Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
VISTO IL TREND, A FINE ANNO IL NOSTRO PAESE RISCHIA DI BATTERE IL RECORD NEGATIVO DI BAMBINI VENUTI AL MONDO REGISTATO NEL 2023… L’EX PRESIDENTE DELL’ISTAT BLANGIARDO: “TRA LA POPOLAZIONE FEMMINILE CAMBIA LA PROPENSIONE ALLA MATERNITÀ”
Prosegue la diminuzione delle nascite in Italia e della popolazione complessiva. In base
all’ultimo aggiornamento della banca dati Istat relativa al bilancio demografico, le nascite nei primi sei mesi del 2024 sarebbero state pari a poco di 178mila bambini, in calo dell’1,4% rispetto ai 180mila dello stesso periodo dello scorso anno. Nel 2023 le nascite dell’intero anno hanno segnato il record storico negativo di 379mila (393mila nel 2022).
Quindi come potrebbe chiudersi l’anno in corso? Per Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat (appena nominato nel consiglio), professore di demografia, «se le variazioni finora verificate dovessero proiettarsi per l’intero anno il 2024 si chiuderebbe con un ulteriore calo, a 374mila, quindi 5mila in meno».
Insomma, un taglio come l’anno scorso, senza alcun segnale di inversione di tendenza. Blangiardo fa notare come del calo dell’1,4% circa un terzo (0,5%) è da attribuire alla struttura delle donne in età feconda, e non solo riguardo al loro numero, ma anche alla differente composizione della loro età, e quindi ai comportamenti: la propensione alla maternità cambia dunque di anno in anno all’interno di questa popolazione.
«Un dato – aggiunge Blangiardo – salta agli occhi, i 178mila nati nel primo semestre 2024 in sostanza segnano un “ritardo” di due mesi rispetto al 2008, anno dopo il quale è iniziato il calo della natalità (i nati di quell’anno furono ben 576mila, ndr): solo nei primi mesi nacquero 183mila bambini».
Diverso per quanto riguarda i decessi: continua il calo della tendenza negativa che aveva interessato il triennio 2020-2022, in coincidenza con il Covid: nei primi sei mesi del 2024 le morti sono state 319mila, 15mila in meno rispetto agli stessi mesi del 2023 (-4,6%), e ben lontano dal picco delle 374mila del primo semestre 2020, anno nero della pandemia.
Inoltre dai dati emerge una ripresa dei movimenti migratori sia in entrata che in uscita dall’Italia. Le iscrizioni dall’estero (216mila) aumentano del 2,7% sul 2023, le cancellazioni per l’estero (85mila) del 6,2%, determinando un saldo migratorio estero pari a +131mila unità (+0,6% sul primo semestre 2023).
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
“TURNI DI OTTO ORE CHE DIVENTANO DODICI, SONO SOLO RIUSCITA A FARE PIPI’, HO CENATO ALL’1 DI NOTTE CON GLI AVANZI IN FRIGO”… “NON VOGLIAMO QUALCHE BRICIOLA PER LE ORE IN PIU’, VOGLIAMO ESSERE PAGATI PER LE ORE PREVISTE E AVERE IL TEMPO DI RIPOSARE”
Michela Chiarlo, torinese, specializzata in medicina interna, lavora al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. O meglio, lavorava. La scorsa settimana, dopo sei anni, si è dimessa. E in una lettera all’edizione torinese di Repubblica spiega che la medicina d’urgenza «è un lavoro bellissimo, ma nessuno è più disposto a farlo». Perché è estremamente usurante. Non per gli episodi di violenza: «Ci sono giornate in cui i pazienti arrivano come una marea inarrestabile. Ne visiti uno e ne registrano tre, aumenti il ritmo per cercare di esaurire la lista rimandando l’inessenziale: ecografie, controllo terapie, cartelle. La sensazione di impotenza è estrema: i pazienti, sono decine e tu sei da solo, è come stare sotto un’onda, è inutile nuotare, rischi di finire più sotto. Devi solo chinare la testa e aspettare che passi, facendo quello che si può e si riesce fino al cambio turno».
I turni di otto ore che diventano di dodici
Chiarlo dice che così i turni da otto ore diventano da nove o da dodici. «Nell’ultimo turno ho visitato ventinove pazienti, ne ho dimessi ventiquattro, uno l’ho ricoverato, tre sono rimasti per osservazione, uno è deceduto. Ho bevuto mezzo litro d’acqua e fatto due volte pipì; ho cenato all’una di notte con gli avanzi trovati in frigo», spiega. E il riconoscimento economico non serve: «Le prestazioni aggiuntive o “gettoni” sono briciole rispetto all’attività privata offerta da altre specialità e sono un’arma a doppio taglio: le apprezza, per un tempo limitato, chi ha in mente un progetto (comprare casa, cambiare auto, andare in vacanza), ma raggiunto l’obiettivo smetterà di offrire disponibilità e lascerà il vuoto».
