Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
IN CAMBIO DI AIUTI ALL’ALBANIA MELONI VUOLE CREARE DUE CPR IN LOCO SOTTO GIURISDIZIONE ITALIANA CON PERSONALE ITALIANO, SPUTTANANDO MILIONI… IMMAGINATE I RICORSI GIUDIZIARI IN ITALIA, I RIMPATRI CHE NON AVVERRANNO MAI E LA UE CHE GIA’ RICHIAMA AL RISPETTO DELLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI… TUTTO PER NASCONDERE 3.000 MIGRANTI AGLI OCCHI DEI FIGHETTI BORGHESI SOVRANISTI, RAZZISTI ED EVASORI
Da aiutiamoli a casa loro a deportiamoli in casa d’altri. Migranti in cambio di energia, infrastrutture, agroalimentare, anche acqua per la Puglia, e il sostegno nelle trattative delicate per l’ingresso nell’Unione europea e sulla crisi kosovara.
L’Albania diventa il Cpr dell’Italia, ma Roma ripaga la disponibilità di Tirana sui migranti allargando i cordoni della borsa.
In attesa degli Stati Europei – ‘non rispondono al telefono’, si è lamentata la premier nella telefonata coi comici russi – Giorgia Meloni ottiene la collaborazione di uno Stato che in Europa non ci è ancora entrato. Con il premier albanese Edi Rama oggi Meloni ha siglato un teorico protocollo d’intesa in base al quale l’Albania ospiterà i migranti salvati in mare dalle navi italiane in due centri che sorgeranno nel nord del Paese, nei pressi della città di Scutari.
I migranti saranno sbarcati nel porto di Shengjin – in italiano San Giovanni Medua – dove verranno identificati e ospitati in un centro di prima accoglienza. A Gjader, distante dieci chilometri nell’entroterra, sarà realizzata una struttura sul modello dei Cpr per le successive procedure.
Le due strutture conterranno 3mila persone, ma secondo i calcoli del governo una volta a regime ci potrà essere un flusso annuale complessivo di 36 mila persone (una balla. visto che senza accordi con i Paesi di origine, resteranno 3.000 fissi)
Potranno essere portati in Albania solo i migranti salvati dalle navi italiane, come la Marina e la Guardia Costiera, non quelli presi a bordo dalle navi umanitarie. Anche i minori, le donne in gravidanza, i disabili e le persone vulnerabili non verranno ospitati nei due centri, che saranno operativi dalla prossima primavera. L’Italia manterrà la giurisdizione all’interno delle strutture e collaborerà sulla sorveglianza esterna con la polizia albanese.
Per Meloni si tratta di un accordo storico a livello europeo e “dimostra che si può collaborare nella gestione dei flussi” anche con un Paese che “nonostante non sia ancora parte dell’Unione” è una “nazione amica” e “si comporta come se fosse un paese membro”.
Scontato il sostegno dell’Italia all’ingresso dell’Albania nell’Unione, anzi, “siccome l’Ue non è un club – dice Meloni – io non parlo di ingressi ma di riunificazione dei Balcani occidentali che sono Paesi europei a tutti gli effetti”.
Il modello non è originale. La premier mette a frutto da una parte la dottrina Sunak, preparata nel corso delle visite a Downing Street – l’ultima una settimana fa – e negli scambi tra Chigi, il Viminale e i funzionari del governo britannico.
Quando la Corte d’appello inglese ha bocciato il trasferimento dei migranti inglesi in Ruanda, l’ha fatto perché lo stato africano non era considerato un Paese sicuro e perché si trattava di richiedenti asilo, che rischiavano il rimpatrio nei rispettivi Stati.
L’Italia dovrebbe verificare in Albania lo status dei migranti e distinguere tra i cosiddetti illegali – i migranti economici – e i rifugiati e gli asilanti. Il fatto che nei due centri viga la giurisdizione italiana, tuttavia, non cambia la sostanza. Asilanti e rifugiati saranno ospitati in Albania come se fossero in Italia.
L’altro modello è quello inaugurato sette anni fa da Angela Merkel con la Turchia di Recip Erdogan per svuotare il canale migratorio che dal Medio Oriente (e in particolare dalla Siria) porta in Europa attraverso la rotta balcanica. Ma in questo caso era ufficialmente l’Unione europea a mediare con la Turchia, versandole peraltro 8 miliardi di euro.
L’Italia pagherà in prima persona. L’accordo sui migranti è stato preceduto, a settembre, da un vertice economico alla Farnesina tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e Edi Rama nel corso del quale è stato messo a punto un piano di investimenti italiani in Albania che coinvolge le grandi aziende di Stato, da Cassa Depositi e Prestiti, a Ferrovie dello Stato, Terna, Fincantieri, Leonardo, ITA Airways.
I lavori saranno focalizzati su infrastrutture, energia e agroindustria
Ovviamente il governo smentisce che il protocollo d’intesa sui migranti preveda uno scambio.
Sta di fatto che la cooperazione tra Italia e Albania è ripresa in grande stile proprio a margine della trattativa sui migranti. Il governo di Tirana venderà all’Italia anche l’acqua, grazie a un acquedotto sottomarino che da Argirocastro riformirà il Salento. Un miliardo di euro di investimenti e 4 anni di lavori per realizzarlo.
Le opposizioni bocciano il “piano albanese” e chiedono al governo di riferire in Parlamento.
