Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
COSA L’HA CAUSATO? UN INCIAMPO, UN INCIDENTE, UN COLPO CON UNO ZOCCOLO O UN GRAFFIO DI PASSIONE? … “GENTE” PARLA POI DELLE CHAT IN POSSESSO DELLA BOCCIA E ALLUDE A “EVENTUALI INFORMAZIONI RISERVATE CHE POTREBBE AVERE, VISTA LA SUA PASSATA VICINANZA CON IL MINISTRO LOLLOBRIGIDA”
Ora gli interrogativi che Maria Rosaria Boccia sta contribuendo a sciogliere a furia d’interviste e post social ormai da quel fatidico 26 agosto – quando ringraziò l’ex ministro della Cultura Sangiuliano per la nomina promessa e mai arrivata a consigliere – ce n’e uno che solo noi di Gente siamo in grado di porle.
Il “giallo del graffio”. Che cosa e successo nella notte tra il 16 e il 17 luglio? Perche nel pomeriggio del 16 l’ex ministro, a Sanremo per presentare il suo libro con l’allora amata, sfoggia un cranio liscio e lucido, mentre la mattina successiva, il 17 luglio, sulla sua testa e spuntato un graffio che corre in verticale fino a ad arrivare alla fronte? Un inciampo, un incidente domestico, un colpo ben assestato con uno zoccolo o con una cartelletta porta-documenti?
Il graffio era gia stato notato in precedenza, ma solo noi di Gente riusciamo a datarlo. Perche? Molto semplice. Le nostre numerose foto – al momento in cui andiamo in stampa – sono le uniche paparazzate pubblicate che testimoniano l’intimita che c’era tra Gennaro “Genny” Sangiuliano, gaffeur e fedifrago, sposato con la giornalista del Tg2 Federica Corsini, e la sua assistente Maria Rosaria Boccia, donna piacente e intraprendente, da noi soprannominata Lady Pompei, in onore alla sua citta d’origine.
Le altre immagini che vedete (a parte quella di Dagospia, il primo a far scoppiare lo scandalo) escono filtrate dai social di Boccia.
Ma torniamo a Sanremo: i due, dopo la presentazione e la cena al Casino, entrano furtivi nel vicino Hotel Nazionale. La loro alcova? Al mattino del 17 raggiungono l’auto blu che li portera all’aeroporto di Nizza. Ma come e iniziato il tutto?
Poi, all’inizio di agosto, qualcosa si rompe, e arriviamo cosi al 26 agosto. Boccia ringrazia sui social il ministro Sangiuliano per la nomina come consigliere, il ministero smentisce e questa negazione inneschera una serie di rivelazioni a catena di Boccia e di varie indagini dei giornali, che porteranno il ministro alla famosa intervista al Tg1. Genny, contrito e piangente, ammette la relazione e confessa di aver cambiato idea sulla famosa nomina di gran consigliere della Boccia, avendo ravvisato un conflitto di interessi. Non e chiaro se questo si riferisca alla loro relazione o al fatto che Boccia abbia un’agenzia che fa eventi, dettaglio incompatibile con la nomina ministeriale.
Assicura che non un euro pubblico e stato speso per Lady Pompei. La premier Meloni lo difende, ma Boccia contrattacca: il ministro e “sotto ricatto”, lei conosce cose, ha sentito conversazioni private, ci sono altre donne coinvolte. E cosi, come avevamo capito tutti fin dall’inizio, tranne Meloni e Sangiuliano, le dimissioni per Genny sono ineludibili e improrogabili. Necessarie. Arrivano il 6 settembre e dopo manco due ore Genny viene rimpiazzato al ministero da Alessandro Giuli, amico della premier ed ex direttore del Maxxi. Tutto finito?
Niente affatto. Intanto c’e l’indagine della Procura di Roma e anche quella della Corte dei Conti del Lazio, che ha aperto un fascicolo sulla vicenda per verificare chi ha pagato cosa. Poi, forse, ci sara la denuncia che Genny ha minacciato di fare contro la sua ex amata. E poi, soprattutto, ci sono le cose che Lady Pompei fa intendere di sapere: si e detto che abbia scaricato tutta la memoria del Whatsapp del ministro, che conterra, sogniamo, le chat ministeriali, le chat con la premier, pettegolezzi, chiacchiere, segreti seri… E chissa cos’altro ancora.
