Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
A CORREDO DEL TESTO, UN BREVE FILMATO IN CUI LA DUCETTA SI TOCCA NERVOSAMENTE IL NASO
“Metta da parte i guantoni: sono la gentilezza e le carezze ciò di cui c’è bisogno”. Così Maria Rosaria Boccia torna a indirizzarsi alla premier Meloni in un post su Instagram che ritrae la presidente del Consiglio a Cernobbio e a cui indirizza il contenuto (@giorgiameloni). “Ogni donna deve essere libera di vivere la propria essenza, nel rispetto degli spazi altrui. Per comprendere appieno gli spazi conquistati, è necessaria l’umiltà di ascoltare la storia con una mente aperta. Solo così possiamo definire quegli spazi fino a raggiungere la dimensione della verità, che apre la possibilità di scegliere consapevolmente e comprendere che ci sono strade diametralmente opposte tra cui scegliere. Tuttavia, ciò che vedo è una donna pronta allo scontro, che affronta la situazione con la forza di un pugile, che soffia il naso dopo il jab, ma non vede di aver sferrato un colpo al vento, senza intaccare la verità” scrive Boccia prima di invitare la premier a mettere da parte “i guantoni”.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
CECCARELLI RIPERCORRE I DUE DISASTROSI ANNI DI GENNY AL MINISTERO DELLA CULTURA, TRA VANITÀ E GAFFE, TOLKIEN E DANTE: “È ANIMATO DA UN’INQUIETUDINE DA EX GIOVANE MISSINO BULLIZZATO, UNA SMANIOSA VOLONTÀ DI ACCREDITARSI PRESSO I SUOI AVVERSARI CHE SI CHIAMA DIETRO LA PERNACCHIA”
Un mucchietto di cenere e degli sghignazzi di sottofondo. Questo resterà, se va bene, dell’avventura di Gennaro Sangiuliano nelle tetre stanze di via del Collegio romano, dove alla metà del Seicento visse e operò il padre gesuita Athanasius Kircher dando vita in quel blocco di palazzi a un alone di mistero assai più duraturo di qualsiasi tragicomico fallimento ministeriale.
Scienziato esoterico e sospetto alchimista, non lontano da dove Maria Rosaria Boccia è andata esercitando il suo fascino, quattro secoli fa Kircher aveva impiantato un impressionante laboratorio- museo con stanze astronomiche, esperimenti di palingenesi vegetale, animaloni impagliati da tutto il mondo tra cui un armadillo che fu utile a Bernini per la Fontana dei fiumi di piazza Navona.
Entrato lì due anni orsono, Sangiuliano si disse «onoratissimo», ma volle aggiungere che la cultura era «sempre stato il mio alimento», e giù col fatto che possedeva 15 mila volumi, «e io stesso ne ho scritti 18», concludendo quindi con un tweet in cui rendeva noto che il suo motto, invero lunghetto, era la canzone civile di Leopardi All’Italia :“O patria mia vedo le mura e gli archi/ e le colonne e i simulacri e l’erme/ torri degli avi nostri,/ ma la gloria non vedo…”.
Quest’ultima, in effetti, non si può dire che Genny l’abbia proprio riscattata, ma che gli dici a un tipo così? In questi casi l’Urbe è spietata e per addomesticarne gli istinti belluini forse vale solo rifugiarsi in quel versetto dell’ Ecclesiast: vanitas vanitatum et omnia vanitas . Ma lui, benedett’uomo, ha fatto esattamente il contrario, come del resto dimostrano una ponderosa ancorché sgualcita rassegna stampa e un cospicuo file zippato e ricolmo di meme.
Ora sarebbe un peccato inchiodare il personaggio alla filastrocca di spropositi e gaffe che dagli e dagli ne hanno fatto quasi un soggetto d’intrattenimento: Dante fondatore del pensiero di destra, i libri del Premio Strega votati senza averli letti, e Times Square a Londra, e Colombo dopo Galileo, e i 250 anni della città di Napoli, e chissà quali altre dimenticabili defaillance che lo spinsero a reagire promettendo una specie di bibliografica rappresaglia sugli errori dei suoi tanti, anzi troppi criticoni.
