Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
CI RIVEDIAMO LUNEDI 23 SETTEMBRE
Dopo un’estate in cui vi abbiamo tenuti informati ogni giorno e un paio di ultime settimane dove abbiamo superato le mille visite giornaliere, tiriamo un po’ il fiato per disintossicarci.
Seguire le vicende del governo può portare a problemi di equilibrio mentale…
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da 17 anni tra i primi blog di area in Italia, considerando che siamo notoriamente “scomodi”, è un risultato che premia la nostra coerenza e la nostra indipendenza, ma soprattutto testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, nazionale, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
E TUTTI SI DOMANDANO: COME È POSSIBILE CHE UNA ADDETTA A RISPONDERE AL TELEFONO E A PRENDERE APPUNTAMENTI, RIESCA A CONQUISTARE UN RUOLO COSÌ APICALE NELL’ORGANIGRAMMA DI SANGIULIANO? LA LEGGENDA VUOLE CHE IL SUO NOME SIA STATO CALDEGGIATO DAL MINISTRO GIORGETTI, PERSONA CHE LEI CONOSCE, E BENE
Il ‘caso Boccia’, che ha costretto alle dimissioni Gennaro Sangiuliano, si sta sviluppando in una sorta di metastasi, quel fenomeno con cui le cellule tumorali si spostano dalla zona in cui si sono formate a un’altra parte del corpo.
Uno per tutti: i titoli di oggi sugli usi e abusi di Sergio Castellitto al Centro Sperimentale di Cinematografia di Cinecittà, una delle tante nomine scervellate dell’ex ministro in calore della Cultura, fatta seguendo il consiglio di Pupi Avati.
Quando Giorgia Meloni s’introna a Palazzo Chigi e memore delle affettuose attenzioni dell’allora direttore del Tg2, transfuga da una Lega in caduta libera alla corte di Fratelli d’Italia, si impunta sul nome di Sangiuliano a capo di un dicastero di prima fascia come i Beni Culturali (si stima che l’Italia concentri dal 60% al 75% di tutti i beni artistici esistenti in ogni continente), il sottosegretario “genio” Fazzolari, espresse apertamente il suo disaccordo. Ci possiamo fidare di uno nomignolato “Tarzan” per essere saltato da una liana all’altra, afferrando e abbandonando ben 9 tra partiti e movimenti?
Alla fine la neo premier convince Fazzolari: uno come Gennarino, vedrai, è affidabile come un cagnolino e farà tutto ciò che noi vogliamo. Punto. Del resto, tutti gli altri nomi di papabili sul tavolo, da Giordano Bruno Guerri a Marcello Veneziani, erano etichettati come “incontrollabili”.
Dalla prima nomina di un museo, Alessandro Giuli al Maxxi alla presidenza di Pietrangelo Buttafuoco alla più importante manifestazione internazionale italiana d’arte, la Biennale veneziana, Sangiuliano esegue come un soldatino i desiderata di Palazzo Chigi, malgrado temesse la ambizione dei due tipini (Giuli già un anno fa annunciava agli amici a tavola che lui al Maxxi era solo di transizione perché sarebbe asceso alla prima poltrona del Collegio Romano, come è poi avvenuto).
Anche quando Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri suggeriscono al ministro esordiente di prendersi come capo di gabinetto Francesco Giglioli, un altro debuttante assoluto in quel ruolo apicale (è il funzionario che collabora con il ministro nello svolgimento dei propri compiti istituzionali, istruisce ed esamina gli atti, coordina l’intera attività di tutti gli uffici), il Bombolo del Golfo non fa una piega.
Il curriculum di Giglioli sgrana una carriera di consigliere parlamentare dal 2006, che ha poi ricoperto il ruolo di capo ufficio della segreteria della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Ma esperienza di capo gabinetto, zero
A capo della segreteria tecnica del ministero il buon Fazzolari, per la serie: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, spedisce il suo fedele Emanuele Merlino. Per ricoprire il ruolo di portavoce Sangiuliano fa la prima scelta personale: il capo dell’ufficio stampa e comunicazione del ministero della Cultura, il giornalista Andrea Petrella, è una sua vecchia conoscenza napoletana dei tempi Rai, anche lui al suo debutto in un ministero, avendo come esperienza di aver curato nel 2005 l’ufficio stampa del Comune di Acerra.
La seconda nomina fiduciaria è il capo della segreteria, Antonio Di Maio, ex finanziere, legato da un antico rapporto di fiducia e amicizia con Genny. E’ il suo “portaborse” a cui assegna un ruolo di massima delicatezza e importanza perché ha in mano l’agenda del ministro, quindi deve conoscere e proteggere tutti i suoi spostamenti sia pubblici che privati.
Alle dipendenze di Di Maio, ci sono almeno sei segretarie, impegnate a rispondere alle telefonate e prendere appunti. Tra queste brilla l’affascinante Narda Frisoni, una signora di Bellaria, Rimini, che però risulta completamente distante dall’orbita di Sangiuliano, avendo ricoperto per tutta la sua carriera il ruolo di ufficio stampa della Lega alla Regione Lombardia.
E’ al Pirellone che avviene l’incontro fatale con il leghista Massimo Garavaglia, all’epoca assessore. Quando nel 2021 Garavaglia, nominato ministro del turismo, sceglie Frisoni come portavoce, succede qualcosa: perché dopo quattro settimane si scioglie il rapporto.