Il responsabile Pd delle politiche migratorie Pierfrancesco Majorino parla di “un pericoloso pasticcio, parecchio ambiguo”. Di fronte a richiedenti asilo, spiega, “appare assolutamente inimmaginabile compiere con personale italiano e senza esborso di risorse le procedure di verifica delle domande d’asilo”.
Resta avvolto nel mistero “come possano essere gestiti gli eventuali ricorsi e meno ancora come possano verificarsi gli eventuali rimpatri in assenza di accordi bilaterali”. Per Nicola Fratoianni siamo alla delocalizzazione dei naufraghi.
“Praticamente si crea una sorta di Guantanamo italiana, al di fuori di ogni standard internazionale, al di fuori dell’Ue senza che possa esserci la possibilita’ di controllare lo stato di detenzione delle persone rinchiuse in questi centri”., protesta Riccardo Magi, segretario di Più Europa.
E Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinisra aggiunge: Quello che il governo ha definito come un ‘importantissimo protocollo di intesa’ non è altro che una politica di respingimento mascherata da cooperazione internazionale. Il governo italiano –prosegue – sta delegando la gestione dei migranti irregolari, di fatto esternalizzando le proprie responsabilità, con il rischio di creare campi di permanenza che potrebbero non assicurare standard adeguati di accoglienza e rispetto per la dignità umana”.
Mentre da Bruxelles un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos dice: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale”.
(da agenzie)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
NEI PRIMI MESI HA MANTENUTO LE ATTESE, POI L’ONDA D’URTO DELLA FIAMMETTA NERA (GIORGIA, ARIANNA, FAZZO, SCURTI) AL GRIDO “O SI FA COSÌ O NIENTE!” HA AVUTO LA MEGLIO ED OGGI CI RITROVIAMO UN BEL MANTOVANO MELONIZZATO
Per comprendere la melonizzazione di Alfredo Mantovano è necessario
fare un salto indietro.
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio doveva essere il factotum di Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari. La Ducetta, che l’ha sempre considerato “la persona più intelligente che abbia conosciuto” (pensa gli altri…), non lo promosse ministro proprio per permettergli di restare giorno per giorno incollato al suo fianco.
Ma dieci giorni prima del varo del primo governo italiano guidato da una donna, l’esperto Gianfranco Fini indottrinò la sua ex pulzella Meloni: dove pensi di andare senza un uomo che sappia collegare e coordinare Palazzo Chigi alle istituzioni, quel famigerato Deep State formato dal Quirinale, Corte dei Conti, Consulta, Servizi, Ragioneria, etc.
Un potere “invisibile” su giornali e talk ma che è il motore che manda avanti la macchina dello Stato senza il quale il premier può girare il volante del governo quanto e dove vuole ma resta in garage. Basta rinculare un po’ nel tempo per constatare come sono affondati gli esecutivi di Matteonzo Renzi (il tapino si permise di nominare il capo dei vigili urbani a capo del legislativo di Palazzo Chigi), a seguire quelli di Conte e di Salvini
Puoi contare pure sul 30/40 per cento nelle elezioni e nei sondaggi volare come un’aquila ma quando gli occupanti di Palazzo Chigi cominciano a cotonarsi il cervello confondendo l’autorevolezza con l’autoritarismo, la condivisione con l’arroganza “Qui comando io!” e Lor Signori diventano quindi ‘’inaffidabili’’; allora il Deep State prende le forbici e, zac!, taglia i fili e rispediscono i burattini a casa a lucidare i manganelli.
Appena fu decisa la nomina di Mantovano a Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, l’editorialista del Corriere della Sera Antonio Polito si precipitò a scrivere su Twitter: “Attenti ad Alfredo Mantovano, la vera sorpresa del governo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Per chi non lo ricorda, è persona seria e di valore”.
Vedovo, tre figli, ex magistrato, è stato parlamentare di An e sottosegretario all’Interno nei governi Berlusconi II e IV nonché “montiano” dell’allora Pdl (così detto dal giorno del dicembre 2012 in cui, a differenza del Cav., Mantovano votò la fiducia al “tecnico” Mario Monti).
Con quell’espressione più triste di un piatto di verdure lesse, si vanta di essere un cattolico tradizionalista su bioetica, famiglia, droghe, matrimoni gay ed eutanasia (uno dei suo motti: “Cristo c’è sempre anche se mi distraggo e lo credo assente”): non a caso si è laureato alla Sapienza nel 1983 con una tesi sulla costituzionalità della legge italiana sull’aborto.
Raccontato come “esperto conoscitore della macchina governativa”, gli apparati dello Stato puntavano molto sul buon senso istituzionale di Mantovano per arginare le estremizzazioni alla “Meglio perdere che perdersi” del camerata Fazzolari. E nei primi mesi ha mantenuto le attese tenendo aperto il suo canale con le istituzioni, scontrandosi con il “genio” di “Io sono Giorgia”. Poi l’onda d’urto del quadrilatero della Fiammetta Nera (Giorgia, Arianna, Fazzolari, Scurti) al grido “O si fa così o niente!” ha avuto la meglio ed oggi ci ritroviamo un bel Mantovano melonizzato.