Più arbitrario è tentare di mettere in relazione quei continui incidenti con il motore psicologico che li determinava. Un’inquietudine da ex giovane missino bullizzato, un vuoto schermato dalla più inconfondibile retorica destrorsa, una smaniosa volontà di accreditarsi presso i suoi avversari che lo portava a strafare e quindi a sbagliare.
Cosa che può sempre capitare a tutti, ma che in lui – «stamattina ho ripreso fra le mani un libro…», «se lei avesse un po’ di memoria storica saprebbe che io…» – si caricava ogni volta di vana ridondanza, anacronistica prosopopea, pomposa e compiaciuta considerazione di sé. Insomma, quel percepibile armamentario che per sua natura, tanto a Napoli quanto a Roma, inesorabilmente si chiama dietro la pernacchia.
Vero è che Giorgia, cui Sangiuliano ha dedicato l’ultima agghindatissima edizione della biografia di Prezzolini, gli aveva affidato un compitino da niente. Smuovere la pretesa “cappa culturale”, cambiare la cosiddetta “narrazione”, promuovere la contro-egemonia, rivendicare l’identità nazionale, costruire un nuovo immaginario, alè!
Ora non s’intende qui entrare nel merito del programma, ma proprio perché l’Italia è l’Italia, patria dello scherno, ci si limita a chiedersi come diavolo avrebbe potuto farlo un tipo che amava molto più se stesso della cultura e che per questo faceva irrimediabilmente ridere, come fosse uscito da un fumetto o da un cartoon.
Non si vuole qui mancare di rispetto perché chiunque si mette in evidenza rischia di sembrare buffo, ma la mostra su Tolkien rischiava fin dall’inizio di assomigliare a una palese piaggeria, così come la richiesta di menzionare le foibe al festival di Sanremo suonava una ripicca, per non dire il capolavoro del decreto legge ad personam per impadronirsi della Rai sistemando Fuortes a Napoli, con l’inevitabile tarantella che ne è seguita. Per fortuna, tra i Grandi Eventi, si è fatto a meno della scazzottata tra Zuckerberg e Musk cui il ministero, per rapinosa filantropia, avrebbe concesso il Colosseo o magari Pompei.
E pensare che prima dell’arrivo di Boccia al Collegio romano, sotto lo sguardo severo di padre Athanasius, il ministro già disponeva di ben 16 consiglieri. Vai a sapere se Alessandro Giuli, preso atto del mucchietto di cenere, se li terrà. Ma forse è meglio che al più presto si faccia tagliare quei lunghi favoriti o basettoni che gli adornano le guance: vanitas vanitatum , infatti, e la lezione che ne consegue.
Filippo Ceccarelli
lper “la Repubblica”
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
“IN NESSUN CAMPO COME QUELLO DELLA CULTURA SI È RIVELATO QUANTO FOSSE TRUFFALDINO LO SLOGAN ‘PRONTI’, CHE DOMINAVA I MANIFESTI DI GIORGIA E I SUOI FRATELLI. NON ERANO PRONTI A NULLA. LA PRIORITÀ ERA DARE UN PROGRAMMA TIVÙ A PINO INSEGNO. PASSARE DALL’AMICHETTISMO DI SINISTRA A QUELLO DI DESTRA NON È FARE UNA POLITICA CULTURALE, È GESTIRE UN UFFICIO DI COLLOCAMENTO”
Non è carino maramaldeggiare, uccidendo un ministro morto. Ma, nell’ora dell’addio, quando la commedia all’italiana (nel caso, “L’onorevole con l’amante sotto il letto” di Mariano Laurenti, 1981, con Lino Banfi e Janet Agren) sfocia in una sceneggiata napoletana lacrimogena e vittimista, bisogna ricordare che Genny-la-gaffe è stato un pessimo ministro della Cultura. Era l’uomo che doveva sottrarla all’egemonia della sinistra, vincere la battaglia delle idee e, en passant, trovare un posto a un po’ di amici, famigli e camerati.