Malgrado l’aperta ostilità nei suoi confronti degli ambienti del Carroccio, al tempo del governo Draghi, la bella Narda trova una occupazione sempre da ufficio stampa con il sottosegretario leghista Tiziana Nisini, nel 2021 sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Quando Narda Frisoni nel febbraio 2023 viene nominata a capo della segreteria sostituendo Di Maio spostato a segretario particolare di Genny, tra le stanze e i corridoi del ministero tutti si domandano: come è possibile che una addetta a rispondere al telefono e a prendere appuntamenti, che non ha mai avuti precedentemente alcun tipo di rapporto col ministro, riesca a conquistare un ruolo così apicale nell’organigramma di Sangiuliano?
La leggenda vuole che il debutto della segretaria Frisoni, laureata in Scienze politiche e giornalista pubblicista, a capo della segreteria tecnica di Genny il Caldo, sia stato caldeggiato dal ministro Giancarlo Giorgetti, persona che lei, con i colleghi del Collegio Romano, non ha mai nascosto di conoscerlo. E bene.
Il nome della Frisoni compare in molti dei documenti mostrati nei giorni scorsi da Maria Rosaria Boccia, l’imprenditrice 41enne campana con cui Sangiuliano ha ammesso di aver avuto una relazione, compresa la mail (datata 15 luglio) inviata a lei dalla Frisoni, con i biglietti aerei e la carta d’imbarco per un viaggio con Sangiuliano.
Il suo destino è segnato, al pari di altri collaboratori di Sangiuliano che verranno fatti fuori da Giuli al termine del G7 della Cultura. Ma vedendola alla recente Mostra del Cinema a Venezia dove si è fatta fotografare, splendida splendente, in compagnia di Beatrice Venezi e di una nota addetta alla moda, Marvi De Angelis, Narda non sembra per nulla preoccupata del suo futuro. Anzi…
(da Dagoreport)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
C’E’ MARIA TUCCI, CLASSE 1994, 30MILA EURO DI COMPENSO: ESPERIENZE PRECEDENTI DA SCRUTATRICE E UNO STAGE IN SEGRETERIA DI UNA SOCIETÀ DI TRASPORTI AI CASTELLI… OPPURE SOFIA CERQUA, 27ENNE ITALO FINLANDESE, CHE E’ NELLA SEGRETERIA DI LOLLO… GIORGIA E ARIANNA MELONI SI SONO “SGANCIATE” DA LOLLOBRIGIDA PER EVITARE CHE EVENTUALI DETTAGLI METTANO DI NUOVO IN DIFFICOLTÀ IL GOVERNO
Mentre l’incendio scoppiava, al ministero dell’Agricoltura — «la casa della carica dei 101» lo chiamano i cattivi nei corridoi romani, perché più di 100, 105 in realtà, sono i collaboratori del ministro — si pensava ad allargare lo staff: un dirigente al gabinetto, fatto abbastanza inusuale, chiesto nei primi giorni di agosto. E prima ancora alcuni incarichi tecnici dai profili però molto specifici.
Un particolare che non è passato inosservato a chi, a Palazzo Chigi, in questi mesi ha speso diverse parole sulla necessità di contenere le spese e di scegliere i collaboratori sulla base del curriculum. Non esattamente quello che sembra aver fatto Lollobrigida che ha allargato come forse mai nessuno in quel ministero la platea dei collaboratori scegliendoli per lo più sulla base della fedeltà.
C’è per esempio Maria Tucci, classe 1994, trentamila euro di compenso: esperienze precedenti da scrutatrice e uno stage in segreteria di una società di trasporti ai Castelli. Oppure Sofia Cerqua, 27 anni, italo finlandese, nel 2021 alla segreteria di Lollobrigida in Parlamento e che poi ha seguito Lollo anche al ministero. Che evidentemente guarda in avanti: a maggio del 2024 ha messo sotto contratto per 28mila euro un professore d’inglese. Lollobrigida è un ministro in bilico.
Un big che ha perso la fiducia delle sorelle Meloni, tanto da essere estromesso dal cerchio magico. Ma non è uno qualunque: è forse il più potente dirigente di Fratelli d’Italia. E non ha alcuna intenzione di restare escluso dai tavoli che contano. Continua a maneggiare dossier importanti. In teoria, è anche capo delegazione meloniano a Palazzo Chigi. E soprattutto, ha costruito le liste: molti deputati e senatori gli devono uno scranno in Parlamento. Per questo, la cacciata dal cerchio magico meloniano ha scosso il partito. E innescato reazioni pesanti.
Anche perché in politica ogni vuoto finisce per essere riempito. estromettere “Lollo” significa ad esempio consegnare un potere ancora maggiore ad altri dirigenti di primissima fascia: Giovanbattista Fazzolari, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che da Palazzo Chigi decide ogni sospiro dell’esecutivo, chiamato in causa cripticamente proprio da Boccia
Di fronte alle ultime notizie, tacciono per 24 ore (e dunque acconsentono) le sorelle Meloni. Ma tace anche Lollobrigida. Un silenzio che lascia spazio dentro Fratelli d’Italia ad illazioni, ricostruzioni, teorie del complotto.