Un trasbordo durante il quale ha dovuto ingoiare qualche rospo. Quando Meloni, per far dispetto a Salvini, ha estromesso il ministero dell’Interno dal dossier immigrazione girandolo nelle mani di Mantovano, Piantedosi ha subito stoppato il sottosegretario (‘’Il ministro sono io”) e, capito l’antifona, contemporaneamente ha traslocato le sue simpatie da Salvini verso Meloni.
Un lampante cambio di casacca è avvenuto proprio ieri quando Piantedosi ha deciso di affidare la gestione dell’emergenza immigrazione al prefetto Laura Lega. La stessa che 7 anni fa, febbraio 2016, in piena emergenza immigrazione, Matteo Salvini apostrofò rudemente: “Vai a casa e cambia lavoro”.
La melonizzazione di Mantovano ha toccato il climax del ridicolo in occasione dell’insostenibile burla telefonica dei due russi, al punto di dichiarare che Meloni “aveva capito subito” con chi stava parlando. Subito è arrivata la pernacchia quando, ospite della Gruber il cosiddetto comico ha tenuto a precisare che la conversazione è durata quasi mezz’ora e ha ammesso candidamente che non sapeva più come portar avanti il colloquio con la premier italiana che non la finiva più di dare aria ai denti.
Così Mantovano viene sbertucciato dal Fattoquotidiano.it: “Su Radio24, descrive la vicenda come una trappola di intelligence architettata da Mosca e abilmente schivata dalla capa del governo: “C’è stato un tentativo di farle fare qualche errore di comunicazione che invece non c’è stato, perché Meloni dice in privato le stesse cose che dice in pubblico”, afferma.
‘’Un punto di vista singolare, dato che fin dal suo insediamento la leader di FdI ha deriso chiunque chiedesse di fermare le armi, insistendo sul sostegno all’Ucraina “fino alla vittoria”.
Ai due zuzzurelloni para-africani ha raccontato invece che la controffensiva ucraina non sta andando come ci si aspettava ed è necessario trovare una “via d’uscita accettabile” dalla guerra”.
Silenzio assordante invece sull’altro tema della conversazione: il rapporto dell’Africa con la Francia sulla rivolta nel Niger, durante il quale la Sora Giorgia sprizza tutta la sua inossidabile animosità contro l’alleato europeo Macron. Da sottolineare in rosso che l’affare Niger non era stato minimamente sollevato dai due para-comici di Putin, lo ha inserito lei. Ora la diplomazia dell’Eliseo, come vuole un’antica tradizione, non ha ribattuto alla telefonata della Meloni.
A Parigi sanno che mettere in campo l’ennesimo scontro franco-italiano, non porterebbe in questo momento a nulla di buono. Macron lo tirerà fuori al tempo debito. Magari in Commissione europea. Quando chiederà ai suoi alleati popolari e socialisti: è affidabile un premier che in pubblico afferma il suo atlantismo filo-Biden e in privato dichiara il contrario, come una Orban in gonnella?
Un quadro disastroso che per ora non avrà gravi conseguenze solo grazie all’offensiva criminale di Hamas. Meloni dovrebbe infatti portare un cero alla Madonna di Pompei per la terribile guerra in Israele che non permette né ai mercati attraverso le agenzie di rating né all‘Unione Europea di chiudere i rubinetti e gettare nella spazzatura un paese nevralgico per la geopolitica del Mediterraneo. Ma prima o poi, arriverà, se non la pace, un cessate il fuoco sia in Ucraina sia a Gaza e allora si regoleranno i conti con la Ducetta e la sua inadeguatezza politica.
(da Dagoreport)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
TRA LE ECONOMIE DEL G7, IL REDDITO È AUMENTATO IN TUTTI I PAESI PER I QUALI SONO DISPONIBILI DATI, AD ECCEZIONE DELL’ITALIA
Il reddito reale pro capite delle famiglie nell’area Ocse è aumentato in media dello 0,5% nel secondo trimestre del 2023, registrando il quarto trimestre consecutivo di crescita ma in Italia è diminuito dello 0,3%: è quanto riferisce la stessa organizzazione internazionale per lo sviluppo e la cooperazione economica.
Nell’area Ocse il dato è salito dello 0,5% nel secondo trimestre 2023 mentre il pil reale per abitante è cresciuto dello 0,4%. Tra le economie del G7, il reddito reale dei nuclei familiari per abitante è cresciuto in tutti i Paesi per cui i dati sono disponibili, fatta eccezione per l’Italia (-0,3%). Negativo anche il pil reale per abitante (-0,3%).
Dei 21 Paesi per cui sono disponibili dati, undici hanno segnato un aumento dei redditi nel secondo trimestre, mentre dieci hanno registrato un calo. Tra le economie del G7, il reddito reale pro capite è aumentato in tutti i Paesi per i quali sono disponibili dati (manca il Giappone), ad eccezione dell’Italia, che segna -0,3% dopo il +3% del primo trimestre. Il Canada ha registrato il maggiore aumento del reddito nel G7, con +1,2% (dopo -2%), seguito dal Regno Unito (+0,9% dopo -0,3%). Negli Usa la crescita è stata dello 0,5% (dopo +2,3%), come in Germania (dopo -0,4%), mentre in Francia l’aumento risulta dello 0,1% (dopo -0,4%).