Di queste missioni ha compiuto soltanto l’ultima. In nessun campo come quello della cultura si è rivelato quanto fosse truffaldino quello slogan, “Pronti”, che dominava i manifesti elettorali di Giorgia e i suoi fratelli. Non erano pronti a nulla. Ma come? La destra accede al potere culturale dopo ottant’anni di traversata del deserto, e non ha una sola idea forte, nuova, coraggiosa, perfino spiazzante? Niente di niente: la priorità, si è poi scoperto, era dare un programma tivù a Pino Insegno.
Il problema di Genny non sono state soltanto le gaffe a ripetizione, anche se è evidente che un ministro (della Cultura, poi) che dice spropositi ogni volta che apre bocca era un ministro dimezzato già prima che la signora Boccia lo rendesse anche ridicolo. È stata l’idea che l’egemonia si conquistasse semplicemente sostituendo agli uomini della sinistra e di «un certo sistema politico mediatico» (così Genny nel bollettino della disfatta) quelli della destra, che peraltro di presentabili ne ha pochi.
Passare dall’amichettismo di sinistra a quello di destra non è fare una politica culturale, è gestire un ufficio di collocamento. E poi Genny non ha saputo risolvere il vero grande rebus della sua parte politica. Questa destra così identitaria ha un problema di identità: la sua. Non ha mai chiarito che destra sia, a quale delle sue molte anime faccia riferimento
Da qui l’idea ridicola che la sua cultura sia, tout court, quella della Nazione, da Dante “di destra”, una delle barzellette più divertenti di Genny, all’annessione di PPP e di Gramsci.
In sostanza, pur agitandosi moltissimo, Genny ha fatto, e male, dell’ordinaria amministrazione. Ha portato avanti progetti che già esistevano, non ne ha elaborati di nuovi, ha riformato o sconvolto, a seconda dei punti di vista, la macchina ministeriale, e ha fatto tante nomine, per lo più sbagliate e alcune grottesche.
Un ministro che piagnucolando ammette che nominare consigliera per i grandi eventi (il G7, non la sagra della salsiccia) l’amante specialista di abiti da sposa «poteva configurare un potenziale conflitto d’interessi» dimostra che se il senso dello Stato delle sue classi dirigenti è questo, allora è normale che lo Stato faccia senso. Viene un pensiero ribaldo e paradossale.
Il problema non è se questi siano fascisti o no (lo sono, comunque), ma che non lo sono abbastanza. Perché il fascismo una politica culturale, per quanto provinciale e autarchica, l’aveva e la sapeva fare. E mai, poniamo, ad Alessandro Pavolini sarebbe venuto in mente di nominare Doris Duranti sua consigliera al MinCulPop.
Alberto Mattioli
per “La Stampa”
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
ROBERTO SAVIANO DISSE CHE GENNY ERA STATO IL “GALOPPINO” DI NICOLA COSENTINO, EX ESPONENTE DI FORZA ITALIA CONDANNATO IN QUANTO REFERENTE DELLA CAMORRA… NEL 2018 SANGIULIANO DENUNCIÒ SAVIANO, MA I GIUDICI DIEDERO RAGIONE ALLO SCRITTORE IN QUANTO IL TERMINE “GALOPPINO” SAREBBE UNA CRITICA POLITICA
Cosa c’entri di preciso la Camorra, al momento non si sa. E non si sa neppure se la Dda di Napoli stia indagando, anche se pare assai probabile che il procuratore Nicola Gratteri ci voglia vedere chiaro. Mentre negli uffici giudiziari del Tribunale di Torre Annunziata, «non risulta nulla».
C’è però una frase pronunciata da Maria Rosaria Boccia durante le sue interviste a Tv e giornali, che, neppure in maniera troppo sibillina, rivela un contesto inquietante della vicenda: «Sangiuliano è ricattato proprio da chi lui ha favorito». Quasi a dire che l’ex ministro abbia elargito dei favori, ma solo fino ad un certo punto, e poi abbia detto basta.
Era il 2018 quando Gennaro Sangiuliano, denunciò lo scrittore Roberto Saviano che sosteneva che l’attuale ex ministro era stato il “galoppino” di Nicola Cosentino, ex esponente di Forza Italia condannato in quanto referente della Camorra.