Molto si vocifera poi su un eventuale legame tra il presunto attacco ad Arianna Meloni, vagheggiato da Il Giornale guarda caso proprio ad agosto (quando Lady P. stava affilando i canini), e le eventuali informazioni riservate che Boccia potrebbe avere, vista la sua passata vicinanza con il ministro Lollobrigida. E non dimentichiamo poi il giallo del graffio… Siamo sicuri: non dobbiamo fare altro che aspettare. Verra fuori tutto, e sara una bella boccia, pardon botta, per la Meloni.
Maria Elena Barnabi
per “Gente”
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DELLA DIRETTRICE DEL “SECOLO XIX” STEFANIA ALOIA: “ALLA FINE BUCCI DOVRÀ IMPARARE CHE I GIORNALISTI NON SONO “MAIALI CHE SALTELLANO VERSO IL CIBO” COME LUI DESCRIVEVA GLI IMPRENDITORI IN UNA INTERCETTAZIONE DELL’INCHIESTA SULLA CORRUZIONE IN PORTO. AL SINDACO LE DOMANDE NON PIACCIONO”
Il centrodestra ha finalmente scelto il suo candidato per le Regionali. Adesso deve scegliere che profilo assumere in questa breve ma intensa campagna elettorale. Se scrollarsi di dosso certi metodi illiberali a cui molti si sono adeguati, e in tanti abituati, o ripristinare i principi del libero confronto democratico, come la Liguria merita.
Continuando a far passare per decisionismo l’incapacità di mettersi in relazione con gli altri, l’arroganza del potere diventerà un boomerang. Il sindaco aspirante presidente di Regione prima o poi dovrà comprendere che per saper dare risposte ai cittadini, missione primaria di un amministratore, bisogna innanzitutto saper ascoltare le domande. Anche quelle che rivolgono i giornali.
Dovrà fare pratica nel confrontarsi con la libera stampa, se intende davvero “esercitare la leadership” come ha annunciato nel suo discorso da tribuno del popolo davanti alla Prefettura di Genova, dove i cronisti per fare domande al neo candidato si sono dovuti accalcare su una scalinata. Alla fine Bucci dovrà imparare che i giornalisti non sono “maiali che saltellano verso il cibo, quelli a cui da piccolo davo da mangiare” come lui descriveva gli imprenditori in una intercettazione annotata nelle carte dell’inchiesta sulla corruzione in porto.
Il campione del “modello Genova” da mesi rifiuta di rilasciare interviste al Secolo XIX, benché gli siano state chieste quasi quotidianamente. Anche quando aveva da rispondere direttamente a questioni sollevate da questo giornale ha scelto di farlo con altri interlocutori. Sui ritardi della diga foranea, ad esempio, che il Secolo XIX a giugno ha documentato con carte interne al consorzio che certificavano le difficoltà in modo incontrovertibile: il commissario dell’opera, di fronte alla richiesta di avere risposte, rilasciava interviste altrove, con domande a piacere.
Al sindaco, va detto, le domande non piacciono proprio. Lo infastidiscono forse perché le considera trappole. Evidentemente non gli piace neppure l’informazione libera, quella che non si adatta a fare da depliant delle iniziative dell’amministrazione (per questo ci sono i canali degli enti, qualcuno glielo spieghi). Pare non avere neppure contezza di quanto la stampa sia un bene comune salvaguardato dalla Costituzione, non una proprietà privata di chi vince le elezioni o vorrebbe farlo. È un diritto del cittadino, che nessuno può calpestare. Questo giornale, nessun giornale, è al servizio di chicchessia: è responsabile unicamente di fronte a un padrone che è il lettore. Che vuole avere risposte da chi è pagato (dalla collettività) per darle.
Quando Bucci ieri sera si è preso gioco dei giornalisti di questa testata vantandosi in pubblico, di fronte a una platea di cronisti, di non rilasciare intenzionalmente interviste al Secolo XIX in attesa di tempi migliori ha fatto un torto a sé stesso. Non rispondere a un giornale non infonde fiducia in chi è dotato d’intelletto, anzi genera sospetto.
Il sindaco aspirante presidente di Regione si rassegni: i direttori possono passare, gli editori pure. Ma i diritti dei cittadini lettori restano. E a un certo punto i lettori diventano elettori, e neanche loro sono “maiali che saltellano verso il cibo”. I liguri non sono disposti a farsi dare da mangiare le carrube.