Tra queste, una prende il sopravvento: Giorgia e Arianna Meloni si sarebbero “sganciate” da “Lollo” per evitare che eventuali dettagli capaci di contraddire le dichiarazioni pubbliche del ministro mettano di nuovo in difficoltà il governo. E questo vale sia che si tratti di contatti non riferiti con Maria Rosaria Boccia — la diretta interessata ha parlato di accessi al ministero dell’Agricoltura, sia pure per smentire la circostanza — sia che riguardi eventuali inciampi sulle nomine al ministero dell’Agricoltura. Dovesse capitare, il titolare dell’Agricoltura verrebbe destinato ad altro incarico. E al suo posto approderebbe il profilo di cui tutti parlano in queste ore al ministero: Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.Arianna, come detto, continua a non esporsi.
Matteo Renzi non è andato per il sottile: ha chiesto di approfondire il rapporto tra Fabio Tagliaferri, il presidente dell’Ales nominato dall’ormai ex ministro Gennaro Sangiuliano, nonostante un curriculum non esattamente centrato (è un imprenditore degli autonoleggi). E Arianna Meloni, appunto, che di Tagliaferri è vecchia amica.
(da la Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
LA LUNGA REQUISITORIA DEI PM (OLTRE SETTE ORE): “E’ STATO UN ITER CRIMINOSO NON CONCEDERE IL PORTO SICURO AI MIGRANTI. NON SI PUÒ INVOCARE LA DIFESA DEI CONFINI SENZA TENERE CONTO DELLA TUTELA DELLA VITA UMANA IN MARE”
«Salvini era consapevole della illegittimità dei suoi atti». E ancora: «Quelle sue inedite posizioni diedero luogo a un vero e proprio caos istituzionale: la strategia perseguita fu quella di piegare le norme alla politica dei porti chiusi». Per la procura di Palermo, Matteo Salvini è pienamente responsabile dei reati di sequestro di persona e di rifiuto di atti d’ufficio. Viene chiesta la condanna a 6 anni di carcere.
«Aveva l’obbligo di concedere il porto sicuro e non lo fece», dicono i pm. E ancora: «Questa situazione costrinse le altre istituzioni coinvolte ad approntare soluzioni di fortuna non potendo di certo permettersi di lasciare quei naufraghi senza terra». Sono durissime le parole della procuratrice aggiunta Marza Sabella, che ha condotto la requisitoria con i colleghi sostituti Geri Ferrara e Giorgia Righi.
L’atto d’accus
«Non si può invocare la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare», dice la dottoressa Sabella. «L’innalzamento dei confini serve solo a non vedere». La requisitoria della procura di Palermo contro l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha toni chiarissimi, va avanti dalle dieci del mattino alle 17.30: le regole poste durante la drammatica stagione 2019, quando furono bloccati 147 migranti a bordo della nave Open Arms, «furono incapaci di tutelare i diritti».
Il sostituto procuratore Geri Ferrara parla di «iter criminoso nel non concedere il Pos, il place of safety». Perché il migrante «ha diritto di arrivare in un porto sicuro. I diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini». Il magistrato ricorda le convenzioni internazionali che «impongono delle responsabilità agli Stati», soprattutto quando i migranti di salvare solo minorenni: «C’è l’obbligo di soccorso in mare». Salvini ha scelto di non essere presente in aula
Il “muro” di Salvini
Nell’estate del 2019, l’allora ministro dell’Interno alzò un muro nel Canale Sicilia. Non concedendo il “porto sicuro” alla nave di una Ong spagnola che all’inizio di agosto aveva soccorso, nel corso di tre operazioni nel Canale di Sicilia, 147 migranti. Così, partì l’indagine per sequestro di persona, perché – ha scritto la procura di Palermo e il tribunale dei ministri ha ribadito – «Salvini provocava l’illegittima privazione della libertà personale dei predetti migranti, costringendoli a rimanere a bordo della nave per un tempo giuridicamente apprezzabile, precisamente, dalla notte tra il 14 ed il 15 agosto 2019 sino al 18 agosto 2019, quanto ai soggetti minorenni, e per tutti gli altri sino al 20 agosto 2019, data in cui, per effetto del sequestro preventivo della nave, disposto dalla procura di Agrigento, venivano evacuate tutte le persone a bordo».
“Tutela dei diritti”
«Il principio chiave è quello del soccorso in mare, che viene dall’Odissea, da tempi ancestrali – dice il pm Geri Ferrara – Persino in guerra c’è l’obbligo del salvataggio in mare a conferma dell’universalità dei beneficiari. In questo processo affrontiamo il tema dei diritti dell’uomo, la vita, la salute e la libertà personale che prevalgono sul diritto a difendere i confini». Il magistrato ricorda quando detto dalle Nazioni Unite: «La rotta del Mediterraneo centrale è la più pericolosa del mondo, è dunque prioritaria la tutela della vita dei naufraghi».
E ribadisce che «Libia e Tunisia non possono essere considerati porti sicuri, come si è detto in questo processo». E’ la tesi di Salvini. «Ma anche l’attuale ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, all’epoca capo di gabinetto del ministro dell’Interno Salvini, ci ha detto in quest’aula che Libia non può considerarsi un porto sicuro». In base delle convenzioni internazionali, ricorda il pm, «in presenza di un evento di soccorso in mare anche i criminali o i terroristi, presunti o reali, non possono essere lasciati in mare. Anche loro devono essere salvati. E, poi, dopo, eventualmente processati».
