Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE LO VOI: “GRANDE SODDISFAZIONE” – LA FAMIGLIA: “AVEVAMO RAGIONE NOI”
La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in relazione alla celebrazione del processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni.
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che “la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa”. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
Nell’ambito del processo per l’omicidio del ricercatore italiano, sequestrato, torturato e ucciso in Egitto nel 2016, lo scorso maggio il giudice per l’udienza preliminare di Roma accogliendo la richiesta del procuratore capo Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Sergio Colaiocco, finalizzata a sbloccare lo stallo in cui si trova il procedimento, ha inviato gli atti alla Consulta.
Imputati sono quattro 007 egiziani: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato.
La procura di Roma aveva sollevato la questione di costituzionalità dell’articolo 420 bis nella parte in cui non prevede che l’assenza di conoscenza del processo da parte dell’imputato derivi dalla mancata attivazione della cooperazione dello Stato estero.
“Grande soddisfazione sicuramente per la possibilità di celebrare un processo secondo le nostre norme costituzionali che restano il faro del nostro lavoro. Per il resto aspettiamo le motivazioni”. Così il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi dopo la decisione della Consulta di accogliere la questione di legittimità costituzionale in relazione al processo per l’omicidio di Giulio Regeni.
“Avevamo ragione noi: ripugnava al senso comune di giustizia che il processo per il sequestro le torture e l’uccisione di Giulio non potesse essere celebrato a causa dell’ostruzionismo della dittatura di al-Sisi per conto della quale i quattro imputati hanno commesso questi terribili delitti.
In effetti come ha scritto il Gup Ranazzi nella sua ordinanza ‘non esiste processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di governo’. Abbiamo dovuto resistere contro questa volontà dittatoriale per sette anni e mezzo confidando comunque sempre nei principi costituzionali della nostra democrazia.
Ringraziamo tutte le persone che hanno sostenuto e sosterranno il nostro percorso verso verità e giustizia: la procura di Roma ed in particolare il dottor Colaiocco, la scorta mediatica, e tutto il popolo giallo”. Lo afferma la famiglia Regeni, insieme all’avvocato Alessandra Ballerini.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI BERGAMO: “SE IL GOVERNO NON E’ IN GRADO DI RIMPATRIARLI, VANNO INTEGRATI”
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd) ha criticato la lettera che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha inviato ieri al cancelliere tedesco Scholz, per via dei finanziamenti che Berlino ha ammesso di aver inviato alle Ong che operano in Italia e nel Mediterraneo. Per Meloni le navi da soccorso sono un “fattore di attrazione” per i migranti, anche se questo assioma è stato ampiamente smentito dai numeri: solo il 4,5% dei migranti sbarcati in Italia sono stati recuperati in mare dalle Ong, come ricorda lo stesso sindaco dem. Il governo italiano tra l’altro punta il dito contro quello tedesco, accusandolo di non lavorare abbastanza per facilitare l’accoglienza “sul territorio tedesco piuttosto che in Italia”, dimenticando però che il numero di richieste d’asilo in Germania è molto più alto di quello registrato nel nostro Paese: nel 2022 le richieste d’asilo in Italia sono state 104.000, contro le 243.000 in Germania.
Gori è molto netto sul tema dei migranti sbarcati in Italia: “O il governo è in grado di rimpatriarli, come fin qui nessuno è stato in grado di fare, oppure vanno integrati. Non è più accettabile che la macchina dell’accoglienza disorganizzata dello Stato produca costantemente clandestini che poi rimangono nei territori e nelle città, in una condizione di irregolarità e di illegalità”, ha detto in un’intervista a Fanpage.it.
Lei ha contestato la lettera che Meloni ha inviato a Scholz. Perché?
C’è un ricorrente tentativo da parte del governo e della destra di trovare dei capri espiatori, dei nemici, per giustificare una situazione che non è emergenziale, ma da molto tempo è un dato strutturale con cui fare i conti. In particolare, le missioni di salvataggio delle Ong sono state più volte indicate come un ‘fattore attrattivo’ come se la loro presenza in mare incentivasse le persone a partire dalle coste africane. Una circostanza totalmente smentita dai fatti. In primo luogo bisogna sottolineare che sul totale delle persone che vengono recuperate, soltanto il 4,5% sono tratte in salvo dalle Ong, cioè una percentuale assolutamente residuale. Inoltre, quando il governo ha posto delle limitazioni ai movimenti di quelle organizzazioni, il numero degli sbarchi, anziché ridursi, è aumentato. Nella lettera a Scholz ritorna invece l’accusa alla Germania di favorire indirettamente l’incremento dei flussi migratori.
Ma c’è ancora un altro elemento in quella missiva, e cioè Meloni biasima la Germania, incolpandola di non fare abbastanza sull’accoglienza dei migranti…
La nostra premier forse non sa che la Germania ne accoglie molti di più di quanto facciamo noi. L’Italia per la sua posizione geografica è uno dei principali punti di approdo nel Mediterraneo, ma non è la principale destinazione dei migranti. Lo dicono i dati: nel 2022 le richieste di protezione in Italia sono state 104.000, contro le 243.000 registrate da Berlino. L’Italia è solo al quarto posto, dopo Germania, Francia e Spagna. E questo perché molti dei migranti che arrivano in Italia tendono a spostarsi in altri Paesi. Anche quest’anno la Germania è il Paese in Europa con il più alto numero di richieste di asilo – finora oltre 162.000 nei primi sei mesi del 2023. Senza contare che in questo momento la Germania sta accogliendo oltre un milione di profughi ucraini. Quindi, per quanto faticosa sia la posizione dell’Italia, su cui è certamente giusto richiamare un principio di solidarietà europea, è del tutto fuori luogo che il governo italiano si lamenti perché Berlino non fa abbastanza sull’accoglienza.
Ha ragione Salvini quando dice che l’ammissione dei finanziamenti da parte della Germania alle Ong è la prova dell’esistenza di una regia dietro gli sbarchi? È la prova del teorema di Salvini?