Saviano fu prosciolto e commentò così: «Non dicevo il falso quando riconoscevo anche Nicola Cosentino (ex politico condannato per i rapporti con il clan dei Casalesi, ndr) tra i padrini politici di Gennaro Sangiuliano e tra gli artefici delle sue fortune. Giorgia Meloni non ha nulla da dire al riguardo? Temo che nessuno chiederà conto a Meloni della sua vicinanza politica a chi ha portato la camorra al governo, una vicinanza per la quale provo disgusto».
Lo scrittore aveva poi precisato: «Il cerchio si chiude: sono sotto scorta perché minacciato dal clan dei casalesi. Provo pietà per il nostro Paese e un profondo disgusto perché tutto questo sembra ormai essere la nostra normalità».
Insomma, il contesto è quello, molto campano (più che romano), terra dove la Camorra la fa da padrona (o quasi) e dove da anni sono fiorenti le attività commerciali della famiglia Boccia. Una terra dove il clan dei casalesi ha subìto anch’esso una trasformazione.
La camorra è entrata di prepotenza nei salotti buoni, controlla attività imprenditoriali, commerciali e a più riprese ha tentato il salto in politica fidandosi di personaggi (uomini e donne) dal voto immacolato o quasi.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
MELONI AVEVA DETTO: “NON CREDO DI DOVERMI METTERE A BATTIBECCARE CON QUESTA PERSONA” … SUI SOCIAL: “DETTO DA UNA CHE VOTO’ RUBY NIPOTE DI MUBARAK…”
“‘Questa persona’ è proprio una dilettante!”: Maria Rosaria Boccia, il giorno dopo le dimissioni del ministro Sangiuliano, sembra replicare con ironia proprio a Giorgia Meloni che anche oggi è tornata ad indicare l’imprenditrice di Pompei senza chiamarla per nome. Lo fa in una storia su Instagram dove tagga Cernobbio.
Già nei giorni scorsi, sempre dopo le parole della premier aveva protestato: “Questa persona ha un nome, un cognome e un titolo”.
Poi in una successiva intervista a La Stampa, la donna aveva accusato Meloni di aver usato ‘comportamenti sessisti’ contro di lei: “Mi chiedo perché io vengo trattata con arroganza, additata senza nome e cognome” aveva detto.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
NEL TENTATIVO DI SALVARE LA POLTRONA, SANGIULIANO AVEVA LANCIATO UNA BORDATA ALLA MINISTRA DEL TURISMO, CHE RISCHIA IL PROCESSO PER IL CASO VISIBILIA: “ALTRI MINISTRI HANNO SITUAZIONI MOLTO PIÙ COMPLICATE DELLA MIA”…LEI DICE DI AVERLO PEERDONATO
Daniela Santanchè, in un colloquio con Repubblica, dà voce a quello che molti, dentro FdI e nei corridoi dei palazzi del governo, bisbigliano da giorni, sull’affaire pompeiano che ha affondato un esponente di primo piano dell’esecutivo di Giorgia Meloni. L’idea di un complotto, che poi è un classico del melonismo.
“Non mi stupirei – dice la ministra del Turismo, quando il collega Gennaro Sangiuliano si è dimesso da pochi minuti – se dietro a Boccia ci fosse una regia occulta”. Su che basi? “Obiettivamente non ho prove né ne sono a conoscenza – precisa la ministra – però diciamo che se lo venissi a sapere, se me lo raccontasse qualcuno, non rimarrei stupita”.
Santanché e Sangiuliano sono legati da anni di amicizia. Negli ultimi giorni però alcune affermazioni (non smentite pubblicamente) dell’ex direttore del Tg2 avrebbero potuto incrinare quel rapporto. In un virgolettato riportato dalla Stampa, quando Sangiuliano era ancora in trincea per salvare il posto, alludeva proprio al caso della responsabile del Turismo, sostenendo che “altri ministri o membri del governo hanno situazioni molto più complicate della mia”.