La responsabilità del ministro
Ma a chi spettava rilasciare il Pos, il place of safety, il porto sicuro? Per la procura di Palermo non ci sono dubbi: «La competenza era del ministro dell’Interno, la modifica era stata legittimamente fatta dallo stesso Salvini, spostando la competenza da un ufficio del Viminale al titolare del dicastero. Ma il rilascio del Pos deve sempre avvenire nel rispetto dei diritti umani», dice Geri Ferrara, che ribadisce: «La competenza era di Salvini, una condizione che il ministro Piantedosi ha cercato di diluire nella sua deposizione».
Salvini ha invocato la difesa dei confini, ipotizzando che a bordo potessero esserci terroristi: «Ma nessuno dei responsabili delle forze dell’ordine sentiti in questo processo ha detto di saperne nulla», accusa la procura. Un’altra tesi difensiva riconnette la negazione del Pos «alla necessità che prima si facesse la redistribuzione dei migranti in Europa». Il pm Ferrara non usa mezzi termini: «Prima si fanno scendere i migranti, che a bordo erano in una situazione di rischio, poi si redistribuiscono. Altrimenti, si rischia di fare politica sulla pelle di chi soffre perchè in mare da diversi giorni, in condizione precaria su un’imbarcazione»
La configurazione del reato
Il pubblico ministero Giorgia Righi ripercorre quella drammatica estate del 2019, poi la collega Marzia Sabella introduce l’ultimo capitolo della requisitoria. «Il ministro Salvini aveva l’obbligo di indicare un porto sicuro per lo sbarco dei migranti dalla nave Open Arms. E i 147 migranti avevano maturato il corrispondente diritto di vedere riconosciuta la loro libertà personale». E non c’era alcun rischio di terroristi a bordo. «La Ong operava nel rispetto di tutte le disposizioni previste dalla legge». Nel processo, la difesa di Salvini ha cercato di paventare l’ipotesi che la Ong fosse d’accordo con gli scafisti. Ma anche questa tesi la pm Sabella demolisce: «Open Arms cercavano solo di salvare vite umane».
Il ministro, ribadisce la procura, aveva poi l’obbligo di intervenire per salvaguardia dei minori nel momento in cui erano entrati nelle nostre acque territoriali. In quel mese di agosto, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte scrisse ben due lettere per sollecitare Salvini a far sbarcare i minori.
La richiesta di pena
Conclude la dottoressa Sabella: «Pensiamo che il dibattimento abbia dimostrato che almeno dal 14 agosto 2019 sussisteva il chiaro e preciso obbligo del ministro italiano e di nessun altro di rllasciare il Pos. Che tale Pos doveva essere rilasciato senza indugio, non un’ora dopo rispetto al momento in cui era stato richiesto; che il diniego avvenne in intenzionale e consapevole spregio delle regole; che l’intenzionale e consapevole spregio delle regole non avvenne per ragioni di natura preventiva o repressiva, nè nella tutela dello stesso migrante ristretto, nè per altro bene tutelato dall’ordinamento giuridico; che l’intenzionale e consapevole spregio delle regole non avvenne nel tentativo di proseguire un disegno politico governativo, magari con qualche forzatura giuridica non giusta ma quantomeno tendente alla giustizia. Che dunque il diniego consapevole e volontario ha leso la libertà personale di 147 persone per nessuna, ma proprio per nessuna, apprezzabile ragione».
(da Dagoreport)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
AD AUMENTARE È IL PREZZO DELLE BOLLETTE E DEL MATERIALE SCOLASTICO (IN MEDIA A 1.022,72 EURO)… VISTO CHE LA SANITÀ PUBBLICA NON FUNZIONA, I CITTADINI DOVRANNO SPENDERE QUASI 300 EURO PER EFFETTUARE CONTROLLI DA MEDICI PRIVATI
Una stangata di quasi 3.000 euro attende la famiglia tipo al rientro dalle vacanze. Lo ha calcolato Federconsumatori che chiede al governo “misure per riequilibrare le disuguaglianze esistenti, attraverso il rinnovo dei contratti, una rivalutazione delle pensioni, una riforma fiscale equa, tesa a sostenere per davvero redditi medio-bassi e non solo fatta a vantaggio dei redditi da lavoro autonomo e quelli più elevati”.
Nel dettaglio, secondo i calcoli di Federconsumatori, nel trimestre settembre-novembre, le famiglie, dovranno far fronte a una stangata di 2.970,35 euro, +45,65 euro rispetto all’autunno 2023 (in cui si erano già registrati notevoli aumenti). Le voci di spesa considerate, riguardano le bollette di acqua, luce, gas, telefonia (1.094,18 euro) la seconda rata della Tari per una casa di 100 metri quadri (182,40 euro) le spese per il riscaldamento condominiale (393,20 euro prima rata), una vera stangata per il materiale scolastico, calcolato in media a 1.022,72 euro e per la salute (molti rimandano al rientro dalle vacanze l’appuntamento con visite e accertamenti) che se fatti privatamente raggiungeranno i 277,8 euro.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL G7 SHOW, CON COREOGRAFI E CHEF STELLATI: MELONI VOLEVA UN PROFILO BASSO, MA L’EX COGNATO VUOLE LA STAMPA INTERNAZIONALE
Edipo Lollo, una tragedia di governo, regia di Francesco Lollobrigida. Il G7 dell’Agricoltura, a Siracusa, dal 26 al 28 settembre, è il nuovo dramma di Meloni. Il ministro ha chiamato come ospiti Albano Carrisi, “Felicità!”, il direttore artistico di Amici, due cuochi stellati, Bruno Vespa con il vinello, l’étoile Abbagnato, ex glorie della Juventus. Ci sono anche i tebani, gli infuriati, gli agricoltori stizziti. L’Edipo Lollo gli aveva promesso di non far pagare l’assicurazione sui trattori, fermi, ma poi si è dedicato al menù. A Siracusa verrà la premier, gli ambientalisti pure, ma per protestare. Sarà spettacolo. Tragedia Lollo, risate italiche.