Direi proprio di no. Se mettiamo in chiaro una volta per tutte che le missioni in mare delle Ong non sono un fattore attrattivo, e ve n’è ampia evidenza, aiutare queste organizzazioni nella loro attività di salvataggio non può essere un demerito. Salvini è tornato anche a parlare di “invasione”. Ha ragione? No, e anche qui lo dicono i numeri: da 10 anni il numero degli stranieri sul suolo italiano è infatti sempre lo stesso, 5 milioni. L’Italia in questi anni è stata prevalentemente terreno di transito, e non destinazione ultima dei flussi migratori. La verità è che Salvini usa gli argomenti e i toni della propaganda per mettere in difficoltà – da destra – Giorgia Meloni e il suo partito.
Per Salvini le dichiarazioni del governo tedesco sono un “atto ostile”. Un’espressione che non sembra molto diversa da quella utilizzata dal braccio destro di Meloni, il ministro della Difesa Crosetto, che le ha definite una “grave anomalia”.
L’impressione è che Meloni sia stata trascinata in questa polemica dall’aggressività di Salvini. Ma a chi giova? Che interesse ha l’Italia a litigare col governo tedesco? A me pare che l’interesse nazionale dovrebbe guidarci, al contrario, a ricercare il massimo allineamento con Germania e Francia per la revisione del Trattato di Dublino, che dal 2013 pone il nostro Paese in una condizione di grande difficoltà, perché prevede che gli immigrati rimangano nel Paese di primo approdo. Il nostro interesse dovrebbe essere quello di collaborare con Parigi o Berlino, piuttosto che fare a sportellate. Nei giorni scorsi il presidente Mattarella ha incontrato il presidente tedesco Steinmeier, da cui sono venuti significativi segnali d’apertura nel segno della solidarietà; segnali che il governo avrebbe avuto interesse a raccogliere, anziché riaccendere la polemica.
Gli arrivi delle scorse settimane hanno messo in difficoltà anche la sua città? Ci sono tendopoli?
No, nessuna tendopoli, ma siamo oggettivamente in difficoltà. Siamo di fronte ad un fenomeno che va avanti ormai dal 2015, con la sola pausa della pandemia, e nonostante questo lo Stato non ha mai fatto nulla per organizzarsi, ma è andato sempre alla rincorsa, scaricando il problema sulle prefetture, sui comuni e sul terzo settore, che con estremo affanno provano a farvi fronte. La pretesa che si tratti di un fenomeno emergenziale è la scusa per la mancata organizzazione. Uno Stato che va nel pallone per 140mila arrivi dimostra secondo me tutti i limiti della sua guida politica. Quello che stiamo facendo sui territori è aiutarci il più possibile fra noi, coordinandoci tra comuni, prefetture e terzo settore, cercando di giorno in giorno soluzioni logistiche e organizzative sia per i migranti adulti, sia per i minori non accompagnati, che sono un altro profilo fortemente critico, che pesa sui territori in questa fase. Non vi è alcuna pianificazione. Di giorno in giorno da Milano – che funge da centrale operativa della Lombardia – ci informano dei nuovi arrivi: 10, 20, anche 30 richiedenti asilo al giorno. Per ognuno di questi gruppi bisogna trovare luoghi idonei per l’accoglienza, e operatori che se ne occupino. Lo Stato non c’è, fatti salvi i prefetti. E il grosso del peso si scarica sul terzo settore. Qui a Bergamo c’è in campo la Diocesi, con Caritas in prima linea. Nel solo 2023 sono arrivati oltre 1.000 migranti: senza cooperazione sociale non avremmo saputo dove sbattere la testa.
Non si sa ancora dove saranno allestiti i nuovi Cpr. In teoria dovrebbero essere uno per Regione, per cui per la Lombardia c’è già il centro di Milano. Avete notizie di nuovi Cpr sul vostro territorio?
No, non abbiamo alcuna notizia. Il governo però ha messo in fila, nell’arco di pochi giorni, due provvedimenti, che non si capisce se e in quale misura siano collegati. Il primo riguarda il prolungamento fino a 18 mesi della permanenza nei Cpr degli stranieri già destinatari di un decreto di espulsione. E questo, secondo quanto spiegato dal governo, non riguarda i richiedenti asilo. Il secondo provvedimento dice invece che i migranti che provengono da Paesi cosiddetti “sicuri”, e che sono privi di documenti, o versano 5mila euro attraverso fideiussione bancaria oppure saranno trattenuti in una struttura per richiedenti asilo per il tempo necessario a verificare il loro status. Di strutture di questo tipo ce ne è una sola, e si trova a Pozzallo. Li tengono lì, dicono, con l’impegno di esaurire entro 28 giorni la pratica di accettazione o non accettazione della domanda di asilo. E in caso di non ammissione si procederebbe al rimpatrio. La legge prevede però una possibilità di appello per i migranti a cui viene negato in prima istanza il permesso di soggiorno, e in media il giudizio del tribunale ci mette un paio d’anni ad arrivare. Questo fa capire come la promessa di completare l’iter “ammissione o rimpatrio” in 28 giorni sia totalmente irrealistica e scollegata dalla realtà dei fatti. E dopo? Mica possono essere trattenuti per due anni! Senza contare che i due provvedimenti hanno in comune un punto debole.
Cioè?
Un conto è chiudere delle persone in un Cpr o in una struttura in attesa di rimpatriarle, un altro è siglare gli accordi di riammissione con i Paesi d’origine, senza i quali i migranti non possono comunque essere rispediti indietro. I dati disponibili sono disarmanti. Negli ultimi dodici mesi abbiamo avuto 165mila arrivi, e i rimpatri effettuati sono stati 3.200. Si possono anche moltiplicare i centri di detenzione, ma se non si trova il modo di convincere i Paesi d’origine a far rientrare i migranti, quelle persone resteranno nelle strutture con il filo spinato fino a quando il governo non potrà che farle uscire. E si ricomincerà daccapo. Mi sembrano provvedimenti di scarsissima utilità, perché nessuno dei due incide sulla capacità di rimpatrio del nostro Paese.
Nuovi centri di detenzione per espellere migranti, nuove strutture per richiedenti asilo. La preoccupa questa politica? Può avere una ripercussione sui territori?