“Non mi sono offesa – racconta Santanchè – anche perché ho parlato con lui e mi ha assicurato che non era assolutamente così. Ma poi non è il tipo da dire quelle cose. Il nostro rapporto non si è compromesso, peraltro l’ho appena sentito per telefono. È stato un amico e resterà un amico per sempre”.
Da “donna verticale”, per citare un suo famoso attacco a Berlusconi quando militava nella Destra, che idea si è fatta della vicenda Boccia-Sangiuliano? “Quella non la commento, purtroppo non c’è nulla da commentare”.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
IL PD APRE: “UNA BELLISSIMA NOTIZIA”… LO SCRITTORE: “L’ATTUALE GOVERNO E’ UNA VERGOGNA CHE DI SICURO NON AIUTA LA CITTA’”
«Qualche avance mi viene fatta. Candidato sindaco no, però l’idea di fare il fiancheggiatore, di dare una mano nel caso di Venezia, che mi è carissima, mi tenta». Così lo scrittore Antonio Scurati ha smosso le acque della laguna già agitate dall’inchiesta per corruzione in cui sono coinvolti il sindaco Luigi Brugnaro e l’assessore Renato Boraso.
L’occasione è stata la presentazione alla Mostra del cinema della serie ispirata al primo dei suoi libri della trilogia su Benito Mussolini. Una mossa, riferisce il Corriere della Sera, che ha colto di sorpresa il direttivo del Pd della zona: «Magari. Ma chi glielo ha chiesto? Ci potevate pure avvisare».
La discesa in campo
La discesa in campo di Scurati d’altronde non potrebbe che avvenire nella città dove è cresciuto e che ora vuole difendere dalla gestione del centrodestra: «Il mio convincimento è che, al di là degli aspetti giudiziari, il governo di Venezia sia impresentabile, gravato da un conflitto di interessi macroscopico, una vergogna che di sicuro non aiuta la città».
Il piglio è di chi è sicuro della sua scelta e della fazione da cui dare battaglia. Ma l’affondo di Scurati ha spiazzato i dem veneziani: non si sa da dove sia arrivato il supporto per l’autocandidatura. Tuttavia, gli animi sono sereni e ben disposti nei suoi confronti: «Che Antonio Scurati sia a disposizione per Venezia è una bellissima notizia. Un’intellettuale che è cresciuto a Venezia che si mette a disposizione e a servizio della sua città. Ne siamo contenti e spero ci sarà modo di confrontarsi per il bene della nostra città», spiega la segretaria del Pd Monica Sambo.
Di parere analogo anche Gianfranco Bettin di Verdi Progressisti: «Una bella notizia che una persona di valore come Scurati, che ha vissuto qui e poi si è trasferita altrove, abbia a cuore la città. Oltretutto la sua messa a disposizione è stata detta con misura. Cosa unica in una città che ha visto molti “primi che passano” asserire di volerla governare».
C’è già la casella: alla Cultura
Le elezioni amministrative di Venezia sono ancora lontane: si voterà nella primavera 2025. Ma c’è già chi pensa a una sistemazione di Scurati nell’eventuale giunta di sinistra: «Chiaro che come assessore alla Cultura farebbe meglio di Brugnaro», sostiene con ironia Marco Gasparinetti, capogruppo della civica Terra e Acqua. «Mi pare un bel segnale che persone di valore siano interessate al destino di Venezia», afferma Nicola Pellicani, già consigliere dem fino al 2020 a Venezia ed ex deputato. Nella sua carriera Scurati ha accumulato un bagaglio storico-artistico di rilievo, bestseller con la trilogia di M., ora in uscita con un quarto capitolo conclusivo e protagonista alla Mostra del cinema di Venezia con la serie tv basata sui suoi romanzi. E sarebbe anche un’arma da sfruttare contro la giunta di destra sfruttando le polemiche per la censura imposta dalla Rai sul discorso che doveva tenere in occasione del 25 aprile scorso, durante una puntata del programma di Serena Bortone.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
IL CUORE DELLA QUESTIONE E’ CHE TUTTI RICATTANO TUTTI
“Genny & Mary”, il tristanzuolo b-movie di questa folle estate italiana, è finito come doveva. Dopo un lungo e inutile supplizio etico, politico e mediatico, Gennaro Sangiuliano va a casa, com’era logico e giusto fin dall’inizio. Tra lo scorno e il disdoro, sommerso dalle mail e dalle chat, dalle ricevute degli hotel e dalle carte d’imbarco, con le quali l’ha sbugiardato la sua ex fidanzata Maria Rosaria Boccia.