Nel G7 il Pil reale pro capite nel secondo trimestre risulta in aumento dello 0,3%, dopo +0,4% nel primo trimestre. Il dato migliore tra i sette big è appannaggio del Giappone, con un aumento del Pil pro-capite dell’1,1% dopo +1%. Seguono con +0,4% gli Stati Uniti (come nel primo trimestre) e la Francia (dopo -0,1%). La Germania registra -0,1% dopo -0,4%, l’Italia -0,3% dopo +0,7%, il Regno Unito è a zero in entrambi i trimestri, mentre il Canada registra -0,4% dopo 0%.
Oggi l’Ocse ha anche presentato l’edizione 2023 delle Prospettive sulle competenze (Oecd Skills Outlook 2023) in cui ha sottolineato che un ’’rafforzamento delle competenze” è oggi “essenziale” per “accompagnare la transizione ecologica e trarre beneficio dalle possibilità offerte dall’Intelligenza Artificiale (Ia)”.
(da agenzie)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA RIVENDICA PIU’ POLTRONE E LANCIA IL SINDACO DI CAGLIARI
Non è solo l’elezione regionale dell’undicesima Regione italiana per
numero di abitanti. Su come si esprimerà il quasi milione e mezzo di aventi diritto di voto, nel febbraio 2024, si innesterà la campagna elettorale per le successive Regionali ed Europee di giugno. La Sardegna, insieme all’Abruzzo, apre il valzer che vedrà rinnovare i Consigli di Basilicata – forse a marzo -, e poi di Piemonte e Umbria. Ma se sulle sponde dell’Adriatico il campo largo ha trovato la convergenza su Luciano D’Amico e il centrodestra non mette in discussione la riconferma del presidente uscente, il meloniano Marco Marsilio, sull’isola che vanta lo Statuto speciale lo scacchiere dei candidati non è ancora definito.
Mancano tre mesi o poco più all’apertura dei seggi e da oggi, 6 novembre, una serie di riunioni di ambedue le coalizioni proveranno a ufficializzare le investiture.
Nella sede del Partito democratico di Cagliari, si è svolto nel primo pomeriggio un incontro per cercare di far digerire il nome di Alessandra Todde a Progressisti, +Europa e Liberu. Sono le tre sigle che, nella coalizione che riunisce 15 simboli, non accettano l’investitura della vicepresidente del Movimento 5 stelle: la sua candidatura, «imposta dall’alto», non prevede la celebrazione delle primarie.
Todde in vantaggio, ma il suo nome non ha l’unanimità tra le liste di centrosinistra
Il ricorso a una consultazione della base per individuare l’esponente del centrosinistra, invece, era la soluzione auspicata da Renato Soru: il già presidente della Regione Sardegna – dal 2004 al 2009 – non sembra intenzionato a rinunciare a una sua candidatura. Anche il sindaco di Quartu Sant’Elena Graziano Milia è in lizza per la corsa al posto di governatore. Seppure è stato scongiurato il rischio che i Progressisti e Liberu si sfilassero dal tavolo odierno, resta fermo un punto: «Nel corso del dibattito – il partito indipendentista sardo – ribadirà la sua ferma indisponibilità ad accettare imposizioni da parte di segreterie romane o da parte di cerchi magici di riferimento. Liberu precisa che continuerà a perseguire, come già dal primo giorno, una posizione di apertura alle istanze democratiche e popolari che vengono dall’elettorato sardo, unica ricetta per invertire la tendenza all’astensionismo e ricostruire il rapporto di fiducia fra il popolo sardo e i suoi rappresentanti».
Durante l’incontro tra le 15 sigle è stato deciso di concedere 48 ore di tempo a Progressisti, Liberu e +Europa per esprimere una posizione definitiva sulla candidatura della grillina. In serata, la direzione del Pd sardo si è riunita a Oristano per fare un punto sul nome di Todde: arriverà da questa sede il via libera definitivo dei Dem alla vicepresidente dei 5 stelle. Tuttavia, non è da escludere che, per evitare di spaccare la larghissima coalizione, i tempi della mediazione potrebbero ricevere un’ulteriore proroga.
La trattativa del centrodestra guarda agli equilibri nazionali
I soggetti politici a vocazione territoriale del centrosinistra non vogliono adeguarsi all’accordo stretto direttamente dai vertici dei due partiti maggiori. Un problema per Elly Schlein e Giuseppe Conte, che devono intersecare la sfida sarda con le elezioni in Piemonte: se funzionasse l’operazione Todde in Sardegna, per i grillini sarebbe più facile sostenere la candidatura di Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd, in terra sabauda.
Ad ogni modo, anche nella coalizione di centrodestra le tensioni sono forti. Il confronto tra Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega per la Sardegna dovrebbe avvenire domani, 7 novembre, a Roma. A differenza del centrosinistra, dove i partiti non agiscono insieme per consuetudine, ma valutano caso per caso, il centrodestra deve tenere conto degli equilibri di governo nazionale e degli altri territori italiani. Ciò che risulta evidente alle fonti di maggioranza consultate da Open è che Fratelli d’Italia, nonostante sia il primo partito della coalizione, governi soltanto due Regioni e mezzo: Abruzzo, con Marsilio, appunto, le Marche con Francesco Acquaroli e il Lazio, che ha come presidente Francesco Rocca, indipendente ma di area meloniana. Lega e Forza Italia governano più Regioni di Giorgia Meloni
Un promoveatur ut amoveatur allestito per Solinas
Sulla Sardegna ci si domanda se conservare la tradizione della ricandidatura del presidente uscente, spesso osservata nelle elezioni regionali, o iniziare a riequilibrare i pesi dei partiti della coalizione sui territori. D’altronde, se il dubbio non esistesse, l’attuale governatore Christian Solinas non si affretterebbe a dichiarare: «Merito un secondo mandato». Al momento, la posizione ufficiale della Lega è quella di proseguire con il segretario del Partito sardo d’azione, forza che ha stretto un’alleanza strutturale con il Carroccio a partire dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Nelle affermazioni off the record di fonti della maggioranza, invece, Solinas risulta con un piede fuori: prima ancora dei grattacapi giudiziari dell’attuale presidente, sembra la questione di bilanciamento tra i partiti della coalizione ad arginarlo.