Mi pare che non se ne sia neppure verificata l’effettiva gestibilità. È stato fatto un conto di quanti richiedenti asilo dovrebbero stazionare in questi nuovi centri? Parliamo di molte migliaia di persone, se i flussi saranno quelli che abbiamo avuto negli ultimi mesi. Quante persone dovrebbero essere impiegate nella vigilanza nei Cpr e nei centri di secondo livello per richiedenti asilo? Silp Cgil, sindacato della Polizia, ha stimato che servono 100 unità al giorno per dare vigilanza a circa 150-200 persone. Ci sono? A quali altri servizi verrebbero sottratti? Credo che per frenare i flussi serva ben altro.
Per esempio?
Io non sono affatto per l’accoglienza indiscriminata, come non lo è il Partito Democratico, checché ne dica Conte. Ma bisogna avere le idee chiare, e sapere cosa può essere fatto, e in che tempi, per ottenere dei risultati. La strada della cooperazione internazionale per lo sviluppo, che sembrerebbe sottesa all’idea del Piano Mattei – di cui per inciso abbiamo letto solo il titolo – è in linea di principio condivisibile, salvo che vede l’Italia agire in solitaria. Se l’obiettivo è investire nei Paesi da cui si muovono i migranti, perché le persone possano avere lì condizioni di vita più dignitose, ha molto più senso che l’iniziativa sia presa a livello europeo. È una strada sensata, purché non si abbia l’illusione di vederne i risultati in poche settimane e purché non si trascuri l’importanza di salvaguardare i diritti umani in quei Paesi, come invece è accaduto in Tunisia. Vorrei però allargare il ragionamento.
Prego.
Per svuotare i barconi, o quantomeno ridurre i flussi irregolari, è necessario aprire robusti canali di ingresso legali, come tra l’altro la stessa Meloni sembra dire. Ma nulla si sta facendo in questa direzione: nessun nuovo corridoio umanitario per coloro che hanno diritto all’asilo politico. Fino a oggi se ne sono occupate solo le organizzazioni del terzo settore, la Chiesa valdese, Sant’Egidio. Mentre per i migranti cosiddetti economici va detto con estrema chiarezza che i decreti flussi sono normati da procedure – che derivano ancora dalla Bossi-Fini – che rendono quel canale di fatto inaccessibile a chi dall’estero voglia arrivare in Italia, perché il datore di lavoro che vuole assumere un lavoratore straniero lo può fare solo indicandone esplicitamente le generalità. Ma come può conoscere e decidere di assumere un lavoratore nigeriano se non l’ha mai visto prima? È chiaro che quella persona in realtà è già in Italia. Salvo eccezioni, i decreti flussi non servono quindi come canale di ingresso legale per chi dall’estero vuole venire nel nostro Paese, ma nella migliore delle ipotesi rappresentano uno strumento di regolarizzazione “mascherata” per chi già sta in Italia. Negoziare una quota di nuovi ingressi legali con i vari paesi dell’area subsahariana – ingressi veri, non finti – ridurrebbe i flussi spontanei e consentirebbe di ottenere la collaborazione di questi Paesi ai fini del rimpatrio dei migranti irregolari.
Come sindaco cosa chiede al governo?
Una cosa semplice, che riguarda tutti quei migranti a cui lo Stato nega il permesso di soggiorno ma che permangono nelle nostre città: o siete in grado di rimpatriarli o li integrate. Non è più possibile che la macchina dell’accoglienza disorganizzata dello Stato produca costantemente clandestini che poi rimangono nei territori e nelle città, in una condizione di irregolarità e di illegalità. Se lo Stato non è nelle condizioni di rimpatriare i migranti, come non è stato fin qui in grado di fare, è tempo che queste persone vengano avviate ad un percorso di integrazione, che consenta loro di guadagnarsi onestamente da vivere. Ci sono migliaia di imprese che li assumerebbero domani, se solo avessero i documenti, parlassero decentemente l’italiano e avessero fatto un poco di formazione professionale. Lo dico per loro, per la loro dignità di persone, ma anche nell’interesse della legalità e della sicurezza nelle nostre città.
(da Fanpage)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
MELONI E’ RIUSCITA NELLA DIFFICILE IMPRESDA DI FAR PEGGIO DEI SULOI PREDECESSORI: IMPREPRAZIONE, CINISMO E INCAPACITA’ AD AMMETTERE I PROPRI ERRORI
Nella ridda di dichiarazioni, interventi, decreti e visite più o meno istituzionali, c’è una sola certezza: qualunque fosse il piano del governo per gestire gli sbarchi dei migranti, non sta funzionando. Un fallimento complessivo, che investe ogni aspetto della questione, dal piano operativo a quello comunicativo, dal livello diplomatico agli equilibri interni alla coalizione: tassello dopo tassello, sta cedendo l’intera impalcatura costruita da Giorgia Meloni negli anni in cui è stata all’opposizione. Ancora una volta, insomma, la questione migranti dimostra come i fatti siano ostinatamente resistenti alla propaganda e non bastino dichiarazioni altisonanti e slogan machisti per risolvere problemi strutturali complessi.
Era già capitato a Cutro, quando Meloni credette sarebbero bastate la solita passerella e le anticipazioni di un decreto dai toni roboanti per coprire una delle pagine più vergognose del nostro Paese. Fu un disastro da tutti i punti di vista: i cronisti locali smontarono la lacunosa ricostruzione di Meloni e Piantedosi in conferenza stampa, i parenti delle vittime mostrarono la pochezza dei ragionamenti della Presidente del Consiglio, sul piano operativo cambiò poco o nulla (le norme varate in quella sede si riveleranno inutili, ingiuste e finanche controproducenti).
Sta accadendo lo stesso in queste settimane. Con una grande differenza: stavolta il disastro è davvero tutta colpa delle politiche adottate dalla destra italiana. Quella sui migranti è una crisi determinata da un mix di errori, assenza di visione complessiva e propaganda. Complessivamente, i numeri ci dicono che siamo in presenza di flussi tutto sommato contenuti, che un Paese normale dovrebbe essere in grado di gestire in totale sicurezza. Non l’Italia, evidentemente.