Le sue «dimissioni irrevocabili» sono l’epilogo scontato di uno scandalo che andava aperto e chiuso in due ore, tanto ne erano chiare la portata e le implicazioni. E invece le disavventure sentimentali e ministeriali di questa strana coppia hanno paralizzato il Palazzo e incuriosito il Paese per due settimane, manco fosse il Sexgate di Bill Clinton e Monica Lewinsky.
Per giorni e giorni ci siamo chiesti come fosse tollerabile che un’avvenente e intraprendente influencer, ex venditrice di abiti da sposa, riuscisse a tenere sotto scacco un ministro della Repubblica, smentendolo in tempo reale sui social e in tv. Soprattutto, ci siamo domandati come fosse possibile che Giorgia Meloni non riuscisse a obbligarlo a fare l’unica cosa sensata, cioè sloggiare dal dicastero della Cultura, qui ed ora, e lo pregasse addirittura di restare al suo posto.
Man mano che si sono fatti più chiari i contorni di questa Temptation Island all’acqua pazza, abbiamo avuto finalmente la risposta. C’è una ragione, se per cacciarlo è servito un penoso stillicidio di accuse e controaccuse tra lui e lei, sui contratti di consulenza firmati e poi strappati, su chi pagava i viaggi e chi partecipava alle riunioni, sulle telefonate registrate e le foto taggate.
C’è una ragione, se l’ex ministro si è esposto a un indegno passaggio negli studi di TeleMeloni, per una pseudo-intervista annaffiata dalle sue lacrime di coccodrillo e officiata dal direttore del Cinegiornale della rete ammiraglia, capace di svilire il Tg1 in C’è posta per te e di scivolare in un attimo da Maria Rosaria a Maria De Filippi. C’è una ragione se ha cercato di resistere finché ha potuto, anche di fronte alla tambureggiante e devastante controffensiva di Boccia sui giornali e sulle tv.
La verità è che quella a cui abbiamo assistito è molto più che una telenovela boccaccesca, a metà strada tra la sceneggiata napoletana e la farsa da Bagaglino. Intanto, se non ha compromesso la sicurezza nazionale, ha sicuramente umiliato la decenza istituzionale. E poi la tresca privata nasconde una sconcezza pubblica.
Tutti ricattano tutti: è questo il cuore della questione, che è sfuggito e sfugge da giorni all’ormai ex ministro, alla destra che lo ha difeso troppo e alla premier che non lo ha licenziato subito. La “ricattabilità”, che ormai mascariava non solo il “Bombolo del Golfo”, ma zavorrava anche l’intero governo e in definitiva l’intero Paese, caduto in ostaggio di un ménage amoroso dietro al quale si cela un potere limaccioso.
Al di là di quello che scrive Sangiuliano nel suo dolente commiato, e a prescindere da quello che ancora dirà Boccia sul web o nei talk, le domande senza risposta restano tutte sul tavolo. Riguardano da un lato la lealtà dei servitori dello Stato e la credibilità delle istituzioni. Dall’altro lato la qualità della classe dirigente e il buon funzionamento dei gangli vitali della Res Publica. O ministro ‘nnammurato appartiene già al passato, ma i danni collaterali del suo impeachment con la “non-consulente” rimangono tutti, anche senza di lui.
Chi è davvero Maria Rosaria Boccia, capace di stazionare al ministero per mesi, di partecipare alle riunioni e di circolare alla Camera con gli occhiali-webcam? Chi e perché ha fatto entrare al ministero una persona senza titoli, anche prima che l’ex ministro se ne invaghisse? Ha scaricato con un Qr-code la cronologia dei messaggi whatsapp dell’ex ministro? Possiede file pieni di confidenze indirette e conversazioni dirette di Sangiuliano, su e con personalità del governo?