Per lui, dicono, il buen retiro al Parlamento europeo sarebbe già acchitato. Fratelli d’Italia spinge per far candidare il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, mentre Forza Italia ha messo sul piatto tre nomi: il deputato Pietro Pittalis, la consigliera regionale Alessandra Zedda, il sindaco di Olbia Settimo Nizzi.
Le Comunali di Cagliari e Sassari per risolvere la questione
Sarebbero ipotesi di bandiera, quelle azzurre: Antonio Tajani sta lavorando per conservare la presidenza di Piemonte e Basilicata, riconfermando gli uscenti Alberto Cirio e Vito Bardi. Per il successore di Silvio Berlusconi, attualmente in crescita nei sondaggi, è essenziale che il partito azzurro mantenga le percentuali di consenso alle prossime Europee. Il consolidamento della leadership di Tajani è un’eventualità gradita anche alla presidente del Consiglio, il cui governo gioverebbe di un successo di Forza Italia e della conseguente stabilità del gruppo parlamentare. Riguardo a Matteo Salvini, c’è il timore che possa tornare a martellare sui temi cari alla destra e che Meloni ha dovuto abbandonare, vestendo panni più istituzionali. Detto ciò, per evitare fibrillazioni nel Carroccio, resterebbe garantita la candidatura dell’uscente Donatella Tesei in Umbria e avverrebbe una compensazione con le amministrative del capoluogo di Regione, Cagliari, e della seconda città più “importante” della Sardegna, Sassari, entrambe prossime al voto. Le due elezioni Comunali sono il perno sul quale potrebbe anche riprendere a girare l’ampia coalizione di centrosinistra in Sardegna: la 5 stelle Todde alla Regione, Massimo Zedda dei Progressisti al Comune di Cagliari e il Dem Gianfranco Ganau a Sassari.
(da Open)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
ALAN FRIEDMAN: “A BLINKEN E BIDEN NON È MAI PIACIUTO, ISRAELE SAREBBE MIGLIORE SENZA DI LUI E LA SUA VARIEGATA MARMAGLIA DI ESTREMISTI AL GOVERNO”
Alla ricerca di una “pausa” umanitaria per consentire l’ingresso nella Striscia di Gaza degli aiuti tanto disperatamente necessari, Antony Blinken sta facendo del suo meglio. Il Segretario di Stato americano, però, è azzoppato da un grave handicap: agisce con una mano legata dietro la schiena. Proprio come il suo capo Joe Biden, infatti, Blinken è affetto dal “problema Netanyahu”
Blinken ha consegnato a Netanyahu un forte messaggio da parte di Joe Biden: ha chiesto che vengano fissate varie “pause” nelle operazioni militari e ha affermato che Israele deve fare molto di più per limitare i danni collaterali ai civili innocenti
Blinken ha parlato anche della necessità di una soluzione dei Due Stati e ha messo in guardia Israele che rischia di perdere ogni speranza di un accordo di pace con i palestinesi se non attenua la crisi umanitaria a Gaza, Purtroppo, pochi minuti dopo la fine del loro incontro, Netanyahu ha apertamente snobbato Blinken, affermando che «Israele rifiuta una tregua che non preveda la restituzione degli ostaggi». In verità, anche le famiglie stesse dei rapiti si oppongono a un cessate-il-fuoco.
Insomma, in Israele Blinken ha vissuto una giornataccia. Venerdì pomeriggio gli ha riservato una notizia un po’ più incoraggiante: il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un discorso molto atteso, ha sostenuto che lui e i suoi sostenitori a Teheran non sono veramente interessati ad ampliare il conflitto nella regione.
Nasrallah si è preso la briga di sottolineare di non essere stato messo al corrente in anticipo da Hamas del massacro del 7 ottobre. Ha sottolineato che l’attacco è stato «al cento per cento palestinese» precisando che Hezbollah, altre fazioni palestinesi e il loro comune mecenate iraniano erano stati tenuti all’oscuro di tutto. Questo sembra dimostrare che avere una consistente presenza della Marina statunitense al largo delle coste del Libano per ora è sufficiente a impedire all’Iran di scatenare Hezbollah. Bene.
Quando ha incontrato in separata sede il Primo ministro nonché ministro degli Esteri del Qatar, Blinken di fatto ha comunicato dietro le quinte con Hamas stessa, per così dire, perché il Qatar ospita il leader politico dei terroristi, Ismail Haniyeh. Gli intermediari americani e qatarioti starebbero dunque lavorando al problema degli ostaggi, mentre Netanyahu prosegue la sua campagna militare.