Le basi del caos di Lampedusa
La situazione a Lampedusa è diventata problematica a causa di molteplici fattori. Semplificando, possiamo ridurre il tutto a poche questioni principali, con tante ramificazioni. In primo luogo, va detto che i flussi non sono “eccezionali” in senso assoluto (il paragone più calzante è quello col 2015, parliamo di circa 150mila arrivi all’anno), ma lo sono per quanto concerne l’isola di Lampedusa. Se in passato gli sbarchi riguardavano località distinte, ora i migranti arrivano quasi tutti nell’isola e, soprattutto, finiscono tutti nell’hotspot.
Perché avviene questo?
Le ragioni sono molteplici, ma tutte riconducibili a scelte o errori di questo e dei precedenti governi italiani. Meloni, con la magistrale cooperazione di Salvini e Piantedosi, ha contribuito in modo decisivo a diminuire la capacità complessiva del sistema di soccorso in mare. Con il lento ma costante disimpegno nella SAR (cominciato ben prima dell’arrivo della leader di Fdi a Chigi, ne parlavamo qui), l’ostruzionismo alle ONG e la dismissione delle operazioni europee più efficaci, l’Italia ha sostanzialmente ridotto il perimetro entro il quale realizza il cosiddetto soccorso attivo (gran parte degli interventi sono catalogati come operazioni di polizia, per le quali non è necessario attendere l’indicazione di un POS). Non “intercettare” barconi e barchini in profondità significa privarsi della possibilità di indirizzare i migranti verso altri porti della costa italiana: di fatto, li stiamo “aspettando” nei pressi di Lampedusa, con tutto ciò che ne consegue.
A ciò ovviamente si somma il modificarsi delle rotte di transito dei migranti, che ora partono in gran parte dalla Tunisia, invece che dalla Libia. Non è un fenomeno nuovo: le rotte migratorie cambiano in continuazione, sotto la spinta di fenomeni diversi, tra cui certamente il contesto geopolitico locale. Lampedusa, poi, anche nei momenti di maggiore pressione mediatica e politica, è sempre stata interessata dai cosiddetti “sbarchi fantasma”: essenzialmente piccole imbarcazioni in grado di sfuggire ai controlli e traghettare sull’isola decine di migranti. In queste ultime settimane, alcuni analisti hanno evidenziato come l’aumento delle partenze dalla Tunisia trovi un corrispettivo nella fase di stabilizzazione del potere di Saied. Come noto, Giorgia Meloni si è fatta carico di trattare in prima persona con il leader tunisino, coinvolgendo anche i vertici delle istituzioni europee e giungendo alla stipula di un memorandum che prevede consistenti aiuti economici a Tunisi.
Malgrado le dichiarazioni roboanti della Presidente del Consiglio dopo i vertici e gli accordi, le partenze non si sono fermate, anzi. Si è parlato molto di questa famosa prima tranche di aiuti da 250 milioni di euro che non sarebbe ancora arrivata nelle casse di Tunisi, mettendola in relazione con l’incremento delle partenze dei barconi. Certo, l’ipotesi che Saied utilizzi la leva dei migranti per fare pressione sulle autorità europee e accelerare il trasferimento dei fondi resta al momento solo una speculazione teorica, senza elementi oggettivi. Ma è piuttosto indicativa di quanto sia pericoloso (e non risolutivo) esternalizzare il controllo delle frontiere a proto-regimi che peraltro non si curano né del rispetto dei diritti umani né di valutazioni di carattere strategico-politico. Saied ha la necessità di consolidare il proprio potere politico e utilizza le leve che ha: il fatto che le più alte autorità europee corrano a fargli il baciamano, è una legittimazione formidabile sul piano interno. Meloni, Von der Leyen e persino leader come Rutte ritengono possa essere interlocutore affidabile. Al momento, è lecito avere qualche dubbio.
(Per carità di patria, non toccheremo proprio la questione del blocco navale: ipotesi stupida e per fortuna non realizzabile, che è servita per raccattare qualche voto alle politiche e poco altro).
Chi ha smantellato il sistema di accoglienza in Italia
A un flusso eccezionale, almeno per Lampedusa, va sommata la grande difficoltà nell’operare i trasferimenti negli altri centri del Belpaese. Così, un hotspot che dovrebbe contenere al massimo 300 persone si riempie in modo insostenibile e altre centinaia (a volte migliaia) di migranti si ritrovano spesso senza assistenza (se non quella di volontari e abitanti), in attesa di un’altra destinazione sulla terraferma. Non va meglio a quei pochi che vengono salvati in mare aperto dalle ONG. Per effetto delle folli disposizioni di Piantedosi, dopo un viaggio lunghissimo e indicibili sofferenze, chi è soccorso da una nave ONG è costretto a subire ulteriori e non necessarie ore di navigazione prima di trovare riparo sulla terraferma. Oltre al carattere cinico della norma, l’effetto è quello di allontanare le ambulanze del mare dal luogo in cui c’è più bisogno.
Ma c’è un altro elemento che rende “emergenziale” una situazione che in realtà potrebbe essere tranquillamente gestita: lo stato disastroso del sistema dell’accoglienza italiana. I trasferimenti da Lampedusa, ma più in generale lo smistamento degli arrivi, sono lentissimi soprattutto per l’oggettiva difficoltà di distribuire le persone nei diversi centri sul territorio italiano. Il principale artefice dello smantellamento del sistema dell’accoglienza è stato senza alcun dubbio Matteo Salvini, da ministro dell’Interno del primo governo Conte. La scriteriata eliminazione degli Sprar ha demolito il concetto base dell’accoglienza diffusa, privando i Comuni della possibilità di implementare percorsi virtuosi di integrazione dei migranti; la discutibile revisione al ribasso della cifra stanziata per singolo migrante ha scoraggiato i piccoli gestori, rendendo di fatto sostenibili solo i grandi centri, che, oltre a dare condizioni peggiori agli ospiti, rappresentano da sempre un elemento di tensione con la popolazione locale.
Si è determinata così una situazione atipica: i posti per accogliere migranti sono pochi, concentrati in poche Regioni e la reattività del sistema è azzerata. I prefetti (e i Sindaci) si trovano spesso nell’impossibilità di mettere a disposizione posti aggiuntivi in tempo utile per accogliere chi arriva dagli hotspot, con il risultato di rallentare ulteriormente l’intero processo. In questi mesi di governo Meloni, sono caduti nel vuoto tutti gli inviti degli addetti ai lavori e degli esperti a potenziare ad esempio il sistema SAI, né si è riusciti mai a parlare seriamente di accoglienza. In effetti, meglio raccontare frottole sui rimpatri rapidi, sulle espulsioni efficaci e via discorrendo.