Per Edipo Lollo cosa volete che siano le dichiarazioni di Maria Rosaria Boccia, lui che è l’eroe di Siracusa, del G7 agricoltura, l’evento degli eventi? E’ il G7 più atteso. Palazzo Chigi, così come per gli altri G7, lo finanzia con 650 mila euro, ma si parla di altri 500 mila euro che destina il Masaf. Edipo Lollo vuole la stampa internazionale e presenterà il programma presso la sede della stampa estera. Coldiretti si è scatenata. Stand, bandiere. Fonti di Coldiretti ragionano su una cifra pari a un milione di euro a carico dell’associazione perché in concomitanza al G7, sempre a Siracusa, ci sarà Expo agricoltura “Divinazione Expo 24”.
I ritardi sono tali che invitano pure vostra nonna se porta una bottiglia di barolo e viene a far presenza. Al ministero: “Da tre mesi siamo fermi su questo evento ma non abbiamo mai fatto una riunione vera. Sarà uno spettacolo. Un mercato con bancarelle”. Quanto può far male la vanità? Il G7 Cultura è già andato a male per i fumi pompeiani, resta questo dell’Agricoltura al punto che Meloni ha lasciato intendere a Edipo Lollo: “Descansate niño, che continuo io”. Aprirà lei. Ma l’eroe non ci sta. Desidera rilanciarsi. Meloni gli avrebbe chiesto di farlo passare come un evento del ministero, ma Edipo Lollo ha bisogno di ricaricarsi, ha bisogno di miele, di api sul terrazzo del ministero (prima che le vespe sterminassero le sue api ministeriali, come ha raccontato Il Foglio, il 10 giugno 2023, i dipendenti del Masaf hanno ricevuto questa comunicazione, pubblicata dal Manifesto: “Si chiede al personale di via XX Settembre di mantenere la calma di fronte allo sciame di api che sta invadendo il ministero”). Disastro. L’eroe soffre e gli serve una festa. Edipo Lollo per il suo G7 ha dunque transennato l’isola di Ortigia, di Siracusa, e vuole totem sulla sovranità. Mancano solo i dervisci rotanti. Piccolo problema. Nell’ultima finanziaria era apparsa una norma per assicurare i mezzi agricoli, contro i rischi statici, compresi quelli che non circolavano su strada. La norma era del ministero dei Trasporti, e recepiva una direttiva comunitaria, ma Edipo Lollo, con baldanza, aveva garantito: “Intervengo io”. Si è venduto la proroga e Coldiretti ciclostilava comunicati gloriosi. Nelle note Coldiretti scriveva che “oltre 2 milioni di trattori e macchine agricole sono interessate dalla proroga che posticipa di sei mesi l’entrata in vigore”. Peccato che i mesi passano. Federacma (la Federazione dei rivenditori di macchine agricole) il 5 settembre ha chiamato a raccolta associazioni, agricoltori (unica che non si è presentata è stata Coldiretti) per chiedere al governo un tavolo tecnico, per sapere cosa accade dopo la proroga. Chiede la sospensione della norma. L’Italia laboriosa, come le api, vuole sapere da Edipo Lollo: “Che si fa?”. Ma può un eroe occuparsi di queste minuzie? A compromettere la festa si è messa pure la peste suina (in Veneto, nelle ultime 24 ore, sono state vietate fiere e mostre di animali come misura preventiva per evitare la diffusione). Ci sarebbe pure l’Agea (Agenzia per le erogazioni in Agricoltura) che dipende dal ministero che si trova, da settimane, a gestire, e scusarsi, per le domande degli agricoltori inevase. Meloni, è proprio sicura che il mondo agricolo ha voglia di cantare a Siracusa? Gli ambientalisti si prevede che manifesteranno contro le emissioni, ci saranno i trattori scontenti, e non assicurati. Ma Edipo Lollo, non si abbatte. Non vede l’ora di intonare “Felicità” con Albano Carrisi, di partecipare al concerto “Note di Celluloide”. Al Teatro Greco, il 27, non vede l’ora, di ammirare i balli del coreografo, direttore artistico di Amici, Peparini, e le danze di Eleonora Abbagnato. Gli chef stellati saranno due, uno del nord e uno del sud (autonomia e cucina differenziata, ma unita per Edipo Lollo). E poi sarà il momento dei premi: si attendono premi per Bruno Vespa, per l’ex calciatore oggi viticoltore, Barzagli. Chi scrive che Edipo Lollo rischia di uscire dal governo si attira il castigo dell’Olimpo. Cosa resta ai giornalisti senza Edipo Lollo? Senza Lollo non c’è catarsi, senza Lollo non si lallera. Edipo Lollo a Siracusa. Non si paga neppure il biglietto. In coro: Lollo, ma la “tassa” sui trattori?