Se tutto questo è vero, la macchina dei ricatti è sempre lì, in garage, pronta a partire in ogni momento. E potrebbe investire chiunque, dalla Sorella d’Italia in giù. Non solo. C’è un altro gigantesco elefante nella stanza, che sopravvive alla scomparsa politica di Sangiuliano.
Esistono davvero “alcune persone” che ricattavano il ministro “per delle agevolazioni che hanno avuto”, come ha rivelato ancora l’amante sedotta e abbandonata, con uno dei suoi “pizzini” più inquietanti? E se esistono, chi sono e cosa vogliono? Ma soprattutto, hanno qualcosa a che fare con la rilevante partita delle nomine interne ed esterne in ballo al ministero della Cultura?
C’è qualche nesso tra questo vaudeville sotto il Vesuvio e la nomina di Fabio Tagliaferri ai vertici dell’Ales, società in house per la gestione dei biglietti dei musei? Non stiamo parlando di un top manager, ma dell’ex assessore di Fratelli d’Italia a Frosinone, noto per l’amicizia con la sorella della presidente del Consiglio, per la quale si getta nel fuoco social con sobri messaggi come “onestà, trasparenza, coerenza, serietà e umiltà hanno un nome e un cognome: Arianna Meloni”. Ammirazione ben ripagata: ma a che prezzo?
Tutto questo non c’entra nulla con il «gossip», la foglia di fico dietro alla quale si riparano sempre i patrioti al comando e dietro alla quale si è protetta anche Meloni, nel delicato passaggio armocromistico dal blu estoril di Giambruno al rosso pompeiano di Sangiuliano. I tormenti affettivi riguardano solo le famiglie coinvolte (a proposito, se n’è sfasciata un’altra, nella destra dove dio è già morto e anche la Patria non si sente molto bene).
Il tema fondamentale non è quello che è successo tra le lenzuola di un resort di Polignano, ma quello che accade nel dicastero del Collegio Romano. E poi in tutti gli altri ministeri, negli organi di garanzia, nelle società controllate dal Tesoro.
Il nodo strutturale da sciogliere è il metodo di governo che le due Sorelle d’Italia adottano, per spartire poltrone e distribuire prebende. È l’altra faccia della ricattabilità, che fa a pugni con la dignità ma è strettamente collegata alla fedeltà.
Lo spoil system non è una pratica nuova, ma questo amichettismo settario e questo familismo amorale sono davvero la cifra di questa destra affamata e spregiudicata, che in questi due anni ha declinato così — al di fuori da ogni criterio di competenza e di merito — la sua nuova «egemonia culturale». Imposta al sistema con pure logiche di appartenenza clanica, quasi tribale.
Altro che Tolkien e la Compagnia dell’Anello, Prezzolini e Scruton: solo occupazione militare dei consigli di amministrazione e dei vertici Rai. Sangiuliano, ministro dadaista dell’Ignoranza, cade anche per questo, oltre che per le gaffe su Times Square a Londra e Dante poeta della destra tricolore, i viaggi di Cristoforo Colombo e Maria Rosaria Boccia nipote di Galileo Galilei.
Non lo rimpiangeremo (anche se rendiamo l’onore delle armi a lui e tutta la solidarietà possibile a sua moglie, vera parte lesa di questa brutta vicenda). E facciamo i migliori auguri ad Alessandro Giuli che gli succede. Ma le macerie fumanti della sua mesta uscita di scena restano tutte lì, davanti a Palazzo Chigi.
Un governo di mediocri non prende il volo, solo perché arriva un intellettuale cresciuto al Gianicolo e non a Colle Oppio, che scrive saggi sulla destra moderna che dovrebbe ripartire da Gramsci.
Resterebbe urgente un cambio di squadra, perché quella che c’è è indecente e inconcludente. I rimpasti veri li fa l’alleato Zelensky a Kiev. Meloni a Roma non se li può permettere. E non per la solita sindrome vittimista-complottista, che le fa dire «non mi faccio imporre i ministri da Dagospia e dai giornali di sinistra». Il suo problema è un altro.
Sostituire Fitto, congedare le Santanchè e i Delmastro, i Lollobrigida e i Nordio, sarebbe troppo rischioso, per una premier che rivendica la sua «stabilità» e che a quel punto Mattarella rimanderebbe in Parlamento per un nuovo voto di fiducia. Ed è troppo indecoroso, per una Underdog che pensa davvero di «fare la Storia», e non ha capito che invece sta scivolando nell’avanspettacolo.
(da La Repubblica)
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Settembre 7th, 2024 Riccardo Fucile
TERRORIZZATO DALLA MOGLIE, MINACCIATO DALL’AMANTE, ASSEDIATO DA “ALTRE DONNE” (SONO TRE) PER LA SERIE: ‘’OCCHIO NON VEDE, CUORE NON DUOLE’’ SANGIULIANO EVITA LE FOTO IN EGITTO PER NON FAR INGELOSIRE LE ALTRE SPASIMANTI
Mentre l’Italia si sollazzava col secchiello e la paletta, lo scorso 5 agosto Gennaro Sangiuliano atterra a Il Cairo per incontrare Il ministro della Cultura dell’Egitto, Ahmed Fouad. Missione ufficiale fortemente voluta dal premier Giorgia Meloni perché, secondo la Ducetta della Garbatella, l’Egitto ha una importanza strategica nell’ambito del suo immaginario Piano Mattei.
Per Gennarino la missione per “discutere delle prospettive di futura cooperazione nei settori del cinema, delle arti e della conservazione del patrimonio culturale” è destinata a trasformarsi in una Apocalisse di cuori infranti.
Tutto si incasina quando la moglie Federica Corsini, che per la gioia di Maria Rosaria negli ultimi mesi non si era mai interessata di seguirlo in viaggi di lavoro a Sanremo e convegni culturali a Polignano a mare, esprime al suo Bombolo coniugale la decisa volontà di accompagnarlo nel viaggio d’Egitto, visitando piramidi e incrociando faraoni.
Cazzo! E ora chi glielo dice alla Nefertari di Pompei a cui ho bufaleggiato che il mio matrimonio era finito, logorato dal tempo crudele?, così si incartano le sinapsi del Farfallone del Golfo che, quando si appalesa felice in pieno climax nelle foto instagrammate dalla Boccia-ridens, ha l’anulare della mano sinistra priva della fede coniugale (gliel’ha fatta sfilare la ‘’pompeiana esperta’’ ma anche gelosa? Ah, saperlo…).
Alla ferale notizia del viaggio del “suo” ministro al guinzaglio della moglie resuscitata, l’ira della Boccia, già a livelli di guardia per i rapporti di ‘Genny Delon’ con “altre donne” (sarebbero tre, di cui due del mondo dello spettacolo) svelati dalla Boccia su La7 – “altre donne” che hanno già ottenuto dal ‘O ministro arrapato incarichi ben remunerati (mentre il ruolo di “Consigliera per i Grandi Eventi” è a titolo gratuito); a quel punto di non ritorno, l’incazzatura della Bambolona avrebbe raggiunto lo stadio dell’eruzione vesuviana.
(A proposito. In quei primi e convulsi giorni di agosto, una ferita appare sulla fronte spaziosa del ministro; la lesione che, all’indomani dell’eruzione del caso Boccia impazza sui social, è il risultato di “un incidente domestico”, come si giustifica lui al Collegio Romano, oppure è la conseguenza di una facinorosa scenata della possessiva Poppea di Pompei? Ah saperlo…).
Terrorizzato dalla moglie, minacciato dall’amante, assediato da “altre donne”, lo sciupafemmine del governicchio Meloni sbriga la visita a Il Cairo nel più stretto tempo possibile e soprattutto, per l’immortale serie: ‘’occhio non vede, cuore non duole’’, magari anche per evitare altre ed eventuali zoccolate in testa, si premura di non far pubblicare su giornali e siti immagini e video della missione egiziana dove lui naneggia rotolando come una boccia al fianco della statuaria consorte.
(Massì, la commedia all’italiana è viva e ha occupato palazzo Chigi).
(da Dagospia)
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