Rimpatri, espulsioni, redistribuzione: errori in serie
Peccato che, sul punto, anche il governo Meloni (e prima ancora i governi Conte I e Gentiloni) si sia dovuto arrendere all’evidenza dei fatti: le tempistiche per l’esame delle richieste di protezione sono diminuite ma non a sufficienza (e l’eliminazione dell’appello desta più di qualche perplessità), le espulsioni sono il solito buco nero e i rimpatri sono fermi al palo, come e più degli anni passati. Su quest’ultimo punto i dati sono impietosi e cozzano con la propaganda di Salvini e Meloni: del resto, si tratta di operazioni non semplici, per questioni oggettive, che non possono in ogni caso risolvere il problema dei flussi.
Invece, l’ultima ricetta di Meloni e Piantedosi verte proprio sulla chimera dei rimpatri. Ne abbiamo parlato lungamente ma anche tralasciando gli aspetti iniqui e discutibili sul profilo del rispetto dei diritti, c’è una questione su cui possiamo essere ragionevolmente sicuri: non funzionerà. I rimpatri non sono la soluzione, né per la fase emergenziale, né per quella di gestione ordinaria, né soprattutto per scoraggiare le partenze. La detenzione dei migranti, peraltro, è tollerata dalle norme internazionali solo previa valutazione del singolo caso (e la sussistenza di determinate condizioni), figurarsi se può diventare lo standard nella gestione dei dinieghi alle richieste di protezione.
Non è difficile prevedere cosa accadrà: il governo impiegherà mesi e mesi per costruire i nuovi CPR, tra proteste e liti con Regioni e Comuni; i centri entreranno in funzione tra mille difficoltà e senza alcuna garanzia sulla brevità dei tempi di permanenza dei migranti da rimpatriare; le sentenze dei giudici si faranno carico di smontare le disposizioni di Piantedosi e Nordio (inclusa la norma dei 5mila euro di deposito cauzionale, che recepisce male una direttiva Ue nata per scopi diversi); le condizioni nei centri diventeranno presto insostenibili; gli accordi con i Paesi di partenza saranno implementati sulla carta ma si riveleranno poco o nulla efficaci.
La redistribuzione e le polemiche con l’Europa
Su quest’ultimo punto non ci dilungheremo: Giorgia Meloni è l’ennesima personalità di governo a essersi intestata il “cambio di passo dell’Europa” sull’immigrazione. La leader di Fratelli d’Italia in soli dodici mesi ha sciorinato l’intero campionario retorico: l’UE che non ci aiuta, l’Italia che sbatte i pugni sul tavolo, i Paesi europei che sono costretti a cedere finché tutto cambia. Con grande sprezzo del ridicolo, la maggioranza riesce ogni giorno a prendersela con la Ue e contemporaneamente a ripetere ai propri elettori che le cose sono cambiate. L’Europa di Schrödinger, a un tempo causa e soluzione di tutti i problemi dell’Italia.
Meloni, che pure è riuscita a portare von der Leyen al tavolo con Saied e poi a Lampedusa, non ha deciso se i suoi (ex?) alleati polacchi e ungheresi abbiano ragione o torto nel bloccare qualunque possibilità di riformare regolamenti e pratiche comunitarie. Si è accorta solo recentemente di quello che in molti dicono da anni: ovvero che ci sono nazioni europee che accolgono come e più dell’Italia. Ma continua a fingere che non esista uno dei punti centrali dell’intero meccanismo di redistribuzione dei migranti: i movimenti secondari. Su cui l’Italia fa poco o nulla, da sempre.
In estrema sintesi: come noto, la stragrande maggioranza di chi arriva in Italia non vuole restarvi, bensì raggiungere le proprie comunità negli altri paesi europei.
Nel corso degli anni, un tacito sistema di elusione delle regole lo consentiva in modo piuttosto semplice. Ora, gli accordi sulla redistribuzione prevedono effettivamente che i migranti arrivati in Italia (e Grecia) debbano essere smistati, ma impongono anche degli impegni sui movimenti secondari. In sostanza, nazioni come Francia e Germania dicono: noi prendiamo le nostre quote, ma l’Italia deve impedire che le persone eludano i controlli e attraversino le nostre frontiere; se ciò continua ad avvenire, non abbiamo altra scelta che “chiuderle”. La stessa “mano tesa” di Macron va interpretata in questo senso: se il problema è la registrazione, possiamo aiutare. Ora, da anni siamo in questa situazione di stallo: la redistribuzione non funziona e l’Italia fa poco o nulla sui movimenti secondari.
Intendiamoci, si tratta di una vertenza complessa e con responsabilità diffuse. Ma permettetemi di dubitare che la soluzione sia quella individuata dalla destra italiana: polemica contro i cattivoni europei, vittimismo deresponsabilizzante sui flussi, nessuna proposta seria per riformare il sistema. Resta la propaganda, un anno in più, verrebbe da dire.
(da Fanpage)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
“LO STATO MEMBRO E’ LIBERO DI SCEGLIERE NEL VENTAGLIO DI OPZIONI OFFERTE DALLA NORMATIVA, NON C’E’ ALCUN OBBLIGO DI IMPORRE UN DEPOSITO IN CAUZIONE”
Fin dalle prime battute, da quando il governo ha provato a spiegare il senso della norma che lascia ai migranti richiedenti asilo la possibilità di pagare una cauzione, pari a 4.938 euro, per evitare il periodo di permanenza all’interno di strutture dedicate, ha provato a schermarsi dietro lo scudo dell’Europa: “Nel recepimento di una direttiva europea avvieremo da domani a Pozzallo, in provincia di Ragusa, la prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, come la Tunisia, per fare in modo che si possano realizzare velocemente, entro un mese, procedure di accertamento per l’esistenza dei presupposti di status di rifugiato”, ha detto il ministro dell’Interno Piantedosi domenica scorsa, a proposito della nuova norma, inserita nei decreti attuativi del decreto Cutro, firmati dai ministri Piantedosi, Nordio e Giorgetti.