Nel loro incontro odierno, Blinken ed Erdogan potrebbero trovare un accordo sulla necessità della soluzione dei Due Stati per Israele e Palestina, ma in merito ad Hamas hanno due visioni completamente opposte. Erdogan è da tempo un sostenitore e respinge l’idea che si tratti di un’organizzazione terroristica.
Negli ultimi giorni, Blinken è riuscito quindi a fare buon viso a cattivo gioco, ma è sempre più evidente che l’ostacolo a un cessate-il-fuoco umanitario si chiama Benjamin Netanyahu. A Blinken e a Biden non è mai piaciuto davvero Netanyahu, uomo di destra estrema che ha un rapporto molto più caloroso con il suo amico Donald Trump. Quando Netanyahu non guiderà più Israele, probabilmente Biden potrà tirare un sospiro di sollievo.
La maggior parte degli israeliani si aspetta che Netanyahu sia cacciato a calci dal suo ufficio entro pochi mesi dalla fine della guerra. La sua irragionevole rigidità, la sua alleanza con gli estremisti nazionalisti, il suo rifiuto di fermare dei nuovi insediamenti sui territori occupati, i suoi tentativi di assumere il controllo della Corte Suprema, la sua mancanza di disponibilità ad ascoltare gli Stati Uniti ne fanno un problema per Biden, e forse per l’intero processo di pace in Medio Oriente.
Israele stesso sarebbe un Paese migliore senza Netanyahu e la sua variegata marmaglia di estremisti al governo. Blinken ha assolutamente ragione quando dice che è ora di iniziare a pensare a chi amministrerà Gaza dopo Hamas. Netanyahu non sembra avere in mente un piano. E non è chiaro nemmeno se gliene importa.
Alan Friedman
per “La Stampa”
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
“SE GLI USA FOSSERO STATI STANCHI NEGLI ANNI ‘4O OGGI NON ESISTEREBBE L’EUROPA”
È passato un mese dall’attacco di Hamas nel sud di Israele che ha
stravolto il Medio Oriente, e il mondo intero. E non è un mistero che a sentirsi «vittima secondaria» di quella strage – sul piano geopolitico – sia l’Ucraina. Perché a prescindere dal grado di coinvolgimento reale della Russia nella preparazione/incoraggiamento di quell’assalto, il timore è che il Cremlino ne sia di fatto tra i principali beneficiari. Le attenzioni di leader e opinioni pubbliche occidentali sono letteralmente calamitate sul fazzoletto di terra Israele-Gaza, e in secundis per la stabilità del più ampio Medio Oriente, e la guerra russo-ucraina, in stallo da mesi, è scivolata ben più indietro, sulle pagine dei giornali, su quelle dei social media e sui tavoli delle cancellerie.
Se il nervosismo per la situazione a Kiev era palpabile sin dalle prime ore dopo la strage di Hamas, a risvegliarlo nei giorni scorsi ci ha pensato il governo italiano. Involontariamente, certo, ma per un Paese in guerra è la sostanza che conta. Volodymyr Zelensky non ha preso per nulla bene le «confessioni private» di Giorgia Meloni al supposto leader africano – in realtà il duo di “comici” russi Vovan & Lexus – sul senso di marcia della guerra russo-ucraina. Lo ha detto chiaramente oggi a Politico uno dei suoi consiglieri più fidati, Andrii Yermak. Indigesto, in particolare, il riferimento fatto dalla premier italiana alla «fatica» di sostenere l’Ucraina che si sentirebbe in tutta Europa, tale da suggerire ai suoi leader di trovare quanto prima «una via d’uscita». Gli europei sono stanchi di sostenere l’Ucraina? «Sono sicuro che non vorrebbero svegliarsi domani in un mondo in cui c’è meno libertà e meno sicurezza, con conseguenze durevoli per decenni», ha replicato il capo di gabinetto di Zelensky. Per poi suggerire a Meloni e a chiunque la pensi come lei un sano riposo di storia. «Fermatevi un attimo a pensare: se nel 1939 il Regno Unito fosse stato stanco della Polonia, o gli Usa (qualche anno dopo, ndr) stanchi del Regno Unito stesso, oggi ci sarebbero la Polonia, il Regno Unito o l’Europa come le conosciamo? Non avremmo potuto permetterci la fatica allora, e neppure ora. E la cosa si ripresenterà ancora e ancora se le persone “affaticate” smettono di sostenere l’Ucraina».
Il gelo tra governo e capo dell’esercito e i timori sul sostegno Ue
Nonostante le frettolose precisazioni di Palazzo Chigi dopo la pubblicazione della telefonata-beffa, sul sostegno incrollabile dell’Italia all’Ucraina (che a onor del vero Meloni ribadiva anche nel corso della conversazione stessa), insomma, a Kiev le parole della premier non sono andate davvero giù. Ma non sono le uniche di cui Zelensky è preoccupato. Anche quelle pronunciate nelle stesse ore da uno dei massimi responsabili della guerra – il capo di Stato maggiore dell’esercito ucraini Valery Zaluzhny – hanno allarmato fortemente Zelensky. Zaluzhny ha detto candidamente all’Economist che sì, con l’inverno ormai alle porte, la guerra è davvero scivolata in uno stato di stallo, senza che uno dei due contendenti abbia chances realistiche di avere la meglio. Cosa che nel medio periodo non potrà che avvantaggiare la Russia, permettendole di riorganizzarsi e riarmarsi. Ammissioni pubbliche, fatte alla rivista di culto delle élites occidentali, vissute dal governo di Kiev come pericolosissime. Così parlando Zaluzhny «facilita il lavoro dell’aggressore», ha replicato sprezzante nel weekend il vice dello stesso Yermak, Ihor Zhovkva, accusando il capo di stato maggiore di creare panico tra gli alleati occidentali dell’Ucraina. «La guerra non è affatto in stallo», si è affrettato a contraddirlo pubblicamente Zelensky. E oggi Yermak rincara la dose, commentando ancora le parole di Meloni, assicurando che l’Ucraina «non vivrà mai in modalità conflitto congelato», e ricordando che parlare di «fatica di guerra» significa cedere alla propaganda russa. L’attesa del parere della Commissione Ue sul percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Ue stessa, previsto per mercoledì, si carica a questo punto di ulteriore tensione politica.