Lavorare meno con lo stesso compenso
La dottoressa conclude spiegando che «gli operatori dell’urgenza non vanno (solo) in burn out… vanno in worn out, si usurano come le scarpe quando pretendiamo di camminarci troppi chilometri. Il worn out è prevedibile e prevenibile: basterebbe un po’ di lungimiranza per investire nel modo giusto. Il Covid ci ha insegnato che un lavoro flessibile, che lascia molto tempo libero o tempo a casa è più appetibile: è una tendenza che si vede in moltissimi settori. I lavoratori dell’urgenza non devono essere pagati di più: devono lavorare meno allo stesso compenso. Devono avere adeguato supporto psicologico ed emotivo, devono compensare la fatica lavorativa con adeguati riposi a casa. Solo così eviteranno di consumarsi e scappare».
(da La Stampa)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
UN MERCATO DA 1 MILIARDO DI EURO L’ANNO E CHE INTERESSA OTTO MILIONI DI ITALIANI TRA STUDENTI E DOCENTI
Il mercato dell’editoria scolastica è sotto la lente dell’Antitrust. L’andamento dei prezzi e la
sempre più frequente – e minima – modifica delle edizioni non è passato inosservato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha avviato un’indagine conoscitiva. In Italia il settore porta con sé un valore annuo di circa 1 miliardo di euro. L’Autorità ha anche avviato parallelamente una consultazione pubblica, per lasciare aperta la possibilità a chiunque di contribuire. Esultano Unione nazionale consumatori (Unc) e Codacons: «Ottima notizia, si arriva fino a 700 euro a studente».
I motivi dell’indagine
Scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, interessate sia dal punto di vista degli studenti (7 milioni di ragazzi con le loro famiglie) e dei docenti (1 milione). Il business dei libri di testo tocca da vicino ogni livello del sistema scolastico, andando a costituire per gli editori un indotto pressoché garantito. Il valore del settore è stimato a 1 miliardo di euro, ma il peso sul portafoglio delle famiglie italiane si fa sempre più gravoso. Motivo per cui l’Antitrust ha avviato ufficialmente un’indagine. L’obiettivo è di «approfondire le dinamiche concorrenziali dei mercati interessati» oltre che una serie di criticità che, come si legge nella nota dell’Autorità garante, sono «oggetto di ricorrente considerazione pubblica». Tra questi l’andamento dei prezzi, le frequenti modifiche delle edizioni, le difficoltà di reperimento e di distribuzione dei libri. Ma anche la resistenza da parte del sistema alle nuove modalità di adozione, considerando soprattutto le innovazioni tecnologiche che hanno aperto la possibilità di combinare formati cartacei a quelli digitali. Queste ultime, però, pongono l’ulteriore tema della circolazione dei diritti di proprietà per quanto riguarda le edizioni per i dispositivi elettronici.
La consultazione pubblica via e-mail
Parallelamente, l’Autorità ha aperto una call for inputs sulle medesime tematiche dell’indagine, cioè una consultazione pubblica con lo scopo di acquisire osservazioni e altri elementi utili. Entro i prossimi 30 giorni, tutti coloro che lo vorranno potranno inviare a un indirizzo e-mail apposito (IC57@agcm.it) i propri personali contributi sul tema. Un tentativo di andare a fondo ad alcune questioni in un mercato che, come spiega la stessa Autorità, «per la particolare valenza culturale del bene-libro ha portato all’adozione di normative speciali, che condizionano profondamente il settore».
Fino a 700 euro a studente
L’indagine dell’Antitrust è stata accolta con favore dal Codacons: «In base ai dati Istat nell’ultimo mese i prezzi dei testi sono rincarati del 4,9% su base annua, portando la spesa per i libri a raggiungere i 700 euro a studente per alcuni indirizzi di studio». Una cifra che però può praticamente raddoppiare visto che «ogni anno, attraverso piccole modifiche ai testi, una nuova prefazione, capitoli introduttivi e altri cambiamenti minimi, si immette sul mercato un nuovo testo scolastico che deve essere acquistato per sostituire quello dell’anno precedente». Per queste strategie di marketing il Codacons ipotizza anche «possibili reati, come quello di truffa».
Anche Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, non ha nascosto la sua soddisfazione. E si è scagliato contro la legge 27 luglio 2011, n. 128, e la legge 13 febbraio 2020, n.15. La prima, durante il governo Berlusconi IV, ha introdotto uno sconto massimo del 15% sul prezzo dei libri. Nove anni dopo quello sconto è stato ridotto al 5%, eccetto per i libri scolastici. Provvedimenti che Dona ha definito «dirigisti e statalisti che nulla hanno a che vedere con il libero mercato». Se nel 2019 gli sconti, con i buoni, arrivavano fino al 25%, ora non possono andare sotto il 15 in nessun caso. Che, per il presidente di Unc, costituisce «una tassa occulta del 10% a danno dei consumatori».
(da agenzie)
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