Per il vicepremier Matteo Salvini è l’Europa a permettere “di chiedere delle cauzioni di migliaia di euro”. E lo stesso ha detto il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan, secondo cui in base a una direttiva europea del 2013, “C’è l’obbligo per gli Stati membri di disporre, come alternativa al trattenimento ‘la costituzione di una garanzia finanziaria’”.
Il titolare del Viminale ha anche aggiunto che la struttura di Pozzallo per richiedenti asilo è “una scommessa che il governo ha fatto per attuare una direttiva europea”, la direttiva 33 del 2013 appunto. Ma cosa dice esattamente quella direttiva, che il governo dice di aver semplicemente recepito e applicato?
Le opzioni alla detenzione che il governo non ha considerato
Partiamo con il dire che la questione della cauzione, la possibilità data ai migranti di versare una “garanzia finanziaria” di poco meno di 5mila euro, non è affatto obbligatoria, ma è solo una delle opzioni: il pagamento di una somma in denaro è prevista dalle norme europee – su questo il governo ha ragione – ma fa parte di un ventaglio di possibilità, è solo il ‘last case scenario’, il caso limite. Prima di arrivare a richiedere ai richiedenti asilo il deposito di un’adeguata garanzia finanziaria, ci sarebbero insomma altre possibilità, previste dal quadro normativo europeo:
Obbligo di presentarsi regolarmente alle autorità competenti, anche ogni 24 ore, fino a una volta alla settimana, a seconda del livello di rischio di fuga
Obbligo di consegnare il passaporto, il titolo di viaggio o il documento d’identità all’autorità competente
Obbligo di risiedere in un luogo designato dalle autorità, come ad esempio una residenza privata, un rifugio o un centro dedicato
Obbligo di segnalare alle autorità competenti l’indirizzo di residenza, comprese eventuali variazioni di tale indirizzo
Uso di tecnologie innovative
Ma il governo ha bypassato completamente queste 5 opzioni, e ha scelto di concentrarsi solo sul deposito di una garanzia finanziaria come alternativa unica al trattenimento.
Nel testo della direttiva 33 del 26 giugno 2013, all’articolo 8 si legge:
Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive.
Nero su bianco, nella direttiva presa a modello dall’esecutivo Meloni, si specifica che esistono comunque delle alternative alla detenzione, che in ogni caso va valutata caso per caso, come ha ricordato anche Anitta Hipper, portavoce della Commissione Ue. Sempre all’articolo 8 della direttiva si legge ancora:
Gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato.
Ma nei provvedimenti del governo Meloni non si parla né dell’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, né dell’obbligo di dimorare in un luogo assegnato. Ma soprattutto nella direttiva Ue non si fissa alcun massimale, per cui la cifra di 4.938 euro è stata stabilita in modo del tutto arbitrario. Fonti della Commissione europea hanno confermato a Fanpage.it l’interpretazione della direttiva: “Lo stato membro è libero di scegliere nel ventaglio di opzioni offerte della normativa, ma non c’è alcun obbligo di imporre il deposito di una cauzione in denaro, non c’è nessun paletto. Nel giudicare, caso per caso, quale sia la soluzione migliore per il richiedente asilo, i governi devono rispettare comunque un criterio di proporzionalità” nell’applicazione delle norme. “Ogni Stato, in base ai contesti, può evitare il mezzo coercitivo della detenzione, e prediligere le altre opzioni contemplate”, spiegano fonti della Commissione europea, “Per esempio l’obbligo di consegnare i documenti o l’obbligo di risiedere in un posto designato dalle autorità”.
In questo momento vanno avanti le interlocuzioni tra la Commissione Ue e il governo italiano: quello che l’esecutivo Ue vuole accertare è se l’eventuale introduzione della garanzia economica per i richiedenti asilo nel quadro normativo italiano, sia effettivamente proporzionata e sia subordinata a preventivi assessment individuali di verifica.
(da Fanpage)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
“BONOMI HA TENUTO UN ‘PIPPOZZO’ SENZA PARLARE DI COSE CONCRETE. E ORA VORREBBE PRESIEDERE LA LUISS PER DIRITTO FEUDALE”-… BONOMI, NON LAUREATO, NON PUÒ SEDERE A CAPO DEL CDA DELL’ATENEO
Carlo Calenda va all’attacco di Confindustria in seguito alla pretesa di Carlo Bonomi di diventare presidente dell’Università Luiss pur non avendo la laurea, una pretesa per “diritto feudale” la definisce in una rapida conversazione con il Fatto non lesina accuse: “Della Confindustria in cui ho lavorato si sono perse le tracce, oggi è governata da professionisti senza aziende che si autoperpetuano tra di loro”.
Il leader di Azione spiega di non essere andato all’assemblea annuale in cui “questo signore”, leggi Bonomi, “ha tenuto un ‘pippozzo’ senza parlare di cose concrete. Utilizza il Sole 24 Ore per regolare conti interni ed esterni e ora vorrebbe presiedere la Luiss per diritto feudale”.
Calenda ha invitato gli studenti a prendere parola, perché “solo così si è classe dirigente” quella classe dirigente che la Confindustria non è più. “La Luiss è una buona università, ma vogliono trascinarla nella crisi di Confindustria, gli imprenditori dovrebbero dire qualcosa”. Calenda ha poi annunciato una interrogazione parlamentare alla ministra dell’Università, Anna Maria Bernini.
(da il Fatto Quotidiano)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
LE COMMESSE SONO MILIONARIE E RIGUARDANO IN PARTICOLARE LEONARDO, CHE HA STRETTO ACCORDI PER FORNIRE A BAKU AEREI, SOTTOMARINI E MISSILI… CROSETTO, CHE A GENNAIO ERA VOLATO IN AZERBAIJAN PER INCONTRARE ALIYEV E IL MINISTRO DELLA DIFESA HASANOV
L’Italia potrebbe essere coinvolta nella repressione della popolazione armena che si sta consumando in questi giorni in Nagorno Karabakh, nel Caucaso meridionale. Il nostro Paese, infatti, risulterebbe tra i principali fornitori di mezzi militari utilizzati dall’Azerbaijan nell’offensiva che ha già causato oltre 400 vittime (almeno un migliaio secondo fonti indipendenti), oltre 40.000 sfollati e interi villaggi rasi al suolo.
La notizia del nostro coinvolgimento al fianco del dittatore azero Aliyev è trapelata negli scorsi giorni: sotto i riflettori sono finite le commesse milionarie in particolare di Leonardo, l’azienda italiana partecipata dal Ministero della Difesa, che avrebbe stretto accordi per fornire all’Azerbaijan nuovi aerei militari. Nel piatto anche la vendita di sottomarini e missili. Uno scenario su cui ora il Pd chiede urgenti chiarimenti al ministro Guido Crosetto, titolare della Difesa.
«E’ vero, come riferiscono fonti di stampa, che le industrie italiane hanno fornito apparati militari all’Azerbaijan, Paese da anni coinvolto in operazioni militari nei territori armeni del Nagorno Karabakh?», domanda Piero Fassino, nell’interrogazione firmata con i deputati dem Stefano Graziano, Andrea De Maria e Giuseppe Provenzano.
I buoni rapporti tra il nostro governo e l’Azerbaijan sono noti: il 12 gennaio 2023 il ministro Crosetto ha incontrato a Baku l’autocrate Aliyev per discutere «temi di comune interesse nel settore della Difesa ed energetico, obiettivi condivisi anche dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni» riferisce il Ministero della Difesa.
Non solo. Nella capitale azera il ministro Crosetto ha incontrato anche il suo omologo Zakir Hasanov con il quale ha firmato un protocollo d’intenti sulla cooperazione nel campo della formazione e dell’istruzione delle Forze Armate. Poi […] ha reso omaggio ai Caduti deponendo una corona al Monumento dei Martiri, cioè dei militari responsabili della repressione dell’exclave armena del Karabakh. E così il Pd attacca.
La vendita di mezzi militari all’Azerbaijan è confermata dalla stessa Leonardo. Infatti, l’8 giugno 2023, l’azienda italiana dichiara di aver «firmato un contratto per la fornitura del C-27J Spartan nell’ambito della visita di una delegazione azera in Italia alla presenza di rappresentanti dei Ministri della Difesa dei due Paesi». Accordo raggiunto «grazie al prezioso contributo offerto dal gruppo di lavoro del Ministero della Difesa italiano» sottolinea Leonardo.
Nel frattempo il dramma degli armeni in fuga dal Nagorno Karabakh prosegue: sono decine di migliaia i civili che in queste ore stanno cercando di abbandonare il Paese, intrappolati nell’unica strada verso l’Armenia e la salvezza. La repressione dei 120.000 armeni del Karabakh è purtroppo un fatto compiuto
(da La Stampa)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
UN COLPO ALLE AMBIZIONI EUROPEE DELLA MELONI CHE PUNTAVA, IL PROSSIMO ANNO, A CAMBIARE LO STATUS QUO A BRUXELLES ALLEANDO I SUOI CONSERVATORI AL PPE
Centosettantadue voti, non uno di più. Al momento della verità, quando il Congresso dei deputati spagnolo è stato chiamato a esprimersi sulla candidatura presidenziale di Alberto Núñez Feijóo, il divario di 4 seggi che separava il leader del Partito Popolare dall’ascesa alla Moncloa è rimasto invariato.
Un mese di trattative non ha spostato di un millimetro il serbatoio di voti di cui Feijóo sapeva di poter disporre già all’indomani delle elezioni legislative del 23 luglio scorso, segnate dalla cocente delusione per non essere riuscito a chiudere la partita con una solida maggioranza di destra: oltre ai 137 voti del suo partito, ha avuto il sostegno dei 33 deputati dell’estrema destra di Vox, uno di Upn (Unión del pueblo navarro) e uno di Cc (Coalición Canaria).
È anche per questo – perché il suo destino era già segnato – che per la prima volta un atto solenne come la sessione d’investitura di un candidato premier nell’emiciclo delle Cortes di Madrid ha avuto uno svolgimento del tutto anomalo.
Feijóo, che nel suo discorso di ieri mattina durato 100 minuti avrebbe dovuto sviscerare nei dettagli il suo programma di governo […] ha dedicato quasi tre quarti d’ora a svolgere un ruolo che già prevede imminente: quello di leader dell’opposizione.
Un attacco diretto al governo, attualmente ad interim, di Pedro Sánchez (come se si trattasse di una mozione di censura) unito a un attacco preventivo al prossimo, per ora ipotetico, candidato premier (lo stesso Sánchez) con una durissima critica all’eventualità di una amnistia […] per le migliaia di indipendentisti catalani indagati per l’organizzazione del referendum illegale del 1° ottobre 2017.
Per Feijóo l’amnistia posta dalle formazioni separatiste catalane per garantire l’appoggio a un governo progressista) “non è accettabile, né giuridicamente, né eticamente. Fuori dalla Costituzione, non c’è democrazia”, ha detto il leader del Pp
Feijóo ha poi comunque abbozzato le linee di un programma. E poi ha sfoderato l’idea dell’introduzione nel codice penale di un nuovo reato, la non meglio precisata “slealtà alla Costituzione”, che dovrebbe sostituire la sedizione, abolita dal governo Sánchez dopo che era stata utilizzata per condannare a pesanti pene di reclusione i leader indipendentisti catalani (poi indultati dall’esecutivo).