(da agenzie)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
PER GLI ESPERTI, L’INCREMENTO RECENTE È DOVUTO ANCHE ALLA SITUAZIONE SOCIALE ED ECONOMICA CAUSATA DAL CONFLITTO IN UCRAINA E DA QUELLO ISRAELO-PALESTINESE
La depressione avanza tra gli italiani, complice anche una situazione sociale ed economica difficile, dettata dal conflitto in Ucraina scoppiato nel 2022 e che il nuovo conflitto israelo-palestinese potrebbe contribuire ad acuire. Lo rileva una rielaborazione di Massimo Cozza, direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 2, tratta dall’analisi dei dati del recente Rapporto salute mentale del Ministero della Salute che ha come riferimento il 2022.
Dal rapporto emerge che è in aumento di 2 milioni la spesa lorda complessiva in regime convenzionato per gli antidepressivi, che raggiunge la quota di oltre 400 milioni (in media oltre 6 euro l’anno per ogni italiano) con un numero di confezioni erogate pari quasi a 38 milioni, una media nazionale di oltre una confezione per ogni due persone, dato che fa marcare un aumento di oltre 300mila rispetto al 2021. Un numero elevato di consumi di antidepressivi rispetto alla media nazionale si rileva in Toscana, in Liguria e in Umbria, minore invece in Friuli Venezia Giulia, Campania e Puglia.
Dall’analisi emerge anche che la patologia più frequente tra i 776.829 utenti psichiatrici assistiti nei servizi territoriali è proprio la depressione, con 174.257 utenti e una crescita dell’1,6% rispetto al 2021.Comunque un dato basso se raffrontato ad una stima di quasi 3 milioni di italiani che soffrono di depressione, che nel 40% dei casi non chiedono aiuto a medici ed operatori sanitari.
“L’aumento della depressione – specifica Cozza – può essere reattivo non solo al periodo pandemico ma anche ad una situazione sociale ed economica difficile, considerando in particolare che nel febbraio 2022 è scoppiata la guerra vicino a noi con l’invasione della Russia in Ucraina. Il conflitto israeliano palestinese, se dovesse estendersi, potrebbe alimentare nuovi sentimenti di paura e depressione, in particolare per le persone più fragili dal punto di vista emotivo e sociale. La depressione può essere curata con interventi psicoterapeutici e psicofarmacologici, fermo restando i possibili interventi di carattere sociale”.
“Servirebbero – aggiunge l’esperto – più risorse, a partire da più psichiatri e psicologi psicoterapeuti, nei dipartimenti di salute mentale, per i quali viene destinato il 2,72% del fondo sanitario nazionale, a fronte del necessario 5%. In termini assoluti servirebbero quasi 3 miliardi”.
(da agenzie)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
A PAGARNE LE SPESE SARANNO PRINCIPALMENTE I “COLLETTI BIANCHI” (PROFESSIONISTI, COMMERCIALISTI, CONTABILI, ADDETTI ALLE VENDITE), MENTRE PER IL MOMENTO SI SALVANO I LAVORI LEGATI ALLA CURA DELLA PERSONA O QUELLI IN CUI SERVE UN SENSO CRITICO O ARTISTICO
L’impatto c’è già stato. L’intelligenza artificiale sta cambiando il mondo
del lavoro. E di conseguenza anche la nostra società. A novembre 2022 OpenAi ha pubblicato ChatGPT, Un anno dopo è passata da zero a 1,5 miliardi di utenti, raggiungendo una valutazione di almeno 80 miliardi di dollari. Chi usa ChatGPT e le sue concorrenti come Bard di Google o la neonata Grok di Elon Musk lo fa per scrivere mail, controllare bilanci, fare previsioni, creare siti internet o sviluppare applicazioni.
Dodici mesi fa OpenAi ha aperto una finestra su un futuro che fino a poco prima sembrava distante, forse impossibile da immaginare. Oggi quel futuro è realtà. Le intelligenze artificiali e le aziende che le stanno creando promettono di ridisegnare tutto: economia, lavoro, relazioni personali, welfare. L’intera società per come la conosciamo. E tutto sta accadendo più rapidamente di quanto si pensava.
