘80, possa mancare del tutto la documentazione relativa al Gabinetto del ministro dei Trasporti pro tempore nonché le serie archivistiche relative all’attività del ministero, per il settore dei trasporti, riferito al periodo delle stragi che hanno segnato tragicamente il nostro Paese».
Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di Ustica, parla «di fatto inquietante», non solo perché da quegli archivi si potevano «trarre informazioni utili sul Dc9 abbattuto, ma in generale su tutte le stragi di quegli anni». Manca insomma «un pezzo di storia dell’Italia», ma non è l’unico problema «perché anche il materiale consegnato è spesso disordinato e quindi inutilizzabile ai fini di una lettura complessiva».
Andrea Benetti, che fa parte del Comitato per conto dei parenti di Ustica, racconta: «Col ministero dei Trasporti abbiamo avuto lunghe interlocuzioni, inizialmente ci dicevano che non sapevano bene cosa cercare, per poi essere costretti ad ammettere che non c’erano più gli archivi». Questo è solo una parte del problema perché, aggiunge, «in generale non ci è stata consegnata una sola carta che sia utile ad aggiungere qualche tassello su Ustica».
Vale per «i servizi e per i ministeri». E non solo, perché, non c’è «neppure un documento proveniente dalla Prefettura di Bologna: come è possibile una cosa del genere?»
(da La Repubblica)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
“IL POPULISMO DI DESTRA RIVELA LA SUA INADEGUATEZZA IN MODO IMPRESSIONANTE. LA CAMPAGNA ‘OPEN TO MERAVIGLIA’, PIENA DI LUOGHI COMUNI E DI ERRORI IMBARAZZANTI, SI È TRASFORMATA IN UN DISASTRO”… “GLI ITALIANI RESTANO SEMPLICEMENTE A CASA, CON LE BOLLETTE E IL MUTUO DA PAGARE”
Nei primi cinque mesi dell’anno le esportazioni italiane verso i Paesi extraeuropei sono aumentate del 31,6% rispetto al 2019, quelle tedesche del 12,5% e quelle francesi del 5,2%. Questo testimonia la resilienza e l’adattabilità dell’industria italiana in tempi di crisi. L’Italia esercita un forte appeal anche come destinazione turistica: la penisola mediterranea è dotata di uno stile di vita invidiabile, di tesori artistici e culturali e di diverse attrazioni paesaggistiche. Ma il potenziale è ostinatamente ignorato dai politici.
Per decenni, gli italiani hanno pagato questo disinteresse con la perdita di opportunità di crescita. Il Sud Italia attira meno turisti internazionali delle Isole Canarie, che a loro volta hanno meno abitanti della provincia di Napoli. È difficile da credere. Il Mezzogiorno italiano ha un paesaggio culturale di incomparabile ricchezza. Si estende su più di un terzo dello stivale e si presenta con 5500 degli 8000 chilometri di coste italiane. Ma il potenziale giace incolto.
Una campagna pubblicitaria multimilionaria si è trasformata in un disastro di marketing per l’Italia. Il Paese non può permettersi questa mancanza di strategia. Finché il Sud non recupera le sue carenze, il Nord ricco, innovativo e dinamico può conquistare i mercati mondiali, ma da solo non riuscirà a far uscire l’Italia indebitata dalla sua crisi permanente. Il rafforzamento di un’offerta turistica attraente nel Sud Italia potrebbe creare opportunità di guadagno diffuse. Ma Roma non ne vuole sapere.
Quando il governo guarda all’Italia come destinazione turistica, vede un paradiso vacanziero senza eguali. Quello che non vede è la necessità di agire. Da quando Daniela Santanchè si è insediata come ministro del Turismo dieci mesi fa, ha inviato un comunicato stampa patriottico per ogni festività.
Il tenore: “Il 95% degli italiani sceglie l’Italia per le vacanze di Pasqua e fa una dichiarazione d’amore per la nostra nazione”. Naturalmente, i loro connazionali afflitti dall’inflazione non rinunciano a un breve viaggio a Tenerife per dimostrare la loro fedeltà alla patria. Restano semplicemente a casa, con le bollette della luce e le rate del mutuo da pagare.
Quando il 41% degli italiani ha rinunciato alle vacanze estive e centinaia di migliaia sono fuggiti attraverso l’Adriatico verso l’Albania per sfuggire al rincaro dei prezzi in patria, il collega di governo della Santanchè, Francesco Lollobrigida, ha dichiarato: “Dobbiamo spiegare al mondo che la nostra alta qualità ha un prezzo”. All’epoca, il governo aveva appena incassato il corposo annuncio della Santanchè che il 2023 sarebbe stato un anno record per il turismo italiano.
Certo, una politica turistica sostenibile non è la sfida più difficile per la coalizione di Giorgia Meloni, visti i problemi finanziari dell’Italia, l’aumento dei prezzi e la crisi migratoria. Ma messo alla prova, il populismo di destra rivela la sua inadeguatezza in questo campo in modo particolarmente impressionante.
Tutto è iniziato con il mega flop della campagna pubblicitaria internazionale “Open to meraviglia”. Ad aprile, il ministro del Turismo di Daniela Santanchè ha usato la Venere di Botticelli come influencer virtuale con un budget di nove milioni di euro per stuzzicare l’appetito delle giovani generazioni di 30 Paesi per la bella Italia. Il risultato: un disastro di marketing. Piena di luoghi comuni e di errori imbarazzanti, la campagna ha scatenato una bufera in rete e ha mancato il suo target di riferimento. Alla fine di giugno, la campagna si è completamente spenta. La Corte dei Conti sta ora indagando per sospetto spreco di denaro pubblico.
Nella vita privata, la Santanchè è già da tre mesi nei guai con la giustizia. I pubblici ministeri accusano l’imprenditrice di frode contabile e bancarotta fraudolenta. In Parlamento, la coalizione ha respinto a malincuore una mozione di censura nei suoi confronti. Le carenze di personale della Meloni sono troppo grandi. “Nel 2012 il nostro partito Fratelli d’Italia aveva diverse centinaia di iscritti e una decina di dirigenti”, ha dichiarato lunedì al Corriere della Sera il cognato, ministro dell’Agricoltura Lollobrigida. Dopo dieci mesi di governo, dunque, è: Avanti dilettanti.
Ulriche Sauer
(da “Suddeutsche Zeitung”)
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Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile
LA ONLUS “TELEFONO AMICO”: “È UN DATO CHE TESTIMONIA IL GRANDE DISAGIO VISSUTO DAI GIOVANI, CHE SI TRADUCE IN UN AUMENTO DELLE RICHIESTE RELATIVE A DIFFICOLTÀ ESISTENZIALI E RELAZIONALI”
Sono state oltre 3.700 le richieste d’aiuto, circa 20 al giorno, arrivate nei primi sei mesi del 2023 a Telefono Amico Italia per gestire pensieri suicidi. Il 37% in più rispetto al primo semestre del 2022 e quasi un terzo arrivano dai giovani under 26.
Le segnalazioni – si legge nello studio – sono arrivate prevalentemente da giovani tra i 19 e i 35 anni (il 18% tra i 26 e i 35 e il 17% tra i 19 e i 25) e da adulti tra i 46 e i 55 anni (il 16%), ma negli ultimi anni è stato registrato un aumento di contatti anche da parte dei giovanissimi (under 19) soprattutto via Whatsapp e mail.
Gli individui a rischio di suicidio – prosegue Maurizio Pompili, Ordinario di Psichiatria alla Sapienza Università di Roma – non vorrebbero pensare alla morte, bensì vorrebbero veder alleviato il proprio dolore mentale; una manovra attuabile comprendendo lo stato di sofferenza, grazie anche all’intervento di professionisti della salute e di volontari. Sono definiti fattori protettivi l’avere una rete sociale e familiare efficace, avere bambini in casa, coltivare una dimensione spirituale. E ancora avere del tempo da dedicare ad un’attività ricreativa e non andare incontro al superlavoro. Anche il sonno è un elemento fondamentale. Infine, comportamenti a rischio sono l’abuso di alcool e droghe: evitarli è, quindi, sicuramente protettivo per la mente».
Nel complesso, considerando tutti e tre gli strumenti di ascolto, il 29% delle richieste d’aiuto relative al suicidio arrivano da under 26. «È un dato che preoccupa – commenta la presidente di Telefono Amico Italia – e che testimonia il grande disagio vissuto dai giovani in questo periodo; disagio che non si manifesta solo nelle segnalazioni legate in maniera specifica al suicidio, ma si traduce in un aumento generale delle richieste di aiuto relative a difficoltà esistenziali e relazionali e che trova purtroppo eco anche negli ultimi gravi fatti di cronaca. Diventa quindi sempre più urgente affrontare il problema e trovare il modo di stare accanto ai più giovani».
(da il Messaggero)
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