(da ilfoglio.it)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
PERCHE’ IL PATTEGGIAMENTO DELL’EX GOVERNATORE INGUAIA GIORGIA MELONI E TUTTO IL CENTRODESTRA
Dopo cinque mesi di cocciuta battaglia contro la realtà, Giovanni Toti ripone la stampella. Seguendo le orme di Berlusconi – suo mentore politico e datore di lavoro, che pagò un generoso conto con la giustizia assistendo gli anziani nell’ospizio di Cesano Boscone – l’ex presidente della Liguria lo salderà con 1.500 ore di “lavori di pubblica utilità”. Ci sono ovvie differenze, tra il Cavaliere e l’ex governatore. È diverso il reato: frode fiscale contro corruzione impropria e finanziamento illecito ai partiti. È diversa la durata della pena: quattro anni contro due anni e un mese. È diversa la procedura: condanna definitiva contro patteggiamento. Ma nella sostanza, e al di là della forma, l’esito è sempre lo stesso: una resa all’evidenza dei fatti. Sul piano umano è comprensibile che Toti – insieme al “sollievo” – esprima anche “amarezza” per non aver perseguito fino in fondo le sue “ragioni di innocenza”.
Ma sul piano giuridico c’è poco da cavillare: è lui che ha proposto ai pm di patteggiare, e il presupposto di una richiesta di patteggiamento è sempre e comunque l’implicita ammissione di colpevolezza da parte dell’imputato. Dopo ben 219 giorni passati in buona parte agli arresti domiciliari, a combattere contro tutte le accuse e contro tutti gli accusatori, l’ex Governatorissimo salito dalla Lunigiana e asserragliato nel suo bunker di Ameglia deve aver capito che qualcosa non funzionava davvero, nelle sue apericene a base di caviale e champagne sul Leila 2 di Aldo Spinelli e sugli altri yacht extralusso dei signori dello shipping, intenti a spartirsi lavori e favori, assunzioni e prebende sotto la Lanterna. Deve aver realizzato che la zona grigia tra affari e politica è davvero un campo minato, e che quei 2 milioni e passa transitati da “loro” al suo comitato elettorale erano troppo difficili da giustificare. Dev’essersi reso conto che un “Sistema Toti” – magari a sua insaputa, come capitò al suo grande inquisitore Scajola – l’aveva messo in piedi sul serio, in una Liguria dove tra Porto di Genova e Pnrr, Terzo Valico e Gronda, Isola Palmaria e Terminal Rinfuse, non si muoveva foglia senza il patto tra la Regione e gli “Scià della Banchina”. Il legale di Toti – per spiegare il patteggiamento – dice adesso che i reati contestati al suo assistito non ruotavano intorno ad “atti” ma ad “atteggiamenti”, e dunque configuravano accuse troppo evanescenti sia per essere provate, sia per essere smontate. Li chiami come vuole: la rinuncia a difendersi in un normale dibattimento parla da sola. E dice di un meccanismo malato, nel quale cacicchi e capibastone senza soldi scendono a patti con affaristi e capitalisti senza scrupoli.
La mossa a sorpresa di Toti ha serie implicazioni politiche. La prima implicazione riguarda la prossima tornata elettorale. In Liguria si rivota il 27 ottobre, per scegliere il nuovo governatore. Il clamoroso e inatteso “mea culpa” dell’ex governatore – proprio perché presuppone l’ammissione di un dispositivo di potere reale, opaco e pervasivo – pesa come un macigno sul candidato appena scelto dalla destra. Marco Bucci, sindaco di Genova, ha preso le distanze da quel “sistema”, in questi lunghi mesi di tregenda. L’assalto al Porto gli è sembrato «una porcilaia», gli imprenditori che correvano alla mangiatoia gli ha ricordato «i maiali ai quali davo le ghiande da piccolo». Linguaggio forte, indignazione sincera. Ma resta un fatto: dalla tragedia del Ponte Morandi in poi, Toti e Bucci sono stati un corpo e un’anima. A Genova li chiamavano “Yoghi e Bubu”, il Web è pieno di meme che ricamavano sui loro tuffi in costume e salvagente dallo scivolo montato in via XX Settembre per il compleanno di Costa Crociere. Per carità, le colpe dei governatori non ricadono sui sindaci. Ma l’uno e l’altro hanno molto convissuto e molto condiviso. Senza considerare la malattia di Bucci – che per il suo coraggio merita gli auguri più affettuosi – c’è però da chiedersi quanto possa pesare sulla scelta degli elettori liguri e sul futuro della Regione, questa sua contiguità/continuità con il “totismo”. In genere, a questo punto del ragionamento, si dovrebbe dire: Giorgia Meloni farebbe bene a riflettere. Ma è inutile: anche stavolta non cambierà idea. Non lo fa mai, non è nella sua natura. Specialmente quando le cose della vita si accaniscono contro di lei.
E qui c’è la seconda implicazione. La svolta giudiziale decisa dall’ex delfino dell’Unto del Signore, e la sua conseguente assunzione di responsabilità nell’inchiesta, fanno crollare miseramente l’ennesimo teorema cospirazionista che la premier e i suoi alleati avevano costruito subito dopo l’arresto dell’ex governatore, il 27 maggio. Da Salvini a Musumeci, da Crosetto a Urso e persino Santanchè, già azzoppata da una richiesta di rinvio a giudizio per truffa ai danni dell’Inps e falso in bilancio: tutti, tra Palazzo Chigi e dintorni, avevano sollevato il solito sospetto, ben collaudato dal berlusconismo da combattimento: la “giustizia a orologeria”. Perché la procura si era mossa giusto un mese prima dal voto europeo? Finsero di non sapere che l’inchiesta era nata a Spezia nel 2020, e che le richieste di arresto ben sei pm genovesi le avevano già avanzate il 27 dicembre 2023. Ma è lo stile di casa Meloni. Qualunque cosa accada, le colpe sono altrove. E come nel Ventennio del Duce, il nemico ti ascolta, e trama contro di te.