Secondo la banca statunitense Goldman Sachs, l’Ai potrebbe sostituire nei prossimi 10 anni 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Un quarto delle attività lavorative negli Stati Uniti e in Europa. Il Word Economic Forum calcola 85 milioni di posti di lavoro sostituiti già entro il 2025. Tutti i report usciti nell’ultimo anno tengono a sottolineare che l’uso dell’Ai potrebbe creare altrettante nuove figure professionali all’interno delle società avanzate. Ma qui i dati diventano meno precisi. Perché l’Ai e i suoi strumenti riescono a evolversi in modo così rapido che anche le nuove figure professionali potrebbero diventare desuete prima del tempo. Unica certezza, per quanto certa può essere una previsione economica: il prodotto interno lordo globale salirà del 7% – circa 7.000 miliardi di dollari – nei prossimi dieci anni.
Questa nuova tecnologia per la prima volta non promette di sgravare gli uomini dai compiti più pesanti, dal lavoro manuale. Ma da quello intellettuale. L’Università della Pennsylvania ha rilevato che ad avere il maggiore impatto saranno i così detti “colletti bianchi”. Professionisti, commercialisti, contabili, addetti alle vendite. Si salvano al momento le professioni legate alla cura della persona, dai barbieri agli psicologi, e quelle dove serve un senso critico o artistico, come traduttori o i compositori.
Uno studio condotto da alcuni ricercatori di OpenAi ha analizzato 19.256 compiti svolti da 923 professioni: dallo scrivere una mail a ricercare un documento, da individuare fonti autorevoli a usarle in modo coerente. E si è scoperto che i modelli linguistici di larghe dimensioni come ChatGPT, Bard di Google e simili sono già in grado di fare l’80% di questi compiti. E miglioreranno ancora. Prospettiva che aumenta le inquietudini sul futuro.
I capi delle aziende che stanno lanciando strumenti di Ai generativa si comportano come futurologi e passano dall’ipotizzare scenari distopici («l’Ai se non regolata può cancellare l’umanità dalla faccia della Terra») a predire l’avvento di una non meglio precisata “età dell’abbondanza” dove l’umanità sarà liberata anche dal lavoro.
(da la Stampa)
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Novembre 6th, 2023 Riccardo Fucile
LE PAROLE DEI BAMBINI: “CON LE PROTESI REALIZZERO’ IL MIO SOGNO”
“Non voglio delle protesi, ma le mie gambe”. Layan al Baz, 13 anni, piange disperata dal suo letto nell’ospedale Nasser, a Khan Yunis, sud di Gaza. “Voglio che mi rimettano le gambe, so che possono farlo” dice la ragazzina al cronista della AFP che la intervista nell’ala pediatrica della struttura medica.
È successo tutto la scorsa settimana, racconta la madre Lamia al Baz. Un aereo israeliano ha sorvolato il distretto di al Qantara, a Khan Yunis. Quando ha sganciato la bomba, continua la madre della ragazza, “ha colpito casa nostra uccidendo due mie figlie, Ikhlas e Khitam, e due nipoti. Uno era appena nato”. I soccorsi hanno poi rinvenuto i corpi bruciati. “Così, all’obitorio ho riconosciuto il cadavere di Ikhlas dagli orecchini; quello di Khitam dai piedi”.
Queste morti si vanno ad aggiungere a un bilancio che sfiora le 10mila vittime. A quasi un mese dall’inizio della guerra, secondo le stime del ministero della Sanità di Gaza che fa capo ad Hamas, sarebbero 9.488 le persone morte finora. Di queste 3.900 minori e 2.509 donne.
Intanto, la situazione sanitaria a Gaza rimane drammatica. “L’ospedale di al-Shifa è quasi al collasso”, spiega il dottor Abu Abed, vicecoordinatore medico di Medici senza Frontiere. “In generale la condizione delle strutture mediche è critica: medici, infermieri e personale sanitario sono esausti e lavorano senza sosta da 23 giorni”. A pesare, spiega il medico, “è l’assenza di farmaci”. Proprio questa carenza di mezzi sta imponendo scelte drastiche. Le amputazioni degli arti, spiega il direttore dell’ospedale Nasser, Nahed Abu Taaema, sono l’unica via percorribile a causa della scarsità di strumenti e medicinali. “Altrimenti – sottolinea –, i pazienti potrebbero incorrere in complicazioni che metterebbero a rischio la loro vita”.
A poca distanza dal letto di Layan c’è un’altra ragazza. “Quando mi hanno trasportato qui – racconta Lama al Agha – ho chiesto all’infermiera di aiutarmi a sedermi. In quel momento ho scoperto di non avere più le gambe”. A differenza degli altri, la quattordicenne è determinata a non voler che la menomazione segni il suo futuro. “Mi farò mettere delle protesi e continuerò nei miei studi, così realizzerò il mio sogno di diventare medico”.
Fuori dall’ospedale, intento a camminare intorno al campo dove giocava a pallone, c’è Ahmad Abu Shahmah, 14 anni, vestito con una maglietta e dei pantaloncini verdi. “Quando mi sono svegliato dopo l’operazione ho chiesto a mio fratello: ‘dov’è la mia gamba?’”. Qualche giorno prima, un bombardamento aereo aveva colpito e distrutto il palazzo dove viveva, provocando la morte di sei suoi cugini.
“Mi ha mentito – continua –, mio fratello ha detto che la mia gamba era li ma che non la percepivo a causa degli anestetizzanti”. Solo il giorno dopo “un mio cugino mi ha detto la verità”. A quella notizia “ho pianto tanto pensando che non avrei più camminato o giocato a pallone”. E conclude: “Una settimana prima della guerra, mi ero iscritto a una squadra di calcio”.
(da agenzie)
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