Con una decisione a sorpresa, non è stato il capo del governo a replicare al candidato popolare a nome dei socialisti: Sánchez ha designato un combattivo deputato, Óscar Puente, che dalla tribuna è stato protagonista di una pesante offensiva contro Feijóo e la sua alleanza con l’ultradestra di Vox. Una scelta determinata non solo dalla volontà di sottolineare come il leader del Pp fosse un candidato senza possibilità di successo, ma anche per metterlo di fronte a una contraddizione. Feijóo, che ha sempre rivendicato il diritto a essere eletto presidente in quanto “leader della lista più votata”, è stato affrontato dall’ex sindaco di Valladolid che, alle ultime elezioni, è stato anche lui il candidato più votato.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
OGNI PUNTO IN PIÙ DI TASSI D’INTERESSE COSTA TRE MILIARDI DI EURO AL TESORO. COSÌ L’ANNO PROSSIMO ROMA SUPERERÀ ABBONDANTEMENTE LA CIFRA RECORD DI 100 MILIARDI DA PAGARE PER GLI INTERESSI PASSIVI
I titoli di Stato dell’Italia tornano sotto il faro. Da qualche giorno il rendimento del bond decennale, che fa da riferimento in Italia, è in continua crescita. Ieri il tasso è salito a quota 4,72% con lo spread a 193 punti base. A giugno il tasso del Btp si muoveva ancora in area 4%. Il timore è che la tendenza in atto porti il livello sopra quota 5% già prima della fine dell’anno. Per le casse dello Stato si tratterebbe di una sfida aggiuntiva da affrontare. Ogni punto in più di remunerazione crea un fardello addizionale di spesa per interessi e rende la coperta sempre più corta
Uno studio di un anno fa dell’Università Cattolica stimava una crescita della spesa per interessi di 3 miliardi nei successivi 12 mesi nel caso di un aumento di un punto percentuale dei tassi di interesse sui titoli di Stato, persistente e uniforme lungo la curva per scadenze.
In ogni caso le cifre aggiuntive andranno sommate a quelle già calcolate dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per il 2024. Il ministro qualche giorno fa ha detto che nel 2024 lo Stato pagherà 14 miliardi in più di spesa per interessi sul debito rispetto al 2023, anno in cui molto probabilmente spenderà oltre 100 miliardi (nel 2022 la cifra era stata di oltre 83,5 miliardi, non si conosce ancora l’ammontare relativo all’anno in corso ma è ipotizzabile che supererà questo livello).
Vuol dire che, aggiunti i 14 miliardi di Giorgetti e i nuovi miliardi legati all’attuale ulteriore incremento del tasso del Btp, l’anno prossimo l’Italia supererà abbondantemente la cifra record di 100 miliardi da pagare per gli interessi passivi e potrebbe facilmente avvicinarsi ai 120 miliardi. Nel 2020 aveva versato 57 miliardi, meno della metà.
Intanto nuove aste sono in arrivo. Da qui a fine sono 17 le aste di titoli di Stato in programma mentre ci saranno 383 miliardi di euro di titoli in scadenza nei prossimi 12 mesi (escludendo le aste già tenute a settembre). Al momento ammonta a 2.389 miliardi di euro lo stock dei titoli di Stato in circolazione. Da gennaio ad agosto 2023 sono stati emessi titoli per 244 miliardi circa, ai quali vanno aggiunti i 19 miliardi delle aste di settembre.
Riguardo al tasso, le previsioni indicano già un livello più elevato per il 2024. Nel suo recente Economic Outlook sull’Eurozona, S&P prevede un livello che per il Btp di media sarà al 4,7% nel 2024, per poi scendere solo leggermente al 4,5% nel 2025 e al 4,4% nel 2026. Significa che il rincaro accompagnerà il Tesoro per molto tempo ancora.
«Certo è che sono finiti i tempi della cuccagna in cui lo Stato poteva rifinanziare il proprio debito a tassi bassissimi, vicini allo zero – dice Piergiacomo Braganti, Research Director di WisdomTree Europe -. Adesso ricomincia la risalita e per i conti dello Stato non è una bella cosa». A tutto questo si aggiunge il fatto che lo spread, che misura la fiducia verso il nostro Paese, è in allargamento e presto potrebbe superare quota 200 punti base.
Va però detto che il movimento attuale dei rendimenti è comune e riguarda tutto il debito governativo. Anche il tasso del decennale tedesco è in ascesa ed è arrivato intorno a quota 2,8%. Ieri a spingere sul rialzo sono stati i timori di un’ulteriore stretta monetaria in arrivo dopo i commenti di alcuni funzionari della Federal Reserve Usa.
Intanto la Germania corre ai ripari e di tagliare le sue emissioni di bond. Il Paese si può permettere questo passo e quindi ridurrà le emissioni di debito del quarto trimestre di 31 miliardi di euro. Questo per effetto della decisione del governo di diminuire le misure di sostegno contro il caro-energia.
Se si considera anche il terzo trimestre le mancate emissioni di Bund, rispetto a quanto stimato nel dicembre 2022, ammontano a 45 miliardi di euro. In ogni caso, riferisce Bloomberg, i 500 miliardi di euro di debito che la Germania collocherà nel 2023 rappresentano un record. La notizia che la Germania dovrà finanziarsi di meno sui mercati ha fatto scendere i rendimenti del Bund decennale, che ora sono piatti, contribuendo all’allargamento dello spread con il Btp fino a 191 punti base.
Se la Germania stringe i rubinetti, l’Italia invece va avanti a passo accelerato: a inizio ottobre partirà la seconda emissione del Btp Valore, il titolo di Stato riservato ai piccoli risparmiatori. L’ipotesi è di un nuovo boom. A giugno questo strumento aveva raccolto oltre 18miliardi di euro di sottoscrizione segnando un record storico. Con i tassi elevati è prevedibile una nuova corsa al Btp Valore.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2023 Riccardo Fucile
RAI PUBBLICITÀ TEME PER GLI ASCOLTI DELL’EREDITÀ, CHE DA GENNAIO INSEGNO CONDURRÀ AL POSTO DI FLAVIO INSINNA
Dopo l’esordio non entusiasmante di lunedì 25, al 3.4% di share, Pino Insegno aveva salutato gli ascolti de Il Mercante in Fiera come un successone, che lo spingevano finanche a mirare al raddoppio.
Purtroppo per lui, ieri sera, martedì 26 settembre 2023, la seconda puntata si è fermata al 2.0% di share con 364.000 spettatori, praticamente la metà delle teste che avevano seguito il debutto.
Visti i numeri, qualcuno a Viale Mazzini lascia trapelare che Rai Pubblicità teme per gli ascolti dell’Eredità, che da gennaio Insegno condurrà al posto di Flavio Insinna. Il mercante in fiera, almeno per il momento, si conferma un flop ancor più cocente di quello che diciassette anni fa indusse Italia1 a chiuderne i battenti. Era proprio necessario, come scrivemmo su Dagospia mesi fa, riesumarlo in Rai?
(da Dagospia)
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