È ormai lunghissima, la lista delle psicosi meloniane sulla cospirazione permanente. Il finanziere Striano che con la sua nuova P2 “mette a rischio la democrazia” e le toghe rosse smascherate da Crosetto mentre preparano il golpe nelle riunioni di corrente. La persecuzione giudiziaria contro Daniela-Pitonessa del Turismo e l’auto-complotto agostano contro Arianna Meloni inventato da Alessandro Sallusti dopo una palese insolazione. L’agguato a Sangiuliano ad opera della misteriosa Mata Hari di Pompei al servizio di una Spectre ancora ignota e la perfida Bianca Berlinguer che osa chiederle un’intervista su evidente istigazione degli eredi del Cav. Poi Marina-Zarina dell’odiata Mediaset che progetta la spallata insieme a Draghi e la temuta Dagospia che pesca nel torbido, tra il fu cognato Lollo e il camerata Fazzolari, la vera “scatola nera” (copyright Stefano Cappellini) del meloniano aereo più pazzo del mondo. E infine poliziotti sloggiati dal piano nobile di Palazzo Chigi perché probabili spioni al soldo dei Poteri Forti e i bolscevichi di Strasburgo che vogliono impallinare il mite Raffaele Fitto solo perché i sovranisti italici non hanno votato con la maggioranza Ursula. Adesso scopriamo che persino Christine Lagarde ordisce congiure giudo-pluto-massoniche per sabotare “la Nazione”. Ed è quasi un paradosso che a sostenere la requisitoria contro la Bce per il suo timido taglio dei tassi sia il ministro degli Esteri: solo pochi giorni fa schierava Forza Italia sul fronte dei diritti dei carcerati e lo Ius scholae, ora tace mentre la sua maggioranza vota sì alla galera per i figli delle madri detenute e per i giovani che protestano in piazza.
Anche il finto-centrista Tajani – come i vari Renzi e Calenda – è la prova vivente di quello che trent’anni fa sosteneva Mino Martinazzoli, e cioè che questo Paese orfano della Dc non ha bisogno di “moderatismo”, ma semmai di “moderazione”.
Vediamo cosa diranno adesso, le Sorelle e i Fratelli d’Italia in totale paranoia, in deficit di classe dirigente per il rimpasto e di risorse spendibili per la manovra. Li ha spiazzati e li ha inguaiati, questo epilogo imprevisto dello scandalo sulla “Liguria da bere”, ultimo cascame di una Questione Morale che cambia facce, cambia forme, ma non finisce mai. Forse anche Toti, col suo stupefacente autodafé, complotta per fermare la destra tricolore in viaggio verso la Storia.
(da repubblica.it)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
LA ROSICATA TRA GLI EX ALLEATI: “GIOVANNI HA PASSATO MESI AD AUTO RACCONTARSI COME MARTIRE DELLA GIUSTIZIA, CI HA PORTATO A GRIDARE AL GOLPE, E ORA PATTEGGIA? O VOLEVA FARE PROMOZIONE AL SUO LIBRO IN USCITA, O HA SBAGLIATO”… LA SCELTA DI CANDIDARE MARCO BUCCI ALLA REGIONE ERA UN SEGNALE DI CONTINUITA’ CON LA GESTIONE TOTI MA ORA CHE HA TROVATO L’ACCORDO CON I PM, LA SUA “EREDITÀ” DIVENTA INGOMBRANTE
L’ultimo passo a segnare una distanza già incolmabile, il grande freddo tra Giovanni Toti e i partiti della sua (fu) maggioranza. Il patteggiamento dell’ex governatore ligure, per il centrodestra, fa male come uno schiaffo a Genova come a Roma. Perché nessuno, tra gli alleati di Toti, neanche quelli rimasti più vicini, era al corrente della svolta arrivata ieri. Solo i fedelissimi, sono stati avvertiti poche ore prima dell’ufficializzazione della decisione.
E in quota coalizione c’è chi fa capire come probabilmente «più di una scelta» per la campagna elettorale sarebbe stata «affrontata diversamente», alla luce dell’accordo con i pm. Forse non la candidatura di Marco Bucci, l’unica scelta diventata imprescindibile, pur evidente l’organicità del sindaco al sistema finito sotto inchiesta, ma di sicuro il modo di comunicarla.
Se è lo stesso ex presidente a garantire «il mio patteggiamento non comporterà riflessi sulla campagna elettorale di Bucci», nelle segreterie del centrodestra in realtà ci si chiede ora come e se ri-tarare il taglio della narrazione, a parziale ammissione di Toti ormai certificata. Da subito, del resto, la scommessa sulla candidatura del sindaco di Genova è stata presentata come una puntata sull’eredità totiana.