Stefania Aloia
direttore de il Secolo XIX
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL “CAMALEONTE” CIOCIARO NEL 2002 SI CANDIDO’ COL CENTROSINISTRA E HA POI LAVORATO IN REGIONE DOVE INCONTRÒ ARIANNA MELONI
Di lui raccontano che abbia grandi capacità di comunicazione, attitudine a collaborare sia con la destra sia con la sinistra e, soprattutto, le amicizie giuste dentro Fratelli d’Italia. È questo il mix vincente che, secondo alcuni, ha portato Fabio Tagliaferri dal guadagnare 10. 484 euro all’anno nel 2022, come risulta dalla sua dichiarazione dei redditi pubblicata dal Comune di Frosinone dove era assessore ai Servizi sociali, ai 146 mila euro di oggi grazie all’incarico di presidente e amministratore delegato di Ales.
La sigla sta per “Arte Lavoro e Servizi” Spa, la società in house del ministero della Cultura, che controlla biglietterie, parchi, edifici storici e decine di musei sparsi in giro per l’Italia, con 88 milioni di euro annui di ricavi e oltre 7 milioni di utili annui.
Un ruolo importante ottenuto dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. «Resta un mistero – si domanda un consigliere d’opposizione di Frosinone – come abbia fatto a ottenere un lavoro così impregnato di cultura, nonostante nel suo curriculum non ci siano precedenti in questo settore. Tagliaferri ha una società di autonoleggio, la Greylease Automotive. Che c’azzeccano le automobili con i musei?».
Per questa società, peraltro, sempre nel 2022 l’esponente di Fdi non ha dichiarato neppure un euro: risulta titolare e amministratore unico, ma ha sostenuto di non aver guadagnato nulla da questa attività che ha ricevuto anche una sovvenzione di 100 mila euro da “Lazio innova”, finanziaria della Regione.
I quasi 11 mila euro denunciati due anni fa al fisco corrispondono alla metà dello stipendio da assessore, perché ha donato l’altra metà in beneficenza come stabilito dall’ex sindaco Nicola Ottaviani.
Poi Tagliaferri si è dimesso da assessore e poco dopo è arrivata la nomina all’Ales. Una “promozione” che se sorprende alcuni, non scompone altri, anche tra le fila dell’opposizione del capoluogo ciociaro.
Il capogruppo consiliare Pd, Angelo Pizzutelli, ad esempio, si spertica in lodi del rivale politico: «Non abbiamo le stesse idee, ma è una persona che stimo e che si impegna molto. Da adulto si è laureato in Economia e ha lavorato anche parecchio in Regione. È stato scelto alla presidenza di Ales per volontà di Fdi e io non guardo cosa succede in casa d’altri. Di sicuro Fabio Tagliaferri è un uomo valido, che si dà da fare». Pd e Fdi, del resto, governano insieme alla Provincia di Frosinone e al Consorzio Apef (Agenzia provinciale energia Frosinone).
E che Tagliaferri si dia da fare è evidente anche dalla sua facilità di dialogare pure con la sinistra. Nel 2002 si candidò al consiglio comunale in una lista di centro sinistra a sostegno del sindaco poi eletto Domenico Marzi. Ma dopo circa due anni è passato con Francesco Storace, che all’epoca non era solo governatore del Lazio ma anche consigliere a Frosinone.
«È stato Storace che l’ha portato in Regione – ricorda sempre il consigliere d’opposizione che vuole restare anonimo – dove poi ha ottenuto un lavoro a tempo indeterminato. In un primo momento, nel 2004, aveva ottenuto una collaborazione per la “Comunicazione pubblica e istituzionale” che è il titolo della tesi della su laurea in Economia, non si sa in quale università, conseguita quell’anno». Nel 2005 ottiene in Regione un contratto a tempo indeterminato che lascia nel 2017.
Mentre è in Regione approfondisce l’amicizia con Arianna Meloni (che nell’amministrazione del Lazio ha lavorato per circa 20 anni da precaria). Una vicinanza proseguita anche dopo la conclusione del suo impegno in Regione. Ma né su questo aspetto, né sulla nomina ad Ales, Tagliaferri risponde ai nostri interrogativi. Ci dirotta al suo ufficio stampa che precisa:
«Il presidente ha già risposto esaustivamente a queste domande sia in questi giorni sia nel periodo successivo alla sua nomina. Riteniamo che non ci sia nulla da aggiungere rispetto a quanto già dichiarato».
(da lastampa.it)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL CASO DELLE MANCATE SPECIALIZZAZIONI DEI MEDICI CHE OPERANO NEL CENTRO PRIVATO E LO SCONTRO TRA LA GIUNTA REGIONALE DI EMILIANO CON LA FAMIGLIA ANGELUCCI
Era considerata la “clinica dei miracoli”, dove i paraplegici potevano tornare a camminare grazie a un microchip. Ora il centro di riabilitazione di Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, è invece teatro di morti da chiarire e di uno dei più virulenti scontri fra la Puglia del governatore di centrosinistra Michele Emiliano e la famiglia Angelucci, padroni della sanità privata con aderenze nel centrodestra, nonché generosi sponsor, in passato, dell’attuale ministro del Sud — e commissario in pectore dell’Unione Europea — Raffaele Fitto.
Una guerra nella quale la Regione, tentando di difendere le ragioni della sanità pubblica, trova un freno nel governo, che in punto di diritto sta bloccando i suoi atti. Un conflitto che sta andando oltre i confini istituzionali per sfociare in un’indagine della procura. Sul tavolo dei magistrati di Brindisi sono arrivate da poche ore, infatti, le carte inviate dai dirigenti del dipartimento regionale della salute dopo che si è diffusa la notizia di quattro decessi sospetti, nell’ultima settimana, all’interno della struttura.
Gestita da 24 anni dal gruppo San Raffaele, di proprietà di Antonio Angelucci, riconfermato deputato della Lega alle ultime elezioni. L’assegnazione in sperimentazione gestionale, di fatto a trattativa privata, avvenne nel 2000, poco prima dell’elezione a presidente della Regione di Fitto, che di lì a poco sarebbe stato accusato — e poi assolto — per un contributo da 500mila euro ricevuto proprio dagli Angelucci, che i magistrati in prima battuta considerarono una tangente elargita per l’accreditamento di 11 Rsa.
Dal 2000 per il centro di Ceglie non ci sono state gare ma solo proroghe. La prima per dieci anni, nel 2004, un anno prima della scadenza. La seconda, che annullava la prima, nel 2008. Senza prevedere termini ma rimandando alla definizione di una procedura di gara che non si è mai istruita.
Da tempo la Regione cerca di reinternalizzare la struttura e il 30 maggio ci riesce, istituendo con legge il Centro regionale di riabilitazione pubblica ospedaliera di Ceglie Messapica, con l’impronunciabile acronimo CRRiPOCeM).
La struttura ritorna dunque alla Asl, come articolazione dell’ospedale Perrino di Brindisi. Ma a luglio la presidenza del Consiglio dei ministri impugna la legge. Sostenendo — così recita il comunicato — che «talune disposizioni, ponendosi in contrasto con la normativa statale in materia di pubblico impiego e coordinamento della finanza pubblica», violerebbero «gli articoli 97 e 117, terzo comma, della Costituzione ».
La proprietà, dal canto suo, presenta un ricorso al Tar che sarà discusso il 18 settembre. Ma nel frattempo l’azione martellante di denuncia di un consigliere regionale, Fabiano Amati, presidente della commissione Bilancio — competente anche sulla sanità — porta alla luce il caso delle mancate specializzazioni dei medici che operano nel centro privato, circostanza confermata anche da una relazione del Dipartimento di prevenzione della Asl.
Amati chiede l’immediata consegna alla Asl della struttura che nel frattempo ha minacciato di licenziare una parte dei suoi dipendenti. I sindacati parlano di «ritorsione ». Seguono manifestazioni, interrogazioni, ricorsi e controricorsi.
Due giorni fa, in una riunione che si è svolta in presidenza con Emiliano trapela una novità: la Fondazione San Raffaele sarebbe disposta a restituire alla Asl la struttura, chiedendo però di ridurre le pretese economiche che la Regione avanza nei confronti della clinica per i rimborsi extratetto concessi nel corso degli anni e per l’affitto della sede, i cui costi ammontano a più di un milione di euro all’anno.
Ora, dopo i quattro decessi, segnalati proprio da Amati, il dipartimento di prevenzione della Asl di Brindisi chiede di capire se vi sia un nesso tra la morte dei pazienti (uno all’interno della clinica e gli altri tre dopo il trasporto con il 118 presso l’ospedale Perrino per riacutizzazione) e la «eventuale inappropriatezza delle cure».
E in una prima relazione scrive: «Quanto già emerso dall’esame sommario delle cartelle cliniche messe a disposizione dalla fondazione San Raffaele nel corso degli accertamenti rende doverosa la segnalazione all’autorità giudiziaria».
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI TERNI RITIRA LA SUA CANDIDATURA E APPOGGIA LA LEGHISTA TESEI
L’identikit lo fa Carlo Calenda, parlando di un signore che “minaccia e insulta le persone in Consiglio Comunale, sputa in faccia ai cittadini che lo contestano pacificamente”.
Il signore citato dal leader di Azione è Stefano Bandecchi, il sindaco di Terni e capo di Alternativa popolare, micro-partito “centrista” a suo tempo fondato da Angelino Alfano come erede del Nuovo Centrodestra.
Bandecchi, che oltre al ruolo di politico è noto per essere il fondatore dell’università privata Niccolò Cusano, è pronto ad appoggiare il centrodestra alle prossime elezioni regionali in Umbria, con la data non ancora fissata ma il ritorno alle urne è previsto intorno alle metà del prossimo novembre.
L’imprenditore-politico avrebbe dovuto correre da solo ma, come scrive Repubblica, nel pomeriggio di oggi è previsto un suo incontro con i vertici di Fratelli d’Italia nella sede romana di via della Scrofa.
È qui che verrà siglato il patto, l’accordo per le regionali in Umbria: Bandecchi d’altra parte può garantire un consistente pacchetto di voti che potranno essere utili alla destra per riconfermarsi alla guida della Regione, oggi guidata dalla leghista Donatella Tesei.
Dunque il sindaco di Terni è pronto a ritirare la propria candidatura e sostenere quella di Tesei per un secondo mandato: Alternativa popolare entrerebbe a tutti gli effetti nella coalizione di centrodestra, uno scenario che a Terni come a Perugia soltanto poche settimane fa sembrava impensabile, considerati i rapporti ai minimi storici tra Bandecchi e i partiti che esprimono la maggioranza in Parlamento.
L’accordo con Bandecchi arriva dopo la mossa della destra di candidare il sindaco di Genova Marco Bucci in Liguria: una doppia scelta che ha un obiettivo chiaro, quello di evitare alle regionali che si terranno in autunno, tre voti che comprendono anche l’Emilia Romagna, di incassare una disfatta che potrebbe avere ripercussioni nella tenuta dell’esecutivo Meloni.
Accordo dunque necessario a destra per evitare di perdere la Regione: dall’altra parte il centrosinistra in formato “campo larghissimo” schiera la sindaca di Assisi Stefania Proietti, che ha buone possibilità di strappare la Regione alla destra ed è rincuorata anche dai recenti successi alle amministrative di Vittoria Ferdinandi a Perugia.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
VUOLE PRENDERE LA PAROLA, RIVOLGERSI AGLI “AZIONISTI” DEL M5S E SVELARE LA “TRUFFA POLITICA” DI CONTE… IL GARANTE SCRIVE AL COMITATO DI GARANZIA DI FICO E RAGGI E PONE SEI QUESITI: NON SI FIDA DEL NUMERO DEGLI ISCRITTI NÉ DEI SAGGI… A CHE PRO TUTTO QUESTO? GARANTIRE ALTRI DIECI ANNI DI GOVERNO ALLA MELONI, SFASCIANDO L’ALLEANZA CON LA SCHLEIN
L’ultima mossa di Beppe Grillo, prima della separazione da Giuseppe Conte, passerà da quella che chiama la “tecnica Parmalat”. Ma anche Telecom o Mps, basta pescare nell’antico repertorio del comico tribuno
Grillo vuole insomma parlare all’assemblea, rivolgersi agli “azionisti” del M5s per svelare loro la “truffa politica” che il “caudillo Conte” ha in mente per, dice, plasmare il suo partito personale. Senza più gli ultimi tre pilastri che hanno retto finora la baracca: il vincolo del secondo mandato, il nome e il simbolo. E’ una strategia che il fondatore ha studiato con i suoi avvocati esperti di diritto societario.
Nella lettera inviata ieri l’altro a Roberto Fico, Virginia Raggi e Laura Bottici, Grillo chiede loro risposte “il prima possibile” su sei punti qualificanti del processo di partecipazione che Conte ha convocato per ottobre sotto il nome di assemblea costituente. Dalle sue domande traspare la sfiducia totale nel meccanismo.
Cosa vuol sapere Grillo? Innanzitutto quanti sono e come sono stati calcolati gli iscritti attivi del M5s. Coloro che alla fine dovranno esprimersi sulle proposte elaborate dall’assemblea. Il fondatore ha il sospetto che siano stati disattivati migliaia di utenti, non solo in base all’ultimo accesso alle votazioni sulla nuova piattaforma. Teme insomma una platea totalmente contiana, dunque ostile e manovrabile. Sicché: quanti erano gli iscritti prima e quanti sono adesso e come sono stati scremati?
Inoltre tra la platea di militanti certificati saranno estratti a sorte trecento di loro che parteciperanno ai tavoli tematici: come saranno sorteggiati e da chi, vuole sapere Grillo.
E soprattutto: questi 300 saggi estratti a sorte come saranno divisi in tavoli tematici e ci saranno anche consulenti politici del M5s ad aiutarli dunque uomini e donne di Conte? Sembrano dettagli, ma non lo sono. Perché dietro a tali quesiti così ficcanti c’è la strategia del Garante volta a dire all’assemblea: attenzione, hanno già deciso tutto, vi vogliono fregare. O meglio pilotare le decisioni da prendere e da mettere al giudizio finale degli iscritti. In fin dei conti la democrazia diretta sempre da qualcuno deve essere diretta, no?
Infine, posto che i 300 dovranno fare una sintesi fra le 22 mila proposte, l’ultima domanda della lettera si concentra proprio su questo aspetto: con quale criterio sarà effettuata questa sintesi? Come si deciderà su cosa votare e su cosa no?
Colpisce come ormai Grillo si muova da estraneo, guardingo, dentro quella che una volta era casa sua. Di cui aveva le chiavi e disponeva di tutto. Dei processi decisionali, come delle carriere dei suoi “ragazzi”. Un’altra storia, ormai. Ecco perché ha in mente di ripetere i fasti – non fortunati ai fini del risultato, va detto – delle assemblee Telecom, Parmalat e Mps. Nel corso delle quali provò a far valere le ragioni dei piccoli soci contro quelle della dirigenza.
Di qui a ottobre farà una serie di uscite pubbliche, fino all’intervento in assemblea: o me o lui. L’ultima arringa prima di un verdetto che sembra scontato: la scissione. O se ne andrà l’ex premier o andrà via Grillo.
(da Il Foglio)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
GLI ATTI PERSECUTORI GLI SONO GIA’ COSTATI IL DIVIETO IL AVVICINAMENTO E IL BRACCIALETTO ELETTRONICO… ASPETTIAMO CHE I MEDIA SOVRANISTI DEDICHINO LA PRIMA PAGINA ANCHE A QUESTA VICENDA…
Ieri, mercoledì 11 settembre, è iniziato (e subito rinviato per vizio di notifica) il processo per stalking con il rito dell’immediato nei confronti dell’ex assessore del Comune di Loria (Treviso), Valter Pettenon. A denunciare il 56enne leghista era stata la compagna. Quella querela lo aveva portato alle dimissioni nel suo ruolo di referente dei lavori pubblici nella giunta comunale. Ma soprattutto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento con l’uso del braccialetto elettronico.
La storia inizia con la querela della ex compagna di Pettenon che, alla fine di gennaio, decise di interrompere il rapporto per una presunta infedeltà del 56enne. A quel punto l’ormai ex avrebbe cominciato a inviarle messaggi in maniera insistente. “Non l’ho mai minacciata – dice l’ex assessore – volevo solo avere un chiarimento”. A marzo la coppia si ritrova nel pasticceria del paese. “Fatti assolutamente casuali” si difende lui. “No, mi segue, ho paura” replica lei.
A quel punto il sostituto procuratore Davide Romanelli richiede al gip di Treviso il divieto di avvicinamento alla vittima e ai luoghi da lei abitualmente frequentati.
Alla fine, il racconto della fine burrascosa di una storia d’amore, finisce nelle aule del Tribunale. Il processo è stato rinviato al prossimo 5 novembre per un difetto di notifica ai difensori.
(da Fanpage)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMPLOTTO SE L’E’ FATTO DA SOLO ”GENNY IL CALDO”, AUTORIZZANDO IL SU E GIU’ NELLE STANZE DEL MINISTERO, PORTANDOLA PER MESI IN GIRO PER CONVEGNI ED EVENTI, ALBERGHI, G7 COMPRESO… LA ”VIA TRUCIS” DI SANGIULIANO E’ L’ENNESIMA SPIA DELLA NULLITA’ DELLA CLASSE DIRIGENTE DI FDI (DA LOLLO A DELMASTRO, DA MONTARULI A SGARBI) IN ATTESA DEL RINVIO A GIUDIZIO PER SANTADECHE’
Fanno quasi tenerezza i politici di destra e i giornalisti a rimorchio che s’affannano a spalare fango su Maria Rosaria Boccia. La donna al centro dello scandalo che ha portato alle dimissioni il ministro Sangiuliano, e che sta tenendo in scacco il governo Meloni con le sue dichiarazioni e i post sibillini su Instagram, ora è il bersaglio numero uno.
Dal direttore del “Giornale”, Alessandro Sallusti, fino alle presunte rivelazioni de “la Verità” di Belpietro, è partita una smitragliata di articoli, allusioni, critiche, ripescando vecchie vicende personali di Boccia con l’obiettivo dichiarato di abbatterne la credibilità.
Non c’è miglior modo di depotenziare le rivelazioni della Boccia di farla passare per una millantatrice, un’arrampicatrice sociale, una bugiarda, “una escort”.
Un escamotage che punta a far passare il “Bombolo del Golfo” come una povera vittima, un circuito a sua insaputa, un ingenuo agnellino nelle fauci dell’Idra.
Una valanga di sputtanamenti che basterebbero a demolire qualunque reputazione. Eppure i trombettieri del melonismo ortodosso, da Porro a Belpietro da Sallusti a Del Debbio, non hanno compreso (o fingono di non capire) che ogni siluro sganciato verso la giunonica Boccia va a colpire il facciotto paffuto di Gennaro Sangiuliano. Come si dice, vedono il dito (Boccia) ma non la luna (l’ex ministro).
Come ha fatto l’ex titolare della Cultura a farsi intortare in questo modo, denigrando la decenza delle istituzioni, mettendo a rischio la sicurezza nazionale quando ha dato ordine di comunicare i dati del G7 della Cultura a una signora che non aveva alcun titolo?
Ogni informazione che certifica l’inaffidabilità della “non consigliera” è una picconata al governo Meloni, che ha scelto due anni fa un ministro-macchietta alla Cultura.
Fino a prova contraria, è stato Genny il Caldo a portare la 41enne nella stanza dei bottoni del Collegio Romano, è stato lui a riconoscerle potere di fare e disfare pur non avendo la donzelletta alcun titolo per farlo, mica Dagospia!
La Boccia si presentava come una stretta collaboratrice del ministro, lo accompagnava agli eventi istituzionali, gestiva i suoi appuntamenti, coordinava l’entourage, dava disposizioni ai collaboratori, ha avuto accesso alle chat whatsapp e mail di Sangiuliano. E’ probabile che abbia maneggiato documenti riservati sul G7 della Cultura a Pompei e registrava di nascosto dei filmati a Montecitorio con i suoi occhiali-smart.
Sarà anche che il paffuto Sangiuliano non sia esperto del ramo “honey traps”, che non ha saputo gestire “il Fattore Figa” come dice Cruciani in duplex con Licia Ronzulli, ma la sua vulnerabilità dice molto sulla nullità della classe dirigente di Fratelli d’Italia.
Intanto l’ex direttore del Tg2 diventato ministro aveva gli strumenti per avviare una “due diligence” sul curriculum della Bambolona di Pompei: gli sarebbero bastata una telefonata al Viminale per capire, sapere, indagare.
Anche perché Genny Delon, a un certo punto della tresca, era stato messo in guardia dall’entourage di Arianna Meloni sulla “pericolosità” della Boccia-ridens. Non basta. Uno dei respondabile della segreteria tecnica del ministero, Emanuele Merlino, messo lì da Fazzolari proprio per controllare un ministro come Sangiuliano che non appartiene al “clan”, aveva avvisato della situazione pecoreccia creatasi all’interno del Collegio Romano intorno al ‘O ministro ‘nnammurato.
Le dimissioni non “assolvono” Sangiuliano per la sua indettitudine: resterà a imperitura memoria un allocco panato e fritto.
Maria Rosaria Boccia sarà anche una laureata in furbizie e trappole digitali ma la Signora non è mica entrata nottetempo dalla finestra del ministero, bensì mano nella mano con Sangiuliano. Boccia ha acchiappato quello che l’ex ministro le ha dato. È stato Genny a metterle in mano il passpartout.
E ora Boccia ha aperto le valvole: ha evocato ricatti a Sangiuliano, ha tirato in ballo altre sue presunte amanti, ha risposto in diretta su Instagram a Giorgia Meloni mentre la premier era ospite a “4 di sera” e mentre era in conferenza stampa al Forum Ambrosetti a Cernobbio.
Di questo scandalo politico, e non di gossip (come molti cojoncelli pensano), resterà sì la Via Trucis di Sangiuliano ma anche la dimostrazione che una classe dirigente non si improvvisa.
Giorgia “Nun me fido” Meloni, arrivata a palazzo Chigi, si è circondata di fedelissimi e di famigli, di vecchi camerati e post-missini di comprovata fede.
Risultato? Sangiuliano sfessato e dimesso, Sgarbi indagato e dimesso, Montaruli condannata e dimessa. Senza contare lo spadone di Damocle del rinvio a giudizio che pende sugli zigomi coibentati di Daniela Santanché, sotto inchiesta per falso in bilancio e truffa all’Inps.
(da Dagospia)
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Settembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
PREOCCUPAZIONE ANCHE SUI COSTI DELA PATACCA SOVRANISTA CHE HA COLLEZIONATO UN FLOP DI ISCRIZIONI
Dopo il flop di iscrizioni, il Consiglio di Stato frena sul liceo Made in Italy. La Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato esprime alcune perplessità e sospende il parere sul regolamento che definisce il quadro orario degli insegnamenti e degli specifici risultati di apprendimento del nuovo liceo del Made in Italy.
In via transitoria, il ministero dell’Istruzione aveva previsto anche la possibilità di costituire le classi prime di questo liceo su richiesta delle istituzioni scolastiche che erogano l’opzione economico-sociale del percorso del liceo delle scienze umane, previo accordo tra l’ufficio scolastico regionale e la Regione, esclusivamente sulla base del quadro orario del piano degli studi per il primo biennio.
Al riguardo, la Sezione ha posto in rilievo l’incompleta attuazione della procedura istruttoria perché il ministero non ha prodotto il preventivo parere della Conferenza unificata.
Inoltre, la Sezione Consultiva esprime perplessità in relazione all’ introduzione del nuovo regolamento relativo proprio all’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del liceo del Made in Italy e chiede di rivedere la formulazione relativa al rapporto tra approfondimento e sviluppo di conoscenze e abilità.
Perplessità emergono anche in merito alla Fondazione «Imprese e competenze per il Made in Italy», incaricata di supportare il potenziamento e l’ampliamento dell’offerta formativa. Il Consiglio di Stato chiede maggiore chiarezza sui significati di «potenziamento» e «ampliamento».
Il Consiglio di Stato si mostra inoltre preoccupato sui costi di questo liceo constatando che su questo punto nella relazione tecnica di accompagnamento non viene specificamente precisato che «tale disposizione non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Alla luce di queste perplessità la Sezione, in attesa che l’Amministrazione acquisisca e trasmetta il preventivo parere della Conferenza unificata, ha intanto sospeso l’emissione del parere.
Sindacati e opposizioni sono già all’attacco. «Ancora una volta, la fretta è cattiva consigliera per un ministro che, con fervore ideologico, sta provando a cambiare gli ordinamenti della nostra scuola sulla testa di docenti e personale che ci lavorano, ignorando sistematicamente i pareri degli organismi di rappresentanza a partire dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione», critica la Flc Cgil.
«Il liceo sovranista voluto dal trio Valditara-Meloni-Urso parte male- attacca Aurora Floridia (AVS)- Lo stop da parte del Consiglio di Stato al nuovo indirizzo di studi introdotto dal governo Meloni in modo frettoloso, senza un’adeguata riflessione sulle reali esigenze del sistema educativo e del mondo produttivo, e soprattutto, senza il coinvolgimento del mondo della scuola ne è la conferma». Secondo Floridia, «la sospensione del parere del Consiglio di Stato evidenzia ora la necessità di una seria pausa di riflessione per evitare che questa iniziativa, tanto voluta dalla Presidente del Consiglio, si trasformi in un completo fallimento, che sarà pagato in primis dagli studenti, pochi per la verità, che hanno scelto questo indirizzo».
(da agenzie)
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