«Marco Bucci è la persona giusta per dare continuità alla crescita della Liguria portata avanti in questi anni», si legge nella nota congiunta Meloni-Salvini- Tajani-Lupi che ha fatto da investitura al neo candidato, due giorni fa. Una stretta decisa al nodo che ha legato per otto anni Bucci a Toti, facendone quasi una cosa sola
L’uomo di Giorgia Meloni in Liguria, il deputato Matteo Rosso – «pur comprendendone le ragioni non ci aspettavamo questa mossa, dopo tanto urlare al complotto giudiziario». Ma tra ex pretoriani dell’ex governatore c’è chi sbotta: «Giovanni ha passato mesi ad auto raccontarsi come martire della giustizia, ci ha portato a gridare al golpe, e ora patteggia? O voleva fare promozione al suo libro in uscita, o ha sbagliato».
A raccontare il gelo che la decisione di Toti ha fatto calare nel centrodestra, ieri, è stato del resto anche il contrasto tra la loquacità del diretto interessato, protagonista di giornata anche in Rai, a Porta a Porta, – «Con la politica ho pagato un contributo molto alto, ma per un ritorno sulla scena mai dire mai», il messaggio – e i silenzi di tutti gli altri. Bocche cucite tra gli esponenti di partito più vicini (uno su tutti, il viceministro leghista Edoardo Rixi), silenti Meloni e Salvini T
utte prese di distanza, più o meno esplicite, che arrivano però anche da lontano.
Dai mal di pancia del passato tra i partiti per le continue giravolte politiche dell’ex leader, che le (vane) ambizioni nazionali negli anni hanno portato a guardare prima a destra, poi al centro, poi ancora a destra, come dai casi di questi ultimi mesi di bufera giudiziaria. Le accuse più o meno velate di abbandono arrivate da Toti ai domiciliari, il progetto abortito di una manifestazione nazionale anti pm da fare a Genova a sostegno della causa, l’incontro richiesto e negato da Salvini che ha dato l’accelerata verso le dimissioni.
E ora il patteggiamento inaspettato, che riagita gli umori nel centrodestra in vista dei tre voti regionali d’autunno. «Se i partiti del centrodestra si fossero schierati davvero con lui, allora sì, avrebbe potuto andare avanti e affrontare il peso di otto anni di processo: ma così chi glielo fa fare? Ha tutta la vita davanti per investire su altro», si riflette in quello che rimane del cerchio magico totiano. Nei piani dell’ex presidente, saltato il processo, ci sono 1500 ore di lavori socialmente utili e il lancio del libro in uscita a metà ottobre, in piena campagna elettorale. Si intitola “Confesso, ho governato”
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
LA STORIA DI KHELIF: “DIO L’HA CREATA DONNA E TALE E’ RIMASTA”… “MIA FIGLIA HA PIANTO PER TUTTE LE MALVAGITA’ DETTE SUL SUO CONTO, NON E’ MAI CADUTA NELLA VOLGARITA’ DI CHI L’HA ATTACCATA, HA REAGITO E HA RESO ONORE ALL’ALGERIA”
È diventata un simbolo di inclusione e sfida alle convenzioni e alla propaganda anti-lgbtqia+ la pugile algerina Imane Khelif, che ha vinto l’oro olimpico a Parigi 2024 nella categoria 66 kg.
Ma quale è la storia di Khelif? Originaria di Biban Mesbah, un piccolo villaggio in Algeria, la pugile ha dovuto affrontare molte difficoltà per emergere in uno sport socialmente considerato «da uomini».
Suo padre, Omar Khelif, nega con forza le “accuse” secondo cui sua figlia sarebbe una persona trans, dichiarando che Imane è sempre stata una donna e precisando che la loro religione, l’Islam, non contempla neanche queste questioni. «Dio l’ha creata donna ed è rimasta donna», afferma il padre dell’atleta 25enne a la Repubblica
Gli inizi da ragazzina
Imane Khelif è la prima di nove figli e ha iniziato a raccogliere bottiglie di plastica e pezzi di ferro per pagarsi il biglietto del pullman per andare ad allenarsi a Tiaret, ricostruisce il reportage de la Repubblica. La sua carriera è iniziata a 15 anni, quando, dopo aver giocato a calcio per strada con i ragazzi, è stata notata da un pugile locale, Abdelkader Ben Aissa, che l’ha presentata a un allenatore. Da quel momento, ha iniziato ad allenarsi duramente, spesso con compagni maschi, superando ostacoli sia fisici che sociali. «Prima ha cominciato a giocare a calcio per strada con i ragazzi. Era brava e loro si sentivano minacciati. Si battevano con lei. Lì ha imparato a schivare i pugni dei compagni», racconta il padre Omar.
«Meloni non doveva dire quelle cose»
Nonostante le polemiche sollevate, soprattutto dopo il commento della presidente del Consiglio italiana, che ha insinuato che atleti con caratteristiche genetiche maschili non dovrebbero gareggiare con le donne, Khelif ha continuato ad andare dritta a testa alta alle gare olimpiche, portando a casa anche una vittoria. «Giorgia Meloni non avrebbe dovuto abbassarsi a dire quelle cose», commenta oggi il padre Omar. Che riferisce l’umore dell’atleta in quei giorni: «Durante le Olimpiadi l’ho vista piangere a più riprese, a causa delle polemiche. Ha pensato addirittura di lasciare. Ma alla fine gli attacchi subiti sui social hanno alimentato la sua rabbia, che l’ha fatta vincere. E – conclude – non è mai caduta nella volgarità di chi l’aggrediva. Ha reso onore all’Algeria».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »